Epilogo - 18

Annabeth nascose il volto sotto al piumone pesante, quello che avevano comprato a una svendita da Macy's qualche mese prima.

"è ora di cambiarlo, Testa d'Alghe! E questo color panna starà molto meglio con le pareti della nostra stanza".

"Si, ma l'altro era blu!"

Si strinse più vicino al fianco nudo di Percy e sorrise, sollevando il volto e osservando la sua espressione rilassata, la bocca schiusa mentre ancora dormiva, tenendo un braccio posato naturalmente attorno ai suoi fianchi.

Si sistemò meglio sul cuscino, per osservarlo ancora un po'. Per godersi quell'espressione rilassata che, ormai da anni, vedeva sul bel volto finalmente cresciuto. Sul bel volto di un ventiduenne con i tratti marcati, segnati dal dolore e dal tempo che era passato. Segnati da quel po' di barba scura che le piaceva tanto.

Si prese altri istanti per studiarlo dolcemente, per osservare i muscoli sviluppati, snelli, che si tendevano spledidamente quando la stringeva, mentre facevano l'amore.

Quei muscoli sviluppati che prima si tendevano per picchiare ed uccidere.

I've got an heart and I've got a soul.

Believe me, I use them both

I capelli erano ancora quelli di quando avevano diciotto anni. Erano ancora disordinati, arruffati per le mani che ci passava continuamente in mezzo, e per quelle di Annabeth che li stringevano ogni volta che poteva.

E gli occhi. Anche gli occhi erano sempre quelli di diciotto anni fa, forse con una sfumatura più triste, più matura. Forse, con una sfumatura più consapevole che riportava un'infanzia distrutta e un'adolescenza passata a combattere. Ma quegli occhi erano ancora gli stessi che, quattro anni fa, la scrutavano in silenzio, quelli che la studiavano per capire le sue mosse, quelli che la capivano con talmente tanta facilità da farle anche un po' paura.

Erano quattro anni che non combattevano più. Quattro anni che avevano lasciato il Campo Mezzosangue, che erano usciti dal programma protezione testimoni consapevoli che, la minaccia l'avesse uccisa Annabeth, con un coltello dritto nel cuore. Consapevoli di avere le mani troppo sporche di sangue perché potessero continuare ancora.

Erano andati via, portandosi un peso troppo grande addosso perché potessero permettersi il lusso di non condividerlo.

Erano andati via e adesso stavano bene. Forse un po' ammaccati, ma felici.

Annabeth guardò Percy, sorrise mentre gli passava una mano tra i capelli arruffati, scostandoglieli dalla fronte chiara. Poi si sporse verso di lui, baciandogli un angolo delle labbra.

Lo vide muoversi contro di lei, mugugnare e poi aprire quegli occhi verdi che le piacevano tanto, ancora assonnati, ma luminosi.

- Lo so che ami guardarmi, ma rischi di sciuparmi – disse con la voce ancora impastata e con un sorriso sardonico che gli stirava le labbra rosee.

Annabeth lo smorfiò senza neanche preoccuparsi di trattenere un sorriso divertito, sporgendosi verso di lui ancora una volta, cercando le labbra piene e premendoci sopra le sue.

Percy sorrise contro di lei, voltandosi con un fruscio di coperte per poterla abbracciare un po' meglio, per poterla stringere un po' di più contro il corpo nudo, ancora testimone delle loro carezze.

E chi l'avrebbe mai detto che sarebbero finiti proprio così? A baciarsi nell'appartamento sulla Upper West Side che avevano scelto assieme. Quell'appartamento che avevano comprato lavorando un po' di più. Quello che avevano arredato una mattina di maggio, spostando i mobili e aprendo il terrazzo che dava su Central Park.

E Percy ci pensava spesso. Percy pensava spesso a quando aveva rischiato di perderla. Percy pensava spesso all'espressione del suo volto quando la faceva soffrire, agli occhi più tristi che non riuscivano a simulare bene quanto le labbra.

We made a start,

Be it a false one, I know

Le schiuse la bocca con la lingua, sorrise quando la sentì fremere contro di lui e poi rotolò sul materasso, portandola su di sé. Le accarezzò la schiena tonica, passò le dita lungo la spina dorsale e poi le strinse i glutei con fervore, facendola spledidamente ansimare mentre si muoveva sul suo petto, sinuosa.

E Annabeth era così bella, così perfetta, da non sembrare neanche vera.

Lo toccò come per accetarsi che fosse veramente lì con lui. La accarezzò per spingerla a rimanere, per dissuardela dall'andarsene via.

Baby, I don't want to feel alone

Ma come poteva Annabeth, andarsene, quando era indissolubilmente legata a lui?

Si strinse a lui, dimenticando il piumone pesante e il lenzuolo che era scivolato via dalla schiena nuda mentre baciava Percy, mentre si beava delle sue carezze e mentre rabbrividiva sotto al suo tocco, ogni volta come se fosse la prima volta.

Percy la strinse a sé, aprendole le mani grandi sulla schiena, respirò contro la sua bocca mentre si sedeva piano sul letto, spostandole i capelli dal collo per poterglielo baciare teneramente, spingendola ad inclinare la testa verso sinistra per lasciare più spazio a quelle labbra morbide.

Schiuse la bocca contro la pelle candida, succhiando teneramente e accarezzandole le cosce, lambendo la pelle con la lingua e con i denti, baciandola quando si rendeva conto di averne bisogno.

- Sei bellissima – mormorò, sollevando il volto davanti a quello di Annabeth, rubandole un bacio sulle labbra schiuse per il piacere, strappandole una risata e baciandole anche quella.

Rotolò sul letto lentamente, posandole una mano sulla schiena mentre la adagiava sul materasso, sistemandosi tra le sue gambe, spingendosi contro di lei mentre la baciava ancora.

Le prese il volto tra le mani, facendo sfiorare il naso contro quello di Annabeth, irrigidendo i muscoli non appena le dita veloci della ragazza si mossero lentamente lungo la sua schiena. Lungo quella schiena forte che -cavolo- ne aveva davvero passate tante.

So kiss me where I lay down,

My hands press to your cheeks.

Le baciò il naso, la fronte, le palpebre chiuse e poi le labbra ancora una volta. Le baciò il viso per così tante volte che perse il conto.

La baciò mentre la accarezzava piano. Mentre toccava le curve famigliari che non avrebbe cambiato per niente al mondo.

La baciò mentre la sentiva fremere sotto di lui, mentre lui fremeva sopra di lei, in balia di quelle mani che lo tenevano stretto, impedendogli di andare via.

E lui -cavolo- la amava talmente tanto da fargli anche male.

Lui la amava così tanto da essere disposto ad annullarsi completamente pur di vederla felice.

La amava così tanto che ogni volta che la vedeva, con i capelli arruffati per colpa sua e gli occhi assonnati, il cuore gli batteva sempre un po' più forte.

La amava da così tanto tempo, che neanche se n'era reso subito conto.

L'amava dalla prima volta che l'aveva vista.

L'amava dalla prima volta che l'aveva vista in biblioteca, china su un libro troppo spesso. L'amava dalla prima volta che le sue iridi verdi avevano incrociato quelle pozze grigie che -maledizione- l'avevano incastrato, e lui neanche se n'era accorto.

L'amava da quando aveva diciotto anni e l'amava così tanto da guardarla ogni volta come se fosse la prima.

I have loved you since we were 18,

long before we both though the same thing,
to be loved and to be in love.

Scivolò in lei lentamente, consapevole di avere tutto il tempo del mondo da dedicarle.

Si aggrappò ai suoi capelli, continuando a guardarla con gli occhi socchiusi, accertandosi che lei stesse bene, che fosse felice.

Le gambe di Annabeth si strinsero attorno ai suoi fianchi e la ragazza ansimò sotto di lui, muovendo i fianchi per accoglierlo ancora meglio.

Percy ondeggiò sopra di lei, affondò in lei dolcemente, stringendosi ai suoi capelli e rabbrivididendo quando Annabeth gli arpionò la schiena, graffiandogli la pelle mentre si muoveva lentamente.

Annabeth ansimò, gli strinse le gambe attorno al bacino e gli piantò il talloni alla base della sua schiena quando Percy affondò più profondamente, aggrappandosi ai suoi capelli, come se avesse bisogno di qualcosa di concreto pur di rimanere ancorato alla realtà.

Le bocche schiuse si sfiorarono continuamente mentre Percy spingeva dentro di lei più velocemente, mentre ansimava contro le sue labbra, passandole le braccia sulla schiena per poterla stringere a sé un po' di più.

Le gambe di Annabeth scivolarono via dalla schiena di Percy, ma lei si premurò di aprirsi un po' di più per lui, stringendolo mentre il piacere aumentava e mentre loro due diventavano un qualcosa di così unico da farle anche un po' paura.

Lo strinse e si lasciò stringere, consapevole che quelle braccia, quelle braccia allenate che aveva abbracciato e accarezzato così tante volte fossero state fatte a posta per tenerla.

All I could do is say that this arms were made for holding you.

Sfregò le labbra contro al suo collo e Percy aumentò le spinte, ansimando contro la sua spalla, affondando in lei velocemente.

Le lasciò la schiena solo per aggrapparsi ai suoi seni mentre spingeva con più forza, beandosi dei gemiti di Annabeth che, fusi ai suoi, riempivano meravigliosamente la loro stanza.

La bionda inarcò la schiena, buttò la testa all'indietro mentre desiderava ancora di più, mentre stringeva Percy a sé per averne ancora di più. Mosse circolarmente i fianchi contro i suoi e il ragazzo grugnì, aprendole un po' di più le gambe e aggrappandosi alle sue cosce, affondando in lei più profondamente.

La testiera del letto sbatté al muro con forza, ed Annabeth si lasciò andare a una risata, un attimo prima che Percy potesse affondare dentro di lei con più ardore, facendola gridare.

- Così – ansimò la ragazza, graffiando la schiena di Percy, sollevandosi verso di lui per potergli baciare la gola. – Così – continuò, stringendogli i glutei sodi, spingendolo ad aumentare ancora. Senza riuscire mai a saziarsi di lui, del suo corpo, di quella bocca che continuava a baciarla e di quelle mani che continuavano ad accarezzarla con dolcezza.

Lo sentì arrivare lentamente. Sentì il piacere salire, forte come un uragano, e si aggrappò ai suoi capelli mentre, inarcando la schiena all'indietro, veniva attorno a lui, precedendolo di qualche secondo.

Percy continuò a spingere dentro di lei per prolungare quel piacere così forte, lasciandola andare ed osservandola crollare sul materasso, esausta.

I capelli biondi si sparsero sul cuscino ed Annabeth, con gli occhi socchiusi, sorrise, accogliendo il ragazzo contro al suo petto.

Percy posò il volto contro al suo seno, lasciandosi accarezzare i capelli mentre recuperava fiato, senza osare uscire da lei, con l'insana paura di vederla scomparire non appena l'avesse lasciata andare.

Si erano amati con la stessa intensità di quando avevano diciotto anni. Si erano amati con la stessa intensità che gli aveva colti durante l'adolescenza. Si erano amati con la paura di vedersi scomparire, ma con la consapevolezza di non essere in grado di perdersi per davvero.

Percy sollevò il volto dal suo seno, guardandola serio, scostandole una ciocca di capelli dal volto un po' sudato senza riuscire a trattenere un piccolo sorriso che gli stese le labbra.

- Sono bellissima?

- Ti amo.

I wanna love like you made me feel,

When we were 18

***

Annabeth si lasciò scivolare sul busto nudo la maglietta blu di Percy, la stessa che, la sera prima, gli aveva praticamente strappato di dosso. Si sistemò le mutande sul sedere e poi stirò le braccia sopra alla testa, sbadigliando ancora una volta e lanciando un'occhiata al suo ragazzo da sopra la spalla.

- Muoviti, Testa d'Alghe. – Sorrise mentre si avviava lungo la porta per uscire dalla loro stanza. – O niente pancake.

Percy sbuffò con un sorriso, passandosi una mano tra i capelli scuri e lasciandosi cadere sul materasso ancora una volta. – Due minuti e arrivo. Giuro –le promise e Annabeth rise, uscendo sul corridoio e arrivando in cucina in pochi passi. Lanciò un'occhiata al salotto, sorridendo nell'osservare le bottiglie di birra sul tavolo basso, affiancate da pacchetti di sigarette aperti e accendini colorati.

Aggirò il divano, sistemò il plaide fucsia, storto sul bracciolo destro, e poi afferrò il vetro, buttando i residui della serata appena passata nel cestino sotto il lavello, voltandosi poi verso l'isola di marmo per sistemare meglio sui fornelli la padella scura, andando poi verso il frigo a doppia anta per poter prendere il burro e l'impasto dei pancake che aveva preparato dal pomeriggio prima.

Ne versò un po' sulla padella, osservandolo sfrigolare mentre agitava i fianchi e canticchiava la prima melodia che le passava per la testa in quel momento.

Sussultò quando due braccia forti si avvolsero attorno alla sua vita e poi sorrise, posando la schiena al petto di ampio di Percy e lasciandogli un bacio sulla guancia prima di staccare il pancake dalla padella, rivoltandolo con un mestolo.

- Sei sexy anche quando cucini.

Fu in quel momento che Talia sbuffò, entrando trionfalmente in cucina, esibendo un succhiotto sulla pelle chiara del collo, i capelli arruffati e una maglietta scura di Luke che le accarezzava le cosce.

Solo per un istante, Annabeth si chiese se anche lei sembrasse così felice.

- Gesù, non vorrete scopare qua, vero? – borbottò la mora, sbadigliando e passandosi una mano tra i capelli scuri mentre andava a sedersi su uno degli sgabelli attorno all'isola di marmo, vicino ad Annabeth.

Percy aprì la bocca per rispondere, probabilmente con un insulto, prima che Luke potesse precederlo, raggiungendoli in cucina con una sigaretta già tra le labbra. – Siamo arrivati troppo presto, Tals. Ancora un paio di minuti e avremmo avuto i pancake al sapore di s..

Il campanello trillò in quell'istante, risuonando per tutta la casa e facendo borbottare Talia ancora una volta mentre si accasciava sul piano di marmo dell'isola.

- Spero che quei due stronzi abbiano portato il caffé – berciò mentre Percy abbandonava Annabeth per andare ad aprire la porta.

Sorrise l'attimo dopo, allungando una mano per poter dare un cinque a Jason, passandogli una mano tra i capelli biondi. – Bro! – esclamò. – Che bello vederti!

Piper rise, passando accanto al suo ragazzo e alzandosi sulle punte degli stivali per poter lasciare un bacio sulla guancia di Percy. – Questi due idioti si vedono ogni domenica. E ogni volta sembra che siano passati mesi. – Poi sollevò la mano destra che stringeva il cartone con sei bicchieri di Starbucks. – Caffé!

- Oh mio Dio, ti amo – mormorò Talia, andandole incontro e avvolgendole il collo col braccio sinistro, prendendo una tazza dal cartone con la mano destra.

Annabeth fece saltare il pancake sulla padella e prima che potesse chiederlo, Luke le aveva già sistemato un piatto di ceramica davanti.

- Chiudete quella porta, si gela! – esclamò il biondo, passandosi le mani sulle braccia scoperte.

Jason alzò un angolo delle labbra, facendo distendere la cicatrice bianca. Si chiuse la porta alle spalle con un tonfo e poi frugò nelle tasche del cappotto scuro, lanciando un pacchetto di Marlboro rosse che Luke afferrò al volo.

- Questo è il mio ragazzo.

Piper sorrise, facendo il giro dell'isola di marmo per poter salutare Annabeth con un bacio sulla guancia, posando il caffé accanto a lei, abbastanza lontano dal fuoco per evitare che il cartone si bruciasse. – Volete fare qualcosa stasera? – domandò, poggiando i fianchi contro l'isola di marmo e sistemando due tocchetti di burro sul pancake che Annabeth aveva appena sistemato sul piatto di ceramica.

La bionda scosse la testa e Talia bevve un lungo e generoso sorso di caffé prima di rispondere. – Oggi è domenica.

Piper rise e lanciò un'occhiata ai tre ragazzi che fuori, sul terrazzo che dava su Central, ridevano. Guardò Jason che accendeva le sigarette a Luke e Percy che, vestiti di un paio di pantaloni di tuta e una felpa aperta sul torace nudo, aspiravano e continuavano a sorridere. Riportò gli occhi cangianti sulle amiche l'attimo dopo. – Pizza e Pagine della nostra vita, allora.

***

- No! Lascialo andare! Prendi me! Uccidi me! – urlò, così forte che la gola prese anche a farle male. – Uccidi me! – gridò, tirando due ciocche di capelli biondi tra le dita, crollando sulle ginocchia e osservando quell'uomo cattivo, crudele, che ancora picchiava Percy. Che ancora lo prendeva a pugni nonostante lui avesse già perso i sensi.

- Basta! – implorò, smettendo di combattere le lacrime che le rigavano il volto. – Basta. Uccidi me. Lascialo andare e uccidi me. – Pianse, tirandosi i capelli un po' più forte.

Poi, gli occhi di ghiaccio di Crono si fermarono su di lei e l'uomo ghignò, continuando a tenere Percy per il collo della maglietta. Osservò Annabeth dritto nelle pupille, con un ghigno che gli stirava un angolo delle labbra sottili. La guardò come se stesse soppensando la sua richiesta e poi lasciò andare il corpo di Percy, osservandolo cadere a terra come se fosse stato una bambola di pezza.

Annabeth urlò, fissando la testa che, con un tonfo, sbatteva a terra.

Crono camminò verso di lei lentamente. Aveva tutto il tempo del mondo. Lo aveva avuto per squarciare la gola di Luke e pugnalare lo stomaco di Talia.

Ne avrebbe avuto anche per fare del male a lei.

Basta!

Annabeth si svegliò con un sussulto, sedendosi di scatto sul letto. Si guardò attorno, mettendo a fuoco -aiutandosi solo con la luce della luna che filtrava dalle tende semi aperte- la sua stanza. Il comodino affianco lei, pieno zeppo di libri, la brezza estiva che le rinfrescava la pelle e il corpo caldo di Percy, nudo e addormentato accanto a lei.

Si passò una mano tra i capelli sudati e si poggiò alla testiera del letto per qualche istante, chiudendo gli occhi e lasciando che i battiti accelerati del cuore potessero stabilizzarsi.

Un incubo.

Ancora.

Si alzò lentamente dal letto, scostandosi dal corpo nudo il lenzuolo leggero e stirò le braccia sopra alla testa, afferrando le mutande da terra e lasciandole scorrere lungo le gambe allenate. Tastò per terra fino a che non trovò la maglia di Percy e la infilò velocemente, uscendo dalla sua stanza e andando in cucina. Cercò a tentoni l'interruttore, sbattendo le palpebre alla luce delle lampade che brillavano sull'isola di marmo.

Lanciò un'occhiata alla teiera, poi guardò le tende scostate e le porte finestre socchiuse che si aprivano su New York.

Prese la sua decisione in meno di un secondo.

Camminò lentamente verso il terrazzo, aprendo un'anta della doppia porta e lasciandosi avvolgere dalla brezza estiva newyorkese. Chiuse gli occhi per qualche istante, camminando ancora fino a che i fianchi non incontrarono la ringhiera fredda.

Strinse i pugni attorno al metallo e, solo in quel momento, si permise di aprire gli occhi, lasciando che la vista di New York sotto di lei potesse mozzarle il fiato.

Era quattro anni che era tornata a vivere nella Grande Mela e, ancora, nonostante il terrazzo fosse il posto nel quale si recava ogni volta che un incubo l'assillava, la città davanti a lei riusciva ancora a sorprenderla.

New York era sempre viva. New York non dormiva mai e forse era per quello che le piaceva così tanto.

Le luci dei grattacieli brillavano in lontananza, le macchine continuavano a correre, i ragazzi non smettevano di ridere e chissà chi -ancora- non smetteva di chiacchierare.

New York sarebbe sempre stata lì, ad ascoltarla quando ne avesse avuto bisogno e forse, era per quello che Annabeth usciva sempre sul terrazzo. Aveva bisogno che la città parlasse per lei. Aveva bisogno che il casino nella sua testa fosse emulato da quello newyorkese, almeno per un po'.

Respirò profondamente e chiuse gli occhi ancora una volta, buttando la testa all'indietro e lasciando che la brezza estiva potesse spostarle i capelli lunghi sulle spalle. Sussultò quando due mani conosciute si posarono sui suoi fianchi. Aprì gli occhi di scatto per lo spavento ma poi sorrise, rilassando i muscoli e poggiando la nuca alla spalla di Percy, richiudendo le palpebre per potersi godere un po' meglio il suo profumo.

- C'eri ancora tu. – Mormorò, continuando a tenere gli occhi chiusi. – Lui ti picchiava e io non potevo fare niente per salvarti. – Strinse le dita contro alla ringhiera, così forte che le nocche sbiancarono. – Niente.

Percy sospirò, la strinse un po' più forte e poi seppellì il volto contro al suo collo, strofinando il naso sulla pelle morbida, baciandola poi lentamente, fino a che Annabeth non si sciolse del tutto sotto alle sue carezze. – Io non sono lì – mormorò, lasciando che la sua bocca sfregasse contro la pelle della sua ragazza, sorridendo quando la sentì rabbrividire. – Io sono qui. Con te. – continuò lentamente, scandendo ogni parola, soppesandola, assicurandosi che avesse la giusta potenza. – Io sono qui con te e non ho intenzione di andarmene.

Annabeth sorrise, aprendo gli occhi mentre si girava verso di lui, modellando le mani ai lati del suo collo e sfregando il naso contro il suo, sorridendo mentre sfiorava le labbra di Percy con le proprie. – Ti amo.

Percy la baciò l'istante dopo, spingendola contro la ringhiera e arpionandole i fianchi con le mani che già la volevano. – Ti amo anche io, ragazza saggia.

***

Avevano preso casa lungo l'Upper West Side, dopo che avevano passato qualche mese nei dormitori del City College, risparmiando gli stipendi di cameriere, insegnante di nuoto e "commessa in quella libreria in centro. Dai! Quella con le mensole in legno!"

Era stato Percy a sceglierla. L'aveva voluta con tutta sé stesso e, anche se ad Annabeth non l'avrebbe mai ammesso, lei lo sapeva bene che quella casa era un sogno della sua mamma.

Era al terzo piano di un condomio con la facciata rossastra e il terrazzo -quello ampio dove Percy usciva a fumare- che dava sugli alberi sempreverdi di Central Park.

L'appartamento era piccolo, fatto a posta per due. Si apriva su un salotto che era diviso in cucina con isola di marmo (che aveva voluto Annabeth) e l'angolo tv, che esibiva un televisore di quaranta pollici regalato da Luke e Talia, un divano ben comodo e un tavolino nero con sopra un posacenere sempre sporco.

L'appartamento era piccolo, ma aveva preso vita il secondo dopo che Percy e Annabeth ci avevano messo piede. Avevano ridipinto le pareti sporcandosi i vestiti, macchiandosi con rulli e pennelli e finendo per fare l'amore sopra le lenzuola bianche un po' sporche, ma che andavano bene comunque.

Avevano piazzato i mobili dell'Ikea e poi Annabeth aveva decorato anche quelli con talmente tanta cura che Percy sorrideva ogni volta che guardava i disegni stilizzati su cassetti e mensole.

Si erano divisi il divano, quello con i cuscini ampi che gli avevano regalato Piper e Jason:"sinistra mia e destra tua. La copertina fucsia la metti sul tuo bracciolo, sapientona". E si erano divisi anche il tavolino che -cavolo- li faceva litigare più del dovuto:"io giuro che se non togli quelle zattere dal mio bellissimo tavolo, te le taglio mentre dormi!"

Avevano scelto le tende colorate assieme e, anche se le aveva piazzate Percy una sera di settembre, Annabeth era rimasta raggomitolata sul divano, con una tazza di thé caldo tra le mani, a guardarlo con un sorriso.

Persino il frigo, quello a doppia anta di un bel grigio metallizzato, aveva preso vita. Si era riempito di cartoline, calamite e post-it che Annabeth concludeva sempre con un"ti amo". Si era riempito di verdura che a Percy non piaceva e salse che la ragazza disgustava, anche se le comprava comunque, solo per vedere quel sorriso da bambino sul volto del ragazzo che amava.

L'isola di marmo aveva iniziato a sporcarsi, ed essere vittima di odori ed errori. Ad essere vittima dell'olio che schizzava dai fornelli e dalle padelle calde che Percy continuava a poggiarci sopra.

Annabeth continua a preparsi il thé quando, la notte, gli incubi la assalivano ancora, quando la nostalgia la colpiva e Percy era troppo bello per essere svegliato. La teiera viola era sempre sul fornello medio, quello in alto a sinistra e raramente veniva spostata.

Annabeth aveva riempito la casa di foto. Le aveva messe ovunque: sui mobili della sala, persino sulle mensole della cucina, tra il pepe e il curry.

E ogni tanto, si voltava verso frigorifero per vedere una foto di lei, Percy, Talia e Luke quando erano ancora al Campo, con i tratti meno marcati e i sorrisi più innocenti. Con le braccia che si stringevano e le mani che si cercavano.

Osservava la sua mamma e il suo papà sulla cassettiera accanto alla foto d'ingresso, e poi salutava Sally, accarezzando con un polpastrello il sorriso gentile e gli occhi luminosi.

Sorrideva a Reyna, sul tavolino basso che ospitava sempre:"quelle zattere putride" di Percy e ogni tanto, spostava le foto di Piper e Hazel, osservandole e scrivendo un messaggio ad entrambe l'attimo dopo.

E poi accarezzava zia Marin che era stata un po' sorella, un po' mamma e un po' zia da quando aveva iniziato a prendersi cura di lei, fino a quando, alla fine, non gliel'avevano strappata via. E lei, si, era un po' dappertutto mentre sorrideva, mentre la stringeva, ricordandole che per la sua "piccola dea" ci sarebbe sempre stata.

Aveva messo delle foto persino in bagno, quello con le piastrelle blu che non piaceva tanto a lei, ma che Percy adorava.

Quello che sapeva sempre di loro due, di massaggi sotto l'acqua tiepida e di passione contro la ceramica della doccia.

Quello che sapeva di profumi e deodoranti sempre diversi e di cerette rosa che a Percy facevano un po' paura.

Quello che sapeva di schiuma da barba, rasoio e urla. "Percy Jackson, trovo ancora qualche tuo pelo sul mio lavandino e ti soffoco mentre dormi".

Quello che sapeva di litigate. Litigate che li spingevano a farsi la doccia da soli, lasciando comunque due asciugami posati sul lavandino.

Il loro appartamento sull'Upper West Side aveva quattro anni e -diavolo- in quei quattro anni (silenzioso osservatore), aveva assorbito le risate degli amici che:"noi portiamo da bere, voi mettete il cibo". Aveva assorbito l'odore acre della sigaretta e gli accendini -sempre diversi- che scattavano ritmicamente.

Aveva assorbito tutti i film di High School Musical dalla prima estate, il pianto di Annabeth e le prese in giro di Percy, seguite dalle braccia che la stringevano e dalle labbra che le baciavano la fronte. Aveva assorbito Noi Siamo Infinito durante l'inverno, con le mani che stringevano una tazza di cioccolata calda e la coperta sulle ginocchia fredde, e Dragon Trainer 1 e 2 in una notte tormentata da incubi.

Avevano finalmente guardato Una notte da leoni con un cartone di pizza sul tavolino basso e si, forse quell'appartamento -come Percy- era stanco di tutte le serie televisive che si guardava Annabeth ma, comunque, per quanto ormai Sam e Dean Winchester gli avessero "rotto le palle", Percy non avrebbe mai smesso di guardare tutti gli episodi accanto a lei.

Aveva assorbito le cene attorno all'isola di marmo. Aveva assorbito quelle con Luke e Talia, che si concludevano sempre con:"dormite qui, non vi facciamo guidare con così tanta tequila in corpo". E quelle con Piper e Jason che vedevano partite a poker e:"bella, Bro, siamo una squadra perfetta", anche se venivano sempre battuti.

Quelle più sobrie, con Hazel che rideva tanto e Frank, così tanto goffo da non poter risultare adorabile, che arrossiva, le baciava una tempia e poi accompagnava Percy fuori a fumare.

Veniva anche Reyna. Veniva spesso con ragazzi sempre diversi e che non sarebbero mai andati bene. Veniva con un sorriso euforico e gli occhi tristi. Crollava, si rompeva in mille pezzi e poi continuava a ridere, ricomponendo il puzzle lentamente e sempre da sola.

"Accettiamo l'amore che pensiamo di meritare" ed Annabeth glielo ripeteva sempre. Le ripeteva sempre che doveva dare un'opportunità al ragazzo biondo che la guardava sempre con gli occhi adoranti, che avrebbe dovuto smetterla di trovare sempre idioti che volevano portarsela a letto.

Le dava ragione, sorrideva e poi si rompeva di nuovo.

Quell'appartamento aveva assorbito tutti i cenoni di Natale, i regali aperti tra euforia e alcool di troppo. Lo spumante che macchiava la tovaglia e l'allegria per i fuochi d'artificio.

Aveva assorbito le urla, le porte sbattute per la rabbia e i "ti amo" sussurrati che -forse- volevano anche dire "scusa".

Aveva assorbito le mani che si cercavano, le bocche unite, a volte sfacciatamente aperte, e i corpi nudi che -sempre- si sarebbero bramati.

Aveva assorbito i libri poggiati sul comodino destro, quello vicino alla finestra, e la foto su quello sinistro. La foto che mostrava -fiera- due ventenni che, con cuffie e sciarpe festeggiavano il Natale a Times Square.

Aveva assorbito i:"Percy Jackson, i tuoi boxer a terra, ancora!" e i "ti amo" sussurrati tra le lenzuola.

Aveva assorbito i sospiri, i pianti, le braccia che stringevano quel corpo esile che aveva sempre bisogno di protezione. Aveva assorbito i:"sono qui, e mica me ne vado".

L'appartamento era vivo e li osservava. Osservava due ragazzi che si amavano un po' troppo, uscire per fare colazione da Starbucks e poi tornare a casa con le guance rosse per il freddo e i sorrisi felici.

Osservava due ragazzi tornare da lavoro, troppo stanchi per togliersi il cappotto all'ingresso, ma con ancora abbastanza forze per potersi stringere sul divano. "è andato tutto bene a lavoro? Quella stronza ti ha ancora guardato il sedere?".

Osservava due ragazzi che stavano provando a vivere di nuovo e che -forse- ci stavano anche riuscendo. Osservava due ragazzi che ce la mettevano tutta, che stavano ancora ricomponendo i pezzi ma -diavolo- andava bene comunque e, a quel punto, cosa importava essere un po' rotti se lo si era assieme?

Osservava due ragazzi che si amavano. Che si amavano talmente tanto da farsi anche male. Osservava due ragazzi che litigavano, urlavano. Osservava due ragazzi che si dividevano, ma che poi tornavano a cercarsi l'ora successiva. "Non riesco a vivere senza di te, ragazza saggia".

Osservava una ragazza bionda alla quale era stata portata via una famiglia e che, tra cicatrici e battaglie, era riuscita a costruirsene una nuova.

Osservava una ragazza bionda col sorriso sempre un po' meno stanco, con le mani un po' più morbide e gli occhi marchiati e segnati, ma comunque bellissimi.

Osservava una ragazza bionda che aveva sempre paura. Una paura così matta di vedere Percy andare via, che la portava a controllare l'armadio nella loro stanza, quello color panna, di fronte al letto, ogni volta che lui non c'era. Controllava che i vestiti fossero ancora a posto. Controllava che fossero ancora tutti disordinati come sempre e poi, con un sorriso, tornava in cucina, a bere il thé e ad aspettarlo per la cena.

E poi, quel bell'appartamento sull'Upper West Side che aveva voluto con tutte le sue forze, osservava anche un ragazzo con i capelli neri sempre in disordine e gli occhi luminosi. Occhi luminosi che, come quelli della sua ragazza, erano marchiati e segnati, ma comunque vivi.

Osservava un ragazzo con gli occhi luminosi torturarsi le mani per la paura di perderla. Restare sveglio ore, la notte, solo per guardarla dormire. Solo per assicurarsi che fosse ancora lì, bellissima e accanto a lui.

Quell'appartamento sull'Upper West Side l'aveva osservato uscire di nascosto, mentre Annabeth era in giro con Piper. L'aveva osservato ritornare a casa un'ora e mezzo dopo, con una busta di gioielleria nascosta sotto al cappotto pesante.

E poi, l'aveva osservato controllare l'anello dentro una scatola di tessuto blu dall'aria importante.

L'aveva osservato sorridere e poi -complice- l'avevano nascosta entrambi nel cassetto delle calze del suo comodino.

E si, quell'appartamento vegliava sui ragazzi distrutti. Vegliava sui ragazzi distrutti che ricompevano lentamente i pezzi. Vegliava sui ragazzi di distrutti che -no, cavolo!- non si sarebbero mai arresi.

E si, quell'appartamento -forse- avrebbe vegliato per sempre sul ragazzo innamorato da quando aveva diciotto anni e sull'angelo con il fucile. Anche se non l'avrebbe imbracciato mai più.

Angolo Autrice:
Ehiila<3
Oddio, l'ultimo ehiiila di questa storia! Volevo fare qualcosa di speciale per questo epilogo. Chiudere col botto o chissà cos'altro perché sono veramente legata ad "Angel with a shotgun" e non riesco a lasciarla andare così facilmente. Ma poi, mi sono detta che non sia davvero importante quando pubblichi, quanto, il fatto che lo stia facendo. Il fatto che stia pubblicando l'epilogo di una storia che mi ha messo un po' a nudo, che mi ha dato tanto e alla quale ho dato tanto.
Angel with a shotgun è diventata una parte molto importante di me ed ha permesso a ragazzi come Percy e Annabeth di entrarmi sotto la pelle un po' di più, di far si che divenissero parte di me, ancora più più profondamente.
Percy e Annabeth sono cresciuti tanto nel corso di questa storia. Hanno sofferto ed hanno amato, e adesso hanno ventidue anni, e sono con gli amici di sempre, sono sempre un po' rotti e si amano ancora ma, forse, tutto questo non conta poi così tanto finché sono assieme.
Vivono lungo l'Upper West Side, hanno un lavoro e cercano di ricomporre i pezzi ed è questo che mi piace di loro due, cadono, si rompono, ma si alzano sempre. Che lo facciano con o senza armi, non ha poi così tanta importanza.
Questa storia è estremamente importante per me ed è sempre troppo difficile e troppo deprimente venire a patti con la realtà ed ammettere a te stessa che non scriverai più di loro due in questo modo. Che hai fatto andare tutto bene e che, adesso, anche i tuoi protagonisti hanno smesso di soffrire. è il momento anche per loro di vedere il sole e questo non può che andarmi bene.
Devo essere sincera però, voglio esserlo. Non scommettevo niente pubblicando su wattpad. L'ho fatto solo perché volevo evitare plagi, non perché tenessi realmente al pubblicare qualcosa qui sopra. Poi, è stato un sorprendente capovolgimento della medaglia: se prima su wattpad non andava, i voti e le recensioni sono arrivati tutti di colpo. I lettori, i commenti e le nuove amicizie mi hanno sorpreso così tanto da farmi sorridere ogni volta e dal controllare wattpad ogni tre secondi solo per vedere se uno di voi mi avesse scritto.
Siete stati una piacevolissima sorpresa e non vi sarò mai grata abbastanza per tutto l'amore che mi avete dimostrato fino ad adesso.
E quindi, mi sembra giusto concludere l'ultimo angolo autrice di questa storia con un enorme grazie. Alle mie amiche che mi hanno sempre aiutato ogniqualvolta avessi bisogno di una mano. E  voi che, tramite visualizzazioni, recensioni e voti, siete riusciti a farvi entrare the angel with a shotgun sotto la pelle.
Il primo, con i capelli biondi, gli occhi grigi e un'arma vera.
Il secondo, è un po' più rotto anche se ci sta lavorando e, proprio adesso, ha appena concluso quest'angolo autrice.
Ovviamente non sparirò. Tornerò con qualche altra shot e, vedremo per le long!
Voglio bene, fiorellini:**
Grazie mille ancora,
Alla prossima,
Love yaa<3

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