~Capitolo 3~

La sera prima
Angelica

Dopo aver fatto una decina di metri pensavo che avesse iniziato a parlare, invece lui continuò a camminare fino al ponte.
Il luogo era abbastanza buio, l'unico lampione era maledettamente fulminato, quindi si andava praticamente alla cieca.

Il fiume, a diversi metri di distanza, era parecchio agitato a causa del forte vento che c'era, nonostante fosse Giugno. A quel punto mi preoccupavo veramente di poter finire a far compagnia ai pesci.
Stavo per accendere la torcia del telefono quando Andrew finalmente parlò.

«Non sono più riuscito a contattarti negli ultimi giorni. Perché?» disse girandosi a guardarmi.
La verità era che Susy e Lindsay mi avevano convinto a bloccarlo su tutti i social dopo l'ennesima chiamata in cui l'avevo nuovamente rifiutato.
Di certo non potevo dirglielo, altrimenti si sarebbe sicuramente arrabbiato.

«In realtà non ne ho idea» mentii con aria vaga. Mi guardai intorno, tentando di capire in che punto del ponte ci trovavamo.
«Davvero non lo sai?» chiese con una voce stranamente calma.
«Sì. Il mio telefono è vecchio, a volte blocca le persone per sbaglio, senza che io me ne accorga.» questa scusa era così debole che probabilmente avrei potuto usarla solo con qualcuno completamente impedito con la tecnologia.
«Comunque cosa volevi dirmi?» aggiunsi, quindi, cercando di sviare il discorso.
«Niente di che, solo volevo sapere chi era il ragazzo con cui sei uscita l'altro giorno a mia insaputa. Non ti avevo dato il permesso di vedere altre persone.»
Io lo guardai aspettandomi che si mettesse a ridere dicendo che stava scherzando, ma non fu così.

Aveva i pugni serrati, il corpo rigido e l'espressione dura rivelava tutta la rabbia repressa che stava tentando di celare.
«E da quando tu mi devi dare il permesso?» chiesi sarcastica «Non siamo fidanzati e io non dipendo dalle tue decisioni.»
Quell'affermazione non sembrò piacergli.
Si avvicinò di un passo e io d'istinto mi ritrassi. Troppo tardi mi resi conto di essere bloccata tra lui e la balaustra del ponte.
«Risposta sbagliata.» sussurrò appoggiandosi al parapetto del ponte, intrappolandomi definitivamente.
«Tu sei di mia proprietà fino a quando io non decido che non ti voglio più, non il contrario.»
degludii spaventata dalle sue parole.

«Perché ti comporti così?!» Esclamai esasperata. «Non capisci che ci siamo lasciati proprio per colpa della tua gelosia possessiva?» dissi cercando di farlo ragionare.
«Non puoi pretendere di controllare ogni azione di una persona, l'amore è rispetto e fiducia reciproca non possessione!»
«Smettila di cercare di psicanalizzarmi!» ruggì lui, sovrastandomi in tutta la sua altezza «Sono qui per un motivo ben preciso e non ascolterò altre cazzate.»

Con il panico che iniziava a crescere, lanciai un'occhiata al fiume alle mie spalle. Perché mi aveva voluto portare proprio lì? Quel luogo buio, solitario... mi aveva allontanato dalle mie amiche, come aveva sempre tentato di fare durante la nostra relazione.
Un motivo ben preciso...

«Non farlo, ti... ti prego.» sussurrai con la consapevolezza di essere in pericolo. Quel ragazzo era folle e le sue parole portavano tutte in una sola direzione. Voleva uccidermi, non parlare, né tanto meno chiarire.
«Quante volte ti ho pregato di tornare da me? Eh? Tu mi hai sempre rifiutato!»
Presi un respiro tremante, tentando di dire qualcosa che potesse farlo ritornare sui suoi passi.
«Non potevo fingere di amarti Andrew! perchè non lo capisci?!» le lacrime avevano iniziato a inumidirmi gli occhi.
«Piangi adesso?! Non hai il diritto di piangere, puttana! Devi solo soffrire, come hai fatto soffrire me!»

Sempre più sconvolta e con le guance ormai bagnate dal pianto, mi accorsi che mi aveva afferrato per i polsi. «Andrew ti prego... »
Tentai di spingermi in avanti, per allontanarmi dal precipizio, ma lui mi respinse, sbilanciandomi oltre la balaustra.
Urlai quando mi accorsi che tutto il mio busto era ormai sospeso nel vuoto. Le gambe non toccavano più terra, l'unica cosa che mi sosteneva erano le mani del mio assassino.
«Tu non hai avuto pietà per me e io non ne avrò per te. Addio Angelica.» detto questo mi lasciò i polsi. E io precipitai giù, nell'oscurità del fiume.

L'impatto con l'acqua gelata mi congelò anche la poca aria che avevo nei polmoni. Ad occhi chiusi, mi ritrovai completamente disorientata, nell'impetuoso mulinello che erano le rapide del fiume.

Cercai subito di tornare in superficie lottando contro l'istinto di aprire la bocca per respirare. Non ero mai stata una buona nuotatrice ma fortunatamente riuscii a riemergere. Presi subito grandi boccate d'aria e mi guardai freneticamente attorno. Dovevo cercare un appiglio sicuro, qualcosa a cui aggrapparmi, per non soccombere alla forza sovrumana delle acque.

Le rive del fiume erano lontane e la corrente troppo forte e, alla fioca luce dell'unico lampione del ponte, riuscivo ancora a scorgere la sagoma di Andrew che mi osservava da lontano.
Una fitta di rabbia mi attraversò, e quell'attimo di distrazione bastò a un'onda per sommergermi nuovamente.
Scalciai e annaspai, quando riuscii a risalire in superficie. Tossii e sputai l'acqua che mi era entrata nei polmoni, tentando di mantenermi a galla.

Non avevo fiato per urlare, non avevo speranze di avvisare qualcuno per farmi salvare e, a quel punto, potevo solo illudermi di riuscire in qualche modo a raggiungere una delle sponde, mentre lottavo contro la corrente impietosa.
Il freddo rallentava i miei movimeti, che erano diventati sempre meno fluidi. Gli arti mi pesavano, i vestiti e i capelli appesantivano la mia disperata nuotata verso la riva.

Non so dopo quanto tempo decisi di arrendermi. Ero stremata e, quasi senza accorgermene, mi distesi sull'acqua per non annegare rimanendo ferma.
Il gelo aveva ormai intorpidito tutti i miei sensi, il corpo era insensibile al tocco dell'acqua, mentre la mente continuava imperterrita a tormentarmi con i ricordi di tutta la mia breve esistenza.
Le lacrime che scorrevano sul mio viso erano l'unica fonte di calore che, almeno per un attimo, mi riscaldavano con la rabbia ruggente del doloroso rammarico.

I visi di tutti quelli che amavano si susseguivano davanti ai miei occhi, mentre anche il sangue smetteva di circolare con regolarità nelle mie vene.
All'improvviso vidi un'onda che stava per abbattersi su di me.
Assurdamente tutto iniziò a rallentarsi, l'ultima beffa del destino. Ebbi tutto il tempo di guardare un'ultima volta il cielo, con le stelle che mi osservavano, impassibili di fronte alla mia crudele fine.

Quando l'acqua tornò a circondarmi, e mi accorsi di non avere la forza per ritirarmi su, inspirai a pieni polmoni. Affogandomi, decisa a porre fine a quella tortura.

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