Capitolo Undici

Lei

Arrivati nel luogo descritto da Ibisco, ci trovammo davanti a una vecchia fabbrica abbandonata che produceva vernici e smalti. I vetri delle finestrelle della struttura erano stati spaccati, le pareti esterne erano imbrattate di scritte e di murale di dubbia capacità creativa dei vari writer.

Io e i gemelli entrammo nella pericolante struttura, non sentivo la presenza di nessuno essere, ma dovevo lo stesso tenere la guardia alta quelle creature potevano sbucare dal nulla.

Immediatamente ribombarono nella grande sala i pesanti passi di un uomo. Da una colonna comparve Ibisco, l'omone dai capelli grigi, era tutto sudato e continuava a spostarsi in maniera agitata e scoordinata.

«Muovetevi Fulvia è di là che sta male» disse gesticolando a casaccio.
Salimmo al piano superiore evitando il pavimento scosceso e le varie insidie che avrebbero creato certamente una storta al piede.

Attraversammo un lungo corridoio, per poi fermarci davanti all'ultima stanza di questo piano. Ibisco ci aprì l'entrata e si fiondo immediatamente nella camera, lo seguimmo a ruota trovandoci davanti una camera piena di macerie.

Il luogo era spoglio adornato solamente da alcuni scaffali praticamente vuoti. Alcune latte erano state rovesciate lateralmente, la pittura rossastra che era al loro interno era fuoriuscita.

La tinteggiatura avendo preso dell'aria, si era completamente raggrumata formando profonde macchie color sangue.
L'odore pungente di acetone aleggiava ancora nell'aria, rendendo l'ambiente fastidiosamente irrespirabile.
Non ebbi neanche il tempo di guardami intorno che un profondo suono attirò la mia attenzione.

Le pericolanti porte di legno vennero chiuse dall'omone.
Ibisco si appoggiò all'entrata con tutto il suo dolce peso, in maniera tale che non avessimo vie di fuga.

«Che significa?» chiesi a Ibisco confusa per l'accaduto.
«Non è ora di affrontare il passato? Non hai lasciato qualcuno in sospeso?» mi rispose Ibisco criptico, fissandomi nei suoi occhi scuri.
L'omone guardò i due gemelli che recepirono immendiatamente il messaggio non verbale e poi decise di andarsene.
Lo stesso fecero Diana e Sario lasciandomi sola.
Rimasi ancora più frastornata di prima, non capendo che cosa volessero dirmi, qua a quanto pare la gente fa quello che vuole.
«Se ti serve aiuto chiamaci» si voltò Sario prima di andarsene.

Indirizzai nuovamente la mia attenzione nella stanza, solo allora mi accorsi di una figura. L'uomo veniva baciato dai timidi raggi lunari che trasparivano dalle polverose tende.

La luce pallida del satellite colpiva anche le arrugginite inferriate, proiettando la loro ombra tra le nostre figure, dando l'idea di aumentare maggiormente la nostra distanza.

Claudio il mio ex fidanzato adolescenziale, mi stava fissando da quando avevo varcato la soglia di questa stanza.

Sul suo viso spigoloso e scarno, non c'era traccia né di odio né di rabbia. È vero non mi ero comportata bene nei sui confronti, ero scappata senza lasciare alcuna traccia. Però avevo paura, dovevo proteggere i miei figli dalla dura realtà in cui lui viveva. Il terrore di commettere ancora lo stesso medesimo sbaglio che avevo fatto con Leam, mi lacerava dentro.

«Perché non mi hai detto che eri tornata in città? Anzi...» prese una pausa tentando di ricomporre la maschera neutra che aveva indosso prima di parlarmi, oramai era piena da incrinature, lo sdegno e la delusione erano palpabili nel suo sguardo.

Passò qualche minuto di silenzio, Claudio congiunse le anime davanti al suo viso, emise profondi respiri e puntò la sua attenzione sulla mia figura.
«Prima di tutto spiegami la ragione per la quale hai deciso di andartene, lasciandomi solo come un cane» chiese con tono amaro.

L'umano oramai non riusciva a tenere a bada le sue emozioni che trasparivano liberamente. Claudio avanzò lentamente incurvando le spalle, io risposi al suo comportamento indietreggiando fino a toccare con la schiena la porta della stanza. Il suono di un corno inondò le mie pareti mentali, era ora della caccia.

L'umano mise entrambe le braccia ai lati del mio volto, le sue mani toccavano la grezza porta di legno.
Il collo di Claudio fece una flessione avvicinandosi ulteriormente alla mia figura, azzerando completamente la mia bolla sociale.

I nostri visi erano molto vicini, sentivo il suo respiro caldo sulla mia pelle, le punte dei nostri nasi si sfregavano tra loro. Il suo odore familiare punzecchiava il mio olfatto.
L'azzurro dei miei occhi erano imbrigliati nelle sue iridi verdi.

La nostalgia di tutto questo mi pervase. Lui era stato l'unico a salvarmi, a capirmi e a rimettere insieme i cocci della mia anima.
Ricordai come uno schiaffo morale che Claudio era pur sempre un mortale, una moltitudine di difetti erano presenti nel suo essere e numerosi erano gli scheletri nell'armadio.

Cercai di volgere il capo verso il basso pur di far finta di ignorarlo e di non cedere al suo richiamo.

«Guardami» mi disse con tono duro.
Claudio appoggiò due dita sotto il mio mento, fece pressione in maniera tale che fossi obbligata ad alzare il capo.
Nuovamente i miei occhi incontrarono il suo volto pieno di afflizione. Stava soffrendo glielo si leggeva in faccia.
Tentai di combatte con me stessa per non abbracciarlo, per consolarlo e anche di non cedere nel voler affossare il mio viso nell'incavo del suo collo, proprio come facevo da giovane.

L'umano non era cambiato molto anche se ora non era più un ragazzo ma un uomo. Erano già passati sette anni ma la sua bellezza non era per niente appassita o in decadimento, come succedeva generalmente ai mortali.

Le pagliuzze all'interno dei suoi occhi verdi erano più accese, aspettando ansioso la mia risposta. I suoi capelli neri e lisci erano più lunghi rispetto all'ultima volta che lo vidi.

La tonicità del suo fisico era rimasta invariata, un corpo alto e asciutto. Mi ricomposi facendo tornare la mia mente al presente, lo stavo guardando da troppo tempo, era meglio sembrare indifferente.

«Mi dispiace ma non posso rispondere a certe domande» tentai di essere vaga.
«C'è un altro vero?» chiuse gli occhi per un momento, vidi lo stesso una smorfia di dolore che durò un istante.
«No, non avrei mai potuto farti una cosa del genere» risposi con fermezza scuotendo il mio capo biondo.

Intanto che continuai a parlare e a farlo dialogare, feci scivolare la mano sul liscio legno della porta, annaspando con il senso tattile con l'obiettivo di trovare la maniglia.

Quando finalmente raggiunsi l'oggetto di ferro andai avanti a distrarlo. Piegai leggermente la maniglia e la tirai nella mia direzione, si era formato un piccolo spiraglio di fuga.

Prontamente Claudio la richiuse con una sola mano.
«Non sparire ancora, non scappare di nuovo, non sopporto di essere abbandonato per l'ennesima volta. Sono pronto anche a lasciare il mio clan. Io lo vedo come mi guardi, provi ancora amore nei miei confronti, sono i medesimi sentimenti che provo anch'io. Ricominciamo da capo niente segreti solo noi due» il suo tono di voce e il suo sguardo erano supplichevoli.

«Ci penserò» affermai afflitta.
Ero sfinita da questa situazione in cui ero scivolata e una forte emicrania martellava il mio capo.

Volevo cedere ai miei vecchi sentimenti giovannili che pensavo fossero sepolti, ma qualcosa in me mi frenava e la razionalità fluiva nel mio cervello come denso miele. Ricordandomi che non ero più un'adolescente ma una Dea, non dovevo e non potevo cedere a lui e alle sue emozioni umane.

Tra l'altro mi ricordai che ho due bei grossi segreti da nascondergli. Quando scoprirà che è il padre di Enìmia e Iglis, voglio vedere come reagirà, come decanterà il suo amore.

Sul volto di Claudio comparve un sorriso e i suoi lineamenti divennero più morbidi, pensava di averla spuntata.
Finalmente riuscii a convincerlo di lasciarmi andare e uscimmo dalla maleodorante stanza di vernici.

Salimmo al secondo piano l'uno di fianco all'altra. Mi aggrappai al corrimano color piombo per non cadere.
Claudio non aveva paura di scivolare affossando le mani nelle tasche della lunga giacca di pelle. Aveva familiarità con questo posto vedendo come posizionava i piedi senza nessuna esitazione.

L'umano decise di spezzare il silenzio che si era creato tra di noi, sovrastando con la sua roca voce il suono delle cicale che sarebbero morte di lì a qualche mese.

«Comunque tieni a bada il tuo fratellino, mi ha già ucciso Ibisco e Fulvia della mia famiglia, non vorrei far fuori il mio cognato nel modo più crudele possibile. Siamo un clan sai cosa succede a chi ci ostacola» affermò con tono freddo e sguardo minaccioso.

Mi bloccai di colpo e lo guardai con stupore «Pensavo che avesse smesso? avevo detto in giro che voi foste morti tutti a causa di un clan rivale.»
«Il tuo bel fratellino è entrato nella polizia e non smetterà tanto facilmente ascoltando solo delle stupide dicerie infondate. Ci disprezza per ciò che abbiamo fatto e non posso dagli torto. Tuo fratello non si fermerà mai, finché non ci avrà visto tutti a testa in giù» mi rispose a denti stretti e innervosito.

Sapevo che non era in grado di poter compiere questa vendetta da solo, forse avevo una vaga idea di chi fosse il suo complice in questa faccenda, speravo vivamente che mi sbagliassi.
«Farò in modo che questa storia finisca il prima possibile » affermai.
«Parlargli subito» ribatté con tono perentorio
«Beh non è così semplice» dissi innervosita dal suo comportamento.

Cladio si piazzò su un gradino del terzo piano e io feci altrettanto sostenendo il suo sguardo.
«Angelica hai interrotto i rapporti anche con lui? sei sicura di non aver qualche problema nei rapporti sociali?» scosse la testa basito.

Non risposi alla sua domanda confermando la sua ipotesi.
Claudio era scocciato dal mio comportamento, con due falcate mi superò e aprì una porta che era proprio davanti a noi. Ibisco e Fulvia erano appoggiati alla parete del muro, dall'altra parte seduti su delle macerie, c'erano i compagni di Claudio.

Alcuni visi erano familiari, i vecchi membri li conoscevo molto bene. Quando stavo con Claudio ero entrata in questa famiglia. Nata in uno dei quartieri più malfamati della città che era dimenticato dalla società, dove le violenze e lo spaccio di droga la facevano da padrone in quel posto.

I capelli di Sara erano la cosa che spiccavano di più in quella lugubre stanza, erano di un azzurro brillante e sembravano più lunghi rispetto all'ultima volta che la vidi. Con Sara in passato c'era un rapporto di amore e odio, lei aveva un debole per Claudio, infatti quando venne a sapere della nostra relazione andò di matto.

Paolo era seduto vicino a lei non era cambiato di molto, era un uomo di mezz'età, i suoi capelli neri vennero sostituiti da un grigio scuro, erano coperti da una coppola legati in una coda. In Bocca aveva una pipa e se ne stava lì a fumare beatamente, le sue labbra raggrinzite si distesero in un sorriso appena mi vide, scoprendo i denti ingialliti a causa del tabacco.

Un po' più in alto era seduto Salvio, lui aveva la mia stessa età con quei capelli castani tirati indietro, quel viso perennemente incazzato, accentuava ancora di più le sue rughe d'espressione rendendolo più vecchio.

Salvio era uno sbruffone ma per il suo clan avrebbe dato l'anima, credeva fermamente nelle regole in cui era stato fondato.

La mia attenzione venne assorbita dall'ultimo membro sulla destra, con quei capelli lunghi di un biondo miele e dai i suoi occhi azzurri molto simili ai miei.

Mi venne un colpo quando lo vidi anche lui mi aveva riconosciuta, certo io non ero cambiata di una virgola, invece l'ibrido con quei capelli trasandati che gli coprivano metà viso e quella barba incolta non ero riuscita al primo colpo a ricordarlo.

Tralasciando il fatto che il nostro ultimo incontro lui era ancora un bambino. Ero la persona più felice del mondo, dopo sua sorella potevo finalmente rincontrare Mìtrio, il mio secondo figlio avuto con Leam.

Cercai di avvicinarmi al mio piccolo, ma lui contrasse i muscoli e senza dire una parola, spaccò la finestra più vicina e si gettò dal terzo piano.

Istintivamente lo seguii anch'io saltando giù dalla finestra, dietro di me sentivo delle voci che mi chiamarono ma le ignorai. Mìtrio correva veloce ma lo raggiunsi e gli bloccai un braccio.
«Cosa vuoi?» mi rispose in modo seccato.
«Te ne scappi via così? Voglio solo parlarti» dissi allegra per averlo ritrovato.

«Non abbiamo niente da dirci, stammi lontano altrimenti mi ucciderà come ha fatto con tutti gli altri. Ed è solo colpa tua. Miserabile» mi urlò in faccia.

«Mi stai mettendo allo stesso piano di tuo padre per ciò che io non ho commesso» affermai, la mia voce vacillava piena di dolore.
«Tu hai come lui la stesse colpe. Hai alimentato la sua gelosia e non hai fatto niente per fermarlo. Sei solo una madre snaturata!» mi puntò il dito in faccia, il suo viso era una maschera di rabbia e gridava come un pazzo.

Sapevo che avrei sentito certe parole uscire dalle loro bocche, ma immaginandosele e sentirsele erano un altro paio di maniche, ogni parola pronunciata dalle sue labbra era una pugnalata al petto. Però non dovevo demordere doveva sapere la verità.

A un tratto il tranquillo ambiente che ci circondava divenne pericoloso. Dal cespuglio spuntò un essere che era a caccia, fu attratto dalle urla delle sue prede, in procinto di cibarsi delle sue succulente carni.

La bestia era enorme e ben piazzata, aveva il livello medio di forza e i muscoli sui suoi arti erano molto più tonici rispetto ai suoi simili. Le venature dei suoi muscoli erano molto in evidenza, reazione comunque di un essere che si stava sovralimentando.

La creatura con già una viscosa bava nera alla bocca, si avvicinò scattante nella nostra direzione e attaccò immediatamente Mìtrio. Prontamente spinsi via mio figlio e scansai il suo attacco.
I lunghi e affilati artigli del mostro si conficcarono nell'incolto terreno.
Immediatamente Sario e Diana erano al mio fianco e si trasformarono in pistole.

Li presi in mano e cominciò lo scontro. L'essere cercò di prendermi tentando di lacerarmi il basso ventre, scansai il colpo.
Subito dopo arrivò la mia risposta, presi bene la mira e sparai a un braccio dell'essere.

La creatura ripugnante iniziò a urlare dal dolore, scuotendo l'enorme e squamoso testone.
Ne approfittai di questa sua debolezza per saltargli dietro alla spalle.

Nessuno avrebbe concesso la grazia a queste terribili bestie.
La creatura mi cerco a destra e sinistra con i suoi terribili occhi,

Quando vide che non ero nel suo campo visivo, girò la testa di trecentosessanta gradi. Nel momento in cui mi individuò tentò di mordermi, ma fu troppo tardi per la creatura. Sparai due colpi nei suoi occhi.

Dalle cavità oculari dell'essere, incominciò a sgorgare sangue nero come un fiume in piena, le urla divennero sempre più disperate accennando anche dei guaiti.

Mi avvicinai senza esitazione al suo corpo e con un altro colpo alla fronte, la bestia cadde a terra senz'anima.
Un'enorme macchia nera, molto simile al petrolio, fuoriuscì in maniera copiosa dal cranio dell'essere.

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