Capitolo Sei

Lei

Arrivai davanti a un palazzo grigio, fatiscente e pieno di scritte sui muri. Era un vecchio albergo abbandonato ai confini dalla città. La struttura imponente era a forma di ferro di cavallo.

Salii le polverose scalinate, stando attenta a non incastrare i piedi nelle varie crepe, poste all'entrata del palazzo. Aprii le malandate porte, le quali emisero un sonoro scricchiolio.
La verniciatura dorata dell'entrata era completamente scolorita, profondi solchi attraversavano i vetri che ne era composta.

Mi guardai intorno aiutandomi con la luce del telefono, in maniera tale di prendere confidenza con il posto. L'atrio era spoglio, addobbato "si fa per dire" da numerose cartacce di origine alimentare, sparpagliate in ogni angolo del posto. Oltre alle tre dita di polvere che si erano formate sul banco d'accoglienza, erano posizionate su di esso (in maniera disordinata), diverse buste per la spesa.

Appallottolate sull'unico divanetto in zona, erano presenti delle lenzuola, sicuramente usate da qualche senza tetto per scaldarsi durante le fredde notti. Il tessuto aveva assunto una colorazione rossastra e la pelle del divanetto aveva ricevuto numerosi tagli.

Sparpagliati come coriandoli a carnevale, si trovavano per quel poco che ne rimaneva, diversi brandelli di carne e stralci di tessuti appartenuti alle povere vittime.

Dopo quell'amara scoperta nella mia mente si insinuò un suono costante di un tamburo, non fastidioso ma che faceva presagire nulla di buono.
La mia attenzione venne catturata da dei rumori metallici provenienti nell'ala destra del palazzo.

Teodoro stava combattendo in quella direzione, non era molto distante dalla mia posizione. Salii le scale del primo piano e girai a destra. Appena mi misi a camminare il corridoio diventò sempre più buio e freddo, mettendomi i brividi. I suoni presenti nel mio capo divennero sempre più concitati e incalzanti in un fracasso disordinato. Ignorai l'eclatante avviso che il mio corpo mi stava urlando silenziosamente, continuando con la missione.

I miei occhi si adattarono molto facilmente alla tetra oscurità, per non parlare della strana nebbia che stava affollando la struttura. Avanzai velocemente per raggiungere il prima possibile il mio alleato, ma qualcosa di viscido mi agguantò la caviglia facendomi percuotere violentemente il capo sul pavimento. Iniziò a farmi male la testa e una sostanza calda si appiccicò ai miei capelli.

La mia vista era parecchio annebbiata, ma non feci in tempo a rendermi conto dei danni subiti che un essere balzò davanti al mio corpo. Gli esseri erano creature viscide e ossute con enormi zampe, muniti di artigli affiliati.

Per non parlare del loro testone allungato e dei piccoli occhi malefici di cui erano dotati. Mi voltai velocemente per liberarmi da quella spiacevole situazione, ma la bestia mi tenne ferma bloccandomi le spalle. La creatura mi alitò in faccia emettendo rumori profondi e fastidiosi, sporcandomi il viso con goccioline della sua saliva.

Con grande fatica, riuscii a liberare il braccio sinistro. Presi la bottiglietta che avevo nella tasca dei pantaloni, dove all'interno di essa c'era dell'acqua santa, con un gesto fulmineo gliela buttai sul muso.
L'essere nero e squamoso si contorse dal dolore, pian piano si sciolse sul pavimento emettendo versi di sofferenza.

Ancora in affanno ma salva, mi liberai dal suo braccio ormai quasi sciolto e me ne andai. Dovevo stare molto attenta potevano essercene altri in agguato. Dopo aver attraversato il lungo corridoio, mi trovai davanti a un salone enorme. La carta da parati dalle tinte azzurro pallido, era completamente deteriorata e strappata in diversi punti. La stanza era quasi priva di qualsiasi mobilia.

Le finestre erano molto ampie, alcune erano rotte altre avevano soltanto delle profonde crepe. Il vento soffiava nelle fessure, il quale faceva danzare le lunghe bianche tende in modo tetro, come se fossero dei fantasmi. La sala era completamente buia tranne per alcune scintille che vedevo sporadicamente.

Teodoro stava combattendo contro un essere molto possente. Intorno a loro come pubblico, erano presenti una trentina di creature squamose dalla corporatura molto più smilza in confronto con il bestione. Le creature erano sull'attenti, pronte all'attacco nei confronti del mio alleato se ce ne fosse stato bisogno.

Teodoro era in netta difficoltà. I suoi capelli castani erano completamente imbrattati di sudore, bagnando le ferite presenti sul suo viso. La sua mano destra era mutata in una lama di una falce.

Ogni qualvolta che l'essere con i suoi lunghi artigli cercava di colpirlo, lui si difendeva emettendo scintille e rumori sordi. A ognuno dei miei compagni avevo fuso un'arma, i quali potevano trasformare una parte del loro corpo in essa.

A Teodoro avevo scelto la falce gli si addiceva molto, simbolo cardine del nostro casuale intreccio. Quasi tutti i miei alleati, erano anime destinate all'inferno, ma io le ripescavo e le resuscitavo. Quando combattevo la loro anima si univa alla mia e la mia natura angelica, diminuiva per quel lasso di tempo in cui ero legata a loro.

Dovetti eseguire questo stratagemma durante i combattimenti, perché il mio potere da angelo era ancora (e forse per sempre) dormiente, da sola non sarei mai riuscita a batterli. Il poco potere che avevo, oltre ad avermi fatto ritornare la memoria mi aveva reso immortale, infatti era da un pezzo che ormai non crescevo più e all'incirca dimostravo vent'anni. Mi buttai in mezzo alla battaglia e immediatamente Teodoro mutò, trasformandosi in una falce nera.

Brandii l'arma, con un gesto rapido bloccai gli artigli dell'essere che erano pronti a squarciarmi le carni.
«Meglio tardi che mai» commentò Teodoro in maniera otturata a causa della sua forma metallica.
«Mi conosci, la puntualità non è mai stato il mio forte» mi giustificai.

L'essere riuscì a liberarsi e a indietreggiare, con un gesto fulmineo mi avventai sul mostro lacerandogli i tessuti del suo addome. In quel punto iniziò a sgorgare a fiotti il sangue vitale dalla colorazione scura, simile al catrame. La creatura ripugnante urlò e si inginocchiò dal dolore, uscivano dei versi disgustosi e vomitevoli da quell'orrida bocca.

Il mostro cercò di prendermi con gli artigli, ma gli tagliai tutte e due le enormi e ossute mani. Lo finii conficcando la falce in mezzo al petto e l'essere cadde senz'anima. Gli altri mostri più piccoli che erano lì a guardare si avventarono su di noi.

Con maestria riuscii a fermarli tutti e a eliminarli uno per uno, ma la mia vista cominciò a calare e iniziai a vedere sfocato. Una fitta lancinante percorse tutto il capo, costringendomi a inginocchiarmi dal dolore. Uno di quelle bestie abominevoli mi strappò Teodoro dalle mani e lo buttò dall'altra parte della sala, un altro mi prese e mi scaraventò al muro.

Dall'altra parte della stanza Teodoro stava gridando «Angelica, sta attenta!»
Il mio alleato si ritrasformò in essere umano e incominciò a correre nella mia direzione, ma cinque degli esseri lo bloccarono saltandogli addosso e mordendolo, strappandogli la carne dal corpo.

Cercai con fatica e con l'aiuto del muro di alzarmi. Il mio fianco era dolorante e gonfio e il mio corpo completamente bloccato, non rispondendo ai miei comandi. La mia vista ricominciava a ritornare, riuscii a vedere in maniera distorta cosa mi stava per assalire.

L'essere aveva le fauci aperte bramoso di sbranarmi, seguito a ruota da altri mostri neri. Le bestie mi avevano circondato senza trovare uno spiraglio di fuga. Oramai era la fine. Improvvisamente il mostro prese fuoco, circondato da fiamme che l'avvolsero fino a renderlo cenere.

Conoscevo fin troppo bene quel potere, sentivo anche la sua presenza, Lui era molto vicino. Anche le altre creature che avevano assalito Teodoro stavano morendo, però questi in un altro modo, delle vespe nere giganti entravano nelle loro fauci facendoli esplodere. Rimanendo solo pozzanghere di carni fumanti.

Lui

Mi avvicinai al mio angelo. Meno male che Yag, un mio suddito, intanto che sorvegliava la zona, aveva percepito l'anima di Angelica entrare in questo decadente albergo e mi aveva avvertito.

Il demone non sapeva ancora che io potessi avvicinarmi a Lei, infatti mi chiese se dovesse mandare Lupus o Feles. Con la barriera innalzata da Angelica i normali immortali non riuscivano ad avvicinarsi, solo demoni di origine animale o come gli esseri avevano questo privilegio.

Forse perché quando fu innalzata, quel tipo di creature non erano ancora comparse nel nostro mondo. Risposi al mio suddito che non ce n'era bisogno e sarei andato io stesso a risolvere la situazione. Lui non si fece molte domande e mi indicò il palazzo in cui si era inoltrata. Il mio cuore aveva perso un battito quando l'aveva vista contro il muro.

Queste ignobili creature che erano ancora a un livello ancora più inferiore degli umani, avevano avuto il coraggio di scaraventarla alla parete, tentando di rubarle la vita. L'ira stava prendendo il sopravvento nel vederla con il volto ferito e il suo corpo pieno di ematomi.

Mi prefissai l'obiettivo di polverizzare tutte queste bestie, fosse l'unico scopo della mia esistenza. Le toccai la spalla per vedere se era tutto a posto. La sua candida pelle era morbida come una volta e una scossa familiare mi pervase. Lei prima mi diede uno schiaffo sulla mano, successivamente si allontanò.

«Non mi toccare!» disse con sguardo disgustato.
«È questo il modo di rispondermi» affermai irritato, stavamo partendo con il piede sbagliato ma almeno mi parlava.
«Nessuno ha chiesto il tuo aiuto ce l'avrei fatta da sola a liberarmi.»
«Certo ce l'avresti fatta a farti ammazzare, sei ancora mezza umana se non te lo ricordi.»
La guardai serio ma lei m'ignorò,  l'angelo si alzò da terra aiutandosi con la parete del muro.

Faceva delle smorfie di dolore, deve aver preso una bella botta.
«Ti sei fatta tanto male?» cercai di avvicinarmi.
Il panico mi assaliva e il sangue pieno di odio mi ribolliva nelle vene.
«Da quando ti interessa come sto?» mi guardò con aria di sfida.

Questo era un colpo basso anche da parte sua. Avevo fatto uno sbaglio in passato e Lei non mi aveva mai perdonato. Mi ha fatto soffrire per secoli pur di non incontrarci e quando si era reincarnata, ha tentato in tutti i modi di tenermi il più lontano possibile.

Aprii bocca per controbattere ma Yag si intromise «Voi due potete stare vicini? Io posso starti vicino? Com'è possibile? La barriera?» era molto sorpreso per questo.
Ancora nessuno sapeva questa cosa, solo una piccola cerchia di immortali ne era a conoscenza e presto si sarebbe sparsa la voce in tutta la comunità immortale.

«Sì Yag» le rispose brevemente.
Al demone incominciarono a brillare gli occhi e sulle sue labbra dipinte si formò un bel sorriso. Era un'espressione così contratta dalla felicità, da vedere il suo neo sotto l'occhio prendere una piega strana.

«Per cui i demoni possono rivedere gli angeli?» chiese di nuovo per conferma.
«Credo di sì, potrai rivedere il tuo compagno» affermò Angelica gentilmente.
«Finalmente potrò rivedere il mio zuccherino» i suoi occhi si fecero sbarazzini non riusciva a trattenersi, chissà quanti di loro (in entrambi gli schieramenti) attendevano questo momento.

In effetti anche loro avevano sofferto per la distanza dal/dalla loro compagno/a, ma questo non me ne importava, per me esisteva solo la mia compagna Angelica.
A un certo punto entrò ansimante quello sgorbio di Ardea.

«Mamma!» gridò andandole incontro per poi abbracciarla.
«Tutto bene? Ero preoccupata, non tornavi più» continuò la bambina dalle lentiggini e dai capelli rossi.

Angelica la guardò con dolcezza e la rassicurò. Surclassando complementare la mia presenza. Questa cosa mi dava sui nervi, i miei figli venivano sempre prima di me.

Si vede che a quella donna non era abbastanza averla rinchiusa in un corpo da bambina. No, non dovevo dire così, ero obbligato a calmarmi questa volta non avrei più commesso quell'errore; avrei riconquistato la sua fiducia senza distruggere gli ultimi figli rimasti. Dovevo farle vedere che ero cambiato, la lezione l'avevo imparata.

Poco dopo tornai nel mio appartamento che avevo affittato a Monacre, era strano non salivo quasi mai in superficie, tranne per monitorare la situazione riguardante Angelica.
Mi mancava l'odore di zolfo e di bruciato degli inferi, per non parlare degli adorabili abitanti rivoltanti che ne facevano parte.

Spazio Autrice

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