Capitolo Quarantasei
Lei
Dove sono?
Aprii gli occhi ma il mio sguardo era fisso solo in un punto davanti a me. Cercai di muovere la testa ma non ci riuscii, tentai di alzare gli arti ma ottenni lo stesso risultato di prima.
Ero completamente immobilizzata, seduta su quello che sembrava un tavolo vicino a un muro. Tutto intorno a me era grigio e nero. Le pareti erano piene di fuliggine e la stanza era spoglia, in alto erano presenti piccole finestre. Una situazione fin troppo familiare già avvenuta negli anni passati della mia infanzia. Sentii dei passi qualcuno si avvicinò alla mia figura, vidi il suo volto pallido illuminato dai pochi raggi di sole che trasparivano dalla finestra. Era alto, la sua pelle di un bianco candido e i suoi capelli di un color corvino intenso ma quello che mi colpì di più furono i suoi occhi di un celeste proprio simile al mio.
Il suo viso mi era familiare ma la mia testa non riusciva a identificarlo. Il bel giovane si chinò davanti a me, mi guardò con affetto sorridendomi con fin troppa dolcezza per essere un estraneo.
«Ti sei svegliata?» mi disse.
Cercai di aprir bocca ma non riuscii neanche a muovere un muscolo facciale.
«Non ti sforzare, per ora non posso permetterti di parlare» disse con voce vellutata tirandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio con molta delicatezza quasi come se fossi fatta di vetro.
Nel mentre si sentirono dei passi frenetici dirigersi in questa stanza.
La seconda figura si fermò vicino alla porta, questa volta non riuscii ad scrutare il viso del secondo sconosciuto, si teneva ben nascosto nell'oscurità.
«La vuoi piantare di guardarla? Non è mica una bambola. Non ti ho liberato solo per ammirarla, vai a completare il nostro obbiettivo» disse in maniera irritata l'estraneo appena arrivato. La sua voce era familiare e mi metteva parecchio a disagio.
I lineamenti del ragazzo diventarono più rigidi, la sua faccia si trasformò una maschera di rabbia, le sue iridi diventarono rosso fuoco e le sue pupille si strinsero.
«Ti ho detto che lo farò, adesso vattene, mi stai scocciando» affermò il giovane con tono minaccioso quasi assomigliante a un ringhio, mutando completamente il comportamento che aveva in precedenza nei miei confronti ma si trattenne per non esplodere.
L'uomo sospirò «Fallo prima possibile uno dei due deve sparire» e se ne andò.
Il ragazzo tornò a guardarmi intensamente, i suoi lineamenti si distesero ritornando tranquillo.
«Non ti preoccupare mamma» disse il giovane accarezzandomi con il dorso il profilo del mio viso.
Serse?
Adesso che lo guardavo meglio era proprio lui, il mio primogenito. Ma com'era possibile che lui fosse qua? Non era confinato all'inferno? Oppure era una delle anime che erano scappate dal regno del mio compagno. Vuoi vedere che Leam mi aveva omesso questa cosa? E perché mai non dirmelo?
Ma soprattutto, come facevano sia lui che Elisa e Termine avere più o meno la mia età i quali erano tutti e tre morti in giovane età. Dovevano essere ancora dei bambini qualcosa mi sfuggiva, chi c'era dietro doveva essere veramente forte.
Improvvisamente mio figlio mi riportò alla realtà sul suo viso comparve un ghigno malefico «Presto Satana non interferirà mai più nei nostri progetti»
Erano parole agghiaccianti, cercai di urlargli di non farlo ma non uscii niente. Una lacrima mi scappò rigando il mio viso.
«Mamma non piangere. Presto non esisterà mai più e non potrà mai più farti del male» insistette il mio primogenito scuotendo la testa e sorridendomi.
Asciugò la mia lacrima e mi diede un bacio in bocca, troppo passionale per essere considerato semplice affetto.
Lui
Tornai a casa ero ancora in trans per quello che era successo. Lei era venuta qua in appartamento, finalmente aveva capito che era sempre stata innamorata di me, avevamo fatto l'amore sembrava tutto un sogno, non potevo ancora crederci. Mi buttai nel letto nella parte in cui aveva dormito, inspirai il suo profumo di vaniglia che aveva lasciato come un adolescente innamorato.
Mi svegliai dal continuo squillare del mio telefono. Lo presi in mano. Era Feles.
Che cavolo voleva quel sacco di pulci.
«Pronto?»
«Lucifero è ancora lì Angelica?» mi chiese.
Agrottai le sopracciglia scure.
«Come fai saperlo che lei è venuta qua?»
«Sono stato io l'ultimo a parlagli e a sapere dove andasse.»
«Capisco, comunque non è qui. L'ho accompagnata stamattina a casa» risposi.
Il respiro di Feles si interruppe per alcuni minuti.
«Che cosa sta succedendo Feles? rispondimi è un ordine» mi alterai, dentro di me immediatamente si impadronì la paura di perderla di nuovo.
«Sono le due del pomeriggio e non è ancora rientrata a casa. Sul cellulare non risponde» affermò.
Chiusi gli occhi e scossi la testa. No... non un'altra volta.
«I suoi compagni la stanno cercando dappertutto ma non la trovano» aggiunse il demone.
«Avvisa Lupus e gli altri di cercarla. Io arrivo da te in un secondo.»
«Serebbe meglio che tu non venissi. Qui ci sono Ardea e Diocle» suggerì il mio suddito.
«Che si fottano quei due. Angelica è in pericolo la mia priorità è trovarla» risposi buttando giù la chiamata.
Parcheggiai la macchina in malomodo e arrivai immediatamente nel suo appartamento. Feles mi aprì la porta. Mi fiondai subito all'interno Mìtrio, mio figlio appena mi vide scattò subito verso nella mia direzione.
«Che cazzo ci fai qui» disse visibilmente nervoso cercandomi di intimorire. Ma chi voleva spaventare? Sembrava un chihuahua con la rabbia. L'errore più grosso era creare quei topi tremanti.
Uno dei compagni di Angelica si mise in mezzo, era quello biondo con gli occhi verdi e la barba. Non mi veniva in mente il suo nome Diomede, Diodoro, Diocan... chi se lo ricorda.
«Non è il momento di litigare, siamo in una situazione critica» parlò cercando di calmarlo e mantenendo gli animi tranquilli.
Mìtrio indietreggiò e ritornò al suo posto. Ecco un'altra cosa che era venuta male oltre al chihuahua.
«Che peccato volevo vedere una rissa» si lamentò Yag tenendo il braccio lungo e disteso sul poggiatesta del divano. Accanto a lui era presente Arasio.
«Ci sono novità?» chiesi al tizio di cui non mi ricordo il nome.
«No è sparita da ieri sera. All'inizio non ci abbiamo fatto caso, lei è sempre stata una che sparisce e ritorna giorni dopo. Poi era passato troppo tempo e ci siamo preoccupati» spiegò l'uomo dagli occhi verdi.
«Avete chiesto a quei due se sanno qualcosa?» nominai i due prigionieri.
Il biondo scosse la testa.
«Non parlano» mi rispose.
«Ci penso io a farli cantare» mi incamminai verso il corridoio dove li sentivo la loro anima.
Il biondo di cui non mi ricordavo il nome cercò di raggiungermi ma Yag lo bloccò.
«Non fargli troppo male» scherzò il demone.
Una bimba improvvisamente uscì da una camera, aveva i capelli biondo cenere e gli occhi azzurri proprio come quelli di Angelica. Era sua figlia avuta con il bastardo, era la seconda volta che la vedevo di sfuggita. Mi fermai e la fissai per qualche minuto anche la piccola fece altrettanto. Per un attimo calò il silenzio, tutti erano in tensione e aspettavano una mia reazione. Lei se ne andò saltellando io invece le diedi le spalle.
Non me ne fotteva niente dei miei figli figuriamoci di questi due bastardi, la mia priorità era un'altra in questo momento.
Entrai nella stanza sconosciuta era piccola con due specie di celle. La camera era insonorizzata e al suo interno oltre ai prigionieri erano presenti i due compagni di Angelica, uno se non sbaglio era il suo amico d'infanzia e l'altro l'avrò visto due volte tra cui una stavo arrivando alle mani. Stavano parlando tentando di estrapolare qualche informazione, erano troppo gentili e questo mi faceva venire il voltastomaco. Con in gesto della mano li sbattei contro il muro in modo tale che non riuscissero più a muoversi.
«Mauro!» disse la ragazza preoccupata, allungando la mano fuori dalle sbarre.
«Che cavolo stai facendo?» urlò uno dei due. Teodoro se non erro.
«Quello che non siete in grado di fare voi» lo sapevo che non dovevo lasciarli ad Angelica. Con me avrebbero parlato subito.
La ragazza sbiancò, adesso che non poteva usare gli esseri se la faceva sotto. Invece l'altro ragazzo all'interno della cella mi guardò con sguardo beffardo, perfetto sapevo già da chi iniziare. Piegai le sbarre e lo attaccai al muro.
Lui continuò a sghignazzare.
«Dimmi chi ha rapito Angelica. Chi c'è sotto a tutto questa faccenda» gli urlai contro.
Lui continuò a ridere «Manco morto te lo dico. Spero che muoia quella puttana.»
Gli spaccai il mignolo della mano destra e Termine urlò dal dolore.
«Come scusa, non ti ho sentito?»
Continuai con l'anulare, per poi passare al medio in seguito all'indice ed infine il pollice.
Non rispose, era resistente devo ammetterlo. I miei occhi ritornarono al loro colore originale e comparvero le mie zanne, come potevo trattenermi nel sentire cotanta bellezza. Le sue urla inebriarono le mie orecchie. Gli strappai anche le unghie della mano destra poi passai a quella di sinistra.
Non voleva cedere dopo tutti i soprusi che stavo attuando, allora lo tenni fermo bloccandogli il collo lo obbligai a guardarmi e ingannai la sua mente con delle illusioni, anche lui come Angelica era vittima di quel laboratorio sfruttai la sua debolezza a mio vantaggio. Ricominciò ad urlare come un matto, ebbe anche delle convulsioni e si pisciò addosso.
Ma non cedette smisi con l'illusione, era inutile non parlava. Oramai era giunto il momento per l'umano di riportarlo all'inferno. Chi li avvesse resuscitati e manipolati sarebbe saltato fuori. Stavo per rompergli il collo, quando Elisa gridò.
«Basta!» ululò.
Mi girai verso lei. Ero stanco di giocare.
«Lascia in pace Termine e non fare del male a Mauro e Teodoro, te lo dirò io chi è stato a rapirla» aggiunse balbettando.
«Parla, muoviti» ordinai.
«Non so se sia lui l'artefice di tutto. Ma il tizio che ci ha fatto scappare dall'inferno e che ci ha reso più forti. Si chiama Serse. Non sappiamo niente di lui. Ci ha solo permesso di vendicarci e basta» si chinò e si mise le mani mei capelli.
Lasciai cadere il ragazzo che avevo torturato. Impallidii, il mio dubbio era stato confermato le mie paure più recondite si stavano avverando. Non lui non proprio lui, lo tenevo d'occhio da tempo, il suo affetto per la madre dopo la sua morte era diventato un amore malato che si è trasformato in un'ossessione incestuosa. All'inferno è stato l'unico a cresce dei nostri figli, l'unica eccezione nata dalla forza e dall'odio nei miei confronti lo alimentò sempre di più. Ero preoccupato per questo allora le sue punizioni diventarono sempre più pesanti ma lui riusciva a sopportarle diventando forte quanto me. Me ne andai barcollando da quella stanza per poi ritornare in salotto tutti erano rimasti dove li avevo lasciati, quando mi vide il sorrisetto di Yag scomparve.
«Che cosa succede?» domandò il demone.
«Serse...» affermai con un filo di voce. Mi bloccai accasciandomi vicino allo stipite del salotto fissando il soffitto della stanza che cosa gli stava facendo quel maledetto in questo momento alla mia Angelica? Non credo di riuscire a trattenermi se dovessi scoprire di aver effettuato cose disdicevoli a sua madre contro la sua volontà. Sarei in grado di disintegrare la sua anima cancellando la sua miseria esistenza.
Yag e Feles rimasero in un mutismo assoluto, invece i visi di Mìtrio e Ardea erano indecifrabili per non parlare dei compagni di Angelica che erano sempre più confusi.
«Chi è questo Serse» domandò Diocle. Ecco come si chiamava.
«Suo figlio ma non è come loro due» indicai Ardea e Mìtrio.
«Lui è come me, sarà dura questa volta» affermai con lunghe pause di silenzio.
Io e i due demoni uscimmo dal palazzo. Anche gli angeli la stavano cercando da quello che mi aveva vagamente Yag.
Ordinai a Feles di chiamare Teli in superficie che avevamo bisogno di lui.
La cercai tutto il giorno appena lasciato il suo appartamento.
Le ore passarono ma di lei nessuna traccia, adesso che stava andando tutto bene. Tornai a casa, dovevo prende una cosa che mi sarebbe servita per massacrarlo. Lo so che avevo messo dei sigilli per non usarla, lei la sua non l'avrebbe più presa in mano visto che si era infilzata con essa. Quelle due spade le avevamo forgiate in ricordo dei due primi umani che creammo e morirono in modo tragico. Misi le loro due anime nelle spade.
Erano le più forti di tutte le armi che potevamo creare da soli, laceravano la pelle di un immortale al solo sfiorarla. Prima della grande catastrofe dove Angelica morì, gli umani che decedevano finivano in una sorta di limbo che venne aperto dopo il disastro da me combinato, ridistribuendosi ancora una volta in un altro luogo definitivo che sarebbe stato il paradiso o l'inferno.
Succesivamente nel limbo quando si svuotò si insidiarono gli immortali tra cui anche Angelica periti nel giorno in cui sfiorai la pazzia finchè a mano a mano non si reincarnarono.
Entrai in casa e accesi la luce, la mia attenzione venne attirata dal muro.
Una scritta color sangue occupava tutta la parete.
"Il bucaneve è rinato dalle ceneri del deserto bramoso di gustarsi le membra dell'avvelenato crisantemo"
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