~Capitolo 2~
La mattina prima
Angelica
Sapevo che quella mattina mi sarei svegliata tardi. Lo sapevo perché ieri sera ero andata a dormire praticamente alle quattro di notte, e solo per riuscire a battere mio fratello in una gara a chi rimaneva più sveglio.
Greyson, che di solito non si impegnava in niente, aveva fatto di tutto per non addormentarsi, al contrario mio che non prendevo mai nessuna sfida sul serio.
Alla fine aveva vinto lui, anche se i suoi stratagemmi per non appisolarsi gli si erano ritorto contro.
«Farsi una doccia gelata alle tre del mattino non è il miglior modo per iniziare il sabato, vero Greyson?»
Gli chiesi beffarda, quando si degnò di presentarsi in cucina per il pranzo.
In realtà io mi ero svegliata solo pochi minuti fa, ma era sempre prima di lui.
Il nostro era decisamente un atteggiamento infantile, considerato che tra pochi mesi avrei compiuto diciannove anni, ma la nostra rivalità superava la mia voglia di apparire matura.
«Guai a voi se vi azzardate di nuovo a fare una cosa così stupida! Essere svegliato da Greyson che cade nella vasca, alle tre e mezza di notte, non era nei miei piani.» Esclamò nostro padre, già nervoso di prima mattina... anzi di primo pomeriggio.
Ci guardò male, mentre il suo viso assumeva la stessa sfumatura rossa dei pochi capelli che gli rimanevano.
La sua somiglianza a un pomodoro surriscaldato quasi mi fece commettere l'imperdonabile errore di scoppiare a ridere.
«Avete capito?!»
Aggiunse mentre la mamma gli porgeva un piatto di costolette.
«Sì.» Annuii con la mia migliore espressione dispiaciuta.
«Greyson?»»
«Prometto di non farmi mai più docce alle tre di notte.» lo rassicurò lui.
«Il problema non è che ti sei fatto la doccia.» disse papà.
«Già!» risi io «Il problema è che sei caduto e ti sei messo a strillare che ti eri fatto male.»
Greyson mi lanciò un'occhiataccia, mentre anche mamma scoppiava a ridere.
«Intanto io ho vinto.» ribattè con tutta la dignità di cui era capace.
«Vincere una competizione così stupida ti rende ancora più ridicolo, Greyson.»
Affermò mio padre, senza staccare gli occhi dal suo piatto. Io risi più forte, allungandomi per dare un pugno sul braccio a mio padre. Finalmente dimostrava un po'di senso dell'umorismo.
«Ma oggi cosa avete tutti contro di me?»
Esclamò mio fratello, lanciando un'occhiata offesa ai suoi tre interlocutori.
«Preparati, Greyson, perché questa sarà una di quelle storie che si raccontano ai cenoni di Natale.» dissi io, una volta che ebbi smesso di ridere.
«Angelica, tu mangia e stai zitta.» ringhiò lui avventandosi sulla sua carne. Aveva lo stesso cipiglio imbronciato di un avvoltoio, con la differenza che i suoi capelli rossicci, tutti spettinati, lo facevano assomigliare ad una cornacchia con la parrucca.
Decisi che l'avevo preso in giro abbastanza, almeno per quella mattina, quindi non replicai. Il mio stomaco brontolava, quindi era meglio finire con le chiacchiere e iniziare a mangiare.
Il pomeriggio uscii con le mie due migliori amiche Susan, detta Susy e Lindsay. Eravamo sedute in un bar, perchè Susy era già sotto l'effetto della sua fame ingiustificata. Infatti, ci aveva trascinato lí dopo solo mezz'ora che ci eravamo incontrate.
La cosa che mi dava più fastidio era che il suo fisico non risentiva di tutto quel cibo che ingeriva ogni giorno, mentre io ero sempre a dieta.
Poi c'era Lindsay che praticamente viveva in palestra e cercava di convincerci ad allenarci con lei.
Adesso Susy stava divorando una fetta di torta al cioccolato e panna, insieme a delle patatine fritte che inzuppava nella coca-cola.
Io la guardavo abbastanza schifata, non capendo quegli abbinamenti assurdi.
«Che c'è?» chiese infastidita, notando il mio sguardo.
«Per caso vuoi mettere la torta nel mio drink? Non hai mai provato una roba del genere.»
«No, sai che l'alcool mi fa stare male.» disse tornando a masticare patatine.
In effetti Susy era astemia, invece io e Lindsay non perdevamo occasione per bere qualcosa.
«Perché mangiare tutta quella roba non fa male» borbottò Lindsay, mentre rubava il lime del mio drink. Continuarono a battibeccare e io sorrisi, abituata a quel tipo di situazione.
Ci conoscevamo solo da cinque anni, ma eravamo veramente inseparabili.
Uscivamo sempre insieme, parlavamo di qualunque cosa senza nessuna vergogna, e conoscevamo perfettamente il carattere delle altre.
Susy era quella più responsabile del gruppo, ogni volta che uscivamo per fare serata guidava lei proprio perchè era l'unica sobria. Ci riportava sempre con i piedi per terra, ma nonostante questo quando voleva si dimostrava folle almeno quanto noi.
Con il suo fisico minuto e i suoi occhioni azzurri sembrava veramente una ragazza timida e innocente.
Lindsay era una ragazza piena di autostima, tanto da sembrare vanitosa e arrogante, a volte. Il suo carattere così difficile da approcciare, si trasformava appena ci entravi in confidenza. Sfacciata e molto spesso acida, ci voleva tanta pazienza per evitare di litigare un giorno sì e uno no.
Io invece ero la solita via di mezzo o, almeno, così mi definivano. Sarcastica ma non troppo, dolce ma non smielata, esageratamente gentile e quasi ingenua.
«Mi stai dicendo che il mio gatto è grasso?» esclamò Susy in quel momento.
«Ma si può sapere come siamo arrivate a parlare di Candy?» chiesi sorpresa, riemergendo dal flusso dei miei pensieri.
«In realtà non lo so neanche io» disse Lindsay alzando le spalle. Rimanemmo un attimo in silenzio, a guardarci, per poi scoppiare tutte e tre a ridere.
«Certo che siete proprio strane.»
La sera eravamo in un locale di Londra, vicino al fiume Lea uno degli affluenti del Tamigi. Il Grey Shadow era un ristorante molto alla moda; c'era una zona bar, con un bancone grigio scuro, degli sgabelli rosa cipria e le pareti grigio chiaro.
I tavolini rosa erano disposti sia all'interno che all'esterno del locale, in un patio molto accogliente, coperto da un pergolato in legno. Una pianta rampicante ricopriva le assi, offrendo riparo dal Sole durante le ore più calde del giorno.
Io e le mie amiche ci eravamo sistemate lì fuori, dato che era una bella serata di Giugno. Nonostante il clima di Londra non fosse quasi mai ottimale, quel giorno la tenue luce del tramonto rendeva l'ambiente piacevole.
«Muoio di fame.» affermò Susy, accomodandosi su una delle sedie. Vidi Lindsay alzare gli occhi al cielo, mentre consultavo uno dei menù già presenti sul tavolino. «Come sempre.» esclamammo insieme.
Stavo per chiedere alle altre se avevano già deciso cosa ordinare, quando sentii qualcuno chiamarmi.
Quando mi voltai, vidi l'ultima persona che avrei mai voluto incontrare. Camminava con le mani nelle tasche, con i capelli biondi spettinati dal vento.
«Andrew?» chiesi una volta che si fu avvicinato.
Lui annuì, confermando i miei timori. Sospirai, per niente a mio agio nel rivedere il mio vecchio fidanzato. Ci eravamo lasciati da un mese e mezzo, ormai, ma lui continuava a tormentarmi con messaggi e chiamate.
«Che cosa ci fai qui?»
«Passavo per caso.» mi rispose evasivo, evitando di incrociare il mio sguardo.
Conoscendo i suoi precedenti, non credevo a una parola di quello che aveva detto. Erano settimane che ogni volta lo ritrovavo in tutti i posti che abitualmente frequentavo. Dopo qualche momento di silenzio imbarazzante, Andrew parlò di nuovo.
«Però, visto che sono qui, ne vorrei approfittare per parlarti qualche minuto.»
Annuii, ma evitai di invitarlo ad accomodarsi. Sicuramente le mie amiche non avrebbero gradito. E nemmeno io ero tanto propensa ad ascoltarlo.
«Vorrei parlare in privato.» precisò quando vide che non davo segno di allontanarmi dal tavolo.
Vidi che Linsday stava per rispondergli, probabilmente con qualche battuta acida, quindi la anticipai.
«Va bene, facciamo due passi.»
Mi alzai in fretta, non propriamente sicura di voler rimanere sola con lui.
Susy e Lindsay mi guardarono come se avessi appena firmato la mia condanna a morte. Sospirai.
«Vi raggiungo dopo.»
Le loro espressioni non si rilassarono, ma annuirono lo stesso. Sorrisi, tentando di apparire tranquilla, e iniziai a seguire Andrew che si era incamminato verso il ponte che collegava le due rive del Lea.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top