Capitolo Quarantacinque (passato)
Lei
Sentii delle flebili e basse voci ronzarmi nelle orecchie, credo fosse il tizio biondo a parlare.
«Buttala nella fossa comune» affermò seccato.
«Prima vorrei impiantarli quei occhi che avremmo buttato. È stata un osso duro non mi sono divertito così tanto» commentò l'altro uomo presente nella stanza.
Dopo questo breve stralcio di battute la mia mente cadde nel silenzio più totale.
Non sapevo quanto tempo fosse passato da quando ripresi i sensi so solamente che percepivo solo un freddo pungente. La cosa frustrante è che non riuscivo neanche ad aprire gli occhi dalla stanchezza come se le mie palpebre fossero incollate.
«Ma non ti vergogni di come ti sei ridotta? Pensi che Leam ti voglia di nuovo se muori. Devi sopravvivere ad ogni costo.»
«Chi sei?» domandai spaventata.
«Come chi sono? È ovvio sono te, colei che scorro nelle tue vene da molto tempo. Muoviti alzati non vorrai mica morire in un postaccio del genere. Non te lo permetterò.»
«Secondo te se avessi le forze non l'avrei già fatto?» risposi con una punta di sarcasmo.
«Beh vuol dire che ti darò una mano. Non vuoi staccare la testa a chi ti ha fatto del male, non vuoi vederli supplicare di non ammazzarli?»
«Sì, voglio vendetta.»
«Bene, allora abbandonati a me.»
Feci come mi aveva chiesto volevo vendetta per cosa mi avevano fatto, volevo vederli soffrire uno ad uno come mi era appena successo. Dentro di me divampò un calore che non avevo mai provato, come se venisse dalle viscere del mio corpo. Un'aura sconosciuta si impadronì del mio essere. I miei capelli diventarono nero covino e anche i miei occhi mutarono prendendo una colorazione scarlatta .
Aprii gli occhi la luce del sole di prima mattina mi diede fastidio, mi guardai intorno ero sopra ad un mucchio di cadaveri in una fossa. Vidi i tre corpi di Teodoro, Termine e Cecilia martoriati e intrinseci di sangue, per non parlare dello loro espressioni segnate dalla tristezza.
Saltai con un balzo la profonda buca e osservai dov'ero, mi circondava la natura ed ero dietro ad un edificio grigio e fatiscente.
Uscii fuori una guardia dalla piccola porticina sul retro aveva nella mano destra un sacchetto nero il quale stava fischiettando allegramente. Si bloccò immediatamente appena mi vide. Non lo feci neanche parlare, tesi il braccio e allargai le dita della mano. Uscirono delle fiamme che lo fecero gridare dal dolore, l'uomo in pochi secondi cadde a terra intanto che le fiamme fameliche divoravano ogni minuscola cellula del suo corpo finché non ne rimanesse niente. Il sacchetto dell'immondizia cadde a terra aprendosi mostrando diversi organi umani di diverse dimensioni. Disgustata per ciò che stessi vedendo lo bruciai. Al solo pensiero che uno di quei organi potesse appartenere a uno dei bambini che conoscevo non faceva che aumentare la mia ira. Non persi altro tempo, entrai nell'edificio dirigendomi nei sotterranei. Mi trovai davanti una porta blindata, appoggiai le mani e la feci scogliere. Una guardia mi vide chissà com'ero conciata perché mi guardava come se avesse visto un fantasma. Estrasse la pistola e sparò, mi colpì in faccia, inclinai la testa all'indietro e fermai tra i denti la pallottola. Portai lentamente la testa com'era prima, sputai con grande velocità la pallottola che si conficcò nel suo petto vicino al cuore. Prima di morire doveva assaggiare qualche minuto di terrore. Mi chinai davanti a lui e lo guardai scoppiando a ridergli in faccia. Afferrai il suo braccio e glielo strappai, successivamente con un calcio gli staccai la testa. Iniziai a saltare e a correre divertita disegnando sul muro lungo tutto il corridoio con l'indice della mano sinistra, una striscia di sangue formata dal liquido vitale dei miei carcerieri. Ammazzavo qualsiasi guardia che trovassi nessuno doveva vivere. Attraversai il corridoio in cui erano presenti le celle nelle quali i bambini mi guardavano con sgomento con il tocco delle dita feci sciogliere le sbarre.
«Ora siete liberi» scoppiai in una fragorosa risata agitando le mani in aria.Dopo averli liberati, i bambini scapparono da tutte le parti per trovare la libertà. Mauro e Matteo mi si pararono davanti.
«Sei sicura di star bene?» chiese Matteo preoccupato.
«Mai stata meglio» affermai con un gran sorriso.
«Adesso è meglio sloggiate, questo posto diventerà l'inferno. Mi aspetta la portata principale» me ne andai senza che loro riuscissero a emettere una sola parola.
Percorsi il grande stanzone in cui ci smistavano, era pieno di sangue e cadaveri... che opera magnifica.
Arrivai davanti all' agognata porta delle torture, la scardinai trovando solamente nella stanza il dottore dai capelli biondi e dallo sguardo di ghiaccio. Rimase sorpreso nel vedermi facendo cadere il bisturi che aveva in mano.
«Non è possibile» disse in un sussurro.
Inclinai la testa con fare ingenuo «Sono tornata dottore. Non è contento di vedermi?»
Detto ciò tesi la mano e lo scagliai al muro facendogli battere ripetutamente la testa. Lo feci cadere a terra e lo trascinai sul tavolo con poco garbo, legandolo i suoi arti alle estremità del tavolo. La mia attenzione fu attratta da un trapano che era lì di fianco insieme ai vari strumenti di tortura. Lo accesi e perforai l'occhio sinistro del dottore il quale gridò dal dolore. Questa era musica per le mie orecchie.
«Che cosa succede non gradisce dottore?» domandai.
Gli perforai la mano sinistra per poi buttare il trapano per terra. Mi ero già stufata di vederlo vivo, feci avvolgere il suo intero corpo dalle fiamme. Le sue urla rimbombavano all'interno della stanza. Ci metteva troppo tempo per i miei gusti si vede che aveva la pellaccia dura, intanto cercai sui vari mobili i miei occhi ma di loro non ce n'era nessuna traccia. Dentro di me montò una rabbia, diedi fuoco all'intera stanzetta e me ne andai chiudendo la porta. Successivamente toccai le pareti della struttura per far prendere fuoco a tutto l'edificio. Uscita ammirai intanto che la palazzina veniva divorata dalle fiamme. Mi voltai notando che i bambini si stavano comportando in maniera anomala, spingevano nel vuoto come se fossero imprigionati.
Solo ora notai che eravamo cicondati da una barriera trasparente, misi le mani su un punto di essa e si bruciò in un istante liberandoli tutti. Scapparono come dei ratti quando la nave sta affondando. Mi girai di nuovo per vedere lo spettacolo, l'edificio si stava annerendo e le fiamme lo stavano ingoiando sempre in maniera più vorace. Scoppiai a ridere dalla felicità, il più bel spettacolo che abbia mai visto.
Notai che qualcuno mi stesse osservando, mi gira e tra gli alberi c'erano i miei compagni e Licerio. Tutti erano frastornati e mi guardavano con terrore. Licerio era vicino a Matteo e Mauro, toccava le loro spalle con fare protettivo senza togliermi lo sguardo di dosso nel mentre si stava facendo spiegare che cosa fosse successo.
Diocle e i due gemelli avanzarono con estrema cautela nella mia direzione, come se fossi una bestia pericolosa. Diana si accasciò e scoppiò a piangere, Sario gli mise una mano sulla spalla per confortarla. L'unico che si avvicinò più di tutti fu Diocle, si chinò alla mia altezza fissandomi negli occhi ci furono attimi di silenzio. Il biondino mi toccò con diffidenza e molto lentamente i miei corti capelli color pece, scuotendo la testa con amarezza dipinta sul volto.
«Che cosa ti hanno fatto Angelica?» disse con voce flebile ed interrotta.
«Ma io sto bene» scoppiai a ridere in modo isterico.
Si chinò e mi diede un bacio sulla fronte.
«Davvero stai così bene?» continuò a scrutarmi.
Continuai a ridere per poi inserire piccoli pianti, pian piano scoppiai da una risata isterica ad un pianto fuori controllo facendo uscire dalla mia gola versi di disperazione.
Diocle mi prese in braccio, io misi le braccia attorno al suo collo e il viso nell'incavo della sulla spalla, bagnandogli il tessuto della maglietta.
«Andiamo a casa, è tutto finito» mi parlò con fare paterno vicino al mio orecchio.
Lui
Ero ad un chilometro di stanza da lei, la sentivo. Le sue urla assordanti mi rimbombano nella mia testa.
«Aiuto! Vi prego aiutatemi! Ahhhh!»
Le percepivo nitide e squillanti come se fosse accanto a me.
Le immagini di lei che veniva torturata erano dei flash all'interno della mia mente.
«Basta!» gridai contro la barriera in mezzo alla natura.
Battei le mani contro la barriera ma mi bruciai solamente inutile per ciò che stava succedendo.
«Angelica!» ululai disperato con ormai la gola secca, le lacrime mi rigarono il viso. Persino Satana piangeva per la seconda volta nella sua esistenza. Incredibile io il signore del male mi spezzavo come un ramoscello di ulivo in questo genere di situazioni. In fondo anche se non avevo una morale ero debole anch'io, chiunque toccasse il mio angelo biondo, la mia compagna della mia esistenza, non c'era torturata peggiore. Se avessi potuto sarei andata io al suo posto avrei fatto di tutto per salvarla.
«Aiutami Leam!»
Scattai di nuovo verso la barriera, le mie mani entrarono in essa. Dovevo salvarla ad ogni costo. Forse una possibilità per entrare c'era, il dolore alle mani e braccia era allucinante ma non mi arresi. Cercai di sforzarmi ancora per entrare completamente, gridai dal dolore ma fui sbattuto fuori da essa come se mi avessero tirato uno schiaffo in faccia. sbattendo contro un albero. Le mie braccia puzzavano di carne bruciata erano completamente maciullate. Improvvisamente non la sentii più il suo battito.
«Angelica!» gridai, non poteva essere vero. Lei non poteva morire di nuovo. Ero disperato, mi strappai il braccio destro per la frustrazione. Cominciai a perdere un'ingente quantità di sangue ma non ci diedi peso, troppo occupato per non perdere la mia sanità. Chiusi gli occhi e feci dei profondi respiri realizzando che il mio mondo era morto un'altra volta. Era già frustrante vivere lontano da lei figuriamoci senza di lei. Poco dopo scattai in piedi barcollando esterrefatto per ciò che stavo percependo, com'era possibile quello che stavo sentendo? La mia mente si stava burlando di me? Mi avvicinai alla barriera, lei era ancora viva, non mi capacitavo di questo. Lei era ancora umana.
Mi si gelò il sangue quando arrivai alla risposta. Lei aveva nelle vene il mio sangue iniettato per salvarla quando era ancora un angelo.
Stava sterminando chiunque avesse intorno che cosa avevo fatto. Lei non era più come prima me ne resi conto in quel momento. Io l'avevo rovinata, l'angelo più puro che esistesse, avevo conficcato i miei artigli dentro di lei pur di non lasciarla andare.
Preferivo essere io il cattivo, preferivo io sporcarmi le mani, lei doveva starne fuori. Mi consolai del fatto che lei era ancora qua ed è questo che importava. Mi sedetti su un tronco di un albero nel mentre mi misi a ricucirmi il braccio, intanto sentivo quelle splendide urla umane inebriare le mie orecchie. Non vedevo l'ora di sistemarle all'inferno, una per una.
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