Capitolo Ventitré (Passato)
Lei
Vuoto... era l'unica cosa che provavo, qui sotto la pioggia, il prete che parlava di mio zio come una grande persona ma quando mai ci aveva discusso? Poco più in là c'era un gruppetto di donne che piangeva, altre sconosciute che non si erano mai degnate di rivolgergli la parola, tutte lacrime false.
Io che guardavo quella pietra fredda e grigia con inciso il suo nome. Prima Elisa successivamente mio zio sembrava che il destino si stesse sbeffeggiando di me. Eppure quella stretta al cuore non era la prima volta che la provavo, sentimenti contrastanti che attanagliavano la mia giovane anima lacerandomi pezzo per pezzo.
Passarono dei giorni e fui completamente lasciata sola in questo posto pieno di tombe, finché delle voci mi richiamarono dai miei pensieri.
«Dai andiamo, sei da troppo tempo in piedi a fissare la sua sepoltura, ti prenderai la febbre.»
Poco dopo mi sentii tirare prima da una parte poi dall'altra.
Riconobbi le due voci mi girai sia a destra che a sinistra, erano i miei due giovani amici Matteo e Mauro.
«Tua mamma è preoccupata, torna almeno a casa» parlò Mauro.
«Quella madre degenera si preoccupa per me? Ma per favore» scoppiai in una risata isterica .
«Dio mio le è partita qualche rotella» disse Matteo scuotendo il capo.
«Angelica se vuoi andiamo dove vuoi tu, a casa mia oppure in quella di Matteo ma hai le scarpe bagnate e piene di fango e la tua pelle bianca è così fredda, cerchiamo di recarci al caldo» insistette Mauro.
«Voglio andare a casa... a casa sua» dissi con voce roca e con sguardo assente fissando un punto davanti a me.
« Non credo che ti faccia bene andare a casa sua» rispose Matteo cercando di farmi ragionare.
«Allora non mi muovo.»
«Va bene, basta che tu sia al caldo.» affermò Mauro assecondandomi.
Entrammo a casa di Olmo, i miei amici andarono ad accendere il riscaldamento intanto mi coricai sul suo letto sentivo ancora il suo profumo. Le lacrime iniziarono a scendere sul mio viso, avevo ancora in mente il suo volto privo di vita, la sua pelle fredda come il ghiaccio, i suoi capelli rossi che brillavano alla luce della luna.
Mi sentivo così sola che senso avesse rimanere in questo posto. Se solo Leam fosse venuto a prendermi, lui era l'unico che mi capiva anche se non l'avevo mai visto. Mi addormentai esausta dalla vita... quando riaprii gli occhi ero nel giardinetto vicino al villaggio non so da quanto tempo stavo camminando, però mi facevano male le gambe. Mi trovai vicino al fiume del mio villaggio il quale tagliava per il lungo il bosco. Scorsi una figura tra gli alberi che si stava avvicinando con passo lento. Di primo impatto non la riconobbi, successivamente più si avvicinava e più la sua figura mi diventò familiare.
«Zio! Zio!» gli andai incontro urlando a squarciagola.
All'improvviso il suo viso cambiò i suoi capelli diventarono neri e sul suo volto si stampò un ghigno sinistro allargando le lunghe braccia. Cercai di fermarmi e scappare ma le mie gambe non ne vollero sapere. Gli arrivai davanti non lo vedevo nitido, però i suoi occhi gialli così intensi mi colpirono.
«Le... Leam?»
Era venuto a prendermi?
Lui fece un cenno con il capo, il paesaggio intorno a noi diventò sempre più buio, le mani di Leam diventarono sporche di sangue sciogliendosi come il cioccolato con il calore. Una fitta al ventre mi colpì all'improvviso mi toccai nel punto, una scia di sangue sporcò le mie mani, il dolore aumentò e il sangue continuò ad uscire traboccante dalla ferita. Urlai dal dolore allucinante.
«Svegliati Angelica è solo un sogno!» Matteo mi stava scuotendo con insistenza.
«Tieni bevi questo» Mauro mi portò un bicchiere d'acqua.
«Vuoi parlarne di quello che hai sognato?» chiese con fare gentile il mio amico Mauro.
Scossi la testa e sorseggiando l'acqua fresca che mi aveva portato.
«Quando ti sentirai, con noi puoi sfogarti, siamo i tuoi amici. Se uno di noi inciampa gli altri lo sorreggono» rispose Matteo.
Passò una settimana dalla morte di mio zio, Matteo e Mauro continuavano ad insistere che sarei dovuta ritornare a scuola. Ma che senso avesse? Cosa ci rimanevo ancora qui?
Cominciai a pensare di andarmene da questo posto, nel villaggio circolavano delle voci che io avessi ucciso mio zio, certo come no, le persone mi guardavano male quando giravo per il paese come se fossi un'appestata. La piccola polizia situata nel villaggio, classificò questo caso come suicidio. Perché essere ferito alla schiena di spalle veniva considerato suicidio per loro.
Mi misi a pulire casa dello zio e a mettere le sue cose nello scatolone, non volevo che prima della mia partenza gli oggetti prendessero polvere rovinandosi e che la casa si sporcasse ulteriormente. Le ultime scorte del frigo stavano finendo e stanotte sarei partita, non vedevo l'ora. Stavo spolverando la piccola mensola in salotto, presi la foto incorniciata che raffigurava me e lo zio e la baciai successivamente la misi nello zaino. Intanto che stavo mettendo i libri nello scatolone da uno di essi che aveva la copertina gialla cadde una busta.
La raccolsi e l'aprii, era una lettera che arrivava da Monacre di un certo Licerio, parlavano dei vecchi tempi andati di come si era divertito insieme a mia madre e mio zio. Lessi l'indirizzo, forse avevo trovato il posto dove dirigermi visto che la meta non l'avevo ancora prefissata.
Sfogliai nel libro e trovai una foto ingiallita con tre ragazzi che sorridevano all'obbiettivo. Riconobbi subito mio zio era quello in mezzo, aveva i capelli più corti ma il colore era rimasto invariato di un rosso intenso, sulla sinistra c'era una ragazza bionda con i capelli lunghi, mi assomigliava molto immaginai che fosse mia madre.
Invece sulla destra era presente un ragazzino castano con i capelli molto corti e il viso imbronciato.
Presi la lettera e la foto e le misi nello zaino. Quando fu sera chiusi a chiave la porta di casa, mi appoggiai ad essa e la salutai.
Andai anche al cimitero per vederlo «Ciao zio, questo è un addio ma non ti preoccupare per me sarai sempre nei miei pensieri» baciai la sua foto e me ne andai sfiorando con i polpastrelli per l'ultima volta la fredda lapide.
Mi recai in quella maledetta casa dove abitava mio fratello e mia sorella, volevo dargli un ultimo saluto prima di andarmene. Entrai dalla porta e appena la chiusi si accese la lampadina del corridoio. Mi voltai e mi trovai davanti Taro, mio padre.
«Che cosa ci fai qui bambolina?» mi guardò con aria di sufficienza, aveva in mano una lattina di birra e la stava sorseggiando.
«Sono venuta a prendere una cosa poi me ne vado» risposi.
«Puoi tornartene da dove sei venuta, sparisci per giorni e poi entri in casa mia senza permesso.»
«Devo solo prendere una cosa e poi me ne vado» lo sorpassai, cercando di salire le scale.
Ma lui mi bloccò al muro, mi versò la birra sui capelli e mi diede uno schiaffo.
«Perché l'hai fatto?» lo guardai con odio.
«Non sopporto chi non sta al suo posto e ora sparisci» mi intimò.
«Tu sei solo un bastardo» quanto lo odiavo.
«Qua siamo in due bambolina. Se non vuoi finire come tuo zio sparisci da questa casa, hai già fatto abbastanza danni.»
«Non permetterti di pronunciare il suo nome, tu non vali niente in confronto» come si permetteva di disonorare la sua scomparsa con queste parole.
I suoi occhi diventarono glaciali «Oh non posso nominare il tuo adorato zio bambolina? Lui è migliore di tutti, lui è il più intelligente di tutti, lui è il più buono di tutti. Talmente buono che si è fidato di me e si è preso una pugnalata. Sì l'ho ammazzato io» disse con gran felicità dipinta sul viso.
La rabbia si impadronì del mio corpo e mi scagliai contro di lui «Tu lurido bastardo! La pagherai!»
Con un gesto fulmineo mi sbatté contro il pavimento e mi mise le mani al collo.
«Adesso che lo sai vai pure a denunciarmi alla polizia, chi vuoi che ti creda bambolina? Io la persona più importante in questo villaggio sperduto in montagna oppure una semplice bambina disagiata?»
Il mio respiro si fece sempre più affannoso e la mia vista maggiormente sfocata ma il suo ghigno malefico lo vedevo chiaramente. Allentò la presa e si spostò, mi diressi verso la porta d'uscita tossendo e scappai.
«Non tornare mai più» lo sentii urlare. Scappai in lacrime. Come si era permesso di ammazzarlo? Sapevo che era un bastardo geloso ma non pensavo fino a questo punto. L'avrebbe pagata, dovrò diventare più forte e un giorno mi supplicherà di non ucciderlo. Ero al confine del villaggio, finalmente per la prima volta sentii odore di libertà.
Lui
Ero seduto sul trono del mio castello, dovevo rimettermi in piedi, Angelica era di nuovo viva. Creai nei secoli passati questa fortezza in mezzo al deserto infernale. Avevo pure creato una stanza tutta per lei, magari un giorno quando questa maledetta barriera si fosse dissolta sarebbe venuta a viverci.
Ricominciai ad avere di nuovo stima tra i demoni, chiunque parlasse male di Angelica come fosse lei causa di questo, veniva torturato ed imprigionato. Io non potevo proteggerla in prima persona e questo creava grande disagio in me. Mandai Corvus a sorvergliarla, visto che gli animali infernali erano gli unici a poter superare la barriera.
Prese accordi con suo padre ma in questo periodo le cose andavano sempre peggio, la mia Angelica non andava d'accordo con la famiglia. Allora ordinai a Corvus di punire suo padre, il mio alleato fu sfregiato dall'acqua santa su un braccio ci mancava poco che lo uccidesse.
Quel bastardo che cosa nascondeva? Perché odiare così tanto il mio angelo?
Smisi di pensare a quel inutile misero umano che me l'avrebbe pagata focalizzandomi sulle foto di Angelica, l'unico contatto indiretto che avevo con lei.
Ne avevo diverse scattate in distinti momenti della sua nuova vita: una era quando era nata, sembrava un fagottino così dolce, un'altra era quando stava mangiando nel seggiolone. Ma la mia preferita era quando giocava con i suoi amici, aveva un viso così sereno... Quando la sua lontananza era insopportabile la guardavo e tutto ritornava quasi normale.
All'improvviso la porta della sala si aprì ed entrò Corvus tutto sudato.
« Signore... Angelica ... è scappata. Ha lasciato il villaggio.»
Scattai in piedi, il panico divampò nel mio corpo «Che cosa ci fai qua corri a cercarla, muoviti!» urlai.
Il non sapere dove fosse mi rendeva nervoso, se avesse incontrato un essere? Meglio non pensarci. Erano comparsi alla nascita di Angelica, che queste due cose fossero collegate?
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