Capitolo Quattro
Lei
Tornai a casa senza più ossigeno nei polmoni, sbattei la porta e mi diressi in salotto con passo poco leggiadro. Fulvia e Ibisco erano ancora lì dove li avevo lasciati, gli umani si erano appisolati. In televisione stavano trasmettevano il balletto della morte del cigno, note che tumultuosamente uscivano dalle casse stereo dell'apparecchio disperdendosi nella stanza.
I presenti si svegliarono di soprassalto, guardandomi con una certa confusione.
«Che succede ragazzina?» affermò Diocle uscendo dalla cucina.
L'uomo dai capelli chiari e dall'incolta barba, mi fissò perplesso con in mano una fumante tazzina di caffè, prese in mano il telecomando e spense il televisore.
L'umano appoggiò la bevanda su uno dei tavolini del salotto, Diocle cercò di toccarmi la spalla, ma mi spostai ancora scossa per l'accaduto.
«Sei sicura di stare bene? Sei più pallida del solito» continuò il biondino fissandomi con i suoi occhi da gatto.
«Tutto bene» mentii.
«Senti ragazzina ti conosco da tempo e fai schifo a mentire. Di solito non me ne fregherebbe niente, ma i tuoi sbalzi d'umore ci condizionano tutti» affermò Diocle in modo severo.
L'umano mi mise all'angolo e mi guardò con occhi indagatori.
«Sputa il rospo» parlò Diocle deciso, scandendo ogni singola parola con enfasi.
«Oggi alla festa ho incontrato Claudio» iniziai ad aprir bocca, la mia voce era tremante e insicura.
La mia gola era secca e parecchio dolorante.
«Oh la storia si fa più interessante» commentò Ibisco, correggendo la sua posizione stravaccata che aveva assunto sul divano.
L'omone si beccò una gomitata nello stomaco da parte di Fulvia.
«Beh prima o poi dovevi rincontrarlo ragazzina» rispose Diocle poco preoccupato. L'umano si allontanò leggermente dalla mia figura.
«E...» mi bloccai.
Non riuscivo a pronunciare il suo nome, al solo pensiero mi irritava assai.
«E... cosa?» ripeté Diocle aggrottando le sopracciglia color grano.
«Alla festa c'era anche Lui.»
«Lui chi?» si intromise Ibisco.
Gli occhi verdi di Diocle si spalancarono.
«Voi due lasciateci soli» pronunciò quelle parole con tono autoritario.
Fulvia e l'omone si alzarono e se ne andarono di malavoglia.
«Com'è possibile che possa raggiungerti?» domandò Diocle toccandosi la barba.
«Non lo so» sospirai «Forse perché questa città è stata invasa dagli esseri e anche loro sono costretti a difenderla» ammisi sconfitta.
Tanto tempo fa avevo innalzato una barriera, una preghiera così potente proprio grazie ai miei poteri che possedevo in precedenza. Era mirata principalmente contro Leam e anche nei confronti di tutte le creature immortali, presenti sulla terra che a quel tempo conoscevo.
Adesso che si era infranta senza alcun motivo, mi sentivo nuda, indifesa e in pericolo.
«Hai ragione, sarà per quel motivo» rispose il biondino, il quale mi fece un cenno con il capo, troncando il subbuglio che si era creato nella mia mente.
«Allora adesso che la barriera è stata infranta, cosa hai in mente di fare? Andartene?» mi domandò.
Scossi il capo «No, questa cittadina ha bisogno di me. Non vorrei che rimanesse in balia di quegli esseri, adesso sono diventati ancora più forti. Basterà stare il più lontano da Lui. L'ho già fatto questo sbaglio una volta, non lo farò di nuovo lasciandola al suo destino.»
«Domani è meglio riunire anche gli altri. Ne parleremo di questa storia cercando di omettere certi dettagli ai nuovi arrivati» continuò il biondino.
«Va bene.»
Andai nel mio letto e mi distesi scivolando sotto le lenzuola di cotone. Mille pensieri affollavano ancora la mia mente.
La battaglia diventava sempre più difficile e io dovevo essere forte, mi ero imposta che avrei ritrovato tutto quello che avevo perso negli anni, anzi volevo dire nei secoli. Tutto sarebbe ritornato al suo posto e Lui sarebbe sempre stato fuori dalla mia esistenza.
In fondo incominciai ad assoldare le persone per questo, insomma erano costrette in un certo senso. Il primo fu Diocle il biondino dagli occhi verdi era nato per errore, in passato era stato un grande guerriero che difendeva il suo villaggio, nel quale ero nata e cresciuta anch'io molto tempo dopo.
Non era mai stato facile convivere con lui, ha sempre avuto un caratteraccio, come se non bastasse il nostro incontro è stato in un periodo delicato, a quel tempo ero solo una bambina arrabbiata col mondo intero.
Successivamente arrivarono Diana e Sario, due gemelli poco più giovani di Diocle e compaesani dello stesso. Loro sono nati da un mio capriccio, volevo qualcuno che mi crescesse e mi tenesse compagnia e questo compito l'hanno svolto magnificamente, sono grata completamente a quei due.
Dopo si aggiunse Teodoro, un altro ragazzo che conoscevo da tempo in cui il destino si era intersecato con il mio in un luogo buio e privo di felicità. Come se non avessi abbastanza grane con il gruppo citato in precedenza, furono coinvolti Mauro e Matteo, i miei migliori amici d'infanzia cresciuti tutti assieme in un minuscolo paese di nome Ada.
Infine per ultimi Fulvia e Ibisco, tentai di rimediare all'errore che fece mio fratello. Erano persone bizzarre, grandi guerrieri di epoche passate, criminali o assassini. Tutti loro dovevano stare al mio volere.
Ognuno di essi aveva una qualità diversa, ma c'era una cosa che li accumunava, erano tutti morti e ripescati dai gironi infernali.
Lui
Com'è possibile che io sia riuscito ad avvicinarmi? Non era mai successo prima d'ora. Forse perché iniziava a perdonarmi? No, ne dubito.
Era una reazione causata da elementi esterni. Non preannunciava nulla di buono questa cosa, vuol dire che chi c'era dietro a quelle bestie disgustose si stava rafforzando. Questa faccenda non mi piaceva per niente.
Fui felice di rivederla di sfuggita, mi guardava con odio, proprio come immaginavo non mi aveva ancora perdonato. Erano passati diversi secoli dall'ultima volta che ero riuscito a starle così vicino, ora che quella stupida barriera si era infranta tutto sarebbe cambiato.
Comparve nella mia mente un flash, il suo aspetto da umana non era tanto differente rispetto alla sua forma originale. La sua pelle era leggermente più abbronzata ma ancora di un colore candido, i suoi capelli erano di un biondo caldo molto simile al miele, inoltre erano più corti rispetto a prima che le arrivavano fino alle caviglie, il suo ciuffetto che aveva in testa era sparito. La cosa che mi irritava erano i suoi occhi facevano pugno con tutto il resto di un azzurro sporco.
Arrivai nella stanza principale nella mia dimora, l'inferno. Questo posto di giorno era disgustoso con una puzza di zolfo che ti logorava le narici. Durante la notte era anche peggio, incredibilmente terrificante e pieno di animali poco cordiali, pronti a mangiarti vivo. Buttai la giacca sul trono del mio castello.
Mi sedetti in maniera scomposta sulla poltrona del mio potere. Toccando con l'indice le minuziose decorazioni presenti su tutto l'imponente trono che era più del doppio della mia stazza. L'enorme sedia reale aveva il design simile a quella che era presente nel mio vecchio tempio situato sulla terra.
La parte dura del macabro mobile di arredamento, era stata creata utilizzando le ossa dei demoni inferiori, per poi essere completamente tinteggiata in oro.
Le morbide imbottiture dalla colorazione scura, erano state fabbricate con mano esperta, utilizzando i capelli di bestiole infernali.
Sopra il poggiatesta del trono da entrambi i lati ergevano due affilati spuntoni, sopra di essi erano infilzati diversi crani appartenuti a stolti e maleducati mortali dalla discendenza rovinata.
Le teste vennero incollate anche sopra ai due braccioli.
La sua sedia gemella era posta di fianco a questa.
Entrambe torreggiavano su tutta questa vastità di sabbia rossa.
«Lupus, Feles, Corvus!» gridai i loro nomi.
Volevo sapere se loro ne sapessero qualcosa di questa storia.
«Sì mio sire?» comparve Corvus per primo.
Un demone ricoperto di piume solo su metà del corpo.
«Tu che sei sempre puntiglioso, non ti sei accorto di questa anomalia?» gridai furibondo.
«Di cosa parlate, sire?» comparve anche Lupus. Esso era diverso da Corvus, un demone dalla stazza più massiccia e tonica con capelli argentati e sguardo fiero.
«Posso avvicinarmi...» venni interrotto.
«Sshh cos'è tutto questo chiasso, stavo dormendo» arrivò con tutta calma Feles. Anch'esso differente rispetto agli altri due. Feles era moro e con i capelli sempre disordinati, i suoi occhi di un rosso intenso erano molto più scarlatti rispetto ai presenti. Insolente e maleducato come al solito.
«Osa ancora interrompermi e ti cancello per sempre» parlai con tono minaccioso e poco cordiale, facendo spuntare le zanne dalle mie labbra.
Corvus avanzò e si inchinò mostrando la sua completa sottomissione.
«Mi scuso per la grande maleducazione di Feles. Che cosa ci stava spiegando sire?» chiese il demone piumato, sistemandosi meglio il monocolo che aveva sull'occhio.
«Riesco ad avvicinarmi a Lei, molto ma molto vicino. Non mi era mai capitato prima. Voi ne sapevate qualcosa?» domandai sospettoso.
«No sire!» risposero tutti e tre all'unisono.
Li scrutai uno per uno osservando le loro anime. Tesi davanti a me il braccio e feci scaraventare Feles in fondo alla stanza, facendolo sbattere contro il muro. Il demone animale si rialzò a fatica e sputando sangue, gli avrò rotto qualche costola, ma il suo sorriso beffardo era ancora lì dipinto sulle sue rosee labbra.
«Da quanto lo sapevi?» urlai alterato alzandomi dal trono.
I miei occhi ritornarono al loro colore con sfumature giallo paglierino.
«Due settimane» mi rispose.
Ruotai la mano in aria verso sinistra. La gamba di Feles prima si contorse in una piega strana, poi si spaccò in due emettendo un rumore sordo, riecheggiando in tutta la grande sala.
Feles si trattene per il dolore, emettendo dalle sue labbra un lamento strozzato.
«La prossima volta avvisami subito. È chiaro?» lo minacciai.
«Certo sire» rispose a fatica bocchegiando.
La fronte del demone aveva un manto di sudore e delle lacrime di dolore sgorgarono dai suoi occhi.
Mi rivolsi a tutti e tre «Da che cosa è causato questo cambiamento?»
Corvus si mise due dita davanti al mento e iniziò a picchiettarle «Mmm... non è un buon segno, vuol dire che il nemico si sta rafforzando.»
«Com'è la situazione sul campo?» chiesi a Lupus.
«I nostri alleati sono messi bene nelle altre nazioni, è qua che fa fatica a tenere il passo. In Italia è più difficile sbarazzarsi di quegli esseri, ce ne sono il doppio rispetto negli altri paesi. Come se non bastasse, a Monacre è anche peggio si duplicano a vista d'occhio. Cerco sempre di cambiare i nostri sudditi per evitare che siano allo stremo. Pure gli angeli da quello che so non riescono a stare al passo.»
Annuii e feci segno di ritornare alle loro mansioni. Prima che Feles togliesse il disturbo lo minacciai.
«La prossima volta che mi fai ancora uno scherzo del genere, non te la caverai con qualche ossa rotte. Prima ti sventro e poi ti faccio disidratare sotto il cuocente sole infernale.»
Feles voltò il capo fissandomi «Non è colpa mia, sei tu che mi hai creato così, hai abbondato con la falsità» dopo quell'affermazione si dileguò sghignazzando.
Diedi un pugno al bracciolo del trono, quel demone riusciva sempre a farmi saltare i nervi. Rimasi solo in quell'enorme sala, ripensando alla persona che mi aveva reso felice in tempi passati.
«Cosa vuoi?» la mia attenzione si diresse a una delle colonne portanti della sala. Odiavo quando qualcuno interrompeva i miei pensieri.
Il moscerino uscì dal suo nascondiglio, era Ardea mia figlia.
«Non credi che sia meglio lasciarla in pace? hai già causato abbastanza casini con Lei» parlò con la sua voce stridula e infantile. La cosa mi irritò assai, in particolare modo quando la gente parlava del mio rapporto con Angelica in senso negativo, mi faceva imbestialire.
Mi rivolsi ad Ardea, quella bambina insolente dai capelli rossi.
«Non osare mettere becco in cose che non ti riguardano. Credo di essere stato punito abbastanza per quello che ho fatto.»
«Tu menti, non ti dispiace per quello che hai causato a me e ai miei fratelli e non te ne fregherà mai niente. Il vostro rapporto è malato spero che lei ti odierà per sempre.»
Detto questo Ardea sparì in men che non si dica, sapeva della bomba che aveva sganciato.
Mi infuriai, il mio corpo era in fiamme e le mie urla echeggiavano in tutto il vasto l'inferno. La stanza fu assalita dalle fiamme, chiamai Corvus per ordinargli di ghigliottinare qualche demone infimo all'alba.
L'unico modo per calmarmi era vedere un po' di sangue e teste mozzate.
Spazio Autrice
(Diocle)
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