🌹Anima d'Alba [2 di 4]

Un bussare discreto mi spinse a celare il mio stato emotivo e ricompormi, sedendomi sul letto a gambe incrociate. Alla fine sollevai il capo e dissi: «Avanti».

La porta si schiuse e nella stanza entrò un gatto grigio, enorme, con occhi dorati come oro colato e il portamento fiero di una tigre. Il felino si fermò in mezzo alla stanza e prese a fissarmi. Sentii il cuore gonfiarsi di un'emozione sconosciuta. Abbozzai un sorriso e, come avevo fatto la prima volta che ero stata alla tenuta, inclinai il capo in avanti a mo' di saluto.

Il gatto si limitò a battere le palpebre.

Poi sbadigliò e balzò sul letto, iniziando a farmi le fusa contro il fianco.

«Iside è contenta di rivederti» disse qualcuno alle mie spalle. «E anche io lo sono!»

Udendo quella voce inconfondibile, mi volsi. Sulla soglia della stanza trovai una donna con un hijab rosa che le copriva il capo, una maglia bianca a maniche corte con sopra il disegno di un cavallo, jeans e scarpe consumate dall'uso.

Quando scostò lo sguardo dalla gatta, il suo visetto ovale si illuminò. Gli occhi neri dal taglio all'insù brillavano e le labbra a bocciolo si piegarono in un sorriso che andava da un orecchio all'altro.

«Ciao Amina ʿamma» esclamai, correndo ad abbracciarla.

Quando ci scostammo, mi poggiò una mano sulla guancia.

«Tutto bene?» domandò.

Feci per negare, ma esitai. Sapevo che non potevo nasconderle nulla, non a lei, non a zia Amina, che sembrava in grado di scrutare le anime con un solo sguardo.

Alla mia esitazione, lei sorrise.

«Vieni con me» disse.

Io la seguii. La gatta Iside ci tallonò, vegliando e accompagnando i nostri passi con il suono cristallino del grazioso campanellino che le cingeva il nastrino attorno al collo.

* *

«Eccoci arrivate», disse zia Amina, lasciandomi la mano. Mi aveva condotto nel lato est della tenuta, proprio vicino al piccolo spaccio allestito dai e per i dipendenti, e un altro locale la cui facciata era parzialmente coperta dal gelsomino in fiore. Zia Amina pescò una chiave dalla tasca dei jeans e aprì la porta.

Varcando la soglia, l'interno della struttura mi apparve come un mondo sconosciuto. Il pavimento era in pietra, e in un angolino discreto erano accostati diversi scatoloni con scritte in francese fatte con un pennarello rosso. Il soffitto era composto da travi di legno massiccio.

Lungo le pareti bianche a ovest c'erano scaffalature in legno di noce scuro, colme di barattoli di vetro vuoti, oltre ad altre opere di ricamo e illustrazioni antiche che raffiguravano erbe medicinali.

Dall'altra parte della stanza, alcune erbe erano lasciate ad essiccare, appese al muro grazie a una serie di ganci in ferro battuto. La luce aranciata e nostalgica del tramonto filtrava attraverso una serie di finestre ad arco con vetri colorati, raffiguranti fiori di papavero e di fiordaliso.

«Zia!» esclamai stupita, guardandomi ancora attorno. «È quello che penso?».

Lei mi sorrise ancora.

Fuggita dall'Egitto a soli vent'anni, il sogno di Amina era stato quello di riaprire la bottega perduta di erbe officinali e spezie: era stato grazie a ciò se lei e mia madre si erano conosciute. Da quando ero nata, non appena papà e mamma avevano usufruito delle ferie, era quasi un rito lasciare Roma e soggiornare alla tenuta De' Cecchi vicino Piombino.

Prima della morte di mamma, avevo trascorso esperienze uniche e meravigliose a contatto con il bosco, i cavalli e il mare. E, sotto la guida di zia e zio Vanni, il compagno di vita di Amina e proprietario della tenuta, avevo udito il canto della Scrittura per la prima volta...

Zia si avvicinò al bancone centrale, decorato con intarsi delicati e bordi finemente scolpiti, e mi indicò ciò che ci circondava con un ampio gesto della mano sinistra.

«Quando hai un sogno, Zara, non hai bisogno del permesso di nessuno per realizzarlo» fu la sua risposta saggia. «Non credere di non esserne capace. Vivi libera, che è la cosa più rara al mondo, e fai del tuo meglio in ciò che ami».

Per un attimo, lo sguardo di lei si fece più limpido del cielo che avevamo lasciato fuori e mi fu impossibile non sorridere.

«E ora veniamo a noi» aggiunse zia Amina. «Da questa parte». 

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