Capitolo Quarantatré (passato)

Lei

Riaprii gli occhi ma con scarsi risultati, il pezzo di stoffa che mi avevano messo sul viso mi limitava completamente la visuale rendendomi cieca.
Attorno alle mani e alle caviglie erano legate diverse corde che mi indolenzivano gli arti limitando l'irrorazione del sangue nei punti segnati.

Il mezzo in cui ero tenuta ostaggio continuava a beccare le diverse buche disseminate lungo l'incognito percorso, portandomi a sbattere più volte la testa contro le parti dure del bagagliaio. A un certo punto la macchina si fermò, le porte dell'autovettura si aprirono e con poca eleganza una mano bruta mi tirò per i lunghi capelli biondi .
Gridai dal dolore il mio cuoio capelluto era in fiamme, tentai senza successo di alzare le mani legate per ripararmi il capo.
Sentii un piccolo strappo attorno alle mie caviglie e il sangue prese la normale circolazione in quella zona. Venni trascinata fuori dal bagagliaio e messa in piedi. Rimasi un attimo intontita dal cambio di posizione ma fu breve questa pausa a cui non ero ancora riuscita a riabituarmi, uno dei due uomini continuò a tenermi per i capelli costringendomi a camminare in modo disorientato non vedendo assolutamente niente e incappando in qualche enorme masso, rischiando di perdere l'equilibrio più volte.

«Su muoviti non hai i piedi legati e noi non abbiamo tutto questo tempo da perdere» affermò lo sconosciuto dalla voce giovanile.
Improvvisamente dopo diversi minuti di camminata sentii una porta cigolante aprirsi.
Continuammo procedere a passo svelto sempre più in profondità, i gradini erano sempre più scivolosi per poco non rischiai di cadere.
Il freddo avvolse la mia pelle e l'umido entrò nelle mie ossa. Ipotizzai che ci stavamo avvicinando a un sotterraneo, un luogo senza via d'uscita.
Si aprì un ulteriore porta e dal suono che faceva doveva essere di grandi dimensioni. Percorremmo un corridoio dove il ticchettio dei presenti faceva eco lungo la strada. Ad un certo punto comparvero dei brusii sommersi lungo il mio passaggio.

Smettemmo di camminare fermandoci davanti a qualcosa a me sconosciuto, L'assalitore sulla mia sinistra aprii ancora una volta un'altra porta, questa volta ci fu lo scatto secco di una serratura, invece l'uomo che mi stringeva i capelli tolse la presa e mi sfilò la benda.
Finalmente riuscii di nuovo a vedere sbattei le palpebre per mettere a fuoco ciò che mi era intorno ma venni spinta in avanti cadendo sul duro cemento. Le sbarre si chiusero con un grande frastuono, mi guardai intorno in questo momento mi trovavo in una cella. Davanti a me erano presenti Matteo e Mauro, i quali erano seduti su una lastra di cemento fissata al muro. Appena mi videro scattarono in piedi aiutandomi a mettermi in piedi .

«Come hai fatto a finire qua dentro» domandò Mauro con il viso sciupato e pallido.
«È tutto un piano di mio padre, era una trappola» risposi.
«Se sapevi che era una trappola perché cavolo ci sei cascata» affermò Matteo anch'esso nelle stesse condizioni dell'amico.
«Vi avrebbe uccisi se non avessi ascoltato i suoi ordini» confessai.
«Perché pensi che non faremmo lo stesso una brutta fine? Almeno tu eri al sicuro. Noi siamo stati presi quando eravamo in missione» commentò Matteo in maniera schietta.
«Che bastardo che è tuo padre. Non lo facevo così subdolo» Mauro scosse la testa in maniera afflitta.
«Non vi preoccupate adesso ce ne andremo» li rassicurai avendo già prontamente un'idea di riserva.

Mi morsi il dito e disegnai un cerchio, volevo richiamare Diocle e gli altri. Mi concentrai pensando profondamente alla loro materializzazione ma nessuno del trio si presentò.
«Com'è possibile, perché nessuno dei tre non compare» dissi incredula ed agitata.
«Di cosa stai parlando Angelica?» Mauro mi mise una mano sulla spalla.
«Io... io riesco a teletrasportare la gente, mi correggo solo i morti che ho richiamato. Il nuovo personale che credete sia appena arrivato in villa, in realtà li ho resuscitati io» spiegai.
Tutti e due mi guardavano confusi.
«Non sei ancora lucida. Meglio che ti riposi» mi suggerì Matteo.
«No, sono veramente in grado di farlo» insistei ulteriormente.
Mi tagliai nuovamente il pollice per disegnare il cerchio, mi concentrai ma non successe nulla. Non capivo dove sbagliassi. Ero convita di uscire indenne grazie a Diocle e gli altri ma non riuscendoli a richiamare la paura montò dentro di me.
Percepii dei borbotii dall'altra parte nella cella affianco. Mi avvicinai alle sbarre e notai che due bambini mi stavano osservando incuriositi, dovevano avere più o meno la mia età forse con qualche anno in meno, erano distanti e non riuscivo a metterli correttamente a fuoco.
«Come vi chiamate?» chiesi ai due bimbi sconosciuti.

Dall'altra parte comparvero due manine ossute per poi vedere il volto del giovane nella semioscurità. Era più alto di me, aveva i capelli neri brizzolati erano attaccati al viso e poco puliti. Indossava dei vestiti logori e pieni di buchi, era scalzo e con i piedi sporchi. Le unghie delle mani e dei piedi erano nere e spezzate in diversi punti. Il suo viso come il suo corpo non era solamente sciupato ma molto deperito.

Mi voltai in direzione dei miei amici e solo ora mi accorsi più attentamente che anche loro si stavano rovinando in tal modo ed erano passate solamente alcune settimane. Che stava succedendo qui dentro?
Ritornai a guardare il giovane infante il quale aprì bocca.
«Mi chiamo Teodoro e lui è Termine, vieni a farti conoscere, è un po' timido ma è un bravo bambino» disse abbozzando un leggero sorriso. Quella sua espressione mi ricordava Jack di Nightmare Before Christmas.
Successivamente un secondo bambino comparve davanti alle sbarre. Era molto più basso di Teodoro e anche più giovane, i suoi capelli erano disordinati e di un castano scuro. Sul suo viso ambrato erano presenti due occhi color nocciola con profonde occhiaie. Il suo sguardo era serioso e intrinseco di odio puro accentuato dai suoi contorni scheletrici.

«Sei appena arrivata non è vero?» continuò il moro di nome Teodoro
«Sì perché?» gli domandai.
«Non sei magra come noi, la tua pelle è così bella e liscia, senza cicatrici. I tuoi capelli si illuminano di vita propria. Non vorrei essere maleducato ma vorrei sapere come ti chiami?»
«Angelica» gli risposi.
«È un nome perfetto per te, ti si addice troppo» affermò Teodoro.
«Sembri proprio un angelo, peccato che anche lei verrà rovinata» commentò l'altro bambino più giovane.
Di che cosa stava parlando?
«State zitti voi laggiù!!» urlò una voce estranea. Battendo un bastone contro le sbarre, si fermò vicino alla mia cella e mi guardò.
«Muoviti dormi se non vuoi che ti prenda a bastonate» parlò con disprezzo.
Stavo per ribattere ma prontamente venni trascinata via dai miei due amici.
«Non sei dai Lùf e lui non Licero» affermò Matteo sottovoce al mio orecchio.

Frustata per la situazione mi sdraiai sulla lastra di cemento vicino ai miei due amici. Dormii solo un paio di ore, un'altra guardia sbatté di nuovamente bastone per svegliarci.
«Muovetevi, dovete lavorare!» urlò l'uomo, tutti si alzarono il più rapidamente possibile e si posizionano vicino alle sbarre. L'umano andò avanti e indietro per un paio di volte lungo tutto il corridoio, guardando attentamente all'interno delle celle. Finché il carceriere non si fermò a metà corridoio, fece uscire tre bambini che erano all'interno e si scagliò contro l'unico rimasto in cella.
«Sacco di merda, ti ho detto di alzarti!»
Si sentirono rumori secchi echeggiare in tutto il corridoio seguiti in alternanza a urla e preghiere della povera vittima. La guardia uscii dalla cella seccato chiudendo in modo brusco le sbarre della cella. Il carnefice rimase per un momento davanti alla segreta sistemandosi la divisa color cachi e la sua maschera che gli copriva l'intero volto.

«Spero che tu ci crepi lì dentro» diede ancora una bastonata tra le sbarre per poi andarsene.
C'era un silenzio tombale, nessuno osava protestare per ciò che era successo, schifata dalla cattiveria di quelle bestie. L'uomo si mise ad aprire tutti segrete una ad una. I bambini si misero in due file indiane parallele, io feci altrettanto adeguandomi alla massa. Avevo davanti Mauro e dietro Matteo di fianco dall'altra fila c'era i due giovani con cui avevo parlato ieri.
Iniziammo a marciare e arrivammo in una stanza enorme grigia con delle finestre piccolissime in alto, nelle quali filtrava pochissima luce. Ci trovammo davanti a tre uomini anch'essi con un'uniforme color cachi e dotati di una maschera. La guardia di stamattina si affiancò al gruppo di colleghi.
Iniziarono a smistare i bambini a gruppi, io andai a finire con Teodoro e una bambina più piccola della sottoscritta.

«Seguitemi» disse uno dei carcerieri.
Un altro gruppo di vittime ci superò andando a destra invece noi proseguimmo in un corridoio sulla sinistra. Erano due maschi più grandi di me e una bambina, i ragazzetti avevano i capelli castani, uno indossava una maglietta bianca e dei pantaloncini neri, invece l'altro vestiva una maglietta blu e lunghi pantaloni neri. La bambina aveva i capelli castano ramati ed erano tagliati molto corti indossava una maglietta nera che le arrivava alle ginocchia fin troppo lunga per la sua statura .
La guardia ci portò in una stanza impregnata di sudore e fetore, al suo interno erano accatastati un mucchio di vestiti maschili sporchi da lavare. Al centro era situata una pompa manuale per pozzo, le tinozze erano sparse in giro per la camera sembravano molto pesanti.
«Lavate tutto guai a voi se rimanete indietro oppure se fate un lavoro di merda vi ammazzo di botte» affermò l'uomo andandosene per poi chiudere la porta a chiave.

Iniziammo a trascinare una delle tinozze anche se eravamo in tre il mastello era molto pesante più di quanto pensassi. La bambina biondina che era con noi, faceva molto fatica a spingerla diventando rossa in volto con un'espressione di sofferenza dipinta sul viso. Aveva due occhi azzurri molto grandi leggermente più scuri dei miei.
Con molta fatica la spingemmo fino davanti alla pompa.
«Tutto bene?» chiesi alla piccola.
«Sì, è stato faticoso» mi rispose boccheggiando.
«Immagino, noi iniziamo a fare pressione per fare uscire l'acqua, tu poi pure raggruppare le camicie successivamente porta il sapone di marsiglia e le spazzole. Così ti affatichi di meno» le spiegai.
La piccola con un lieve accenno del capo mi ringraziò timidamente.
«Come ti chiami?» chiesi curiosa.
«Cecilia, il tuo?» mi domandò.
«È un bel nome, il mio è Angelica.»
Mi sorrise «anche il tuo» si girò e andò a prendere le cose con passo leggiadro facendo svolazzare il vestitino sbiadito.

Io e Teodoro cominciammo a far uscire l'acqua manualmente. E dopo poco tempo riuscimmo a riempire tutta la tinozza d'acqua. Incominciammo a spazzolare le camicie per renderle pulite. Anche se stavamo andando nella stagione calda, la frescura mattutina si sentiva, l'acqua era gelata e le mie povere mani sembravano dei ghiaccioli. Guardai le loro mani, erano callose e piene di cicatrici da quanto tempo erano in questo posto?
«Sei da poco che sei qui, com'è il cielo adesso?» mi chiese Teodoro.
«È limpido e sereno, raggi del sole ti scaldano la pelle. Anche se c'è ancora un po' di frescura sia al mattino che alla sera» spiegai.
«Che bello è da tanto che non vedo il sole» disse la piccola Cecilia.
«Già quando stai qua, tutto diventa più grigio proprio come queste sporche pareti. Come vorrei sentire il vento sulla mia pelle» commentò Teodoro nostalgico e con una punta di amarezza.
«Da quanto tempo siete qua?» domandai senza essere sgarbata.
«Un mese» disse la piccola.
«Due mesi d'inferno» affermò Teodoro.
Ci fu un attimo di silenzio pieno di imbarazzo fu Teodoro a ricominciare il dialogo.
«Perché sei finita qui dentro?»
Sospirai «Per salvare i miei amici, ma purtroppo chi doveva mantenere la promessa, non l'ha fatto.»
Tutti e due mi guardavano «Ti ammiro non so se avrei fatto lo stesso» disse il bambino.
«Anche se ci fosse stato Termine, non l'avresti fatto?» chiesi.
Lui si fermò per un attimo di strofinare, rifletté sulla mia domanda.
«Sì avrei fatto lo stesso» disse annuendo.
«Io e Termine ci siamo incontrati da piccoli in orfanotrofio, lui è sempre stato l'unico che mi rivolgeva la parola, la mia famiglia. Mi sarei comportato allo stesso modo se fossi stato nella tua stessa situazione» confessò Teodoro asciugandosi il sudore dal volto.
«Invece voi perché siete finiti qui?» domandai.
«Mia madre è una drogata, mi ha venduta per i suoi debiti. Ha preferito quella robaccia che sua figlia» confessò Cecilia, diverse lacrime le rigarono il suo candido viso.
«Mi dispiace» l'abbracciai.
«Anche la mia non è una storia tanto diversa. Io e Termine siamo stati prima rapiti e poi venduti da parte di un signore che lavorava nella struttura finendo poco dopo in questo postaccio. L'orfanotrofio non so sarebbe mai accorto della nostra assenza è sempre così sovraffollato di bambini abbandonati» disse Teodoro.
Continuammo a parlare del più e del meno. Finimmo di lavare i vestiti, li strizzammo e li appendemmo su uno stendibiancheria fatto con quattro fili in croce e due paletti di legno completamente marci. Buttammo l'acqua in un tombino situato in un angolo. Finalmente la porta si aprii e la guardia entrò.

«Potete andare nella vostra cella» ci disse. Ritornammo senza fiatare nelle segrete, all'interno della mia cella Matteo e Mauro erano già all'interno.
Passò una mezz'oretta circa quando uno dei carcerieri si presentò davanti alle sbarre.
«Questa è per te la bambina» mi diede tra le mani una lettera e se ne andò.
Mi misi sulla lastra di cemento a leggerla, era la scrittura di mio padre. Mi venne l'istinto di strapparla in due ma mi trattenni la lessi e la passai ai miei due amici.

"Come stai trascorrendo le giornate? Comunque visto che ardevi così tanto nel rivederli, ho esaudito il tuo desiderio. Spero che vi troviate bene"

_Con grande affetto il padre

della bambolina

Poche parole per farmi saltare subito le staffe. La presi dalle mani di Mauro, la buttai nel secchiello dove facevamo i bisogni e ci urinai sopra.
Successivamente la guardia ci portò solo un pezzo di pane raffermo e un bicchiere d'acqua a testa.
Quella sera provai di nuovo a chiamare i miei compagni ma tutto fu vano. Non capivo dove sbagliavo.
La notte era ancora umida, mi misi in mezzo tra i due per scaldarmi, Matteo appoggiò la sua testa sulla spalla sinistra e Mauro su quella desta.
«Ce la faremo» disse Mauro.
«Come abbiamo sempre fatto» continuò Matteo.
Intrecciai le mani da entrambe le parti.
«Usciremo da qui» affermai.
Ero una povera illusa, quello era solo l'inizio del mio inferno.

Lui

L'agitazione si impadronì del mio essere, bastarono quelle poche frasi quasi per uccidermi. Il castello era metà distrutto per colpa della mia ira, Corvus e gli altri demoni ne subivano le conseguenze.
«Com'è possibile che lei sia stata imprigionata. Dove eravate razza di idioti. Vi ho ordinato di sorvegliarla» Gridai furibondo nei confronti di Corvus e Feles.
«Abbiamo fatto il possibile ma la macchina in cui era stata richiusa aveva una barriera, ho cercato di insinuarmi in essa ma al solo sfiorarla sono stato ferito gravemente lungo le ali. Anche Lupus ha cercato di entrare in laboratorio anch'esso è munito di barriera, ha rischiato la vita al solo avvicinarsi di qualche metro» spiegò il demone impaurito.
Spaccai in due quel poco che era rimasto del tavolo, i miei occhi erano fiammeggianti e la mia ira incontenibile. Sentivo che era ancora viva ma capivo che era agitata e disorientata.

«Chi c'è dietro a tutto questo? Giuro che lo troverò e disintegrò cellula per cellula» sbraitai in preda alla rabbia, facendo uscire lingue di fuoco dalla mia bocca.
«Anche quei zombie che ha invocato Angelica non riescono ad avvicinarsi» parlò Feles con il viso pieno di tensione.
La situazione era critica e io ad un passo dalla pazzia.
«Andate a sorvegliare quel posto» li liquidai.
Mi misi le mani nei capelli e scivolai per terra. Ero andato a vedere dov'era imprigionata ma non riuscivo neanche ad avvicinarmi per qualche kilometro. Oltre alla barriera di Angelica e questa mi era impossibile pure sorvegliarla in volo, chi potrebbe mai creare una barriera così potente. Non era né una preghiera creata da un angelo né una maledizione innalzata da qualche demone. In me si insinuò un terribile dubbio che scacciai immediatamente.
Dovevo solo sperare che Corvus e gli altri la riuscissero a salvarla. Se sarebbe morta un'altra volta cosa avrei fatto? Ero ad un passo dal baratro.

Spazio Autrice

Ciao a tutti 👋🙆 volevo solo avvertire che il prossimo capitolo conterrà scene di violenza abbastanza pesanti

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top