Capitolo Quarantuno (passato)
Lei
Diversi giorni dopo, quando tutti tornarono a villa Lùf, il dormitorio ritornò alla sua solita routine movimenta. Devo ammettere che senza la presenza di Mauro e Matteo, questo posto sarebbe un gran mortorio, qua la servitù è di una tristezza pazzesca a partire da Licerio che aveva sempre due spanne di muso ogni santo giorno.
La famiglia in questione a cui dovevamo servire, era tra le più importanti e antiche di Monacre . La quale deteneva il dominio di traffici illeciti(soprattutto lo spaccio di droga, per non parlare la scia di morti che si portava appresso) in tutta la piccola cittadina. I Lùf non avevano bisogno di nascondersi anzi vivevano alla luce del giorno, grazie ai loro agganci politici nessuno si permetteva di toccarli.
Le forze dell'ordine non avevano il coraggio di scontrarsi con questa arcaica famiglia per non parlare dello stato se ne disinteressava di questa situazione. Strano ma vero questo clan aveva un'etica le donne e i bambini non li uccidevano (questo non vuol dire che non potessero torturarli), la regola fu imposta dalle generazioni precedenti. Il controsenso era che addestravano i loro figli a uccidere e a seviziare la gente che ostacolava i loro progetti.
In questo dì inusuale, Licerio chiamò me e i miei amici in salotto.
«Oggi andrete insieme al padroncino Guglielmo. Sarà una missione facile dovrete solo uccidere dei pesci piccoli che stanno intralciando il mercato della droga dei Lùf» spiegò brevemente il maggiordomo.
«Ma non possono chiede a uno dei clan affiliati di ammazzarlo?» Matteo sbuffò annoiato.
Licerio lo fulminò con lo sguardo «Guglielmo viene addestrato per essere il futuro capofamiglia, noi non siamo solo dei semplici maggiordomi dobbiamo supportare i nostri padroni» rispose con convinzione.
«Ma io non voglio ammazzare nessuno» disse Mauro contrariato.
«Se volevate vivere una vita da normali bambini, non lavoravate qua. Secondo voi perché vi facevo allenare dopo essere tornati da scuola? Solo per autodifesa? Ma favore. Se continuate a rifiutarvi di obbedire vi butto fuori tutti e tre» rispose l'uomo in modo distaccato.
Improvvisamente nella mia mente comparve l'immagine di mio zio appena deceduto zuppo di sangue, scacciai immediatamente quel ricordo dalla mia testa. Dovevo essere forte e non pensarci, in fondo erano solo degli sconosciuti, chissà quanta gente avranno fatto fuori senza rimorsi. Era solo uno delle tante esercitazioni prima di poter pregustare l'assassinio di quel bastardo di mio padre.
«Accetto» affermai con convinzione. I presenti mi guardarono con sorpresa.
«Beh allora non abbiamo scelta» sospirò sconfitto Matteo.
«Avete sentito padroncino» disse il maggiordomo.
Dalla porta laterale entrò il ragazzetto che avevo rischiato di prenderlo a pugni diverso tempo prima.
«Non pensavo che fosse proprio la biondina quella più decisa. Se proprio devo portarmi queste tre zavorre, almeno cercate di non farvi uccidere subito» affermò Guglielmo mettendosi al fianco di Licerio proprio davanti al nostro trio.
«Ehi zavorre a chi?» domandò rabbioso Matteo scagliandosi contro Guglielmo. Afferrai immediatamente il mio amico per una spalla e lo bloccai.
Appena il mio amico si calmò e assunse una posizione composta, camminai in direzione del ragazzino bloccandomi solo quando tra di noi erano presenti solo pochi centimetri di distanza. Mi alzai in punta di piedi tentando in un tentativo goffo di mettermi alla sua altezza, lo guardai nei occhi e dissi «Non ti saremmo di intralcio.»
Guglielmo annuì alla mia affermazione «Bene, li amazzeremo questa notte, ci troveremo davanti al cancello. Nessun ritardatario» detto ciò il ragazzino se ne andò sbattendo la porta.
Preparai il neccessario e alle due in punto mi trovai davanti al cancello. Diana e Sario, i due gemelli e figure genitoriali migliori di quelle originali, mi pregarono di non andare i quali sostenevano che fosse una situazione troppo pericolosa per una bambina, al contrario di quei due Diocle mi chiese di avvisarlo se fossi morta.
Salimmo su una macchina scassata e ammaccata (immagino fosse rubata), Licerio ci portò in una via desolata e buia non troppo distante dal posto in cui si trovava il nostro obbiettivo.
Uscimmo dalla macchina e camminammo nell'ombra senza far rumore. Il quartiere faceva davvero schifo, c'erano barboni che si scaldavano vicino a un bidone dell'immondizia che stava prendendo fuoco, le case erano diroccate. Gli spacciatori erano in ogni angolo della strada e le prostitute da quello che vedevo, ne avevano di lavoro.
Il posto era un palazzo abbandonato, almeno così sembrava. Entrammo in una delle finestre spaccate del primo piano. Ci nascondemmo appiattendoci alla parete, la luce della luna era fioca, all'interno della stanza semibuia era presente un uomo che continuava a bere e a fumare erba, sarà stato un vagabondo che cercava di stare al riparato, ma ahimè lui era un testimone. Giacomo si avvicinò silenziosamente e furtivamente, con un fendente tagliò la gola all'uomo il quale non emise nessun rumore. Il ragazzo più grande era stato particolarmente veloce nel farlo fuori, per non parlare della precisione del taglio doveva essere la prima volta che lo faceva.
Continuammo a salire senza farci vedere, i corridoi sembravano deserti.
«Sei sicuro che sia in questo palazzo il nostro obbiettivo?» chiese Mauro a bassa voce.
«Certo, le nostre talpe non sbagliano mai» spiegò Guglielmo.
Quando arrivammo all'ultimo piano, ci si presentò uno spettacolo inquietante, il pavimento e le pareti del corridoio erano completamente imbrattate di sangue, corpi maciullati erano disseminati in ogni dove, pezzi di gambe e braccia sparsi su tutto il tragitto che portava alla porta principale. Che cavolo stava succedendo?
Il portone si aprì scricchiolando e il nostro obbiettivo pieno di sangue, strisciava il più velocemente possibile urlando tentando disperatamente aiuto. Un mostro enorme e scuro comparve sull'uscio della porta, alzò i suoi lunghi artigli e li conficcò nel petto della sua vittima. L'animale squamoso sollevò la sua lunga mano affusolata dove era presente il corpo esanime dell'uomo e con un rapido gesto se lo portò alla bocca sbranandolo, era uno spettacolo a dir poco disgustoso.
Sentire le ossa scricchiolarsi e la carne di quell'uomo ridursi sempre di più in poltiglia mi disgustava talmente tanto da rischiare di vomitare in quel preciso momento. Sfortunatamente per noi appena il mostro finì con il suo spuntino notturno, rivolse tutta la sua attenzione nella nostra direzione. L'essere fece uno scatto repentino per prenderci attraverso le sue mani munite di artigli appuntiti.
Scappammo nel buio per non essere acchiappati, Matteo e Mauro si diressero a sinistra verso l'uscita di emergenza. Invece io e Guglielmo corremmo sulla destra diretti alla nostra unica via di scampo, la finestra, ma l'essere ci placcò sbarrandoci l'uscita. L'animale aveva un ghigno mostruoso dipinto sul suo viso, il quale contrasse tutta la sua muscolatura e prese la spinta per assalirci. Completamente inghiottita dal panico e dalla paura di morire, feci l'unica cosa che fossi in grado in quel momento. Chinai la testa, chiusi gli occhi, tappai le orecchie e urlai, oramai era la fine.
Aspettai la mia morte.... due minuti, cinque minuti, ma non succese niente. Aprii gli occhi e vidi l'essere lamentarsi, alzai lo sguardo e notai che davanti a me era presente la figura muscolosa di Diocle tutto occupato nel tenergli bloccata la bocca completamente aperta.
«Scappa bambina! Non so come tu abbia fatto a chiamarmi, visto che ero beatamente stiracchiato sul tuo letto. Ma muoviti a metterti in salvo, questo bestione sta facendo resistenza» parlò a denti stretti.
Presi la mano di Guglielmo che era ancora sotto shock e andai a sinistra del corridoio diretta alla porta di emergenza. All'improvviso un rumore sordo eccheggiò per tutto il piano e le urla dell'essere fecero compagnia a quel suono. Diocle gli aveva slogato la mandibola.
Questa piccola vittoria non durò molto, mi voltai indietro per esaminare la situazione e vidi l'essere scaraventare Diocle al muro, il quale si dissolse in un secondo. Eravamo quasi davanti all'uscita di sicurezza oramai mancava poco ma il bestione ci raggiunse, si inginocchiò e con la sua grande mano ossuta diede un pugno alla pavimentazione causando un enorme crepa.
Una scossa terribile si abbattè su tutta la struttura facendo crollare una parte del palazzo. Trovai davanti a me il nulla, Guglielmo cadde nel vuoto, rimanendo appeso al pavimento con le due mani. Afferrai le sue mani e lo trascinai per salvarlo, intanto che il ragazzino si muoveva per ritornare al sicuro, il mostro si stava sempre di più avvicinando. Ad un certo punto un lupo gigante (assomigliante a quello che avevamo in villa) uscii dal nulla. Aprii le sue grandi fauci e con un gesto fulmineo staccò la testa dell'essere.
Per l'agitazione del costante pericolo in cui mi trovavo, le mie mani erano viscide e scivolose come tutto il resto del mio corpo. Così sudate da perdere la presa e causando la caduta di Guglielmo nel vuoto.
«Nooo!» urlai disperata.
Istintivamente mi gettai nel nulla come era appena successo al ragazzo ma contrariamente da lui, una luce mi avvolse abbracciando il mio corpo e la mia anima, qualcosa di vagamente familiare spuntò dalla mia schiena aiutandomi nel rallentamento della mia caduta.
Distesi il braccio e afferrai la mano di Guglielmo che mi guardava esterefatto. Ci abbracciammo e in un men che non si dica toccammo il suolo.
Mi alzai con fatica e dolorante, mi ero sbucciata il ginocchia e il dorso della mano. Guardai il piano in cui eravamo caduti, scorsi una figura di un uomo dai i capelli argento e gli occhi rossi con due grandi ali nere che mi osservava in maniera seriosa.
«Angelica!»mi sentii chiamare. Matteo corse nella nostra direzione con in groppa Mauro, il quale aveva la caviglia gonfia come quella di un cotechino.
«State bene? Vi stavamo cercando dopo essere usciti, ma accidentalmente è caduto un masso sulla gamba del povero Mauro e abbiamo dovuto sospendere le ricerche » spiegò Matteo.
«Tutto bene, tranne per qualche graffio» lo informai.
«Ma che cos'era quel coso?» chiese Mauro spaventato.
«Non saprei» affermai scuotendo la testa, mi girai un ultima volta nel punto in cui scorsi la figura dell'uomo dai capelli d'argento ma di lui non ce n'era più nessuna traccia.
Tornammo in macchina, Licerio fu scosso per come eravamo conciati.
«Che cos'è successo? Era un compito facile» disse il maggiordomo studiando le nostre ferite.
«Un mostro schifoso ci ha attaccati, abbiamo rischiato di morire» spiegò Guglielmo ancora scosso tentando di riprendere la sua solita compostezza.
Licerio sembrava confuso sulla sua risposta frettolosa.
Durante il tragitto incontrammo Diocle e i due gemelli che stavano correndo per strada con ormai alle loro spalle i primi accenni dell'alba, erano visibilmente pallidi e frastornati. Licerio fermò la macchina.
«Che cavolo state facendo a quest'ora?» domandò irritato il maggiordomo.
I tre si arrestarono davanti alla macchina.
«Angelica e gli altri stanno bene?» chiese il biondino.
«Sì sono tutti in macchina» rispose Licerio.
I tre tirarono un respiro di sollievo.
«Meno male» disse a bassa voce Diocle.
Mi trovai in camera con loro tre che mi fissavano preoccupati.
«Come stai piccina, ti fa male qualcosa?»
«No Diana, per fortuna sto bene.»
«Abbiamo visto dissolversi in un secondo Diocle. Allora io e mia sorella ci siamo allarmati, sentivamo che eri impaurita. Quando tornò Diocle ci fiondammo subito a salvarti, intanto che lui ci descriveva l'accaduto. Cos'era quel coso Angelica?» mi chiese Sario.
Scossi la testa ancora confusa.
«Non saprei, è la prima volta che lo vedo. Si stava cibando delle persone che erano in quel palazzo» mi venne un conato di vomito al ricordo.
«Come sei riuscita a salvarti, dopo che io me ne ero andato?» chiese il biondino.
Raccontai cos'era successo, sembrava tutto così surreale.
«Non è possibile, non può essere un angelo» scosse la testa Diana.
Sario mi guardò la schiena ed emise un verso.
«Diana hai ragione, la sua maglietta è completamente distrutta dietro. E ci sono delle cicatrici fresche sulla schiena» parlò il gemello.
Scossi la testa «Io sono umana non dite fesserie»
Diocle scoppiò a ridere «Nessuno dei tre ne ha mai visto un angelo. Siamo sempre stati abituati ad altri immortali molto più inquietanti.»
«Però se lo fosse spiegherebbe come sia in grado di resuscitarci come gli immortali» suppose il gemello.
«Magari è vera quella leggenda che raccontano all'inferno» affermò Diana.
Mi sentii confusa e scombussolata ed irritata nel sentire parlare di queste cose.
«Spiegherebbe molte cose, come la sua conoscenza di Lucifero» proseguì Sario.
Diocle mi guardò e diventò serio «Non può essere lei, non ci posso credere.»
Tutti e tre continuarono a fissarmi, mi innervosii, saltai sul letto e spensi la luce «State dicendo troppe fesserie, domani devo andare a scuola e dormirò solo poche ore. Buona notte.»
Lui
Scaraventai Corvus al muro strangolandolo.
«Com'è possibile che quei esseri l'abbiano trovata? Sono demoni» urlai furibondo.
Rischiai di perdere la mia Angelica, quei esseri avevano avuto il coraggio di avvicinarsi alla mia compagna, li avrei scovati e sterminati uno per uno se fosse stato necessario.
«Mi scuso, non so come sia stato possibile questa svista. Meno male che Lupus era arrivato in tempo. Non so come facciano a violare la barriera, saranno come noi ed è per questo che sono riusciti ad interagire con lei» affermò Corvus a stento sotto la mia salda presa.
«Questa cosa non dovrà più succedere. Sono disposto a mettere più fenomeni da baraccone come voi a Monacre. Animali infernali di dubbia utilità» dissi sbattendo la testa di Corvus al muro per poi lasciarlo lì da solo da tossire e a sbavare sul pavimento.
Camminai avanti e indietro per la grande sala finché non trovai un unica soluzione «Visto che tu e Lupus siete pochi per sorvegliarla, ne metterò un altro simile a voi.»
Riflettei in maniera maniacale su i fatti appena accaduti, finché non mi venne un atroce mal di testa. Come mai questi esseri avevano fatto la loro prima comparsa appena dopo la sua reincarnazione? Inoltre non capivo per quale motivo riuscivano solo adesso a raggiungerla.
Mi voltai in direzione di Corvus, il quale era ancora a terra «Devi dirmi perché solo da questo momento riescono a raggiungerla.»
«La barriera si sta indebolendo» si sentii una voce in fondo alla stanza principale del palazzo.
«Ne sei certo Yag?» affermai prima ancora di voltarmi, riconoscendo immediatamente la sua voce.
«Sì Satana, credo che lei incominci a ricordare qualcosa in più del passato» mi rispose il demone.
Ero sia felice per questa ipotesi che preoccupato. Quella barriera, la più potente preghiera mai creata serviva per proteggerla e nel mentre aveva l'obbligo di tenermi lontano da lei. La quale era frustrante come restrizione soprattutto quando la sua mancanza era insostenibile. Arrivando a dei livelli così intolleranti da commettere atti di autolesionismo, come strapparmi la mano fin quando l'emorragia non mi prosciugava tutte le energie, allora mi ricucivo la parte lesa con ago e filo da me creati.
Non vedevo l'ora che tutto questo finisca per poterla toccare come facevo in un tempo lontano.
Mi ero ripromesso che non le sarebbe successo niente e l'avrei protetta da lontano finché la barriera non si sarebbe dissolta.
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