~Capitolo 1~

Angelica

Quando mi risvegliai ero sdraiata su una superficie granulosa. Mi tirai su, mettendomi a sedere, e reggendo la testa con la mano.
Mi faceva male, mentre anche i polmoni mi bruciavano, come se avessi appena passato un'ora in apnea. Tastando la sabbia sotto di me, per pochissimi istanti pensai di essere finita su una delle sponde del fiume e di essermi miracolosamente salvata.
Povera illusa.

Mi trovavo veramente sulla riva di un fiume, nonostante fossi in una mastodontica caverna, di cui non si vedeva il soffitto.
Delle nuvole cremisi, che occupavano il cielo, erano l'unica illuminazione dell'interno ambiente.
Pulsavano una luce rossiccia, così flebile da far apparire tutto ciò che mi circondava ancora più cupo di quanto già non fosse. Un fiume nero, tanto da sembrare inchiostro, scorreva dietro di me. Placido e apparentemente innocuo, la sua superficie ribolliva come in una pentola a pressione.

La sabbia, finissima, era umida e di un rosso stranamente vivido. Trovando la cosa tanto curiosa, quanto rivoltante, mi alzai in piedi con uno scatto. Con orrore, mi accorsi che avevo i vestiti completamente sporchi di... «Sangue?!» esclamai con voce stridula. Anche le mie mani, precedentemente appoggiate sulla sabbia, erano piene di un liquido rosso cremisi.
Mi salì un conato di vomito quando capii che era l'intera spiaggia a essere imbevuta di sangue.
«Oddio... dove mi trovo?»

Tentando di reprimere il disgusto tornai a guardarmi intorno, cercando un sentiero da imboccare per lasciare quella spiaggia degli orrori.
Di fronte a me c'era una vallata, di cui non si vedeva la fine, divisa in varie zone.

La parte destra ospitava una città che sembrava essersi fermata all'età dei romani. C'erano vari anfiteatri, grandi come il Colosseo, case popolari che si alternavano a palazzi imponenti e riccamente decorati, strade perfettamente dritte che si incrociavano ad angolo retto, piazze con obelischi e fontane.
Il tutto era così nero da farmi venire i brividi. Sembrava che la bellezza delle strutture romane fosse stata piegata da una volontà malvagia.
Come era stato per la spiaggia, qualcuno aveva cambiato i tratti della normalità per creare qualcosa di terribile.

A sinistra c'era una distesa di campi nebbiosi. Il terreno era irregolare, come se la terra nera fosse stata smossa per creare delle trincee. Privo di alberi, da quella distanza potevo solo distinguere delle figure confuse.
L'unica cosa certa erano le urla strazianti che il vento mi portava. Le urla e l'acre odore di fumo e sangue. Riuscivo a intravedere anche degli esseri volanti e piumati che, di tanto in tanto, si celavano in picchiata verso una di quelle povere persone.

Al centro le due zone erano divise da una lunga strada acciottolata, circondata da degli alberi neri, così ricurvi da sembrare pericolanti.
In lontananza c'era un castello degno di Dracula. Era l'unico edificio che non riprendeva lo stile romano della città e sembrava uscito dal 1800.
Con pinnacoli, guglie e un ponte levatoio, non si discostava dal nero che caratterizzava ogni cosa nella caverna.

Stavo ancora cercando di capire dove mi trovassi quando vidi due figure avvicinarsi.
Erano due uomini, uno con la stazza di un elefante, alto e muscoloso, l'altro più magro e slanciato. Anche i loro abbigliamenti erano completamenti diversi l'uno dall'altro.

Il primo portava una maglietta rosso scuro, dei pantaloni tutti rovinati e un paio di stivaloni taglia cinquanta, come minimo.
L'altro indossava una smoking nero, delle scarpe eleganti, estremamente lucide, e una camicia rossa. Un papillon nero completava la sua immagine da damerino.

Più si avvicinavano, però, più i dettagli del loro aspetto diventavano inquietanti. Le sopracciglia scure e arcuate, la pelle pallida, le mani dalle unghie affilate.
Entrambi avevano gli occhi iniettati di sangue, come se non avessero dormito abbastanza.

Forse sarei dovuta scappare, ma non ne avevo le forze. I miei polmoni ancora faticavano a respirare correttamente, mentre i miei arti erano terribilmente stanchi.

«Allora nome, cognome e motivo del decesso.» disse quello magro, tirando fuori cartellina e penna per appuntare le mie risposte.
«Ma voi chi siete? E dove mi trovo?» chiesi allontanandomi di qualche passo. Se avessi avuto bisogno di scappare meglio mantenere le distanza fin da subito.
Quello che mi aveva parlato per primo sbuffò guardandomi male.
«Sei all'Inferno, cara, e noi siamo gli addetti alle nuove anime; Trevor e Malcom.» disse indicano l'armadio accanto a lui.
Mi si rivoltò lo stomaco.
«Inferno?!» strillai sgranando gli occhi. Non potevo crederci.
«Sì, Inferno.» ribadì Trevor spazientito.
«Ora rispondi alle domande senza farmi scomodare i torturatori, per favore.»

Io non lo ascoltai e mi misi una mano sulla fronte, con la testa che ricominciava a pulsare con insistenza. Non riuscivo a pensare, con le tempie che mi bruciavano.
«Ragazza, noi demoni non siamo persone pazienti.» mi minacciò Trevor, sbattendo un piede con impazienza.
Degludii e mi affrettati a rispondere. «Angelica Skyler, uccisa affogata.»
Trevor annuì appuntandosi tutto.

Notai che quella che aveva in mano non era una penna normale. Sembrava un osso, forse quello di un dito, con la punta nera intrisa d'inchiostro. Rabbrividii. A chi apparteneva?

«E che cosa hai fatto per finire all'inferno? Omicidio, rapina, hai picchiato o mutilato qualcuno in modo da procurargli danni permanenti?»
Scossi la testa.
«Allora quale altro reato hai compiuto?» disse con tono incredulo, come se avessi la faccia di un'assassina. «Sei una rapitrice di bamibini? Spacciavi droga?» Indagò guardandomi intensamente.
«No, non ho mai infranto la legge, non so perchè mi trovo qui.»
Trevor mi guardo con disapprovazione, come se fosse deluso dal fatto che non avessi mai commesso un omicidio. Sospirò appuntando qualche altra cosa, continuando a scuotere la testa.

«Dobbiamo portarla al carcere, capo?» Malcom parlò per la prima volta, con la sua voce cavernosa. Era così roca perché, probabilmente, non la usava molto spesso.
«Sì, almeno fino a quando non capiamo in che campo della pena deve andare.»
Rispose Trevor annuendo.

Io li guardai spaventata. «Campo della pena?! E che carcere?» Loro mi guardarono con espressioni contrastanti.
Trevor era palesemente esasperato, mentre Malcom sembrava far fatica a comprendere troppe parole in poco tempo.

«Tranquilla... » Trevor sbircio la sua cartellina «... Angelica. Nessuno ti farà niente, almeno fino a quando non sarai assegnata al tuo campo.»
Degludii lanciando un'occhiata alla zona di sinistra. Notando il mio sguardo il demone parlò di nuovo.

«Non far caso a quelli, esagerano sempre. Essere attaccati dai grifoni e una delle punizioni meno crudeli!»
Rise con perfidia e anche Malcom si unì a lui.

Sospirai, terrorizzata. Perché ero finita all'Inferno?

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top