Capitolo Ventinove
Lei
Mi alzai per andare a lavoro, tutti gli altri rimasero a casa, stanchi della battaglia di ieri notte che li avevano sfiniti. Diocle non mi parlò, era ancora arrabbiato per il mio comportamento di ieri, speravo che gli passasse il prima possibile.
Matteo e Mauro avevano insistito che non rimanessi scoperta così chiamai Mìtrio, mio figlio, per venire a lavoro con me. Arrivati nella palazzina, scendemmo dalla macchina e ci incamminammo nella direzione del mio ufficio.
«Ah, non vedo l'ora di vedere dove lavora mammina» scherzò mio figlio.
«Già che cosa entusiasmante.»
«Ehi una volta non mi portavi mai quando risolvevi i problemi degli esseri umani. Adesso posso vedere che cosa fai da finta mortale» disse il mio secondogenito avuto con Leam.
Stavamo attraversando l'ufficio e percepivo già i brusii di sottofondo e le occhiate furtive dirette verso noi due.
«Perché ci guardano così? Sembra di essere allo zoo?» disse a bassa voce Mìtrio perplesso.
«Perché in questo periodo ho portato Teodoro e Matteo al lavoro e qua si è già creata una telenovela. Per non parlare di quando tuo padre mi portò a pranzo» spiegai in un sussurro.
Lui scosse le spalle«Beh allora facciamoli parlare.»
Mìtrio si piazzò davanti e mi abbracciò in pubblico. Mise le labbra vicino al mio orecchio e mi parlò
«Scusa per tutte le cose cattive che ti ho detto, mi sei mancata tantissimo. Da tanto tempo volevo sentire il tuo profumo. Avrei preferito odiarti ma la mamma è sempre la mamma. Io e gli altri quando eravamo nascosti, guardavamo sempre da quella maledetta caverna il cielo nella speranza che tu potessi comparire e portarci via da quell'incubo. Eravamo proprio dei bambini ingenui.»
La ultime parole della frase furono sempre più strozzate e tremolanti. Istintivamente si toccò la lunga cicatrice che aveva sul suo occhio, provocata da Leam nei secoli passati.
Tutto diventò bianco e nero intorno a noi, eravamo solo io e mio figlio. Gli toccai i suoi capelli biondi che tanto assomigliavano ai miei.
«Mamma è qui, nessuno ti farà più del male» affermai convinta.
La piccola Ardea mi aveva raccontato che dopo la mia morte. Lei, Mitrio e Odalindo, vennero curati e tenuti nascosti da Teli, per far si che Leam non li trovasse. Successivamente dopo che Teli venne imprigionato, furono cresciuti da Veria, Yag e un altro demone famoso nella nostra comunità.
Quando tutti e tre diventarono adulti e forti ad eccezione di Ardea, la quale rimaneva bambina a causa della maledizione che le aveva scagliato il padre. Presero strade diverse, non avendo più nessun contatto tra di loro. Ardea tentò di opporsi a quella scelta ma fu costretta ad accettare la decisione dei fratelli.
Mi staccai a malincuore da mio figlio, avevamo ancora molto di cui parlare ma questo non era né il tempo né il luogo. Entrai nel mio ufficio e una ragazzina dai occhi arrossati mi stava fissando seduta sulla mia poltrona, Mìtrio si era già messo in allerta.
«La conosci?» mi chiese.
Io scossi la testa. La scrutai intensamente sforzandomi di ricordare se l'avessi già incontrata. Indossava la stessa uniforme scolastica delle scuole private superiori che mettevo quando abitavo ancora nella famiglia Lùf. Aveva i capelli lunghi e castani, era magra e alta, una ragazza acqua e sapone.
«Beh per forza non ti ricordi di me. Mi hai abbandonato quando ero ancora una bambina» parlò la ragazza con voce strozzata.
«C'è un'altra sorella segreta di cui non ne sapevo l'esistenza?» la ragazza guardò confusa Mìtrio dopo la sua pessima battuta.
«No, Chi sei?» domandai con circospezione.
«Sono Marica, tua sorella e di Zacinto» rispose con fermezza.
Splancai gli occhi dalla sorpresa «Tu sei Marica, come hai fatto a riconoscermi? Eri molto piccola quando me ne sono andata.»
«C'ero anch'io quando ti hanno portato in questura, volevo sapere com'era fatta mia sorella» spiegò la giovane.
«Capisco, sei anche tu coinvolta nell'omicidio di due alleati del gruppo di Claudio?» domandai, sperando che la risposta non sia affermativa. Avevo cercato in tutti i modi di tenerli fuori da tutto questo schifo ma le mie speranze era state vane.
«E anche se fosse? Loro c'entrano con lo sterminio del nostro villaggio. La devono pagare» parlò la ragazza con astio.
«Marica le cose non stanno come tu credi» cercai di farla ragionare.
«Non mi interessano le tue scuse. Non sono venuta per quei bastardi. Mio fratello è scomparso e so che ci sei tu dietro a tutto questo» le lacrime le rigarono il volto e mi puntò il dito contro.
«Che cosa stai dicendo?» speravo di aver sentito male.
«Eravamo in casa io e Zacinto. Andai in un'altra stanza per qualche minuto, quando tornai lui non c'era più. L'ho cercato dappertutto ma è sparito nel nulla, stava indagando su di te. Tu sai di sicuro qualcosa.»
Mi mancò l'aria, mio fratello era sparito nel nulla.
«Non è per caso legato a quello che è successo ieri?» mi disse Mìtrio a bassa voce.
Mio fratello poteva essere all'inferno, dovevo trovarlo prima possibile, la sua vita era appesa a un filo, prima che il suo corpo si logorasse.
«Forse so come aiutarti. Aspettatemi un attimo» mi rivolsi a Marica.
Andai in un posto isolato e chiamai Yag, il demone poteva sapere qualcosa a riguardo.
«Sì, Angelica dimmi tutto» rispose al secondo squillo.
«Ho un problema, Zacinto mio fratello è sparito. Ho qua in ufficio Marica, mia sorella e dice che è scomparso nel nulla. Credo che uno dei buchi neri lo abbia risucchiato» spiegai velocemente e in maniera frettolosa.
«Oh che bello una rimpatriata in famiglia» parlò con un tono giocoso.
«Yag per una volta si serio» lo ammonii.
«Io sono sempre serio, mi offendi. Comunque non che mi risulti che tuo fratello sia andato a finire all'inferno.»
Che mi stesse mentendo? Ero sicura che non era in superficie, perché per quel poco di potere angelico avessi, non sentivo l'anima di Zacinto. All'improvviso mi frullò un'idea in testa, era folle come pensiero ma dovevo rischiare.
«Yag ti chiedo un favore, portami all'inferno» affermai convinta.
Ci furono minuti di silenzio dopo aver proposto la mia richiesta.
«Sei forse impazzita? Hai idea che cosa succederebbe se ti portassi? Hai chiesto al diretto interessato? Ci tengo a rimanere integro.»
Era inutile insistere con Yag perché non volevo rischiare che Leam si infuriasse con lui.
«Dove posso trovare Leam?» gli domandai poco convinta e svogliata.
«Vuoi andare nella tana del lupo?» disse sbalordito.
«Sì.»
Yag scoppiò a ridere« Mi immagino la sua faccia appena aprirà la porta.»
«Yag è una cosa importante, me lo dici oppure no?» stavo perdendo la pazienza.
«E se non volessi?»
Ah, i demoni e i loro dispetti da bambini. Roteai gli occhi esasperata.
«E se ti dicessi dove abita in questo momento Arasio?» vediamo se abbocca.
Per qualche minuto non rispose, sentivo il suo respiro irregolare sul ricevitore.
«Affare fatto. Oddio potrei entrare nudo di nascosto nel suo letto, oppure appena entra dalla porta ammanettarlo oppure...»
«Yag ti prego certe cose tienitele per te» mi sanguinavano le orecchie, il solito demone sfrontato.
Ci scambiammo gli indirizzi e chiusi la chiamata. Credo che per Arasio adesso sarà ancora più difficile scollarsi il demone. Tornai in ufficio, in qualche modo dovevo convincere Leam a portarmi nel mondo degli inferi per cercare mio fratello.
I due presenti erano ancora nelle rispettive posizioni.
«Novità?» chiese mio figlio.
«Forse un modo per trovarlo c'è» risposi.
«Quale? » chiese Marica presa dall'ansia.
«Devo chiedere a Leam di portarmi in un determinato posto.»
Mìtrio spalancò gli occhi «Sei impazzita per caso? Secondo te lui ti porterà lì?»
«È l'unico posto in cui si può trovare. Cercherò in tutti i modi di convincerlo» dibattei con mio figlio.
La ragazza scese dalla sedia e si diresse verso la nostra direzione.
«Chi è sto tizio? Di cosa state parlando? Soprattutto se dovete andare da qualche parte a recuperarlo io vengo con voi» parlò decisa.
Al solo pensiero che anche mia sorella si potesse perdere all'inferno mi terrorizzava, in tutta la mia vita ho cercato di tenerli lontano da questo schifo e continuerò a farlo nelle cattive o nelle buone maniere.
«Non puoi venire è troppo pericoloso, rischieresti la vita» cercai di convincerla.
Lei si avvicinò a me « Io vengo con voi, di certo non ascolto il suggerimento di una sconosciuta qualunque» puntò il dito nella mia direzione.
Dentro di me montò un rabbia, perché non capivano che lo facevo per loro, perché dovevano mettersi in pericolo per niente? Ma soprattutto trattarmi sia lei che Zacinto come una sconosciuta, se non fosse stato per me chissà come il loro padre li avrebbe ridotti. La feci svenire usando uno dei tanti poteri che avevano appreso con il tempo gli immortali. Era uno dei più facili da utilizzare, bastava produrre una determinata polvere dalle mani e soffiarla in faccia. Funzionava solo con gli esseri umani. La presi in braccio prima che potesse cadere e la posai sulle braccia di Mìtrio.
«Ottimo metodo per risolvere i problemi» parlò in modo sarcastico mio figlio.
«Era l'unico modo per calmarla» spiegai.
«E adesso come farai a farla uscire dal tuo ufficio senza farti vedere?»
«Ci allontaniamo da occhi indiscreti scendendo dalle scale antincendio.»
«Ok» rispose.
Uscimmo dall'ufficio, la porta antincendio era in fondo svoltando l'angolo sulla destra. Meno male che erano tutti in ufficio, ci incamminammo quando una voce mi chiamò, dissi a Mìtrio di andare avanti.
«Signorina Fiore, le devo parlare» mi richiamò il mio capo dal fondo del corridoio. Mi diressi verso di lui, certe volte era proprio seccante.
«Mi dica?»
«Dove sta andando?» domandò sospettoso.
Spara una balla, subito, sfornane una...
«Da Saveri.»
Ecco la cavolata l'avevo detta.
«Oh, porti i miei saluti, è da molto che non ci vediamo. Dica pure di fare un giro ogni tanto per farsi vedere, gradirei la sua compagnia» se avesse sorriso ancora un po' gli si sarebbe deformata la faccia.
Se dovesse vederlo più spesso credo proprio che Leam gli avrebbe dato fuoco davanti a tutti.
«Certo glielo riferirò» risposi educatamente.
Il mio capo se ne andò via fischiettando.
Uscii dalla porta e mi diressi verso la mia macchina, Mìtrio mi stava aspettando davanti ad essa.
«Io ti accompagno fino a dove abita perché non ti voglio lasciare scoperta ma non ci entro neanche morto nell'appartamento del bastardo. Poi porterò a casa tua la ragazzina, non è il caso lasciarla da sola potrebbe essere in pericolo.»
«Certo Mìtrio se non lo vuoi vedere lo posso capire» affermai con tono caldo per calmarlo dalle sue inquietudini.
Se Leam non avesse fatto quella stupidaggine, avrebbe ancora l'affetto dai suoi figli, d'altronde non si può ritornare indietro... Accesi la macchina e mi diressi nell'abitazione di Leam, più ci avvicinavamo al posto più il colorito del volto di Mìtrio sbiancava. La mia vista non era messa benissimo, oggi i miei occhi mi facevano male ma riuscii lo stesso a guidare.
Chissà cosa passava nella testa di mio figlio, pensare di essere così vicino al suo carnefice doveva far male. Arrivammo a una palazzina color crema. Parcheggiai lì vicino, scendemmo dall'auto intanto Mìtrio si mise sulle spalle mia sorella.
«Io vado, spero che non ci siano problemi. Quando porterò la ragazza a casa tua, chiederò a uno dei tuoi compagni di venire qua e di farti da scorta durante il viaggio di ritorno» disse mio figlio leggermente teso.
«Ok, va bene» sorrisi.
Se ne stava andando, quando lo fermai.
«Mìtrio... non farti scoprire, non vorrei che ti prendessero per un pervertito. Non si vede tutti giorni un uomo con una ragazza addormentata sulle spalle» gli diedi un bacio sulla guancia.
Lui mi sorrise «Ok mamma» e se ne andò.
Quella due parole mi scaldarono il cuore, sentirsela dire dopo tanto tempo dai miei figli, mi faceva capire che forse potevo ancora recuperare il rapporto con loro. Mi avvicinai al palazzo e cercai il citofono con su il nome di Leam e il suo cognome da umano. Lo schiacciai, ero nervosa e non ne capivo il motivo, in fondo Leam lo conoscevo da molto tempo.
«Chi è?» parlò Leam svogliato.
«Sono Angelica, posso entrare?» ci fu qualche minuto di silenzio.
«Certo, adesso ti apro» rispose.
Entrai e feci le scale fino alla porta del suo appartamento, bussai e lui mi aprì. Sembrava sorpreso di vedermi.
«Posso entrare?» chiesi, cercando di non trattenere il fiato.
«Certo» mi accompagnò in salotto.
Ero agitata, non so se per quello che dovevo chiedergli, oppure perché eravamo soli o il fatto che mio fratello era sparito non si sa dove.
«Che cosa ti porta qui da me?» mi chiese.
Io non gli risposi, se magari il solo chiedergli di portarmi all'inferno avrebbe fatto esplodere l'appartamento?
Non ascoltai che cosa mi aveva chiesto, lo continuavo a guardare senza spiccicare parola.
Lui scosse la testa e si toccò i capelli.
«È meglio che ti siedi, ti preparo una tisana, ti vedo parecchio nervosa.»
Mi sedetti sul divano e aspettai, stava preparando la tisana per me invece per lui del caffè.
Mi guardai intorno, l'appartamento era molto ordinato e trasmetteva serenità. Pensavo che le pareti fossero tutte dipinte di nero con scritte che trasmettevano odio di color rosso, oppure cadaveri appesi al muro con espressioni angosciate.
Poco dopo mi portò la tazza e si sedette vicino, troppo vicino.
Istintivamente l'annusai prima di berla.
«Non ci ho messo nè sonniferi nè veleni, la puoi bere» disse Leam sorseggiando il suo caffè.
Ne bevvi un pochino era deliziosa poi presi un respiro profondo.
«Perché mi hai cercato ?» mi domandò, fissandomi incessantemente.
O la va o la spacca.
«Portami all'inferno» arrivai subito al dunque, parlai talmente veloce che non ero sicura che avesse capito.
Gli andò il caffè di traverso, credo proprio che avesse sentito correttamente. Il caffè sporcò sia lui che il pavimento.
Mi guardò sorpreso «Che cosa stai dicendo? Ti sei bevuta il cervello oggi?»
«Mi hai sentito benissimo, devo andare all'inferno» rimasi ferma sulla mia idea.
«Perché mai?» chiese cercando di non alterarsi, intanto mise la tazzina di caffè sul tavolino davanti a noi e si asciugò il mento con la manica della sua maglietta.
«Mio fratello è scomparso, credo che sia stato risucchiato dai quei buchi che sono comparsi» cercai di spiegarmi, farfugliando frettolosamente.
«Ma ne sei sicura?»
«Beh... non del tutto, ma non è su questo mondo» dissi.
Mi inchiodò con lo sguardo «Io dovrei mandarti in un posto pericoloso per te e non sei nemmeno sicura che sia lì?»
«Mi vuoi aiutare oppure no?» parlai esasperata, volevo scappare il prima possibile.
«No» disse con fermezza.
Mi alzai e andai verso la porta, perché avevo chiesto a lui, sapevo già cosa mi avrebbe detto. Improvvisamente mi sentii trattenere per il polso.
«Non te ne andare, lo faccio solo per il tuo bene, non voglio che ti accada niente» il suo tono di voce era implorante.
«Leam, mio fratello ha bisogno di me e se tu non vuoi aiutarmi chiederò a qualcun'altro.»
«Ordinerò a Yag o a Veria di cercarlo ma tu non puoi andarci» mi rispose in fretta, come se avesse la risposta pronta.
«Yag mi ha detto che non c'è all'inferno ma ne sono sicura. Non voglio lasciarlo al suo destino, ho già sbagliato molte volte con lui, sono scappata senza dirgli niente lasciandoli con quel mostro. Forse questa sarebbe un'opportunità per spiegare e per farmi perdonare. Oggi è venuta mia sorella in ufficio e non sono riuscita a riconoscerla, mi ha insinuato di cose di cui non sa il reale accaduto. Se rischiare la vita vuol dire cercare di farsi perdonare, camminerei anche sul cornicione di un palazzo pur di convincerlo anche solo minimamente. E tu lo sai bene cosa si prova... Leam» le prime lacrime iniziarono a scivolare sul mio viso, diventai un fiume in piena, non riuscivo a trattenermi. Cercai di soffocare il dolore che mi attanagliava nel petto ma tutto fu vano.
Leam mi abbracciò così forte che pensavo di morire soffocata. Piansi lacrime amare e mi sfogai inzuppando la sua maglietta nera.
Mi mise due dita sotto il mento e mi alzò leggermente la testa, tanto bastava per vedere i suoi occhi.
Sembrava combattuto per quello che stava per dire.
«Va bene, ti porterò all'inferno. Ma dovrai starmi sempre vicino, non voglio che ti succeda qualcosa. Portati a dietro anche una delle tua guardie del corpo. Ci vediamo domani all'alba, vicino a dove ci siamo incontrati la prima volta lontano da occhi indiscreti.»
«Grazie» lo guardai negli occhi.
«Mica lo faccio gratis?» sul suo viso c'era un sorriso malizioso.
Rilassai i muscoli del corpo mi sentivo più tranquilla.
«Ecco, così mi piaci, quando sorridi sei molto più carina» mi disse sussurrando vicino all'orecchio.
I nostri visi erano molto vicini, l'azzurro dei miei occhi annegavano nel nero dei suoi, se li osservavo bene, si vedevano delle pagliuzze gialle all'interno ricordavano molto il suo colore originale.
Stavamo per baciarci quando il mio telefono squillò.
«Leam potresti allentare la presa, devo andare a rispondere.»
Lui sbuffò e io andai a cercarlo nella mia borsa.
«Giuro che prima o poi te lo spacco quel cellulare» parlò esasperato.
«Dimmi Fulvia» la donna era molto agitata.
«Che cosa anche Claudio è sparito?» sembrava che qualcuno si sbeffeggiasse di me.
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