~Capitolo 13~

Angelica

Il carro si mosse all'improvviso, mentre i miei palmi iniziavano a sanguinare. Sospirai, tamponandoli sulla maglia sbrindellata.
Ci mancava solo questa! Più perdevo sangue e più il mio corpo si indeboliva. 

Cercando di capire qualcosa di quella situazione, controllai il percorso che il carretto aveva intrapreso. 
La strada dissestata si snodava lungo i pendii scoscesi, fino al piccolo centro urbano situato alle pendici delle colline. La terra brulla si sgretolava sotto la pressione delle ruote, dando l'impressione di marcata instabilità. 

Approfittai di quel viaggio, apparentemente tranquillo, per recuperare delle forze che pensavo di aver perso per sempre. Tuttavia, il mio stato di dormiveglia venne fin troppo presto interrotto da un improvviso frastuono. Quando aprii gli occhi, capii che eravamo entrati in città.

Ero come un'attrazione da circo. Un elefante strappato alle sue terre per far divertire un branco di persone più simili a bestie, piuttosto che umani.
Il bello di essere un elefante, però, era la mancanza di emozioni complesse. Io, invece, da umana ormai prossima alla morte eterna, ero in grado di provare una bruciante vergogna. Vergogna e disagio, in reazione agli sguardi dei demoni intorno a me.
Mi osservavano, mi fissavano, mi scrutavano con sorriso maligno stampato in viso. Nessuno sembrava sorpreso, tutti avevano l'aria di sapere qualcosa più di me. Forse conoscevano già la mia sorte?

Deglutii, mentre il mio corpo si irrigidiva, convergendo su sé stesso, pur di sfuggire a quegli occhi rossi. 

La strada per le quali il carretto si destreggiava era ampia e costeggiata da edifici imponenti. L'architettura classica era stata trasfigurata dai caratteri infernali. 
Le statue glorificavano la tortura, gli affreschi sui palazzi rappresentavano soggetti raccapriccianti, alternati all'iconografia di un uomo con un'ala spezzata. La perfezione del classicismo era stata sostituita da colonne deformate e archi sproporzionati.

Fu solo quando tornai a guardare dritta davanti a me che, finalmente, capii dove mi stessero portando. In fondo alla strada un anfiteatro in pietra nera si stagliava minaccioso. 

***

Per l'ennesima volta, da quando ero arrivata all'Inferno, stavo percorrendo dei corridoi sotterranei. O, meglio, mi facevo trascinare da due guardie arcigne. Il loro passo, fin troppo svelto, mi provocava dei giramenti di testa, mentre ci avvicinavamo a una porta di legno ruvido. Uno dei demoni la spalancò. Venni scaraventata all'interno, mentre il minaccioso rumore della chiave che ruotava nella serratura risuonava alla mie spalle. 

Senza il sostegno delle guardie, mi accasciai sulla pietra grezza del pavimento. Le piastrelle, inaspettatamente tiepide, ebbero un effetto terapeutico per i miei muscoli. 
Sospirai, desiderando di fermare il tempo. Volevo godere di quel calore e morire con dolcezza. 
Non so per quanto rimasi lì, a crogiolarmi su quel pavimento accogliente, ma il mio momento di pace si interruppe quando la serratura scattò e la porta si aprì. 

Sollevai con fatica la testa, mentre i miei occhi inquadravano il volto di una ragazza dalle pupille vermiglie. Si accovacciò accanto a me e io potei vedere il suo volto con precisione. La sua struttura ossea era affilata, tanto che la pelle si tendeva rigida sugli zigomi, come se le ossa stessero per fuoriuscire. 

«Le tue condizioni sono peggio di quanto mi immaginassi.» commentò scrutandomi da vicino. «Riesci a sentire ciò che dico?» 
"Questa ci crede totalmente sceme?
La mia coscienza era tornata a farsi sentire. 
«Sì.» risposi alla ragazza, ignorando le voci nella mia testa. Lei annuì.
«Bene, io sono Teyla. Tu come ti chiami?» 
«Angelica.» 
«E riesci a vedermi, Angelica?»
«Sì.»
«Ottimo. Riesci a camminare?» 
«Non senza vomitare.» 
Corrugò la fronte. «Vedremo di sistemarti.»
Dopo quella frase, che suonava come una minaccia, mi passò un braccio attorno alla vita e mi aiutò a sollevarmi. Nonostante la nausea istantanea, riuscii a trattenere l'impulso di rimettere.
Mi appoggiai al bordo di quella che scoprii essere una vasca.
«Ti aiuto a entrare.»
Io annuii, qualunque cosa pur di tornare seduta. Con fatica, riuscii a scivolare all'interno della vasca. 
«Devi spogliarti.»
Sospirai. «Puoi girarti, almeno?» anche se ai suoi occhi ero alla stregua di un vegetale, un tempo avevo avuto una dignità. «Certo, vado a prendere una cosa.» Uscì dalla stanza, chiudendo a chiave la porta. 

Con movimenti lenti, mi liberai di maglia e pantaloni. Non mi curai di sfilarli nella maniera canonica, anzi strappai il tessuto già lacerato, in modo da sforzarmi il meno possibile. Raccolsi le ginocchia al petto e vi appoggiai il viso. La mia pelle appariva tumefatta in diversi punti, tanto che non riuscivo a guardarla. Stavo iniziando a tremare, quando Teyla tornò. Portava in mano due secchi, colmi d'acqua, e una coppa in equilibrio sulla testa. Posò il tutto a terra e, quando mi vide, scosse la testa.

«Via anche le bende.»
«Non posso, le mie ferite… »
«Non ti permetteranno di tenerle, quindi o te le fai togliere da me o te le fai togliere da loro» mi interruppe bruscamente lei. 
Io abbassai fiaccamente il capo. Ero troppo stanca per discutere. Inoltre, non sapevo a chi si riferiva con quel 'loro' ma non suonava bene. Interpretando il mio silenzio come una risposta affermativa, Teyla stracciò le bende con un unico movimento. Di fronte alla mia schiena martoriata non ebbe alcuna reazione. 

A quel punto, riversò il contenuto dei secchi nella vasca. La mia pelle giovò di quel contatto. L'acqua calda era come un balsamo riparatore sulle mie ferite. Il mio corpo si distese, mentre Teyla mi rovesciava una generosa quantità d'acqua sulla testa. 
Fui scossa da brividi di piacere. In quel momento, soggiogata agli effetti benefici di un semplice bagno bollente, ero la persona più felice dell'Inferno. 

Teyla iniziò a lavare la massa incolta che erano i miei capelli. Li affogò in lozioni e balsami burrosi, finché non fu possibile pettinarli in sezioni. Io mi rilassai nella vasca, approfittando della sensazione di sicurezza che provavo. Teyla mi massaggiò il viso con degli oli dai profumi freschi e leggeri, mentre io scivolavo nel dolce oblio del dormiveglia. 

Quando ebbe finito il rituale di pulizia, la ragazza mi aiutò ad uscire dalla vasca, avvolgendomi in una soffice vestaglia. Mi lasciò appollaiata su uno sgabello, mentre armeggiava con la piccola cassettiera al lato della toletta. Io sospirai, mentre mi domandavo il perché di quei trattamenti tanto paradisiaci. Tuttavia, la mia mente si rifiutava di riflettere o fare congetture. Troppo sforzo. 
«Adesso devi bere questo.» Teyla mi si avvicinò con la coppa in mano. 
"Non farlo!" Urlò la mia coscienza
"Sai cosa c'è lì dentro?" 
"No, ma io non accetterei niente da un demone." 
"Lei è stata gentile." 
"Quanto sei ingenua Angelica! Sei all'Inferno, sveglia!"

Sospirai mentre prendevo in mano la coppa e sbirciavo il contenuto. Un liquido denso e dai colori rossastri, dai tratti quasi sanguigni, che emanava un forte flusso di calore. 
«Che cos'è?»
«Acqua del Flegetonte.»
Sollevai un sopracciglio. Tutto sembrava tranne che acqua. "Secondo me è una qualche sorta di veleno che ti farà soffrire prima di ucciderti." ipotizzò la mia coscienza
«Menomale che ci sei te con il tuo ottimismo.»
«Perché devo prenderla?»
«Ti darà un po' di forze. Se la bevi subito.» 
Anche se velato, quello era un ordine. E sapevo che, nelle mie condizioni, non sarei riuscita a oppormi. Presi un respiro profondo. «Prega per me.» dissi alla mia coscienza.
Poi trangugiai quel liquido.
La mia gola venne attraversata da pura lava, tanto che iniziai ad annaspare con violenza. Teyla dovette premermi una mano sulla bocca, per impedirmi di vomitare tutto. Il mio esofago bruciava, come se avessi ingoiato dei carboni ardenti. 

«Respira con il naso.» mi consigliò Teyla, ma io riuscivo solo a piangere dal dolore. Piangevo e deglutivo, nell'inutile tentativo di inumidire una gola in fiamme.
Quando il liquido raggiunse lo stomaco delle fitte all'addome mi provocarono dei violenti brividi, tanto che caddi dallo sgabello. Teyla mi afferrò appena in tempo per impedirmi di colpire il pavimento con le tempie. A terra, degli spasmi attanagliarono il mio petto, come una morsa che mi comprimeva i polmoni. 

Le sofferenze proseguirono ma, poco a poco, iniziarono a diminuire d'intensità. Sudavo freddo, distesa sulla pietra tiepida. 
Teyla mi tamponò un fazzoletto bagnato sulla fronte. «Adesso starai meglio e ti sentirai subito più energica.»
Io mi lasciai sfuggire un singhiozzo. 
«Perché ho dovuto bere quella roba? Perché sono qui?» gracchiai con un filo di voce. Non potevo più ignorare quella domanda. Il mio momento di pace si era bruscamente interrotto. L'espressione di Teyla sembrava quasi rammaricata. Forse non voleva darmi un'altra brutta notizia. 

«Oggi devi combattere. Nell'arena. 
L'acqua del Flegetonte serviva per non farti morire.»

Chiusi gli occhi. Ero così stanca. 
E quello era uno stratagemma così diabolico. 
"Siamo nei guai." 
Commentò la mia coscienza.


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