Capitolo Tre
Monacre 2017
Lei
Mi stavo truccando per uscire, stasera sarei andata a un ricevimento. Indossai dei tacchi non troppo alti.
Le calzature si abbinavano molto bene con il mio vestito lungo color blu notte. Non ero particolarmente attratta dagli abiti scuri, anzi li detestavo e molto difficilmente acquistavo un indumento di quella tonalità, ma questo vestito me l'avevano regalato i gemelli, due persone adorabili presenti in questo appartamento.
Andavo a queste feste per svagarmi e anche per evitare che strane creature infestassero Monacre. Animali viscidi e neri che si nutrivano di esseri umani e dei loro sentimenti.
Questa povera cittadina ne era infestata, io insieme ai miei compagni tentavamo di distruggerli e di scoprire l'arcano motivo al quale erano così attirati da essa.
Questa festa era molto lussuosa, infatti mi misi davanti allo specchio per vedere come stessi, mi calzava tutto a pennello. Come detto in precedenza, odiavo indossare abiti scuri proprio perché mi ricordavano Lui. Avevo raccolto i miei capelli color miele in una crocchia e aggiunto un po' di ombretto, per risaltare i miei occhi azzurri.
Dopo aver occupato il bagno per un'ora abbondante, presi la pochette e finalmente uscii. Percorsi il lungo corridoi, orientandomi dal rumore che emetteva la televisione. L'apparecchio stava trasmettendo uno di quei programmi beceri, quelli molto apprezzati dalle casalinghe. Giunta a destinazione svoltai in salotto, una stanza dall'arredamento molto improvvisato.
Al suo interno erano collocati due divani, al centro si trovava un enorme tappeto dal colore verdognolo, sopra di esso un piccolo tavolino. Sulla superficie legnosa del minuscolo tavolo erano sparsi giocattoli e diversi libri di scuola.
All'angolo della parete avevamo montato il mobile per la TV, sulla mensola accatastati in maniera disordinata, erano impilati (a forza) diversi libri e alcune riviste di gossip da edicola.
La camera in comunione si trovava proprio davanti all'entrata e di fianco alla piccola cucina/dispensa. Lateralmente alla finestra, era ancora presente un vaso con all'interno una pianta rinsecchita.
Era stato un "omicidio di gruppo", non mettendoci d'accordo con gli altri inquilini della casa. Davamo a turno troppa acqua oppure pensando che qualcuno avesse già svolto il compito, la poverina rimaneva a secco per settimane. Così optammo di acquistare solo piante grasse e cactus, posizionate in fila indiana sul marmo bianco sotto la finestra.
«Io vado, mi raccomando» dissi a Ibisco e Fulvia.
«A chi importa dove stai andando. Io non sono una delle tue balie asfissianti presenti in questa casa, se non c'è da fare a pugni o ad ammazzare qualche essere, di quello che fai a me non interessa» affermò Ibisco, seduto sul divano di pelle a bere la birra e a leggere un quotidiano.
Lo fulminai con lo sguardo.
«Vuoi ritornare da dove sei venuto? Non sfidarmi perderesti e basta» dissi con tono minaccioso.
Fulvia lo schiaffeggiò dietro alla nuca e gli girò il giornale che era al contrario.
Lui la guardò male e poi fece le spallucce, con la sua grande stazza uno schiaffo poteva essere solo una carezza. Ibisco era un uomo alto e massiccio con lunghi capelli grigi, dal carattere rude e chiassoso.
Molto differente rispetto a Fulvia, una donna taciturna, dal fisico snello con un viso cavallino e il naso storto. I suoi capelli biondi dritti come degli spaghetti le arrivavano alle spalle. Erano una coppia stramba ai miei occhi.
Chiusi la porta lasciandomi alle spalle quei due umani. Presi le scale e giunta al piano terra, attraversai il giardino condominiale nel quale in mezzo era situato un mandorlo. Lo fissai estasiata, eravamo alla fine di agosto non vedevo l'ora che fosse febbraio, visto che era il periodo della sua fioritura.
Il che per le normali teorie umane sembrava una cosa contraddittoria, eppure la sua anomalia mi aveva sempre affascinata, come questa specie di albero riuscisse a fiorire anche se il clima non fosse ancora favorevole per lui.
Come se volesse essere il primo ad accogliere il ritorno della primavera dopo un lungo periodo d'inverno.
Alle volte io creavo solamente ma erano le mie creature animate e non a decidere la loro natura, sfuggendomi completamente di mano e il mandorlo non ne faceva nessuna eccezione.
Giunta alla grande villa color salmone, notai subito che sin all'estero si percepiva tutta la sua maestosità e raffinatezza. Mi intrufolai senza problemi, le guardie poste attorno al perimetro erano dei veri e propri incompetenti. Per di più non c'erano neanche dei cani che scorazzavano in giardino, anche se ero abituata a canidi più feroci come sorveglianti del loro territorio.
I proprietari dovevano essere dei novellini.
Vagabondai lungo le corsie completamente incuriosita, indirizzarmi con una certa calma nella sala in cui si sarebbe tenuto il festino. Percepii già in lontananza il suono della musica classica e delle risate.
Osservai il corridoio in cui mi trovavo, completamente rapita dalle pareti piene di quadri. Mi fermai davanti a un piedistallo, in cima a esso era presente una piccola riproduzione della statua del mito di "Amore e Psiche" di Antonio di Canova.
Il modo in cui Amore stringeva tra le sue braccia Psiche mi infastidiva. Il volto dell'angelo aveva preso una piega strana. Le sue labbra erano marcate in una linea dura, le quali tendevano verso il basso e le sue sopracciglia erano increspate.
Il viso era pieno di sofferenza, mi stava guardando con fare accusatorio. Scossi la testa e sbattei due volte le palpebre, la mia mente mi stava facendo degli strani scherzi? Aprii di nuovo gli occhi e il piccolo angelo in pietra mi stava ancora scrutando.
«È inutile che mi guardi così, tu il tuo lieto fine l'hai avuto. È tutta colpa di quel maledetto se siamo in questa situazione» sbottai, mi sentivo sotto accusata.
«Si è persa per caso?» affermò di punto in bianco una voce sconosciuta.
Sussultai per lo spavento.
Mi girai e dietro alle mie spalle, era presente una cameriera di mezz'età che mi osservava.
«Mi scusi, mi ero un attimo incantata nel guardare la piccola statuetta» affermai, sperando che non mi prendesse per pazza.
La cameriera mi sorrise cordialmente «Sì è proprio una bella riproduzione. Anch'io quando passo ne sono sempre colpita.»
«Con permesso, mi avvio nel salone» cercai di allontanarmi il più rapidamente possibile.
La donna chinò il capo «È stato un piacere conoscerla, arrivederci.»
Diedi un'ultima occhiata alla statua prima che non riuscissi più a venderla. Adesso l'angelo aveva cambiato posizione e la sua espressione era ritornata come tutti la ricordiamo, guardando la sua amata con occhi adoranti cingendola con fare protettivo. Si vede che il tutto era accaduto esclusivamente nella mia testa.
Arrivai nel grande salone pieno di festoni e di drappeggi dorati. I lunghi lampadari erano luccicanti in vetro di Murano, sembrava che avessero vita propria. I padroni della villa non avevano badato a spese. Una banda (tutti rigorosamente vestiti in smoking), era situata su un palchetto.
Gli strumentisti avevano diversi oggetti tra le loro mani. Una limpida melodia classica, usciva fuori a forma di note musicali attraverso lo sfregamento di archetti, il pizzicare delle corde oppure adagiando le labbra sopra i loro preziosi e scintillanti oggetti umani. Situato in fondo alla stanza era presente un suntuoso banchetto.
I camerieri portavano stuzzichini e vino, questa atmosfera mi ricordava la mia infanzia, quando lavoravo in una facoltosa famiglia di questa città. La stanza era piena di gente importante: uomini illustri e influenti, politici, escort, personaggi dello spettacolo.
Ero circondata dalla feccia, uomini in smoking anche di una certa età mi parlavano del più e del meno, delle loro attività, di quanti soldi facessero, del mercato nazionale e internazionale.
Discutevano sempre e solo di soldi, alcuni di loro ci provavano in modo plateale davanti a me. Magari avevano le mogli che erano a pochi passi, non curanti cosa facessero i loro uomini. Non che il genere femminile si salvasse in questi eventi, molte facevano a gara di chi si vestisse più elegantemente. I pettegolezzi erano sempre l'argomento più gettonato e del finto buonismo dall'aroma floreale n.5 aleggiava fin sotto la loro cute.
Chi donava più soldi dei loro mariti alle onlus per le popolazioni più povere, veniva etichettata come "salvatrice della patria". Però era superfluo se la domestica veniva pagata con le mani dietro la schiena oppure se un proprio connazionale servisse aiuto, venivano ignorati perché non erano utili per accrescere la propria importanza di questa società, non si potevano attraverso una foto o un servizio dimostrare al mondo quanto nauseatamente fossero ipocrite.
L'avere il potere, i soldi e la fama erano le cose più importanti sia per l'uomo che per la donna. Potevano indossare qualsiasi maschera davanti a un loro simile, ma io che vedevo l'anima di ognuno di loro, non potevano mentirmi erano le mie creature più difettose. In fondo per quanto odiassi Leam, aveva ragione l'uomo era fatto così. Certe volte avrei voluto spazzare via tutto e ricominciare da zero, ma avrei dato la possibilità a Lui di affermare di aver avuto ragione.
Mi era venuto un gran mal di testa a pensare a tutto questo, una brutta sensazione mi stava attanagliando il cuore e lo stomaco. Uscii dalla sala per entrare in un corridoio più tranquillo. Volevo raggiungere il più velocemente il bagno, le luci del corridoio davano un senso di soffocamento.
Sui muri erano appese molteplici foto dei proprietari dai volti sconosciuti, la maggior parte della famiglia era ritratta in normali momenti familiari.
Uno di esso era presente la piccola padroncina di casa era durante a una festa di carnevale qui in villa, era immortalata con addosso un passamontagna dove sbucavano i codini dalle sfumature biondo cenere. Sotto braccio teneva il loro dalmata con tre zampe e ben salda nella mano una pistola giocattolo. Mi allontanai dalla non pertinente immagine.
Svoltai a destra dove finii in un passaggio ancora più piccolo e stretto, prima o poi avrei trovato questo benedetto bagno per rinfrescarmi.
Quando svoltai di nuovo vidi due persone nascoste in un angolo, si stavano scambiando un pacchetto sospetto. Le conoscevo tutte e due, uno era un noto politico e l'altro era Claudio, boss e malavitoso famoso per lo spaccio di droga. Si accorsero subito della mia presenza.
Claudio rimase sorpreso guardandomi con i suoi occhi verdi ma si ricompose immediatamente. Parlò sottovoce al politico, gli diede una pacca sulla spalla all'uomo con fare amichevole. L'umano di mezza età si allontanò, prima di andarsene e sorpassarmi, la figura istituzionale mi osservò con astio. A chi voleva far paura? Era più utile come concime per i campi.
Claudio si diresse verso la mia figura, io indietreggiai velocemente mantenendo le distanze. L'umano non doveva sapere che ero ritornata, nessuno doveva esserne a conoscenza, appena risolto il problema con quelle bestie schifose me ne sarei andata come ero ricomparsa.
Percorsi velocemente i corridoi e ritornai nel salone dove la banda incalzava con "Nell'antro del re della montagna" di Edvard Grieg.
«Angelica aspetta, ti devo parlare!» urlò Claudio, intanto che che cercava di raggiungermi.
Mi feci strada in mezzo alla folla, le nere figure danzavano sinuose a ritmo di musica. Il calore delle numerose luci e tutto queste sfumature scintillanti e dorate, rendevano la sala decisamente un luogo soffocante.
Proseguii facendo slalom tra i vari sconosciuti sentendo qua e là dei commenti non molto carini nei miei confronti, ma poco m'importava di dare nell'occhio, volevo solo volatilizzarmi.
Tentai di correre il più possibile per seminarlo, quando sbam, mi scontrai contro qualcuno e caddi. Una strana elettricità familiare percosse il mio corpo.
Nel mentre sentii anche un bicchiere rompersi vicino ai miei piedi. Mi rialzai e guardai con chi mi ero scontrata. I nostri occhi si incontrarono, era proprio Lui. Una sensazione di nostalgia mi pervase il corpo, sostituita immediatamente dall'odio più puro.
Leam mi guardava sorpreso e incantato.
Si chinò per aiutarmi nel rialzarmi. Quella mano candida tesa nei miei confronti, si colorò di rosso facendo colare a fiotti del sangue sul pavimento di marmo. La spinsi via nauseata dalle allucinazioni che la mia testa continuava a darmi, sparii in fretta e furia dalla circolazione.
Era stato uno sbaglio ritornare a Monacre e la mia mente aveva già delle ripercussioni evidenti.
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