Next to you
Piper le sorrise. I denti bianchi che spiccavano sulla pelle caffelatte, gli occhi luminosi e la piuma bianca che penzolava da una ciocca dei capelli scuri.
Era così bella e ad Annabeth era mancata così tanto che il cuore le ruggì nel petto mentre iniziava a battere con forza contro la cassa toracica, quasi fosse intenzionato ad uscirci.
- Piper! - la chiamò e poi corse verso di lei mentre i capelli le sbattevano sulla schiena.
La migliore amica allargò le braccia e Annabeth accelerò ancora per arrivare prima da lei. Dal suo profumo, dal suo petto, dalle sue braccia.
Sarebbe stato necessario un solo passo e Annabeth avrebbe finalmente potuto riabbracciarla. Solo uno, quando il volto di Piper si contorse in una smorfia. Le braccia tese si piegarono e sussultò due volte mentre tossiva. Un rivolo di sangue le macchiò le labbra e le bagnò il mento. Una pozza di sangue sporcò la camicetta bianca e gli occhi, prima così luminosi, diventarono vitrei.
- No! - gridò Annabeth tentando di andare verso di lei. E fu come se un muro invisibile si opponesse a lei, impedendole di andare a salvare la migliore amica che ancora sputava sangue. - Piper! Piper!
Si lanciò contro quel muro con tutte le forze che aveva, rialzandosi ogni volta che cadeva all'indietro. - Fatemi andare da lei! - urlò prendendo la rincorsa e dando una spallata al muro, cadendo all'indietro. Si spazzò via dal volto le lacrime di rabbia che le rigavano le guance e poi caricò ancora una volta con un ringhio e l'ultima cosa che vide fu Piper, il sangue che le sgorgava dalle labbra e il corpo scosso dagli spasmi.
Si svegliò in un sussulto, sedendosi di scatto sul letto e sbattendo le palpebre un paio di volte, cercando di mettere a fuoco, nel buio, la sua camera al Campo Mezzosangue.
Piper non era morta e lei era al Campo. Non che questa fosse un'assicurazione.
Lanciò uno sguardo al suo telefono e schiacciò il tasto centrale soltanto per vedere che erano le tre e mezzo del mattino. E lei non aveva più sonno. E Piper le mancava anche più di quanto fosse stata disposta ad ammettere a sé stessa in quei giorni che era al Campo.
Si era sempre imposta di tenerla lontana dai suoi pensieri. Zia Marin era un ricordo troppo deprimente di suo perché fosse in grado di poterci aggiungere anche Piper. E inoltre, sapeva che non avrebbe mai potuto rivedere zia Marin. Sapeva che era rimasta in quella casa e il pensiero di dove potesse essere il suo corpo, come potesse essere ridotto il loro appartamento l'aveva assillata per troppe notti. Ma Piper. Piper era ancora lì fuori, forse troppo preoccupata per lei. Forse solo a conoscenza di ciò che riportavano i giornali e chissà che diavolo riportavano i giornali.
Piper era la sua migliore amica dai tempi delle medie e quasi si sentì in colpa per essersi concessa solo in quel momento di pensare a lei.
Afferrò il telefono e osservò con odio l'aereo sulla sinistra che avrebbe voluto far sparire. Si limitò a sbloccare lo schermo e andò sull'applicazione per le foto, andando sul rullino. Ingrandì l'ultima foto che aveva scattato e sorrise. Era un selfie che aveva fatto con Piper prima di entrare a lezione e si chiese, anche in quel momento, per quale motivo quella ragazza si ostinasse a voler usare i filtri di Retrica quando era così bella. Sorridevano entrambe, i volti vicini e gli occhi stanchi che riportavano il sonno perso la notte prima, passata a guardare tutti i film di Harry Potter in camera sua.
Scorse con il pollice e sorrise davanti a una foto sua, di Piper e di Talia. Quella volta i filtri non c'erano e con il mare alle sue spalle e le canottiere aderenti ai loro busti, Annabeth si ricordò di quella giornata d'estate e della reflex di Hazel. Si ricordò di Frank che l'aveva presa tra le mani grandi e che poi l'aveva puntata su loro tre che ancora si dovevano cambiare ma che, davanti all'obbiettivo, si erano strette l'una all'altra, sorridendo. Continuò a scorrere nella galleria delle foto, abbassando il volume per potersi anche guardare i video sensa senso, i flipgram fatti a casa di Piper, i selfie nei laboratori del college e quelli dentro lo Starbucks. I sorrisi allegri, i capelli troppo ricci di Hazel e gli occhi troppo azzurri di Talia.
Annabeth si fermò di colpo quando, continuando a scorrere nelle foto, trovò la sua preferita. Lei e Piper erano sdraiate sul prato del City College, gli zaini sotto alle testa che fungevano da cuscini, i libri sparsi vicino a loro e le matite abbandonate lì vicino. Piper era voltata verso di lei e rideva mentre Annabeth, con la testa inarcata verso il prato e le gambe piegate, chiudeva gli occhi per la risata.
Quella foto era priva di effetti e forse gliela aveva fatta Talia ed Annabeth neanche si ricorava il motivo per il quale stessero ridendo così tanto, ma andava bene così. Perché quella foto era bellissima, perché c'erano loro due e perché, obbligatoriamente, doveva diventare il suo blocco schermo. Quando la impostò, il cuore diventò un po' più pesante e solo dopo essere rimasta a guardarla per altri secondi, si rese conto di star piangendo. Le lacrime secche sul volto le fecero chiedere se avesse iniziato a farlo già da quando stava sognando ma smise di preoccuparsene troppo. Si lasciò cadere contro il cuscino morbido e poi si girò su un fianco, continuando a tenere il telefono stretto nella mano destra. Aprì il primo cassetto del comodino e tolse fuori un paio di auricolari bianchi collegandoli al cellulare e sistemandoseli nelle orecchie. Andò su Itube sollevando il volume con i tasti laterali e indugiando, col pollice sollevato,su Next to you, premendocelo poi delicatamente sopra e sistemandosi sotto le coperte.
"Sai, ci stavo pensando e noi non abbiamo ancora una canzone".
Annabeth aveva sorriso, portandosi il bicchierone in plastica di frapuccino al caramello, sorseggiandone un po' dalla cannuccia scura. "Ne hai già una in mente, vero?" Aveva intuito mentre Piper si era già chinata sulla sedia accanto a lei, portandosi la borsa scura sulle gambe scoperte dai pantaloncini di jeans. Ci frugò dentro per qualche istante togliendone un paio di auricolari chiari che infilò nel telefono. Ne incastrò uno nell'orecchio e porse l'altro ad Annabeth.
"So che Justin Bieber non ti piace" aveva esordito mentre cercava la canzone sulla playlist, sorridendo alla smorfia della bionda. "Ma in questa c'è anche Chris Brown ed è davvero bella."
Annabeth sorrise chiudendo gli occhi e lasciando che due lacrime le rigassero le guance mentre la canzone partiva.
You've got that smile that only even can make.
I pray to God every day that you keep that smile.
You are my dream, that's not a thing I won't do.
I'll give my life up for you, 'cuz you are my dream.
Ed Annabeth si lasciò cullare dalle parole di quella canzone mentre non smetteva di piangere ma riusciva a dormire.
And baby, everything that I have is yours.
You will never go cold or hungry.
I'll be there when you're insicure,
let you know that you're always lovely.
I'll be there, 'cuz you are the only thing that I've got right now.
One day when the sky is falling,
I'll be standing right next to you.
***
Una mano la scosse dal suo torpore e Annabeth aprì gli occhi di scatto ancora troppo intontita, mettendo a fuoco il volto lentigginoso e gli occhi elettrici di Talia.
- Andiamo, bionda. Fra cinque minuti dobbiamo andare a fare colazione - le disse dopo averle tolto gli auricolari che stavano sparando a tutto volume "Gone too soon".
Annabeth si alzò di scatto ignorando la testa che le girava e cadde giù dal letto maledicendo la migliore amica che, ridendo, si diresse verso l'armadio mentre lei andava in bagno per sistemarsi i capelli e lavarsi i denti.
- Vanno bene i leggins, la maglia del campo e una felpa nera imbottita dentro? - le gridò Talia dalla sua stanza e Annabeth la raggiunse mentre si spazzolava i denti, tenendo i capelli legati in una crocchia in cima alla testa. Annuì e poi Talia si affrettò a prederle il paio di All Star nere ancora più rovinate di quelle bianche. - Dovresti passare alle Doctor Martens, sai? - le disse mentre staccava gli auricolari dal cellulare e poi lo posava sul comodino, sedendosi sul letto. Osservò Annabeth che, emulando perfettamente una trottola impazzita girava per la sua stanza levandosi i vestiti e mettendosi quelli puliti.
- Le All Star sono molto più facili da infilare - giurò mentre si metteva quella destra saltellando, facendo poi la stessa cosa con la sinistra e tenendosi alla spalla dell'amica.
Talia lanciò uno sguardo all'orologio posizionato sopra l'architrave delle porte scorrevoli della Sala Comune e poi sorrise. - Cinque minuti esatti, bionda.
Annabeth si sciolse i capelli lasciandoli cadere lungo la schiena in una cascata dorata, scuotendoli priva di malizia e Talia si chiese, mentre camminavano velocemente lungo il corridoio, se quella ragazza avesse una vaga idea di quanto fosse bella.
Annabeth scoccò la prima freccia che si conficcò al centro del bersaglio e quando Will le diede il via, altre sagome iniziarono a muoversi davanti a lei sempre più velocemente.
Annabeth acchiappò una freccia dalla feretra e colpì la prima sagoma a qualche centimetro dal petto, piegando l'arco e per poter colpire velocemente anche la seconda, abbattendola.
Will azionò altre sagome e Annabeth scagliò una freccia dopo l'altra, spostandosi lungo il perimetro da tiro per poter colpirle i bersagli più velocemente, mantenendo la schiena dritta e le braccia tese.
Ignorò il dolore alle dita quando lasciò la male la corda, graffiandosi, e acchiappò un'altra freccia mirando a un bersaglio che si spostava più velocemente rispetto agli altri. Lo centrò in testa e poi colpì anche l'ultima sagoma a una spanna dal centro.
Una pallina da tennis le sfrecciò accanto all'orecchio e mirò a quella, mancandola per un soffio.
Imprecò, lasciando cadere l'arco al suo fianco e osservando la freccia che si sbatteva alla parete, cadendo poi a terra.
Will fermò le sagome con un clic metallico e Annabeth osservò la pallina da tennis con odio mentre rimbalzava blandamente sul pavimento, fermandosi pochi istanti dopo. - Sei migliorata tantissimo e in una sola settimana, lo sai questo?
La bionda sbuffò e Will sorrise prendendole l'arco dalle mani e togliendole delicatamente la faretra dalla spalla.
. Per oggi va bene così - esclamò Talia dal fondo della palestra dando un pugno sulla spalla di Luke mentre passava vicino al tappeto bordeaux. Il ragazzo la acchiappò per i fianchi prima che potesse sparire, baciandola mentre sorrideva, premendole le mani sulla bassa schiena e lasciandola andare solo dopo qualche secondo. - Non te la do lo stesso - affermò la mora puntandogli un dito contro mentre camminava verso Annabeth, affiancandola. - Da quanto si sta allenando con l'arco? - domandò a Will che sorrise, stringendo l'arma di Annabeth in una mano.
- Tre ore, più o meno - stimò.
Talia fulminò Annabeth con lo sguardo e la bionda sorrise, lanciandole un bacio un secondo prima che la mora potesse afferrarla per il polso, trascinandola verso la scala orizzontale.
La ragazza osservò Reyna che passava agilmente da un piolo all'altro, acchiappandosi prima con le mani e poi con le gambe, dondolandosi e dandosi lo slancio necessario per potersi ristabilizzare sulle mani. Quando vide Annabeth si lanciò cadere dalla scala a pioli raggomitolandosi su sé stessa e facendo una capriola mentre cadeva china sulle ginocchia.
Si rialzò lentamente, come se avesse tutto il tempo del mondo o come se non le importasse sprecarlo, osservando Annabeth con gli occhi scuri e abbozzando un piccolo sorriso.
- Immagino tocchi a me. - Incrociò le braccia sotto al seno. - Sono riusciti a staccarti dall'arco?
Annabeth scosse lievemente la testa e poi si lasciò andare ad una risata. - Più o meno. Voglio ancora prendere quella cavolo di pallina da tennis - borbottò e Talia rise, dandole una pacca sulla spalla e correndo da Luke, saltandogli sulla schiena e facendolo ridere mentre barcollava in avanti.
Annabeth si prese qualche secondo per osservarli e poi Reyna le passò affianco in un fruscio di abiti aderenti e capelli lunghi, andando all'inizio della scala. La bionda la osservò mentre ci saliva, stringendo poi le mani al primo piolo orizzontale. Aspettò che lei potesse arrivare al centro mentre saltava agilmente da un piolo all'altro e guardò la scala orizzontale, chiedendosi quanto potesse essere difficile dallo stesso gioco che faceva a Central Park quando era bambina. Certo, quello era molto più basso e zia Marin era sempre vicina in caso fosse scivolata, ma non poteva essere davvero così complicato.
- Ti raggiungo? - domandò e Reyna sorrise, scuotendo la testa. Dondolò per qualche secondo e poi fece forza sulle braccia, sollevandosi oltre i pioli. Sistemò i piedi su una delle travi in legno in perfetto equilibrio e osservò Annabeth, facendo qualche passo all'indietro senza tentennare neanche un attimo.
- Si, qui.
La bionda continuò a tenere le mani strette al primo piolo e i piedi sulla scala mentre guardava la ragazza come se avesse qualche problema alla testa. Cosa che, effettivamente, sarebbe potuta anche essere vera. - Stai scherzando? - ma poi guardò la faccia di Reyna e sbuffò. - Immagino di no.
Prese un respiro profondo e poi, ignorando le braccia che le tremavano per lo sforzo e per la paura, sistemò un primo piede sulla trave, esitando a metterci anche il secondo. Solo dopo qualche istante allineò il destro davanti al sinistro, constando con orrore di essere ad almeno cinque metri da terra mentre le due travi che tenevano assieme i pioli erano larghe abbastanza per ospitare a stento un solo piede.
Si sollevò lentamente e le piacque pensare, mentre allargava le braccia alla ricerca di equilibrio, che le gambe stessero tremando per lo sforzo e non per la paura di cadere a terra senza materassino.
- Terza lezione: equilibrio - disse Reyna con le braccia ancora incrociate sotto al seno, osservando Annabeth come se non fossero in precario equilibrio su una cavolo di trave troppo stretta.
La bionda si premurò di maledire l'altra in tutte le lingue che conosceva e si morse il labbro, evitando di sussultare quando la porta della palestra si aprì di scatto.
- Cia.. REYNA! - esclamò Percy andando verso di loro. - Che diavolo stai facendo? - urlò osservandole dal basso.
La castana sollevò le sopracciglia impassibile. - Equilibrio - rispose.
Gli occhi di Percy saettarono da quelli di Reyna a quelli grigi di Annabeth che, per qualche istante, si concesse di guardare il ragazzo sotto di lei.
- E sei davvero sicura che questo sia il modo migliore per introdurle la lezione? - domandò, la voce tesa e i muscoli contratti.
Reyna fece spallucce e Annabeth la maledisse un altro paio di volte osservandola, tremando sulle gambe per lo sforzo e la paura, accostando lentamente le braccia al corpo. - Vieni verso di me - ordinò e Annabeth fu tentata di scuotere la testa, mandarla al diavolo e cercare un modo per scendere, ma l'orgoglio prese il sopravvento sulla paura.
Era quasi certa che ci fosse ancora Percy vicino a loro e quella non fu sicuramente una consapevolezza benefica, considerando che quegli occhi la distraevano fin troppo.
Andiamo, Annabeth. Non può essere così difficile.
Scoprì solo dopo quanto si sbagliasse
Mosse il piede sinistro per spostarlo davanti al destro e allargò le braccia alla ricerca di un equilibrio che non era certa le stessero insegnando nel modo giusto. Evitò di osservare l'All Star slacciata sospesa nel vuoto e poi fermò il piede davanti a quello destro. Solo quando lasciò un sospiro profondo si rese conto di aver trattenuto il fiato fino a quel momento.
- Ancora - le disse Reyna e Annabeth sollevò gli occhi verso di lei, controllando le gambe che tremavano e che rischiavano di farla cadere.
Reyna era a due passi normali da lei e Annabeth era quasi certa che avrebbe senza dubbio impiegato ore a raggiungerla.
Mosse il piede destro lentamente sistemandolo davanti al piede sinistro e barcollando pericolosamente verso il vuoto, mentre il cuore le balzava in gola. Imprecò sotto voce e strinse i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi, concetrandosi su quel dolore per dimenticarsi della paura.
Staccò il piede sinistro con più sicurezza, senza prestare abbastanza attenzione alla velocità e alla forza che ci stava mettendo. Fu questione di un attimo e quando la suola della scarpa toccò il legno, si rese conto di aver messo il tallone troppo vicino alla punta della All Star destra. Barcollò verso il vuoto senza riuscire a recuperare l'equilibrio e in un attimo stava cadendo. Sapeva che avrebbe dovuto girarsi e cadere sui piedi ma si rese conto di non avere abbastanza tempo e pratica solo quando, dopo un istante, sbatté con forza i piedi contro al pavimento, cadendo all'indietro e sbattendo la schiena a terra.
La testa subì il contraccolpo della caduta ma i capelli, legati in una crocchia sulla nuca, amortizzarono il dolore. Il fiato le si mozzò nel petto e inarcò la schiena, nel tentativo di recuperare aria.
Sentì le voci dei ragazzi arrivarle ovattate alle orecchie e sbatté le palpebre, mettendo a fuoco a pelle chiara e gli occhi verdi di Percy. La sollevò da terra con facilità, come se fosse senza peso e poi la mise in piedi, sostenendola per le spalle e raddrizzando la schiena.
Annabeth si posò ai muscoli tesi del suo petto e ascoltò il suo respiro che si infrangeva contro la pelle per recupare il proprio. Inarcò la schiena all'indietro e Percy aspettò qualche secondo per lasciarla andare, continuando però a tenerla per le spalle.
Annabeth si bagnò le labbra ignorando la testa che le pulsava per il colpo, barcollando quando Percy si spostò da dietro di lei. Si voltò abbastanza in tempo per vedere Talia che colpiva Reyna con un pugno allo zigomo, abbastanza forte da farle scattare la testa all'indietro.
- Idiota - sibilò, andando poi davanti ad Annabeth. - Va tutto bene? - domandò mettendole una mano sulla spalla e osservandola con apprensione.
E la bionda annuì, deglutendo a vuoto un paio di volte, passandosi la lingua secca sulle labbra e toccandosi poi denti e guance che sembravano reduci da una bella scorpacciata di sabbia. Barcollò all'indietro quando le cadettero le gambe e un braccio forte la fermò prima che potesse farlo Talia, riportandola dritta ed esitando sulla sua schiena, come se avesse avuto paura di vederla cadere ancora una volta.
- Voglio riprovare - gracchiò staccandosi dal braccio che la stava tenendo, facendo due passi avanti e voltandosi verso Reyna che sorrise compiaciuta, quasi ignara dello zigomo rossastro e gonfio.
Talia e Percy la guardarono come se fosse uscita di senno e Annabeth, per un solo istante, mentre andava verso la scala cercando di camminare normalmente, lottando contro la schiena dolorante, pensò di esserlo.
- Annabeth - la chiamò Luke e gli occhi azzurro chiaro la inchiodarono sul posto, quasi scannerizzandola al fine di poter trovare il problema. - Sei sicura? Voglio dire, c'è anche domani o anche dopo pranzo - le ricordò ma Annabeth annuì un paio di volte, decisa a porre rimedio alle crepe nel suo orgoglio.
Salì sulla scala lentamente e si acchiappò al primo piolo, issandosi sulla trave lentamente, facendo fronte alle gambe e alla braccia che tremavano.
Reyna la raggiunse velocemente, prendendo la ricorsa e issandosi lateralmente, facendo vibrare leggermente tutta la scala. - Si tratta di equilibrio ma non si limita solo a quello fisico - le rivelò facendo un passo all'indietro come se stesse camminando per la strada e non su una trave troppo sottile. - Si tratta di equilibrio mentale. E si tratta di un equilibrio che raggiungi solo se ti fidi di te stessa.
Annabeth corrugò la fronte. - Io mi fido di me stessa.. - mormorò ma proprio quando lo disse, la sua convinzione scemò lentamente.
Reyna scosse la testa e le regalò un piccolo sorriso. - Ti ho fatto salire quassù da subito perché avevo bisogno di capire quanta fiducia riponessi. - Fece un altro passo all'indietro. - è poca - le rivelò e Annabeth ebbe un tuffo al cuore che, per la prima volta da quando era salita sulla trave, non era dovuto alla paura. - Si parla di equilibrio ma si tratta di fiducia. E si, si parla anche di addominali e posizione dei piedi - aggiunse gesticolando un po' e strappando un sorriso nervoso ad Annabeth che spostò lentamente gli occhi dai suoi piedi a Reyna. - Distanzia un po' più i piedi e poi contrai gli addominali. - Le spiegò e Annabeth eseguì lentamente facendo strisciare il piede destro in avanti di qualche centimetro. - Non pensare all'altezza. Pensa di essere sul bordo di un marciapiede, pensa di star stringendo la mano di qualcuno mentre cammini e solo quando ti senti pronta, vieni verso di me.
Annabeth annuì e ignorò gli sguardi degli amici sotto di lei. Sapeva che lo facevano perché le volevano bene ma i loro occhi puntati le mettevano più ansia del dovuto e sia la testa che la schiena le ricordavano già abbastanza quanta paura fosse capace di provare. Chiuse il terrore che le attanagliava lo stomaco in un angolo del suo corpo e poi allargò le braccia, strinse il pugno della mano destra e sorrise quando zia Marin la accompagnò, tenendo le dita intrecciate alle sue e un gelato nella mano libera.
"Forza, piccola dea! Senza cadere, andiamo! Fidati di zia Marin!" le diceva e Annabeth mosse un altro passo verso Reyna, osservandosi le punte sporche delle All Star.
"Posso fidarmi di me stessa?"
"Certo piccola dea".
Ed Annabeth abbassò le braccia lungo i fianchi continuando a contrarre gli addominali e a mettere un piede davanti all'altro.
"Solo dopo che hai espirato, lascia andare la freccia" ed Annabeth continuò a camminare con più sicurezza, certa che non sarebbe più caduta.
Barcollò mentre muoveva il piede sinistro e Talia le sorrise. "C'è sempre un modo per ribaltare l'incontro" e Annabeth riacquistò l'equilibrio chiudendo il panico in un angolo di sé per la seconda volta, fermandolo prima che potesse prendere il sopravvento su di lei.
Camminò ancora e quando le scarpe di Reyna entrarono nella sua visuale, sollevò il volto, incontrando il occhi scuri della ragazza.
- Ribaltare, respirare ed equilibrio. Ce l'hai fatta, Annabeth.
E la bionda rise, lasciandosi cadere all'indietro senza una logica. Era come se fosse certa che sarebbe caduta sul morbido.
- Annabeth!
Solo dopo, realizzò di essere caduta su Percy. Il suo corpo aveva attutito la caduta e la bionda si sistemò meglio sul suo petto quasi per istinto mentre raggomitolava le mani tra loro due. - Grazie, Testa d'Alghe - sorrise e il moro la guardò con la fronte corrugata, addolcendo lo sguardo pochi attimi dopo.
- È sempre stato il mio sogno farti da materasso - rispose sarcastico mentre le iridi verdi scintillavano divertite anche se le labbra si ostinavano a nascondere un sorriso.
***
Il clima era ancora più freddo rispetto ad altri giorni e ad Annabeth piaceva. Le era sempre piaciuto l'inverno, la pioggia scrosciante, persino i tuoni. Le era sempre piaciuta l'idea di un film o di un libro sotto alle coperte con una tazza di thé fumante. L'inverno significava tenerezza, per lei. Coccole a non finire e cioccolata calda. Significava Skins, significava i film strappalacrime e le commedie romantiche.
Sicuramente, l'inverno per lei non era mai stato il correre sotto la pioggia per arrivare all'Arena. Non era mai significato scivolare sul pavimento in pietra del Campo così come non era mai significato tremare come un pulcino, entrando in un posto chiuso dove non la aspettavano né un thé caldo né una coperta ma solo una Reyna bramosa di farle trovare l'equilibrio.
- Piove? - le domandò con un mezzo sorriso sulle labbra carnose e Annabeth si liberò della felpa nera completamente fradicia, abbandonandola a terra mentre, camminando, lasciava la scia delle suole bagnate e dei vestiti gocciolanti.
- No. Ho solo pensato che, per risparmiare, sarebbe stata una buona idea farsi una doccia vestita. Sai, almeno non faccio fare troppa fatica alla lavatrice.
Luke sollevò un pugno verso di lei. - Questa era ottima.
E Annabeth rise, facendo scontrare le loro nocche.
Talia le rivolse un cenno della testa veloce, voltandosi poi di scatto e colpendo al pieno petto un bersaglio che si muoveva.
Percy non c'era. Ma poi, cosa gliene fregava di Percy?
- Dov'è.. - si tappò la bocca pochi istanti dopo, superando Reyna e ignorando il freddo in tutto il corpo.
- Chi? - domandò la ragazza seguendola con lo sguardo mentre arrivava alla scala.
Annabeth scosse la testa e fece per salire. - Nessuno - e si morse il labbro inferiore quasi per punizione mentre si aggrappava al piolo più alto della scala per poter arrivare a quelli orizzontali.
Reyna la osservò ancora e poi si avvicinò a lei con calma, osservandola con le braccia incrociate sotto al seno. - Adesso appenditi - le disse quando fu arrivata all'ultimo piolo della scala e chiudeva tra le mani il primo di quella orizzontale.
- Eh? - Annabeth realizzò solo dopo cosa volesse dirle e rafforzò ancora di più la presa sul legno mentre si dava lo slancio, penzolando poi per aria. Le mani presero a bruciarle per lo sforzo dopo pochi secondi e Reyna la osservò da sotto, prendendo poi lo slancio e saltando, acchiappando uno dei pioli centrali e dondolandosi con la stessa facilità con la quale Annabeth avrebbe estratto il telefono dalla tasca posteriore dei jeans.
- Adesso arriva fino in fondo - le ordinò e la bionda tentò di figurarsi sé stessa mentre lo faceva nel giardino di Central Park, con zia Marin che le camminava affianco, sempre all'erta in caso avesse rischiato di cadere.
Ma se camminare sulla trave le era sembrato difficile, passare da un piolo all'altro, ignorando il corpo che dondolava e le mani che bruciavano fu anche peggio.
Quando arrivò al quarto aveva il fiato corto, i palmi che andavano i fuoco e le spalle tese, oltre a un odio crescente verso Reyna che in quel modo aveva deciso di dondolare a testa in giù, osservandola seria, come se tutto quello fosse normale.
- Non mollare Annabeth - disse la mora con la voce leggermente strozzata per la posizione e Annabeth sbuffò, dondolandosi per passare all'altro piolo, staccando prima una mano e poi l'altra.
La scala le sembrava troppo lontana e l'unica cosa che voleva era fermarsi, prendere fiato, avvolgersi in una coperta e non riemergere più dai cuscini del divano del salotto fino al mattino dopo. Ma non poteva e lo sapeva bene. Era in guerra, che fosse contro sé stessa o contro la Cronos non faceva poi così tanta differenza.
Quanto tentò di arrivare all'altro piolo, la mano stanca scivolò sul legno e prima che potesse realizzarlo, cadde a terra, sbattendo le ginocchia e le mani troppo forte.
Trattenne un'imprecazione a stento e Reyna si lasciò cadere elegantemente difronte a lei, osservandola con un velo di preoccupazione negli occhi scuri.
Gemette e ignorò Talia che la chiamava, abbandonando l'arco e la freccia incoccata lungo il fianco.
- Tutto a posto? - le chiese Reyna e Annabeth annuì, sollevandosi sulle gambe doloranti, stringendo i pugni forte, conficcandosi le unghie nei palmi e aggrappandosi a quel dolore invece di quello alle ginocchia.
- Voglio riprovarci - disse decisa e Reyna sorrise, facendole un cenno verso la scala.
Annabeth si arrampicò lentamente e poi strinse il primo piolo tra le mani, continuando a tenere le scarpe bagnate sulla scala verticale.
- È sempre la stessa solfa, Annabeth.
- Equilibrio? - tentò lei e Reyna scosse la testa, saltando e aggrappandosi ai pioli centrali, come aveva fatto prima.
- Credere in te stessa.
E Annabeth si lasciò andare, acchiappandosi subito al secondo piolo prima con la mano destra e poi con la mano sinistra.
Era più difficile in quel momento. Le mani le facevano male e le ginocchia le pulsavano così tanto da rendere quasi impossibile concentrarsi sul non cadere di nuovo ma doveva farcela. Doveva credere in sé stessa e digrignò i denti mentre passava al terzo piolo, resistendo alle braccia che tremavano e alle mani che chiedevano solo di essere lasciate in pace.
"Andiamo, piccola dea. Sai che puoi arrivare dall'altra parte!"
Annabeth sbuffò, tenendo i piedi sulla scale e le mani sul primo piolo orizzontale. "E se cado?"
E zia Marin rise, buttando i capelli biondi sulle spalle e ripuntando gli occhi verdi nei suoi grigi. "E se cadi ti fai male e ti rialzi".
"E se mi faccio così tanto male da non riuscire neanche a rialzarmi?"
E zia Marin corrugò la fronte, puntando le mani sui fianchi e camminando verso di lei, quasi arrabbiata. "Riuscirai sempre a rialzarti, piccola dea. È questo quello che fanno le guerriere" e poi le sorrise a un palmo dal suo viso. "E tu sei la più bella piccola dea guerriera che crede in sé stessa." sussurrò come se fosse un segreto, toccandole la punta del naso col polpastrello e facendola ridere.
"Ma tu mi aiuterai?" le domandò non del tutto sicura di ciò che stava per fare, continuando a fissare la terra che, per i suoi gusti, era troppo lontana da lei.
"Certo che ti aiuto, ma tanto ce la farai da sola".
E Annabeth osservò l'altro piolo, sbattendo le palpebre per poter spianare la vista, staccando prima il braccio destro e poi il sinistro, ripetendo la sequenza per almeno altri tre pioli senza mai fermarsi o esitare.
Il corpo ondeggiava nel vuoto e le mani tremavano ma lei poteva e doveva farcela.
Reyna indietreggiò senza smettere di guardarla, regalandole sorrisi sempre più compiaicuti mentre Annabeth si avvicinava a lei, trattenendo i grugniti e il dolore per lo sforzo.
- Ci sei quasi, Annabeth! - esclamò la ragazza e prima che la bionda potesse afferrare l'ultimo piolo, la mano sinistra, stanca, scivolò, facendola cadere. Riuscì a piegare le ginocchia prima di farsi troppo male, rotolando poi di lato e osservando il soffitto alto mentre, con le braccia distese attaccate al corpo, riprendeva fiato.
Imprecò un paio di volte e poi si voltò verso Reyna che sorrise ancora, scendendo elegantemente a terra e andando verso di lei. - Ho fallito - disse rialzandosi faticosamente, puntando le mani rossastre a terra per potersi mettere in piedi. Costrinse le ginocchia doloranti a sostenere il suo peso ancora per un po' e poi la mora sorrise, arrivandole al fianco.
- Guarda dove sei arrivata - sorrise, mentre le indicava il terzultimo piolo, cercando poi gli occhi di Annabeth ancora una volta. - Hai fatto tutto, meno che fallire - le assicurò e Annabeth sorrise, un attimo prima che le si annebbiasse la vista, mentre cadeva all'indietro.
Quando riaprì gli occhi, il volto lentigginoso di Talia fu la prima cosa che vide.
- Ti ho sempre chiamato Sapientona ma credo proprio che oggi abbia perso il titolo - le sorrise e Annabeth sbuffò, sbattendo le palpebre un paio di volte per riuscire a mettere a fuoco lo spazio circostante.
Era in palestra, era ancora sdraiata a terra e con ogni probabilità era svenuta per lo sforzo, la stanchezza e il freddo.
- So che siamo un campo di addestramento ma abbiamo degli ombrelli che tu avresti potuto usare invece di correre sotto la pioggia come una deficiente.
E Annabeth ci mise poco a collegare quel tono aspro col volto di Percy. Si sedette di scatto, portandosi una mano alla fronte quando la testa prese a girarle con violenza, abbastanza da spingere Talia a sostenerla con una mano sulla schiena mentre Luke le si avvicinava con un bicchiere d'acqua. - Sai, esiste una cosa chiamata gentilezza che ti solito ti permette di circondarti di persone che potrebbero anche iniziare a volerti bene - rispose fredda con un sorriso sarcastico, anche se la testa le girava e la vista era di nuovo appannata e la sagoma di Percy si alternava con dei puntini neri che non le piacevano per niente.
E il ragazzo rise aumentando l'odio cocente che Annabeth nutriva nei suoi confronti. - Forse non mi importa, ci hai mai pensato?
La bionda sollevò le sopracciglia chiare, ignroando le mani che Talia e Luke le stavano porgendo per aiutarla a rialzarsi. - Forse sei solo troppo stupido per capire quando sarebbe meglio stare zitto, Percy - sibilò, riuscendo a mettersi in piedi con le sue sole forze.
Gli diede le spalle e recuperò la felpa da terra, sperando che nessuno, sopratutto lui, l'avesse notata mentre barcollava. Si diresse verso la porta e la tirò verso di sé con le poche forze che aveva, augurandosi di non trovare la pioggia appena avesse messo piede fuori dall'Arena. Quando la fortuna decise di non assisterla neanche quella volta, Annabeth si ritrovò a correre sotto la pioggia ancora una volta sperando che la sua Casa potesse magicamente avvicinarsi a lei. Rischiò di cadere troppe volte e quando riuscì a raggiungere la sua stanza si godette il caldo che la avvolse placidamente. Si chiese se fosse il caso di farsi una doccia calda mentre si liberava dei vestiti bagnati.
Crollò sul letto prima che potesse muovere un solo passo verso la porta del bagno e si rintanò sotto le coperte pesanti, tirandosele sopra al mento e scaldando il corpo nudo.
In pochi istanti, era già crollata.
***
Sapeva che quello era un sogno. Aveva rivissuto così tante volte l'incidente in macchina che aveva ucciso i suoi genitori da conoscerne i dettagli a memoria. Sapeva che il suv avrebbe girato verso di loro, su di loro, quando il papà era in procinto di dire "Fra poco". Sapeva che la mamma l'avrebbe chiamato, sapeva che poi, si sarebbe svegliata di soprassalto eppure, il cuore prese a batterle all'impazzata quando si sedette di scatto sul letto stringendosi le coperte sul seno nudo.
Si passò una mano tra i capelli ancora un po' umidi per tutta l'acqua che si era presa e sbuffò quando, sporgendosi sul comodino per illuminare il cellulare, vide che erano le due del mattino. Fuori doveva fare il doppio del freddo che faceva quel pomeriggio ma lei aveva comunque bisogno di uscire, prendere aria e ricordarsi di essere al sicuro per calmare il cuore che ruggiva nel suo petto, tentando di uscire.
Scostò le coperte dal suo corpo e si diresse verso l'armadio prendendo una felpa calda e un paio di jeans scuri, infilandoli solo dopo essersi allacciata il primo reggiseno che aveva trovato nel cassetto ed essersi messa le prime mutande che le capitarono sotto tiro. Tolse i capelli da sotto la felpa e poi si infilò le All Star bianche slacciate facendo saettare lo sguardo dalla porta alla finestra che faceva filtrare la luce della luna.
Con ogni probabilità, uscendo dalla porta avrebbe fatto il doppio del casino e chiuse la sua stanza a chiave, aprendo la finestra e rabbrividendo per il vento freddo che le scompigliò i capelli. Scavalcò facilmente e atterrò con un leggero tonfo sulla pietra bagnata osservando il muro dell'alloggio maschile dei guerrieri, girandosi poi a sinistra e camminando verso il molo.
Normalmente avrebbe cercato il punto più alto per poter osservare le luci della città ma aveva come la mezza impressione che non ci fossero punti più alti e il mare sembrava la soluzione più plausibile e fattibile.
Camminò velocemente, china sulle ginocchia e con il cappuccio tirato sui capelli biondi per evitare di essere vista e superò facilmente qualche duna di sabbia, arrivando al molo e prendendosi qualche secondo per osservare il mare scuro e le luci della città in lontananza. Non era come affacciarsi sul suo terrazzo nella casa di zia Marin ma le piaceva.
Il mare si muoveva placidamente, infrangendosi dolcemente contro la riva, cullandola e rallentando i battiti del suo cuore che tornarono regolari dopo pochi istanti.
Per qualche tempo Annabeth riuscì anche a non pensare al freddo che penetrava sotto la pelle, insinuandosi nelle ossa e facendola rabbrividire. Camminò verso la riva lentamente, ascoltando il suono del mare e le scarpe che scricchiolavano sulla sabbia bagnata. Quandò arrivò abbastanza vicina al mare da poterne sentire il profumo, si sedette, raggomitolando le ginocchia al petto e stringendosi il polso destro con la mano, osservando il paesaggio scuro davanti a sé.
- Cosa ci fai tu qui?
E quella pace che l'aveva avvolta dolcemente venne interrotta bruscamene, facendola sussultare per lo spavento. - O mio dio - sibilò mordendosi il labbro per trattenere un grido e un'imprecazione, osservando la sagoma di Percy e il fuoco della sigaretta che era l'unica cosa ben visibile nel buio di quella notte.
Annabeth deglutì un paio di volte, sistemandosi sulla sabbia come se non avesse trovato una posizione comoda da almeno cinque minuti. - Probabilmente la stessa cosa che ci fai tu - rispose riportando lo sguardo grigio difronte a sé.
Un tonfo e l'odore di fumo che le arrivava con più forza alle narici le fecero intuire che Percy doveva essersi seduto accanto a lei e quella, senza dubbio, fu una grossissima novità. - Cosa hai sognato?
Annabeth si voltò di scatto verso di lui corrugando la fronte consapevole che, quasi sicuramente, non fosse in grado di notare l'espressione del suo volto per il buio fitto. - Cosa? - domandò e quando Percy abbozzò una risata, interrotta solo per portarsi la sigaretta alle labbra, Annabeth capì di non essere riuscita a fregarlo.
- Cosa hai sognato? - chiese ancora una volta con la voce un po' nasale per il fumo, soffiando via il resto. - Hai detto che sei qui per il mio stesso motivo e io ho avuto un incubo. Tu cosa hai sognato?
Annabeth lo osservò con più attenzione mentre gli occhi si abituavano al buio, iniziando a distinguere i tratti del volto di Percy, la sigaretta accesa e la mano che la stringeva. Teneva le gambe un po' piegate e divaricate e le braccia stavano poggiate ai gomiti mentre guardava difronte a sé. Stupidamente si domandò come fosse possibile che un ragazzo come Percy, in grado di spaccare il modo, potesse avere degli incubi. - Non penso di volertelo dire - rispose schietta riportando gli occhi grigi sul panorama davanti a sé, facendolo ridere un'altra volta.
- Non sei una ragazza che parla molto - constatò e Annabeth si voltò verso di lui ancora una volta.
- No - disse osservandogli il profilo, seguendo la mano che portava la sigaretta alle labbra. - Non mi fido di te - confessò. - E questa è una cosa ben diversa.
Percy rise ancora soffiando fuori il fumo e lanciando la sigaretta finita sulla sabbia bagnata, lontano da loro. - Immagino che questa sia colpa mia.
Annabeth piegò il viso e se solo Percy avesse potuto vederla, avrebbe ammirato l'espressione più sardonica del repertorio della ragazza. - Non sei così idiota come pensavo, allora - esclamò e il moro rise ancora, ordinandole però di abbassare la voce.
Ad Annabeth sembrò si stesse passando una mano tra i capelli e poi lui si voltò verso di lei. - Non capisci - si limitò a dire e lo stomaco di Annabeth ribollì per la rabbia.
Erano poche le cose che Annabeth non capiva e il fatto che quel ragazzo glielo stesse dicendo così, su due piedi, senza neanche fornirle le basi per poter capire, per poter capire lui, la fece infuriare. - Zitto - sibilò e quando allungò un braccio dando un pugno sulla spalla di Percy, trovò un fascio di muscoli contratti.
Prima che potesse allontanarsi, il ragazzo le chiuse il polso nella mano grande quasi dolorosamente e Annabeth si impose di non gemere mentre la tirava verso di sé. - Tu non capisci - sibilò colpendola col fiato che sapeva di fumo e dentifricio. - Tu non capisci e parli comunque.
E se non fossero stati così vicini, se Annabeth non fosse stata certa di avere le sue labbra a così poca distanza dalle proprie, avrebbe potuto rispondere con più decisione. - Tu non mi permetti di capire - mormorò cercando con gli occhi le iridi verdi del ragazzo che le stringeva ancora il polso in una morsa ferrea che aveva smesso di darle fastidio.
Percy si umettò le labbra con la lingua e Annabeth lo osservò ancora, maledicendo il buio che le impediva di vedere il ragazzo bene come avrebbe voluto. - Non voglio permettertelo - sussurrò mentre il fiato si infrangeva, adesso, contro le labbra di Annabeth. - Non voglio che tu capisca perché non voglio avvicinarmi a te.
E la ragazza sbarrò gli occhi mentre il respiro le si mozzava in gola e mentre -ne era certa- le labbra di Percy si facevano ancora più vicine del necessario. - Percy - mormorò. - Non farlo - tentò. - Non allontanarmi. Dammi almeno la possibilità di avvicinarmi a te - lo supplicò quasi sporgendosi lentamente verso di lui, lasciando che i loro respiri potessero fondersi, lasciando che la notte fosse unica testimone di ciò che stava per accadere.
Percy sfregò il naso contro il suo una, due volte prima di scuotere la testa, lasciandole il polso e alzandosi di scatto.
Annabeth lo seguì a ruota cercando il suo corpo nel buio della notte, cercando di vedere le sue reazioni o il suo viso. Ignorò il cuore che le martellava nel petto e desiderò, per un solo istante, di seppellire la testa nel petto di Percy, di respirare il suo profumo, di lasciarsi stringere dalle sue braccia forti. Desiderò di essere cullata da quel ragazzo che non voleva affezionarsi a lei, che non voleva farla avvicinare. Desiderò di non aver mai conosciuto Percy che le stava facendo del male e che le impediva di volergli bene come avrebbe voluto.
- Più persone ami e più hai da perdere.
La sua voce risuonò chiara nel silenzio della notte colpendo Annabeth in pieno petto con la stessa potenza e con la stessa cattiveria di una stilettata. - Io non posso affezionarmi anche a te, Annabeth. Non posso - ripeté con più decisione e la ragazza decise di ignorare la voce e il corpo di Percy che erano sempre più vicini a lei.
- Tu ti sei già affezionato a me - mormorò mentre i pochi momenti belli che avevano passato assieme le scorrevano dispettosi tra i pensieri come se fossero parte di una pellicola in bianco e nero anni cinquanta.
Percy respirò con più forza. Il suo profumo misto a mare e fumo invase le narici di Annabeth e lei sollevò per istinto il volto, osservando i tratti di quello del ragazzo. - Buonanotte, Annabeth - si limitò a dirle e la mano che stava per poggiarsi sulla sua guancia, tornò lungo il fianco di Percy che le diede le spalle, camminando lentamente verso le cabine mentre le scarpe scricchiolavano sulla sabbia umida e più compatta.
E Annabeth rimase lì, in piedi con gli occhi ancora puntati verso la direzione dov'era sparito Percy. Con il cuore che le batteva più forte del necessario e le gambe che tremavano più di quanto si aspettasse.
L'adrenalina che l'aveva tenuta in piedi fino a quel momento, che le aveva anche impedito di tremare per il freddo, scomparve tanto velocemente quando era arrivata e Annabeth crollò sulla sabbia, sedendosi poi in modo da poter vedere il mare.
Ignorò lo stomaco che si contorceva, il cuore che batteva forte e i pensieri che erano indirizzati, quasi dispettosamente, sul bel volto di Percy.
Non ti piace, smettila.
Ma quasi a volerla contraddire, il respiro del ragazzo tornò forte a invaderle le narici, facendole scuotere la testa per il fastidio, constatando con rabbia, che il sonno le era passato e chissà quando l'avrebbe recuperato.
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