(20)Tā shì zài hǎidǎo
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Come avrete potuto notare, ho cambiato nome!!! Viva gli pseudonimi! Vi piace?
Tā shì zài hǎidǎo = si torna sull'isola in cinese
È da un po' che mi porto dietro i bambini, cercando continuamente di camminare senza inciampare in un'evitabile radice dei grossi alberi presenti sull'isola. Non ci fermiamo da ore ormai e sono stanca morta. Bryan, non è da meno, dato che, da angelo, può fare solo piccole magie e solo per il bene delle persone, cura i malati. Talvolta deve trasportarli di peso mentre recita delle piccole formule. Molti stanno meglio grazie a lui, ma il ragazzo, sembra a pezzi. Lo guardo con preoccupazione ogni istante di più. Sono tutti troppo stanchi.
-Davayte prekratim- dico, poggiando i bambini, ormai addormentati, ai piedi di un albero, cercando di metterli il più comodi possibile. Tutti si fermano di botto, abbandonandosi al terreno. Sila si avvicina a me, guardando preoccupato la sua comunità.
-Nuoi ci divviderremo, Bela Von Klemnitz. Nuon posso lasciare che questa picola communità vada in frantummi, andando in Amrica!- dice a bassa voce il russo, guardandosi intorno con circospezione, non volendo imbattersi in qualcuno con le orecchie troppo fini.
-Hai perfettamente ragione Sila, ma queste persone sono stanche e per ora hanno bisogno di riposo. Il mio consiglio è quello di trovare una barca, accompagnarmi a Yokuba e poi partire per la Russia. Nell'isola di Yokuba c'è un aereo dove i tuoi possono riposare, gli farebbe bene. In quell'isola non vi sono pericoli evidenti...- cerco di convincerlo, ma il russo sembra irremovibile.
-Dovere arivarre in Ruasha, muolto presto. Noi esere muolto in ritardo con tempi de Parradisso en Ruasha- dice l'angelo russo. Ancora mi è strano differenziare il paradiso per la propria religione... il Paradiso è solo uno... credevo che fosse solo uno.
-Hai ragione...- mormoro.
-Nuoi acompagnare voi a Yokuba e puoi partire per Ruasha- dice l'uomo, poggiando una mano sulla mia spalla. Annuisco, grata. Avrebbe potuto lasciare me e Bryan qui a morire, mentre è disposto a sacrificare del tempo prezioso per accompagnare noi. Ha un buon cuore.
-Grazie infinite, Sila- gli dico, aprendomi in un grande sorriso. Il russo ricambia, sotto la folta ed ispida barba.
-Ricuordati, Bela Von Klemnitz: por la tua gentileza e por il tuo sacrifizio, io esere tuo debitore a vita- si ferma un secondo, osservando il mio volto, leggermente arrossito. -Chiedi e ti sarà dato- dice, poi si inchina, mettendo la mano destra sul petto, chiusa a pugno, come i soldati al loro re. Lo congedo con un piccolo cenno del capo, per poi dirigermi verso Bryan. Sembra distrutto.
-Riposati- gli dico, sedendomi vicino a lui. Il ragazzo sbuffa, strofinandosi gli occhi arrossati. Scuote la testa, chiudendo gli occhi dalle pesanti palpebre che avrebbero bisogno di una grande dormita.
-Non posso... ci sono tantissime persone che aspettano di essere curate... non posso smettere di aiutarle... questo è il mio compito- dice l'angelo, cercando di restare sveglio. Poggio una mano sulla sua spalla.
-Buon Dio, Bryan! Stai zitto e vai a dormire! Ci penso io...- nemmeno il tempo di finire la frase, che il ragazzo si era addormentato, reggendo tra le braccia i due bambini che ho trasportato, riscaldando quei corpi tremanti con le sue ali bianche. Con un grande sospiro, mi alzo, dirigendomi verso un gruppo di donne, raggruppato a cerchio intorno ad un piccolo fuocherello, per riscaldare i piedi ancora umidi e le mani.
Molte sono malate e i capelli arancioni di una spiccano visibilmente sulla pelle bianca. Ma quella che mi preoccupa di più è la donna un po' emarginata che continua a tremare e guarda una piccola immagine che tiene ben stretta tra le mani, mentre il sangue cola dal naso in modo allarmante. Mi avvicino a lei, reggendola nella sua mantella di lana.
-Sudarynya, ty v poryadke?- chiedo preoccupata, guardando negli occhi la donna. Occhi color della pece, labbra screpolate e non poche rughe sulla fronte e sulle guance.
-Se proprio vuoi saperlo, parlo anche italiano- ridacchia nervosamente la donna. Sono felicemente sorpresa. -Me lo ha insegnato mio figlio... voleva tanto che imparassi l'italiano...- continua, tossicchiando.
-Ah sì? E come si chiamava suo figlio?- chiedo, iniziando a riscaldarla con un piccolo incantesimo, toccandole le vesti con i guanti di pelle nera. La donna sorride, evidentemente più rilassata. Non credo ce la farà. Ha perso troppo sangue e ha una grave ferita al fianco. Le forze la stanno abbandonando e... non credo le dispiaccia andarsene, data la situazione.
-Boleslaw... si chiama Boleslaw- dice, marcando il presente. Mi mordo il labbro, accorgendomi troppo tardi di aver usato il verbo sbagliato. Si crea un silenzio tombale, interrotto dai mormorii delle preghiere che un gruppo di donne, accampato come quelle che ho di fianco, stanno recitando.
-È davvero un bel nome- dico io, sorridendo, mettendo i guanti sulla ferita rossa, cercando di guarirla. La donna mi prende i polsi e alzo lo sguardo su di lei sorpresa. Scuote la testa e capisco che non vuole essere guarita. Poggio i guanti insanguinati sulle foglie cadute a terra per l'inverno.
-Boleslaw è un grande membro della Bratva russa, proprio come suo padre... tutti lo chiamano Khorek... ti prego proteggilo. Non è morto, ne sono sicura. Ha prestato servizio nell'Accademia degli Assassini e ora sta cercando di non essere catturato dalla Regina... ti prego... lui ha bisogno di qualcuno...-
Stringo le sue mani come se fossero l'unica cosa che mi è rimasta, mentre quelle si raffreddano e gli occhi rimangono spalancati a guardare il vuoto. La foto che teneva in mano, lasciata andare per terra. Mentre calde lacrime rigano il mio volto le perone si accorgono di quel che è successo e si crea un grande silenzio, interrotto spesso dai miei singhiozzi. Mi abbasso sul petto della donna e ci sto per qualche secondo, per poi alzarmi afferrando la foto. Sono sicura che è un'immagine del figlio.
Ho ragione. Lo osservo bene. Raffigura lui in tenuta da Assassino Internazionale. Tratti della madre e credo proprio che la forma della mandibola e il corpo scolpito li abbia presi dal padre. Mi occuperò anche di lui non appena lo troverò. Lo prometto.
-L'ho trovata!- urla qualcuno, in russo. Mi giro di scatto alzandomi, mentre alcuni uomini si avvicinavano per dare una degna sepoltura alla donna. L'uomo che ha urlato ciò, si gira verso Sila. -Ho trovato una barca! Possiamo partire!- urla ancora, sempre in russo. Il capo della comunità mi guarda e dopo aver ricevuto il mio consenso, da una scadenza di mezz'ora per prepararsi.
Si torna sull'isola di Yokuba.
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