Epilogo ☆ Buonanotte, Anemoia
Comunque ditemi se quest'impostazione é più piacevole da leggere. Quando copio incollo da Word me la mette già così. Almeno posso vedere più o meno esattamente che parte del dialogo commentate. Buona lettura 🩷
Quello che stavo ascoltando mentre scrivevo questo capitolo é imbarazzante. Comunque buon 2024 💋
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Mascherata dall'oscurità notturna, Domina vagava nel cortile della scuola, alla ricerca della finestra di Shinju. Incapace di affrontare il suo riflesso, si era tolta le scarpe e le aveva lanciate tra le aiuole, camminando scalza e in punta di piedi, anelante di raggiungere la cameretta della sua nuova acerrima nemica. Si arrampicò malamente sul muro, cercando di spiare cosa stesse accadendo all'interno dell'edificio. Illuminata da una lampada ad olio, la principessa era seduta sul suo letto, avvolta in un asciugamano azzurro. Mentre si pettinava i lunghi capelli biondi guardava il suo riflesso con occhi vacui, senza prestare realmente attenzione alla fanciulla dall'altra parte dello specchio. Dondolava le gambe come una bambina, mordendosi appena il labbro inferiore. Nella regina della notte era presto germinato il desiderio di distruggere tutto quello che non avrebbe più potuto avere: la bellezza. Che Shinju avesse le fattezze di una servetta qualsiasi non era importante. La sua pelle era ancora liscia, i lineamenti tutti al loro posto. Aveva il privilegio di potersi deturpare senza temere alcuna conseguenza. Poteva permettersi di lasciare le sue labbra screpolarsi, sapendo di poter applicarci del burro cacao prima di uscire. Poteva tagliarsi malamente i capelli, cosciente che la gente l'avrebbe solamente trovata un po'stramba. Le persone belle sono giustificate in tutto. Adesso che il suo aspetto rispecchiava la sua anima, Domina avrebbe dovuto pentirsi di tutte le crudeltà commesse. Ma la verità è che era disposta a dilaniare la faccia di tutte le altre ragazze pur di risultare la più bella tra loro. Improvvisamente la principessa venne distratta da qualcosa. Infilò i piedi nelle sue graziose ciabattine e saltellò come un coniglietto verso la porta, aprendola piano e lasciando che qualcuno sgusciasse all'interno.
Era Khalil. Sistematosi il barbaro taglio fornitogli da Domina, si passò una mano tra i capelli e sorrise alla bionda.
«Posso entrare?» domandò, con voce suadente. Prima che questa potesse replicare, le accarezzò la testa e fece ufficialmente il suo ingresso, stiracchiandosi e sedendosi sul letto, non prima di aver allisciato le lenzuola.
«Khalil!» esclamò sorpresa la fanciulla, dimenticandosi di essere solo in asciugamano.
«Ti sei tagliato i capelli. Stai molto bene. Perché non me l'hai detto prima?» aggiunse.
«Fa la differenza? È stata una decisione impulsiva» mormorò. Poi le accarezzò la guancia, delicatamente, come se stesse accarezzando una bambola di porcellana.
«Sei bella con i capelli sciolti» aggiunse, piano, probabilmente ricordando dolorosamente i suoi lunghi capelli. Istintivamente si passò nuovamente la mano sul capo. Shinju rimase imbambolata per qualche secondo, senza parole.
«Grazie» bisbigliò infine lei, arrossendo e realizzando poi di essere nuda. Corse verso il bagno, pigolando qualche parola incomprensibile alla regina della notte. Domina, dal canto suo, era così furiosa da temere che i bulbi oculari le schizzassero via dalle orbite. Poteva vedere solo la schiena di Khalil e il suo sorriso appena accennato, tenero. Come se vedere realmente il brutto animo della regina della notte avesse fatto sbocciare dei veri, candidi sentimenti verso quella principessina adorabilmente imbranata. Per la prima volta, la donna non sapeva che fare. Bussare alla finestra? Si sarebbe rivelata più patetica di quanto già non fosse. Lacrimò, disperata. Non aveva nemmeno il coraggio di presentarsi a Miranda in quelle condizioni. Si rifugiò nel cappuccio scuro, pronta ad andarsene. Khalil sollevò la finestra, scoprendola con forza.
«Pensavi che non ti avessi notata?» domandò sorridente. «Sei patetica» aggiunse, assicurandosi di scandire ogni lettera.
«Haidar...» tremò la fanciulla. «Per favore, ascoltami» mormorò piano, cercando di rimediare una buona scusa.
«Passo. Ho da fare. Goditi la tua nuova faccia» concluse rapidamente il principe, calando la tapparella e colpendole le nocche.
La donna si morse le labbra e trattenne un urlo di dolore. Si rifiutava di sentirsi umiliata e di dargli altre soddisfazioni. Non riusciva a tollerare che colui che le aveva rovinato la vita non subisse alcuna conseguenza. Si allontanò mugugnando qualcosa tra le labbra, mordicchiandosele proprio come faceva la bella principessa tra le grinfie di Khalil. Se non poteva essere più la tiranna della notte, sarebbe diventata l'incarnazione della vendetta. E solo allora avrebbe avuto pace.
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Non appena sveglio, Dario aveva percepito la mancanza di qualcuno. Sulle prime immaginò si trattasse di Keiichi, decisamente il più propenso al fuggire per conto suo. Si scostò le due coperte di dosso e si mise a sedere, scuotendo il capo per scrollarsi di dosso la sabbia. Inaspettatamente, il corvino era già sveglio, e aveva acceso un fuoco per riscaldarsi. Senza nemmeno prestargli uno sguardo, si districava i capelli con le dita e cercava di dargli una forma consona. Il castano ammirò con invidia la capacità del principe di risultare elegante nonostante le condizioni non avrebbero dovuto permetterselo. A quel punto, però, se Keiichi era lì, il fuggitivo non poteva essere lui. Si guardò attorno confuso, immaginando che si fosse trattato di uno scherzo della sua mente. Si pulì il palmo della mano sui pantaloni e guardò la voglia sulla mano, aspettandosi una risposta. Eppure questa volta aveva assunto una forma indefinita e nonostante gli sforzi di Dario per decifrarla rimaneva incomprensibile.
«Hai visto Jamil?» domandò infine al principe, con voce gracchiante. Lo sbalzo termico non aveva fatto bene alla sua gola. Non essendone propriamente coinvolto, non aveva fatto caso alle disastrose conseguenze della notte eterna. Arbusti e piante non crescevano più, le temperature si erano abbassate drasticamente, e in molti si erano ammalati per via della mancanza della luce solare.
«No» ribatté il corvino, scocciato. Poi lo squadrò per bene. «Avevi addosso due coperte? Non é molto equo» aggiunse, inclinando il capo ed indicando il giaciglio disfatto del ragazzo.
«Sono piuttosto sicuro di essermi addormentato con una sola» si difese l'uomo, realizzando dunque che la coperta in più doveva appartenere a Jamil. Inizialmente, negando l'ipotesi di una fuga, immaginò avesse preferito rifugiarsi nella propria lampada. Spostò un po' di sabbia con i piedi, cercando svogliatamente tracce del jinn. Sapeva benissimo che le sue erano speranze vane. Sentiva sotto pelle che il genietto se l'era data a gambe nel momento in cui si erano addormentati. Frustrato, incolpò il corvino di aver confessato il crimine inconfessabile di Khalil prima del tempo. Che il jinn si fosse fatto del male? Era perfettamente ragionevole che non volesse vedere il tradimento con i suoi stessi occhi.
Intuito l'obbiettivo del castano, Keiichi sbadigliò annoiato. «Guarda che cercare una lampada nel deserto é come cercare un ago in un pagliaio» commentò solamente, ma nel momento in cui pronunciò la parola "ago" ebbe una brutta sensazione. Come un presagio oscuro, si voltò, sentendosi osservato. Pur essendo piuttosto lontana, sulla cima di una duna scintillava qualcosa. Era una luminosità metallica, tipica dei materiali che solitamente si usano per i fusi degli arcolai e per il cucito. Il corvino spalancò gli occhi, terrificato. Nemmeno nel deserto riusciva a sfuggire a quella che pareva una maledizione infrangibile. Avrebbe davvero voluto trucidare Ryuu e quella sua orribile mania di voler impersonare una strega cattiva. Come se una principessina delicata come lei con problemi d'amore potesse arrivare ai livelli di fate come Malefica o streghe come la matrigna di Biancaneve. Era logicamente impensabile. Che si fosse ridotta male a causa di Kay non era certo da escludere, ma da lì a incarnare l'archetipo della sorellastra arcigna ce ne voleva.
Dario l'afferrò per il colletto. Perso per le sue congetture l'uomo stava procedendo tranquillamente verso l'ago. Sbatté diverse volte le palpebre, e questo scomparve dalla sua vista. Piuttosto confuso, si voltò verso il castano. Forse era una maledizione più forte del previsto. Improvvisamente sentì lo stomaco annodarsi: doveva andare da Melody. Non c'era altro modo. Non ricordava molto di quello che gli avevano detto Jamil e Kay sulle maledizioni che colpivano i sempre, ma era piuttosto sicuro c'entrasse qualcosa con il cadere addormentato e non poter svegliarsi più. Il pericolo sembrava farsi più concreto di secondo in secondo. Si voltò nuovamente, per assicurarsi che l'ago fosse davvero sparito. Gli parve di vederlo con la coda dell'occhio.
«Dove vai?» domandò il più alto, genuinamente confuso. Dubitava fortemente che Keiichi fosse stato spinto dall'altruismo di voler andare a cercare Jamil, quindi voleva capire che intenzioni aveva il corvino.
«Da nessuna parte. Dov'è il tappeto volante? Dobbiamo tornare all'Accademia» concluse frettolosamente il più grande, guardandosi le spalle.
«E Jamil?» chiese il castano, anche se genuinamente si era stancato di dover stare dietro al genietto e ai suoi sbalzi d'umore dovuti alla scoperta del tradimento.
«Se la caverà. Andiamo» concluse l'uomo, avviandosi frettolosamente verso il tappeto volante.
«Già. Andiamo» concluse il castano. Stare lontano da sua madre gli faceva questo effetto. Senza approvazione materna, che senso aveva comportarsi come diceva lei?
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Pur essendo uno spirito nativo del deserto, Jamil non si era mai destreggiato tra le dune con l'abilità dei suoi compaesani. Vagava senza meta, con lo sguardo vacuo e perso nel vuoto, completamente svuotato di ogni ambizione e desiderio, ma crudelmente lucido, costretto a ponderare le sue decisioni. Stava valutando attentamente in che modo togliersi la vita, ma ogni idea gli sembrava troppo esagerata. Il solo pensiero di doverlo fare da solo richiedeva troppa energia e coraggio. Forse poteva trovare un'oasi e tuffarcisi dentro, lasciando che l'acqua gli riempisse i polmoni e gli svuotasse la mente. Sarebbe diventato parte integrante del fondale e nessuno avrebbe mai saputo della sua scomparsa. Oppure poteva consegnarsi spontaneamente nelle mani dei cacciatori di jinn e lasciare che facessero quello che credevano del suo cuore. Purtroppo, la sua esistenza stessa richiedeva suicidi poco convenzionali: si era riproposto di farsi morire di fame, consapevole che non fosse possibile farlo. Magari poteva procurarsi un pugnale e tagliarsi la gola. Avrebbe potuto andare a cogliere dello stramonio e prepararsi un intruglio mortale. Doveva esserci una ragione se chiamavano quell'adorabile piantina "tromba del diavolo". Aggrottò la fronte, cercando di immaginare il suo cadavere. Sapeva che non sarebbe mai stato in grado di averne uno, ma si domandava che aspetto avrebbe assunto il suo corpo divorato dai vermi e consumato dall'esistenza da cui era stato escluso. Così preso dalle sue macabre fantasticherie, il jinn non si rese conto del cambiamento del paesaggio. Il deserto, dalla sabbia morbida e dorata, che anche di notte assumeva un carattere familiare e rassicurante, era mutato in un terreno giallastro bricioloso, pieno di sterpaglia. Piccoli arbusti secchi si impigliavano nella stoffa dei suoi pantaloni, lasciando piccoli buchi e fili fuori posto qua e là. Normalmente si sarebbe dispiaciuto di aver rovinato un paio di calzoni così, ma la sua mente vagava altrove. Qualche piccolo insetto strisciava fuori dalle crepe del terreno solo per infilarsi nella fessura successiva, ammirando il nuovo arrivato. Quando si rese conto di essere fuori dalla zona conosciuta, il povero Jamil era già giunto ai margini del bosco rinsecchito. Preoccupato, si guardò attorno, improvvisamente vulnerabile. Riconobbe gli alberi come acacie, e cercò disperatamente di capire dove fosse andato a cacciarsi. Fece qualche passo in avanti, esitante. Alzò lo sguardo, timoroso, solo per incontrare con la vista un amabile uccellino posato su un ramo. Protese un braccio, invitando quest'ultimo a posarsi sul suo dito. Il pappagallino obbedì prontamente, e confuso dalla sregolatezza della notte, intonò i canti dedicati all'alba per consolare il principe smarrito. Una lepre fece la sua breve apparizione tra i cespugli, salvo fuggire non appena comparve una volpe dalla peluria luccicante. Consapevole, se non altro, di non essere solo, Jamil tirò un sospiro di sollievo. Si sedette su un masso, mogio. La volpe e la lepre parvero fare pace e si avvicinarono a lui, per farsi accarezzare e tenergli compagnia. L'uccellino rimase lì, allegro e cinguettante, sporgendosi verso di lui per farsi coccolare. Proprio mentre accarezzava il capo del suo nuovo amico, la volpe si nascose rapidamente, seguita dalla propria nemesi, che corse nella direzione opposta. L'uccellino spiccò il volo, tornando nel suo nascondiglio. Gli insetti scomparvero nelle loro tane, e il terreno tremò. Il jinn portò le braccia al petto, improvvisamente turbato. Che gli animali del bosco si stessero nascondendo poteva indicare solo una cosa: un predatore era vicino. Si voltò, paonazzo.
Si ritrovò faccia a faccia con delle grosse fauci spalancate. Jamil indietreggiò, poi corse via, rapido come il vento. Alle sue spalle vi era il pericolo per i dolci abitanti della natura: una serpe dalle dimensioni spropositate tormentava infatti il boschetto. Nel vedere le pupille verticali e ardenti del mostro molti eroi avevano rinunciato all'idea di liberare la foresta dalla sofferenza che li affliggeva. Le squame lucide riflettevano la luce lunare, e il muso vagamente triangolare era adagiato sul terreno, a volte premuto così intensamente sul suolo da far credere che la serpe volesse immergercisi. Grossi canini giallastri, protetti da una lunga lingua biforcuta, facevano spesso la loro apparizione dinnanzi a piccoli animali e bimbi innocenti. Alla vista di una preda così facile, la bestia era subito sbucata fuori dai meandri della terra. Avrebbe potuto raggiungere facilmente il jinn, ma preferiva piuttosto dargli del vantaggio, deridendolo silenziosamente. Dal canto suo il principe si faceva strada tra arbusti e rampicanti, ansimando e inciampando, sollevandosi i lembi di stoffa del pantalone ormai strappati. Gemeva ogni qualvolta una spina gli si conficcava nella gamba o gli graffiava le braccia. Si protese in avanti, singhiozzando, consapevole di non poter vincere contro una creatura di quelle dimensioni. Il serpente decise di attaccare, scattando in avanti. Jamil cercò di sfuggirgli, ma venne trattenuto da una ciocca di capelli impigliata tra i rovi. Il ragazzo tirò con forza, tentando inutilmente di liberarsi. Alzò lo sguardo, pronto ad affrontare il suo destino. Dopotutto, non era esattamente quello su cui stava fantasticando prima? Chiuse gli occhi, sperando che non fosse doloroso come immaginava. Invece udì un fischio poco più su delle sue orecchie e un lamento da parte della bestia. Spalancando gli occhi sorpreso, vide il serpente trafitto da una lancia dorata, immerso nel suo stesso sangue, che si agitava agonizzante. Si voltò, alla ricerca dell'eroe.
Un uomo era dietro di lui. I capelli neri erano sporchi e spettinati, lo sguardo truce e segnato da un'evidente spossatezza. Questo si grattò la barba incolta e accigliò le spesse sopracciglia, inclinando il capo.
«Che razza di bestia saresti?» domandò duramente, squadrandolo. Improvvisamente nervoso, il jinn abbassò lo sguardo e le orecchie.
«Mi chiamo Jamil» si presentò, mortificato. Il suo benefattore gli girò un po'attorno, continuando a grattarsi il mento.
«Non riesco comunque a capire cosa diamine sei. Sei un animale o una persona?» bofonchiò l'uomo, non meno burberamente.
«Un jinn» rispose il ragazzo, realizzando di non aver comunque risolto il dubbio del suo interlocutore. «Un demone» aggiunse debolmente.
«Pensi che non sappia cos'è un jinn?» ringhiò l'uomo. Fece qualche passo in avanti e indietro, probabilmente per stemperare la sua rabbia. Dopodiché si pizzicò il naso e si riavvicinò al principe, che lo guardava timidamente, messo in soggezione. «Io sono Tamino» si presentò, ma troncò con il suo sguardo truce ogni possibile domanda o commento. Improvvisamente pensieroso, parve ponderare il da farsi. Infine estrasse il pugnale dal fodero e recise con decisione la ciocca di capelli aggrovigliata ai rovi. Prima che il jinn potesse obiettare qualcosa sull'improvviso taglio di capelli, Tamino sbuffò.
«Voi jinn non le avete le spazzole? Hai un nido in testa. Se non riesci a curarti i capelli lunghi dovresti tagliarli» commentò brusco l'uomo, scrollando le spalle. Sembrava incapace di rimanere fermo, anche solo per un istante. «È quello che ho fatto io» aggiunse con un filo di voce appena udibile, non meno tagliente.
«Sono in fuga» ribatté piccato il demone, improvvisamente infastidito dall'atteggiamento arrogante del principe. «Non è la mia priorità»
«Dovresti preoccuparti di più del tuo aspetto. Se ti fossi raccolto i capelli il mio intervento non sarebbe stato necessario. Essere in grado di cavarsela da soli è fondamentale» sibilò, abbassandosi alla sua altezza. Il giovane indietreggiò, ma Tamino, colto da un'improvvisa realizzazione, lo mise con le spalle contro il tronco di un albero.
«Tu sei una creatura della notte» sibilò, con gli occhi iniettati di sangue. Jamil non rispose, colto impreparato, ma il suo silenzio parve istigare di più la rabbia dell'uomo.
«Tu sei felice di questa situazione» sibilò, indicando la luna alta in cielo con un dito storto e ossuto. Il jinn si concentrò sulla sua unghia violacea e lunga, spezzata sulla punta. Tamino parve interpretare la mancata risposta come una beffa, quindi lo spinse nuovamente contro il tronco, con una forza tale da far cadere qualche rametto. «No» obbiettò il jinn, piano. Normalmente avrebbe reagito con più verve, ma da quando aveva fatto del male a Kay gli sembrava ingiusto infliggere pene basate solo sul suo punto di vista. Forse voleva solo sottrarsi dalla responsabilità di dare un giudizio.
«Hai idea di quale sia stato il prezzo da pagare per la notte eterna?» urlò nuovamente il principe, questa volta con voce rotta. Si accasciò ai piedi del jinn, disperato. Diede un pugno al suolo, ripensando al volto dolce e lo splendido sorriso della moglie a lui sottratta. Se non poteva punire Domina, poteva punire uno dei suoi seguaci, pensò. Estrasse nuovamente il pugnale del fodero, rialzandosi piano, con l'intento di cavare il cuore fuori dal corpo del jinn. Jamil lo guardava con occhi vuoti, passivo. Tamino non sapeva di stargli facendo un favore: in questo modo lo sollevava dalla responsabilità di togliersi la propria vita.
La volpe saltò fuori dal cespuglio in cui si era nascosta e azzannò il polpaccio dell'aggressore. L'uomo urlò di dolore, mentre la bestia strappava pezzi di carne, e lanciava brandelli di pelle insanguinata ovunque, dimenandosi come un cane bagnato. Si abbassò per scacciare via l'animale, ma anche la lepre giunse a dare il suo contributo prendendolo ad unghiate e morsi. Orrificato, Jamil indietreggiò, facendo sbattere la schiena al tronco dell'albero. Chiuse gli occhi, poi sentì un fischio. Questa volta non era qualcosa che veniva lanciato, era qualcosa che cadeva. Udì un'ultimo rumore gutturale, poi gemiti di dolore e versi animaleschi. Ma a costringerlo ad aprire gli occhi non furono quei suoni, ma la sensazione di avere un liquido caldo addosso. L'odore ferroso non lasciava spazio a dubbi, ma il ragazzo si passò comunque due dita sulla camicetta e le avvicinò agli occhi. Il colore rossastro dai riflessi bruni era tristemente familiare. Poi il corpo gli cadde addosso, e cacciò un urletto, disgustato.
Il cranio di Tamino, aperto in due, si era completamente spappolato a causa di un grosso ramo. Doveva essere caduto proprio sulla sua testa. I bulbi oculari parevano uscire dalle orbite, tanto erano spalancati gli occhi. La fronte era improvvisamente molle, e ben poco era rimasto della gamba divorata dalla volpe, che adesso si era acciambellata accanto al principe e lo guardava, docile. Jamil emise un gemito, poi si scrollò il corpo di dosso, scioccato. L'uccellino che l'aveva consolato nel momento di sconforto fece nuovamente la sua apparizione. Questa volta non riuscì ad intonare alcuna melodia a causa del becco deformato e pieno di schegge. In quel momento il jinn realizzò che la morte di Tamino non era stata affatto casuale. Accarezzò il capo dell'uccellino, piano. Questo emise qualche nota addolorata, poi chiuse pacificamente gli occhi. Jamil lo strinse a sé, piano, poi scivolò anche a lui a terra, con la schiena ancora contro l'albero.
«Ti sei perso?»
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Era da diverso tempo che Ryuu e Aedus non si rivolgevano la parola. Se doveva essere sincera, la principessa non ricordava nemmeno cosa si erano detti l'ultima volta che si erano visti. Così presa dalle sue fantasie di riunione familiare, aveva dedotto fosse perché non riusciva a seppellire Kay nella sua memoria. Era perfettamente comprensibile che succedesse una cosa simile. L'aveva costretta a bere una pozione d'amore, usata per i suoi scopi ed infine abbandonata come una bambola rotta.
Aedus era stato gentile con lei, ma al momento di affrontare la realtà di una fanciulla rotta l'aveva abbandonata anche lui. Erano entrambi uomini senza coraggio. E a peggiorare la situazione c'era la mancanza della protesi. A volte la frustrazione era tale da costringere la fanciulla a cercare una via di fuga dal dolore. Prendeva a testate le mura, cercando di concentrare la mente sui tagli sulla fronte piuttosto che sul braccio mancante. La vita stava diventando intollerabile per Ryuu. Certo, Jamil era vivo, ma era tornato all'Accademia? Ogni volta che vedeva Khalil provava disgusto per il suo ex compagno di stanza. Non avrebbe mai potuto immaginare di vederlo ridotto in quel modo. L'incapacità di formare legami con le persone lo stava distruggendo. E senza rendersene conto, stava distruggendo anche lei. Aedus le si era parato di fronte e nemmeno se n'era accorta.
«Ciao» la salutò cordialmente l'uomo. Il tono asettico le fece piegare la faccia in una smorfia.
«Ti serve qualcosa?» domandò la rossa, sbattendo le lunghe ciglia. Arricciò una ciocca di capelli attorno al dito, mordendosi leggermente le labbra. L'uomo non poteva resisterle.
«Volevo solo chiederti se hai capito i tuoi errori. Se sei disposta a lavorarci su posso darti una seconda chance» commentò il biondo, inclinando il capo, perplesso. Ryuu gli sembrava così euforica da turbarlo. Non era una leggerezza di carattere, era un completo distacco dalla realtà.
«Quali errori?» chiese la giovane. «Mi hai detto che continuo a pensare a Kay. É normale che io lo faccia. Se avessi passato anche tu quello che ho passato io mi capiresti» spiegò tranquillamente, rilassata. Credeva genuinamente di avere totale ragione.
«Allora non possiamo stare assieme» concluse seccamente l'uomo, avviandosi verso la sua camera, pronto a schiacciare un meraviglioso pisolino senza l'impegno di una fidanzata insicura e spaventosa.
La risposta prese di gran lunga alla sprovvista Ryuu, che spalancò gli occhi terrificata, improvvisamente riportata alla realtà. Le era parso di volare da quando aveva parlato con Thomas, ma adesso era precipitata al suolo.
«Perché?» domandò con voce gracchiante.
«Perché non ho bisogno di una zavorra. Senti, sarai anche molto carina, ma non sei una persona con la quale é piacevole stare. Da quando sei arrivata nella mia vita non dormo quanto dovrei perché ci sei sempre tu che mi blateri di quanto sia stata difficile la tua vita. Non mi interessa quanto credi tu. E poi ti assicuro che le tue piccole vendette verso i tuoi amici paiono più bambinate che altro. Sei ridicola. Sarebbe meglio se tu stessi un po' con la bocca chiusa» spiegò l'uomo. Poi la guardò.
«E magari, quando baci me, non pensare di star baciando Kay» aggiunse.
Paonazza, la rossa strofinò i piedi a terra. «Chi ti ha detto che penso a lui?» esclamò, imbarazzata. Aedus fece un cenno al cielo. Probabilmente qualche aiuto divino.
«Quindi ciao. Se hai intenzione di cambiare sei libera di chiamarmi. Ma per adesso scordati di me» concluse l'uomo. Ryuu pigolò qualcosa, poi corse via in lacrime.
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La servitù era rimasta abbastanza stupita dall'improvviso ritorno di Khalil. Si erano guardati confusi, insicuri sul da farsi. Era vero che ultimamente c'era un'incredibile via vai di gente a palazzo. Ma possibile che il principe fosse tornato prima del previsto? D'altro canto Kay non sapeva come si comportasse Khalil a casa propria, quindi era rimasto fermo impalato dal momento in cui aveva fatto il suo ingresso. A quel punto qualcuno dei servitori si decise ad allertare Jasmine e Aladino, probabilmente troppo presi dalle loro smancerie per accorgersi del figlio. Il principe delle nevi poteva udire le urla anche prima che i due si palesassero.
«Si saranno confusi, Haidar è a scuola con tutti i suoi compagni di classe seri» strillava una voce femminile, che dedusse essere quella di Jasmine.
«Non é passato il suo fidanzatino di qui qualche giorno fa?» domandò Aladino, genuinamente confuso.
«Sei sempre il solito cretino. Sì, ma perché adesso dovrebbe esserci lui? Sarà qualcuno di simile» bofonchiò la donna.
Eppure quando i due si trovarono davanti l'impostore si guardarono perplessi. Jasmine sorrise e cacciò un urletto di gioia, gettandosi tra le braccia del figlio. Kay si limitò a ricambiare freddamente l'abbraccio.
«Sei davvero tu! Ma quanto ti sei fatto alto!» esclamò la donna, girandogli attorno, ammirandolo soddisfatta.
«Che strano pensare che un tempo eri così piccino da entrare nella mia pancia» aggiunse, mettendosi in punta di piedi per dargli un buffetto sulla guancia.
«Tecnicamente ero nel tuo utero» commentò solamente Kay, avvampando subito dopo il commento. Forse non era la cosa più appropriata da dire, ma d'altronde Khalil non era l'uomo più educato e innocente del mondo.
«Anche io» gongolò Aladino, limitandosi a salutare il figlio con un cenno della mano. «Hai un po' di barba» aggiunse, mettendosi le mani sui fianchi. Jasmine gli diede una gomitata. Il principe delle nevi fece una smorfia. Capiva da chi avesse preso Khalil.
«Posso andare in camera?» pigolò l'uomo, disperato. Voleva sfuggire dalla coppia il prima possibile.
«Certo» sorrise Jasmine. «Non vedo l'ora di riaverti a tavola! Riposati un po', vogliamo sapere tutto di scuola. Se poi te la senti ci racconterai anche perché sei tornato. Non ti trattavano bene, amore?» pigolò la donna. Kay deglutì. Non aveva idea di dove andare.
«Wow, me lo ricordavo molto più piccolo questo castello! Ehm, che ne dite se mi accompagnate?»
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Jamil si era fatto condurre docilmente dallo sconosciuto, che lo aveva preso per mano e accompagnato in una radura della foresta. Forse perché troppo turbato dall'immagine onirica di Tamino, forse perché non aveva idea di cosa fare, si era semplicemente arreso tra le braccia di quell'uomo. Si era presentato con il nome di Sarastro, e aveva detto di essere il Sommo sacerdote di una confraternita solare. Il jinn trovava sciocco che esistesse un culto del Sole quando quest'ultimo non si faceva vedere ormai da molto tempo, ma il sacerdote era pronto a rispondere anche alle domande non poste ad alta voce. Era un uomo dall'aspetto perfettamente ordinario, con una forza magnetica intrinseca che convinceva le persone a ruotare attorno a lui. Aveva occhi piccoli, con pupille acquose di un azzurro tendente al verdognolo, il colore dell'acqua infestata da alghe. Nonostante le dimensioni contenute sembravano dominare il suo viso, facendo passare in secondo piano il suo grande naso, la cui forma ricordava un becco d'aquila. Aveva un incarnato scuro che contrastava la folta barba bianca, costellata qua e là da sporadici peli grigi. In realtà a stupire il ragazzo non era tanto chi fosse l'uomo misterioso o cosa facesse, ma il fatto che fosse completamente privo di capelli. Jamil la trovava una cosa straordinaria, quasi inconcepibile. Non aveva mai visto un uomo calvo prima di lui, sebbene molti jinn non godessero del privilegio di una lunga chioma. Se non fosse stato così distratto dalla ricorrente immagine di Tamino probabilmente avrebbe chiesto a Sarastro il permesso di accarezzargli la testa. Le mani rugose e ossute tenevano saldamente le redini del carro, che veniva curiosamente trainato da sei leoni. Il jinn non aveva mai visto nemmeno quelli, quindi li guardava con grande curiosità. Strizzava gli occhi, cercando di capire se fossero cani o gatti. Trovava incredibilmente buffo che loro avessero i capelli e il sacerdote no. Così preso dalle novità, non si rendeva nemmeno conto di quanto fosse stato ingenuo. Quell'uomo avrebbe potuto essere anche un mercenario, e lui l'aveva seguito fedelmente come un cagnolino. Fortunatamente per lui l'uomo non aveva cattive intenzioni, anzi, era un po'preoccupato dalla totale mancanza di istinto di sopravvivenza del ragazzo.
«Non essere spaventato, ragazzo» proclamò Sarastro, deducendo che il giovane dovesse essere un po' scosso dopo tutti quegli avvenimenti.
«Non lo sono» ribatté tranquillamente Jamil. «Tu sei il mentore di Tamino e Pamina, vero?» domandò, guardandolo negli occhi. Il sacerdote sospirò sollevato. Forse il jinn non era così sprovveduto.
«Esatto. Vorrei dire che lo sono ancora, ma purtroppo non è così. Fortunatamente adesso sono riuniti nei campi dei giunchi assieme alla loro figliola Astrifiammante» mormorò, deluso. «Sono stato io a mandare gli animali in tuo soccorso. Tamino era ormai fuori controllo. La morte di Pamina l'ha scombussolato a tal punto da credere che sia stata colpa mia. Mi accusava di averla ingiustamente sottratta a sua madre, permettendo a Domina di crescere esattamente com'è cresciuta. Un mostro. Ma io le amo entrambe come se fossero figlie mie, e mi auguro che Domina muoia in grazia proprio come Tamino. Se fossi riuscito a portare anche lei alla mia corte tutto questo non sarebbe successo» mormorò, scuotendo il capo. Il solo udire che il sacerdote volesse bene a Domina nonostante l'evidente mancanza di umanità della donna fece lacrimare il povero jinn. Davvero non riusciva a capacitarsi come la bionda fosse adorata come un agnellino indifeso e lui ripudiato come un mostro. Nemmeno passando la vita a compiere bontà avrebbe ricevuto lo stesso amore che riceveva la regina della notte solo per il suo bel faccino. Si asciugò le lacrime, immaginando che forse il suo aspetto era stata una delle cause per cui sua madre non aveva voluto avere a che fare con lui. Cercava di non pensarci mai, a sua madre, ma nei momenti di sconforto non riusciva ad evitarlo. E dire che non era sproporzionato, anzi! Aveva un viso perfettamente simmetrico, e le braccia lunghe uguale. Non aveva nemmeno un piede più grande dell'altro. Forse erano queste le piccolezze che rendevano gli umani belli. Forse la sua faccia metteva a disagio gli altri. Si passò una mano tra i capelli attorcigliati, imbarazzato. Tirò su col naso, desiderando con tutto il cuore che ci fosse, da qualche parte, qualcuno che gli volesse del bene incondizionato come quello che provava Sarastro per Domina.
«Non riesco a capire come questo abbia a che fare con me» commentò improvvisamente piccato. Se Sarastro l'aveva richiamato a lui con l'intento di andare allegramente a farsi spolpare da Domina pur di renderla felice e farla giocare con le sue ossicine, era pronto a sbranare il sacerdote a morsi.
«Il mio compito è salvare e proteggere le anime buone da coloro che vogliono ferirle o usarle per scopi immondi» proclamò l'uomo. Jamil alzò un sopracciglio. Evidentemente si aspettava che andasse a salvare qualche santarellino in giro per il mondo, probabilmente per farsi chiedere che razza di bestia fosse. Magari avrebbe anche dovuto sentirsi appagato e ringraziarli per non avergli vomitato addosso nel vederlo.
«Ripeto: non capisco cosa c'entro io» si lamentò il jinn, dandogli le spalle. Il commento su Domina l'aveva ferito più di quanto volesse ammettere. Non aveva mai visto Sarastro prima, ed era perfettamente naturale che questo stimasse le due sorelle più di quanto potesse stimare un jinn al primo sguardo.
«Non sono riuscito a proteggere Pamina e Tamino dal loro destino. Ma forse sono ancora in tempo per salvare te» commentò stancamente il sacerdote.
«Salvarmi da cosa?» lo derise crudelmente Jamil.
«Hai un dono molto grande. Ci saranno approfittatori da ogni dove» continuò imperterrito l'uomo.
«Certo, il grande dono della cucina. Da chi vuoi salvarmi, dal proprietario di una taverna che vuole assumermi come cuoco? A me va bene anche fare lo schiavo in qualche palazzo. Tanto chi fa lo schiavo fa anche il padrone, ad un certo punto. E poi non mi interessa. A fare il principe non sono buono, e l'ultima cosa che posso fare è il concubino nell'harem che vuole farsi il mio fidanzato. Magari per un cieco vado bene. Cieco e sordo» disse il jinn, stringendosi nelle proprie spalle e guardando altrove. Sarastro lo guardò, triste. Jamil trattenne le lacrime. In fondo si aspettava che l'uomo negasse tutti quei commenti negativi autoinflitti.
«Magari non è quello il tuo destino» commentò debolmente il sacerdote.
«Magari il mio destino è ammazzarmi a vent'anni» ribatté crudelmente il jinn. Gli piaceva vedere l'uomo struggersi per lui. Cos'è, non riusciva a convertirlo al suo stupido culto del Sole? Non ci era riuscito nemmeno con Domina, e lui non era da meno. Adesso erano sullo stesso piano?
«Non dire così» pigolò Sarastro, sempre più spossato.
«Vuoi proteggermi come hai protetto Pamina?» domandò ancora il jinn, sempre più insistente. Rigirare il dito nella piaga, la cosa che fanno meglio le persone ferite.
«È diverso. Tu sei un uomo. Puoi diventare un adepto» controbatté, ancora una volta, l'uomo.
«Facciamo distinzioni di sesso adesso? Perché dovrei aderire al culto più stupido del mondo? Vi siete pure fatti fregare quel cerchio solare da Domina» concluse il jinn, incrociando le braccia sul petto.
Sarastro fece un breve cenno di capo ai leoni, poi impugnò più saldamente le redini.
«Perché dovresti diventare adepto?» ripeté, questa volta con tono duro e autoritario.
«Perché lo dico io»
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Ormai stavano sorvolando l'Accademia. Dario era piuttosto sicuro di averci messo meno della volta precedente, ma poi fece spallucce. Meglio così. Dovevano solo trovare un posto dove atterrare e poi avrebbero fatto del loro meglio per reintegrarsi.
«Sei emozionato?» domandò il castano. Inizialmente era una domanda ironica, ma vide il corvino aggrapparsi alle nappe del tappeto con talmente tanta forza da avere le nocche bianche. Evidentemente il pensiero di riaffrontare Melody era più pesante di quanto credesse.
«No» sibilò Keiichi, guardandolo in cagnesco. Non sapeva cosa fare o cosa dire. Doveva pararsi davanti a quella che supponeva fosse la sua quasi fidanzata e ordinarle di baciarlo. Non aveva mai baciato nessuno. Forse qualche bacetto al padre sulla guancia quando era piccolo, ma la cosa si fermava là. Doveva chiudere gli occhi, tenerli aperti? Forse doveva lavarsi i denti prima di andare da lei. Fu quasi tentato di chiedere a Dario di controllargli l'alito, ma si fermò giusto in tempo.
Il corvino prese un bel respiro e scese dal tappeto con un salto. Corse verso il laghetto per rimirare il suo riflesso, ma l'unica cosa che ottenne fu constatare il disperato bisogno di uno shampoo. Sospirò, cercando il modo di arrivare dalla ragazza senza sembrare uno sciattone. Si nascose dietro un albero e studiò il da farsi.
Melody, dal canto suo, si stava preparando psicologicamente per andare a parlare con Ryuu. Mentre ripeteva a MJ il discorso che aveva intenzione di fare all rossa, continuava a camminare davanti e indietro, lamentandosi a bassa voce. Desiderava davvero riallacciare i contatti con la sua migliore amica, ma era perfettamente cosciente che Ryuu non fosse più la stessa ragazza che aveva conosciuto da bambina. Le faceva strano pensare che anni di amicizia solida fossero crollati per colpa di un ragazzo. Aveva sempre immaginato che sarebbe stata la prima a trovare qualcuno di speciale, ma apparentemente Ryuu era più brava di lei ad essere una ragazza.
Non era che volesse apparire per forza mascolina. Certo, le piaceva ricevere i complimenti dai suoi amici per i muscoli che metteva su, ma rimaneva comunque una fanciulla a cui piacevano i vestiti e i ragazzi. Ryuu le aveva rovinato la vita. L'aveva confinata al ruolo di "mammina" del gruppo. E adesso non riusciva a sdoganarsi da quella definizione.
«Forze dovresti sciacquarti la faccia» suggerì Mary Jane, osservandola fare smorfie. «Ti cola anche il naso. Se pensi di presentarti così da Ryuu hai perso in partenza» commentò piccato. La bionda obbedì, dirigendosi verso il lago. Non aveva voglia di salire quelle mille scale per raggiungere uno dei bagni interni all'Accademia. Keiichi la guardò tuffare la testa nell'acqua, sconvolto. Era così che la ragazza si lavava la faccia? A quel punto non poteva disgustarsi davanti a dei capelli leggermente sporchi. Si voltò, in cerca del supporto di Dario, ma l'uomo se n'era andato. Prese un bel respiro, e si avvicinò alla ragazza.
«Melody?» domandò con voce gracchiante. Arrossì imbarazzato nel vederla con la maglia umida. Erano passate diverse settimane, e lei si era fatta molto più bella. Forse le fanciulle sempre diventavano davvero più incantevoli di giorno in giorno, come raccontavano le fiabe. Lei lo guardò inizialmente confusa, poi sul suo volto si dipinse un bel sorriso. Lo strinse in un abbraccio violento. Il principe giurò di aver sentito qualche rumore sospetto all'altezza delle anche, ma lasciò perdere.
«Keiichi! Sei vivo!» esclamò allegramente. Il corvino sperò non commentasse il suo aspetto. Ma Melody non sarebbe riuscita a trovare un difetto nemmeno volendo.
«Così pare» rispose, mordendosi la lingua subito dopo. Sembrava incapace di parlare senza sembrare sciocco. Di solito i suoi discorsi erano ricchi di carisma, convincevano le persone a gravitargli attorno. Era il centro del suo sistema solare.
«Stai benissimo!» esclamò seria la ragazza. A trattenerla dal baciarlo c'era solo l'impellenza di soddisfare un suo piccolo desiderio.
«Grazie. Convenevoli a parte, quando mi hai, diciamo, svegliato da quell'incantesimo, ti sei dimenticata di baciarmi sulle labbra. Quindi negli ultimi giorni mi ritrovo perseguitato dagli aghi. Quindi immaginavo che potessi baciarmi sulle labbra» biascicò, mortificato. Non avrebbe mai potuto immaginare di ritrovarsi a supplicare una ragazza - sempre, per di più - di baciarlo.
La ragazza arrossì, poi le labbra si piegarono in un sorriso furbetto. «Solamente se me lo chiedi per bene» esclamò, ghignando sotto i baffi. Il principe, preso alla sprovvista, emise un gemito strozzato.
«Prego?» fu l'unica parola che gli uscì.
«Dai, chiedilo in modo più romantico. Supplicami di baciarti. Come il ranocchio che pregava la principessa di baciarlo. Mi hai trattato con sufficienza per anni, me lo merito» concluse la fanciulla.
«In primis, la fiaba non andava così. In secondo luogo, assolutamente no. Mi rifiuto. Preferisco dormire per sempre» concluse il corvino. La ragazza aprì una spilla che aveva abbottonato al vestito, avendo cura di mostrare l'ago appuntito al ragazzo. Keiichi cadde in ginocchio, e si guardò attorno, controllando che non ci fosse nessuno.
«Per favore, Melody» pigolò, mortalmente imbarazzato.
«Per favore Melody cosa?» ripeté lei, con tono beffardo.
«Per favore dammi un bacio!» sibilò l'uomo, completamente rosso. Poi, piuttosto convinto della sua richiesta, chiuse gli occhi e si sporse in avanti, aspettando che la ragazza ricambiasse il bacio. Melody lo trovò la giusta dose di patetico e di carino. Ritenendosi soddisfatta, gli mise le mani sul viso e lo avvicino a sé, baciandolo dolcemente. Con la lingua.
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Nel frattempo, inconsapevole di aver destato attenzione ancor prima di presentarsi alla confraternita, Jamil era immerso in una vasca da bagno colma di acqua gelida. Raggomitolato su ste stesso, se ne stava in silenzio, imbarazzato, mentre Sarastro gli lavava i capelli con energia, facendo spesso utilizzo delle forbici che aveva posato su uno sgabello accanto alla vasca.
«Uno dei requisiti è avere i capelli neri. Di solito ad aderire al culto del Sole sono locali, quindi hanno naturalmente i capelli scuri. Ma non importa, abbiamo della tinta» commentò il sacerdote.
«Non voglio tingermi i capelli» mormorò Jamil. Non aveva coraggio di alzarsi e fuggire, specialmente perché l'uomo aveva stracciato definitivamente i suoi vestiti e aveva proposto lui la divisa del culto. Non si azzardava a infilarsi quella gonna di lino e andare in giro come se nulla fosse. «Ma poi che razza di requisito sarebbe?»
«Già ti sto permettendo di tenerli lunghi» gli ricordò l'uomo.
«Lavavi anche Pamina?» chiese il jinn, sperando che il sacerdote raggiungesse il punto massimo di saturazione e andasse via, arrendendosi. Già non aveva risposto alla sua domanda.
«No. A differenza tua, sapeva come prendersi cura di sé stessa e dei suoi capelli» lo redarguì Sarastro. «E non atteggiarti come se ti stessi molestando. Non ti sto nemmeno guardando nudo, sei nell'acqua saponata, non si vede niente»
«Ma so lavarmi da solo. E tu smettila di atteggiarti come se fossi un bambino di sei anni. La prossima volta rapisci Domina e lava lei»
«Non ti ho rapito, Jamil. Sei salito volontariamente sul mio carro. Ho ucciso un mio adepto per te» sospirò stancamente l'uomo.
«Non ti ho mica chiesto di farlo. Non ho ancora nemmeno capito perché mi hai portato qui» si lamentò debolmente, mentre il sacerdote si rimboccava le maniche e gli rovesciava sul capo una densa crema color pece. Il jinn sospirò, poi iniziò a pensare alla fuga. Poteva accontentarlo per un po', abbastanza da ottenere la sua fiducia. Poi sarebbe fuggito.
«Ho fatto. Puoi sciacquarti. I vestiti sono sullo sgabello. Ti aspetto fuori» commentò il sacerdote, uscendo dalla stanza.
Jamil si immerse nell'acqua, tingendola di nero. Si sentiva sporco. Pensò di annegarsi lì, in quel momento. Nessuna necessità di fuggire un'altra volta, quando poteva scappare in maniera definitiva.
Si sciacquò comunque, assente. Si guardò allo specchio appeso alla parte, completamente nudo. Di solito evitava di specchiarsi, perché aveva paura di vedere un riflesso che non gli piaceva. Ma era morbosamente curioso di vedersi con i capelli corvini. La chioma scura faceva risaltare sul viso i lineamenti più affilati, facendo emergere una forte somiglianza con suo padre. Si coprì la faccia con i capelli, poi sbatté le ciglia, squadrandosi. Se fosse stato Khalil, si sarebbe tradito anche lui.
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Dario aveva deciso di ritornare in camera sua, non avendo nulla da fare. Camminava con le mani in tasca, scocciato. Ultimamente tutto sembrava irritarlo oltremodo, e non riusciva a capire perché. Forse perché sua madre era sparita dai suoi sogni da diversi mesi, e non capiva cos'avesse fatto di sbagliato per farla scappare via. Magari aveva avuto un altro figlio nello stesso modo in cui aveva avuto lui, e adesso doveva prendersi cura del nuovo nato.
Davanti alla porta c'era qualcuno. Non riconoscendo i lineamenti, l'uomo si protese in avanti.
«Hey!» esclamò. Che avessero riorganizzato le camere mentre lui era via? Era possibile. Solo che il pavimento era sporco e la porta impolverata. Se qualcuno aveva preso il suo posto, non era un uomo pulito.
«Scusa!» rispose immediatamente il ragazzino, voltandosi e poggiando la schiena sulla porta, chiudendo gli occhi e infine mettendo le mani in avanti per proteggersi. Dario rilassò immediatamente le spalle.
«Thomas?» mormorò, sollevato. Spalancò le braccia, facendo cenno al ragazzo di abbracciarlo. Quando il bambino aprì gli occhi e si rese conto di avere davanti il proprio migliore amico tirò un sospiro di sollievo e gli saltò addosso.
«Non posso credere che tu sia tornato!» esclamò, sprizzando gioia da tutti i pori. «Credevo che non ti avrei più rivisto! Qui c'è il chaos assoluto. Non si capisce più niente. Miranda non si vede mai, quindi non capisco perché ha voluto spodestare Kay per forza, se non fa niente. E poi che ti é successo?» aggiunse rapidamente, senza nemmeno prendere fiato.
«È una lunga storia. Khalil mi aveva spedito ad Agrabah, sai, quando Ryuu ha perso il braccio. Solo che sua madre mi ha fatto arrestare. Sono rimasto lì finché non sono arrivati Keiichi e Jamil, che mi hanno liberato. Solamente che Jamil si é perso per strada e Keiichi sta facendo le cose sue adesso» riassunse brevemente, prendendolo in braccio.
«Cavolo! Io dovevo tornare con Jamil e Keiichi. Però si sono persi. Sai dove sono spuntato? Nell'armadio della camera dove Domina e Khalil stavano facendo sesso» bofonchiò. «Comunque nessuno mi ha voluto ospitare, quindi questi giorni sono andato a dormire nel camino. Spento, ovviamente»
«Che fosse spento non lo dubitavo. Quindi com'è andata la tua avventura fuori dall'Accademia?» domandò curioso. «Hai detto che dovevi tornare con Jamil e Keiichi, quindi devi averli incontrati prima di me» domandò l'uomo.
«Sostanzialmente mi sono perso nella Selva. Poi ho incontrato una demone che mi ha preso in ostaggio. A Gavaldon ho trovato Kay e siamo caduti in un buco che portava al regno dei jinn, che é sotterraneo. Poi non ho ben capito, però c'erano Jamil e Keiichi. Alla fine abbiamo litigato con Kay perché loro due gli hanno avvelenato il gelato»
«Credo ci sia dell'altro» ammise Dario, aprendo la porta con un colpo di spalla. «Mi racconterai dopo un bel bagno. Sei pieno di cenere»
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Quando si era presentata da Miranda, nonostante l'imbarazzo, l'unica cosa che aveva ottenuto era stata una risata crudele. Certo la bellissima regina della notte non si sarebbe mai potuta aspettare di venir derisa per il suo aspetto. Dei suoi boccoli biondi era rimasto poco e niente, se non qualche ciocca che ormai le rimaneva tra le mani. Nonostante si fosse ricoperta di impacchi per calmare se non altro il bruciore, non riusciva a guardare il suo viso senza disgustarsi. A ferirla, però, era stato il cambiamento di atteggiamento della fidanzata. Non si aspettava certo che tutte le sue relazioni durassero in eterno, essendo basate puramente sull'aspetto fisico, ma aveva sempre immaginato che fra lei e Miranda ci fosse un'intesa che andasse oltre. Adesso voleva vendicarsi non solo di Khalil, ma anche di quella che era stata la sua amante per diverso tempo.
Sgattaiolò nella stanza dove Miranda celava lo specchio. Ingenuamente la rossa glielo aveva confidato, probabilmente pensando che la bionda si sarebbe mantenuta bella in eterno. Gettò via il telo che lo copriva, bussando sulla superficie per svegliarlo.
«Specchio specchio, servo delle mie brame, chi é la più bella del reame?» domandò, decisa a trucidare qualunque fanciulla adesso detenesse il titolo di più bella del reame.
«Ci sono modi e modi, signorina!» esclamò lo specchio, infastidito. Poi ci rifletté un po', guardandola come se non capisse esattamente chi avesse davanti.
«Ma sei Domina!» esclamò infine, realizzando l'identità della donna.
«Dimmi chi é la più bella!» strillò la bionda, aggrappandosi alla cornice. Lo specchio se la rise sotto i baffi. Sapeva benissimo di essere intoccabile: solo il Narrastorie sapeva il chaos che avrebbe creato Miranda se un giorno si fosse ritrovata senza specchio magico.
«Ebbene, tu eri molto carina, ma adesso qualcuno ha preso il tuo posto. E non solo nel ruolo di più bella, ma anche di amante. Sembra che con i capelli sciolti Shinju sia irresistibile» esclamò, serio.
«Non é possibile!» urlò la regina della notte, stringendo i pugni fino a far sanguinare i palmi. Fortunatamente le ustioni non si erano rivelate essere così gravi da deformarle le mani.
«Dovrei trasformarla in un animale, o qualcosa del genere! Non può vincere Khalil!» strillò infervorata la donna.
«È stato Khalil a ridurti così?» si finse sorpreso lo specchio. «E dire che é sempre stato un ragazzo a modo. Da quando ha perso Jamil é uscito proprio fuori di testa» commentò solamente, spiando la reazione di Domina.
«Sono stata io a ridurlo così, con la pozione di disamore» realizzò, piano.
«Mhm» concordò disinteressato lo specchio, osservando la fanciulla struggersi disperata. Le sue azioni le si erano rivoltate contro lasciandola inguardabile. Prima che la donna potesse proferire un'altra parola, lo specchio si schiarì la voce.
«Nel caso non li avessi sentiti, questi sono i passi di Miranda. Io mi nasconderei se fossi in te. Ah, ricoprimi» commentò solamente. La bionda obbedì prontamente, e si cacciò in un anfratto, coperta da qualche telo gettato in un angolo. Rimase in silenzio e aspettò che la fidanzata entrasse nella stanza. Miranda, chiaramente distratta da qualcos'altro, non controllò accuratamente la stanza come faceva di solito.
«Specchio, ti dispiacerebbe riprendere quel discorso?» domandò, guardandosi attorno senza attenzione.
«Quello di Jamil?» chiese ad alta voce lo specchio, che impietosito dal brutto aspetto di Domina e del trattamento che aveva ricevuto, decise di darle le stesse possibilità che stava dando a Miranda.
«Sì, non mi interessa come si chiama. Dov'è? Devo riportarlo all'Accademia e poi esaudirà tutti i miei desideri, giusto?» domandò la rossa.
«Ti ricordo che ha una propria volontà. Potrebbe rifiutarsi di realizzare i tuoi desideri, sai? Dovresti assicurarti il suo appoggio. Se vuoi farlo in maniera etica. Altrimenti sei libera di costringerlo con qualche incantesimo. Anche se un uccellino mi ha detto che quando dorme realizza tutti i desideri che riesce a sentire. Solamente che si infrangono non appena si sveglia» borbottò lo specchio, guardando soddisfatto la sua protetta.
«Dici che mi basta addormentarlo?» ragionò la rossa ad alta voce.
«Così pare. Magari non fare lo stesso errore di tua madre, che é riuscita a sbagliare tre volte su tre» commentò sarcasticamente lo specchio. «E non prendere esempio da Ryuu. Keiichi e la sua bella si sono baciati e l'incantesimo é stato spezzato»
«Anche volendo, il suo vero amore sta andando a puttane. E poi loro due saranno stati l'eccezione che conferma la regola!» si lamentò Miranda. «Sono troppo strani per non funzionare assieme. Comunque dimmi dov'è questo Jamil» ordinò, con un gesto svogliato della mano.
Lo specchio ci rifletté un po', poi mostrò l'immagine di un castello.
«Questo é il castello di Sarastro. Ha trovato Jamil nel bosco che circonda il regno del Sole e l'ha accolto nel suo culto. Tieni a mente che oltre ad essere il sommo sacerdote di quel culto é anche un profeta. Sa benissimo che Domina potrebbe usare i desideri per rendere la notte eterna una volta per tutte. Non basta mettere il Settemplice Cerchio Solare al proprio posto, bisogna assicurarsi che venga distrutto il Settemplice Cerchio Lunare» blaterò.
«Questo non l'avevo mai sentito» commentò Miranda, inclinando il capo.
«Perché Sarastro lo tiene nascosto. Credi che non ci siano stati dittatori che volevano abolire la notte affinché ci fosse solamente il giorno?» commentò. «Comunque non é poi così lontano da qui. Con un tappeto volante ci vorranno una notte e un giorno, ma viaggiando via terra circa una settimana, credo» commentò.
«Non importa, non andrò a ripescarlo adesso. Voglio prima assicurarmi che sia fuori gioco Kay» mormorò la donna. «Mostramelo»
«Non lo trovo» ammise lo specchio. «Non c'è nessuno che risponda alla sua descrizione». Chiuse gli occhi, aspettandosi uno scatto d'ira da parte della rossa. Invece Miranda rimase in silenzio, pensando al da farsi.
«Avrà preso le sembianze di qualcun altro» commentò solamente.
«Cerca un doppione di qualcuno» aggiunse, andando via.
«Ci metterò secoli a smistare impostori e gemelli omozigoti!» si lamentò lo specchio.
Domina, ancora sotto i teli, sorrise. Se Miranda non aveva intenzione di agire sul momento, poteva batterla sul tempo. Aveva voluto ripudiarla, e adesso si sarebbe presa lei l'unica possibilità di vittoria della rossa. Doveva solo trovare qualcuno disposto a fare il lavoro sporco per lei.
Sia lei che Miranda non si coricarono quella sera. Come dice lo specchio, lo sanno tutti che il Male non dorme mai.
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Dopo il breve incontro con Domina, Khalil e Shinju si erano sistemati nel letto della principessa. L'uomo le dava le spalle, e la ragazza voleva capire il perché. Se diceva di amarla così tanto, perché sembrava così distante? Sembrava ripudiare il contatto fisico con lei.
«Sei sicuro vada tutto bene?» mormorò, abbracciandolo da dietro. L'uomo sussultò leggermente, ma poi rimase per un attimo in silenzio.
«Sì» le rispose semplicemente, girando la testa per darle un bacio sulla guancia.
«Mi sembri diverso. Non lo so, a volte ho la sensazione di non piacerti molto» ammise la principessa, distaccandosi piano dal ragazzo. Era la verità. Si sentiva trascurata, come se non fosse l'unica persona a cui il principe dedicasse delle attenzioni. Che la stesse tradendo? Non le importava dei suoi amanti, ma voleva che l'uomo passasse del tempo solamente con lei. Che riducesse il tempo per i suoi amichetti!
«Ero solo preoccupato, sai. Ho tante cose per la testa che a volte risulto un po' rude con tutti quanti» disse Khalil, girandosi per intrecciare le sue dita con quelle della fanciulla. Era chiaramente una menzogna, e poteva capirlo benissimo anche una come Shinju.
«Promettimi che non mi lascerai mai» ordinò la donna con tono deciso. Normalmente risultava piuttosto sottomissiva di natura, dall'atteggiamento passivo e obbediente. Sembrava un po' una testa vuota vista dall'esterno. Ma adesso guardava il principe pretenziosa, cogliendo una sfida fra lei e Domina di cui nemmeno era a conoscenza.
«Te lo giuro» rispose Khalil, senza nemmeno pensarci troppo. Doveva seppellire Jamil e Domina e guardare avanti. Ormai aveva lacerato le sue relazioni fino al punto di non ritorno. Sarebbe stato meglio se fossero morti entrambi, incapaci di raccontare dell'essenza becera che si era rivelato essere il principe di Agrabah. Ma a Shinju non bastava un semplice giuramento. Voleva un legame indistruttibile con l'uomo, anche a costo di rovinare entrambi nel processo. Si avvicinò a lui al punto da sfiorare le sue labbra.
«Voglio più di una promessa» sussurrò suadente, allontanandosi da lui immediatamente dopo. Sorrise, consapevole di averlo catturato nella sua rete. Khalil parve pensarci un po', leccandosi le labbra come faceva quando rifletteva seriamente. Cosa c'era più forte di un giuramento? Sorrise entusiasta.
«Sposiamoci» proclamò infine. La donna sorrise dolcemente, con gli occhi languidi e pieni di gioia. Il principe deglutì, in trappola. Adesso non poteva più tornare indietro.
⋅•⋅⊰∙∘☽༓☾∘∙⊱⋅•⋅
Il castello di Sarastro era enorme, e intricato. Jamil si guardava attorno curioso, stringendosi nel mantello. Il sacerdote lo guardava in disappunto, interpretando la necessità del jinn di coprirsi come una ribellione alla sua religione. Non riusciva a capire l'odio innato che il ragazzo provava verso il suo culto. Fin da piccino aveva desiderato ardentemente di diventare sacerdote, aggrappandosi alla gonna della mamma quando i suoi fratelli partivano uno dopo l'altro per il rito di iniziazione. Era strano pensare di essere l'unico rimasto, e il capo di tutti gli adepti. Sorrise soddisfatto, e mise la mano su una maniglia.
«Questa é la tua stanza» esclamò, aprendo la porta di legno. Il jinn allungò il collo come una tartaruga, curioso di vedere gli interni. Contrariamente all'idea che si era fatto, non era una camera dall'arredamento spartano, ma una grossa stanza traboccante di soprammobili e decorazioni di ogni sorta. Celato un po' più all'interno vi era un enorme letto a baldacchino, rifatto e pieno di cuscini. Prima che il ragazzo potesse tirare un sospiro di sollievo, Sarastro si mise le mani sui fianchi.
«Era la stanza di Pamina. Spero ti piaccia comunque» mormorò l'uomo, grattandosi la barba. Il sorriso di Jamil svanì immediatamente, sostituito da un leggero broncio.
«Non ti piace?» domandò il sacerdote, premuroso. Si chinò all'altezza del jinn, che invece incrociò le braccia sul petto.
«Non capisco se stai cercando di usarmi come rimpiazzo per Pamina o se vuoi solo rifilarmi cose usate» bofonchiò il ragazzo, voltando il capo con una smorfia. Sperava di non tradire quella brutta sensazione di essere non voluto.
«Nessuna delle due cose» rispose Sarastro. «Dai, entra. Domani mattina ci sarà il tuo rito di iniziazione» aggiunse, sollecitandolo ad entrare nella camera con qualche colpo sulle spalle.
«Cosa succede se non voglio diventare un adepto?» pigolò tristemente il jinn. Gli sembrava di essere intrappolato in una scatola che diventava più stretta e soffocante di secondo in secondo. Sarastro non rispose, ma gli sorrise e accostò la porta.
«Buonanotte» mormorò infine. Jamil si infilò nel letto, affondando la faccia nel cuscino di piume e singhiozzando rumorosamente. Gli sembrava che tutti sapessero qualcosa che a lui veniva celato. Non conosceva quell'uomo, quindi perché lo stava trattando come se lo conoscesse da sempre? Lui lo assecondava, come in un brutto sogno. Alla fine si mise a pancia in sù, a guardare le decorazioni del soffitto. Sulla volta erano dipinte tutte le costellazioni del firmamento, brillanti su uno sfondo di un blu intenso e vellutato. Immaginò fossero state aggiunte per far sentire a casa Pamina, la principessa della notte. E adesso erano state rifilate a lui, che con la notte non andava per nulla d'accordo. Probabilmente le aveva dipinte Sarastro stesso, nel tentativo di rassicurare una piccola bimba spaventata. Gli sarebbe piaciuto che qualcuno l'avesse sottratto dalle grinfie di sua madre esattamente com'era successo con Pamina.
Forse esistevano Sempre che avevano la precedenza. Era da un po' che non pensava ai suoi genitori: chissà che versione della fiaba aveva raccontato loro Ryuu. Si asciugò le lacrime. Forse sarebbe stato tutto più semplice se avesse accontentato Sarastro. Magari avrebbe anche smesso di paragonarlo alla sua principessina deceduta. Eppure era cosciente che c'era qualcosa che gli veniva nascosta: non solo da quel sacerdote, ma da tutti coloro che aveva incontrato. Stese uno dei cuscini accanto a lui e lo strinse a sé, immaginando di abbracciare qualcuno e non un semplice guanciale. Ci affondò la faccia e sospirò. Un giorno il suo principe sarebbe venuto a salvarlo.
⋅•⋅⊰∙∘☽༓☾∘∙⊱⋅•⋅
Le braccia di Dario gli sembrava un nido. Caldo, sicuro, certo. Accoccolato accanto al suo migliore amico, Thomas riposava tranquillo, ogni terrore del mondo che si affievoliva contro la figura rassicurante del castano. Sotto le coperte si apriva un regno fatto di cuscini, coperte, e sogni infantili indistruttibili. Si strinse di più a lui, respirando piano. Finalmente le sue notti di terrore erano finite, il panico insito dentro di lui esorcizzato una volta per tutte. La felicità era tale che i suoi occhioni si riempirono di lacrime, inumidendo le ciglia e le orecchie, giacché era steso. Il più grande si rese conto di cosa stava succedendo, e gli scostò i capelli dal volto.
«Incubo?» domandò, cautamente. Non volle mettersi a sedere, perché, anche se avrebbe voluto consolarlo, era irrimediabilmente stanco anche lui.
«No. No, sono felice» sussurrò Thomas per tutta risposta, piegando le labbra screpolate in un dolce sorriso. Dario non seppe cosa rispondere. «Ancora non posso credere che tu sia qui» aggiunse, trattenendo i singhiozzi.
Il castano sorrise tremolante. Avrebbe voluto commuoversi anche lui, ma le lacrime semplicemente non uscivano. Forse era incapace di piangere. Non sapeva se fosse un bene o un male, quindi decise di non pensarci. Optò per una risposta generica.
«Questa cosa mi rende contento» mormorò, chiudendo nuovamente gli occhi. Era stanco.
«Sei il mio migliore amico» concluse infine il bambino, raggomitolato tra le rassicuranti braccia del più grande.
«Anche tu lo sei» rispose l'uomo. «Buonanotte» aggiunse, trattenendo uno sbadiglio. Si strofinò contro il cuscino, e si coprì con la coperta fino al collo. Nel farlo, coprì inevitabilmente Thomas, che scoppiò a ridere.
«Non ridere, sveglierai tutti!» lo sgridò amorevolmente Dario.
«Va bene, va bene...buonanotte»
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Con gli occhi gonfi, Ryuu si arrampicò sul suo letto matrimoniale. Nonostante non ce ne fosse più bisogno, si accoccolò nel lato che aveva sempre usato quando c'era Aedus. Affondò la faccia nel cuscino, singhiozzando. Anche se disperata, era in qualche modo contenta di essere triste. Paragonava un'emozione tetra ad un caldo luogo sicuro, dove poteva rifugiarsi ogni volta che le cose andavano male. Non capiva perché tutte le sue amicizie fossero scomparse una ad una. Lei che era sempre stata una persona gentile e disponibile, altruista e allegra. Era sempre stata l'opposto di Kay. Ma la gente continuava a gravitare attorno al principe delle nevi, e non a lei. Certo, aveva commesso degli errori, ma come tutti. Aggrottò la fronte.
Anche se la santificavano, Melody aveva tentato di uccidere Kay, che all'epoca non le aveva fatto niente. Voleva ammazzarlo solamente perché era il fidanzato della sua migliore amica. Continuando a vagheggiare, modificando i ricordi a suo piacimento, immaginò che la ragazza fosse solo repressa ed innamorata perdutamente di lei. Era per questo che aveva sempre visto il principe delle nevi come un antagonista. Aedus non la meritava, era questa la verità. Probabilmente si era convinto di non volerla per superare il fatto che non sarebbe mai stato alla sua altezza.
Lei che era così candida e buona. Stare con qualcuno di livello più basso sarebbe stata un'onta indelebile. Alla fine Aedus le aveva fatto un favore nel farle realizzare che era proprio una copia di sua madre. Susanne era così sensibile, così bella, allegra, dolce. E Ryuu era esattamente lo stesso. Ma era anche sadica, egoista, prepotente, possessiva. Come suo padre. Ma non tutti i lati caratteriali devono emergere. Si asciugò le lacrime. Anche se non volevano più considerarla una sempre, lo rimaneva. E l'avrebbe dimostrato riunendo la sua nuova famiglia. Chiuse gli occhi. Se Jamil era vivo l'avrebbe ripescato e avrebbe dimostrato a tutti che non era stata lei a buttarlo nel pozzo. E allora si sarebbero resi conto di quanto bella e buona fosse Ryuu.
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In due letti separati, Melody e Keiichi cercavano di addormentarsi, ma fallivano, entrambi per ragioni diverse. La bionda, con gli occhi chiusi e un sorriso soddisfatto dipinto sul volto, riposava scomposta sul materasso, come un dipinto che si era fermato ad uno schizzo. Keiichi, invece, rigido come una tavola, guardava il soffitto con gli occhi spalancati. Non riusciva a smettere di pensare a quel patetico bacio che si era scambiato con la ragazza. Trovava impossibile che lui, Keiichi, che aveva ripudiato le ragazze e considerato i sempre allo stesso livello degli scarafaggi, si era inginocchiato e aveva pregato una simil-principessa di baciarlo sulle labbra. Evidentemente Melody aveva preso la cosa molto sul serio, perché mentre facevano quella cosa che supponeva fosse un bacio, la ragazza ne aveva approfittato per infilarci la lingua. Questo voleva dire che probabilmente adesso aveva qualche malattia infettiva e che si sarebbe dovuto disinfettare da capo a fondo. Ma nonostante la sua paura clinica dello sporco, non era quello a cui pensava. Continuava a riflettere su quanto fosse stato bello baciare la ragazza dei suoi sogni. Anche se la considerava più degli incubi, che dei sogni. Ma probabilmente perché i mai raramente sognano cose belle.
Il pensiero di aver baciato una sempre avrebbe dovuto mandarlo nel panico, confonderlo sul suo destino, ma in realtà lo tranquillizzava. Era come se dopo tutti quei giri, fosse tornato al punto di partenza, che in realtà era il traguardo stesso. Forse il suo destino era sempre stato Melody. Si toccò le labbra, delicatamente, e arrossì furiosamente. La fanciulla, cosciente che il suo caro fidanzatino fosse preso dai rimorsi, si voltò verso di lui, decidendo di approfittare della situazione.
«Facciamo l'amore?» domandò, sbattendo le ciglia, con occhi languidi. Si mise a pancia in giù e agitò le gambe in aria, guardandolo attentamente, curiosa di sapere la sua reazione.
«Scordatelo» rispose secco il corvino, leggermente imbarazzato. Anche se cercava di apparire minaccioso, la presenza della ragazza gli trasmetteva una rara pace d'animo. Anche e nonostante i suoi commenti squallidi. E poi era piuttosto sicuro che un rapporto potesse risultare in una gravidanza accidentale. E non era pronto ad avere figli, specialmente con Melody.
«Possiamo almeno tenerci la mano?» si lamentò la bionda, allungando il braccio verso il letto di Keiichi. Nemmeno strizzandosi verso di lui era capace di arrivarci, quindi anche l'uomo doveva protendere il braccio per incontrarla a metà strada. Melody ebbe cura di mostrarsi determinata a toccarlo, non riuscendoci a causa della distanza. In questo modo l'uomo avrebbe avuto un po' pietà e le sarebbe venuto incontro.
Keiichi sospirò rumorosamente, per farle capire che ci stava pensando. Contemporaneamente dibatteva nella sua mente le conseguenze di un gesto simile. Forse somigliava a suo padre più di quanto volesse ammettere. Allungò la mano, voltandosi però di scatto col volto verso il muro. Era sufficiente toccarsi senza guanti, non voleva anche fare contatto visivo con la faccia soddisfatta di Melody.
Comunque soddisfatta, la ragazza gli afferrò l'indice, con l'idea di andare per gradi. Era cosciente che per una persona come Keiichi era difficile aprirsi immediatamente. Socchiuse gli occhi, pronta a dare la buonanotte. Il corvino le strinse la mano, e la bionda sorrise.
«Quindi mi ami?» domandò, arricciandosi una ciocca di capelli al dito.
«No. Era uno spasmo. Buonanotte»
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Kay si era messo a curiosare ovunque. La camera di Khalil era piena zeppa di giornaletti dai contenuti espliciti, vestiti colorati buttati qua e là, l'enorme teca di Kaa ormai abbandonata a sé stessa. Il letto era pieno di peluche di ogni tipo, una quantità tale che il principe delle nevi non sarebbe stato capace di permettersi nemmeno in cento vite. Trovava incredibile come Khalil avesse tutto. Non c'era una singola cosa che mancava al prossimo sultano di Agrabah. E se c'era, i suoi genitori e la servitù avrebbero rimediato in meno di un minuto. Aprendo l'armadio si era subito reso conto che tutti i vestiti erano stati fatti su misura. A lui non sarebbero mai entrati. Aggrottò la fronte, chiedendosi come fosse possibile che Khalil avesse un punto vita più stretto del suo. Solitamente si considerava l'uomo più bello del mondo, ma adesso che si trovava nel corpo di un'altra persona, realizzava di essersi sopravvalutato. Sulle prime si era limitato a guardarsi di sfuggita allo specchio, per non dimenticarsi il suo ruolo reale: il Gran Maestro.
Ma poi la curiosità aveva avuto il sopravvento e aveva iniziato a passare diverso tempo a rimirarsi. Infine si era spogliato completamente e si era seduto sul letto, guardandosi da tutte le angolazioni. Non c'era alcun desiderio sessuale, era semplicemente curioso di sapere come fosse fatto Khalil. L'avrebbe fatto anche se avesse assunto le sembianze di Ryuu, o di Dario. Magari non di Melody, questo no. Rendendosi conto di sembrare piuttosto ridicolo, si vestì rapidamente e si rese conto che nemmeno gli abiti fatti a misura di Khalil gli stavano. Facevano difetto in diversi punti, probabilmente perché da quando aveva lasciato il nido familiare l'uomo era cresciuto in altezza di almeno dieci centimetri.
Kay non si era alzato di un millimetro. Normalmente si sarebbe lamentato un po' della cosa, come faceva di tutto quello che "gli dava fastidio di sé", anche se apprezzava sempre tutto. Ma per la prima volta nella sua vita capiva che avrebbe anche potuto abbassarsi, com'era successo ad un suo caro amico. E quello era molto peggio. A proposito di Jamil, notò che sul comodino c'era un suo ritratto incorniciato. Lo afferrò, osservandolo. Risaliva al loro primo anno di Accademia, quando erano ancora tutti allegri e pieni di speranze. Lo scaraventò fuori dalla finestra, in un impeto d'ira. Il frastuono richiamò l'attenzione della servitù e soprattutto di Jasmine, che bussò alla porta preoccupata.
«Haidar?» domandò affannata. «Va tutto bene, amore?» aggiunse, continuando a picchiettare. Provò a guardare dalla serratura, ma rinunciò e posò l'orecchio sulla porta.
«Sì. Non é successo niente. É solo...» rispose il principe delle nevi. Rimase qualche secondo in silenzio, riflettendo preoccupato. Sua madre non si era mai preoccupata di controllare che lui stesse bene dopo un rumore ambiguo. Questo perché Kay comprendeva perfettamente che sua madre era abbastanza intelligente da capire che non tutti i rumori equivalevano all'agonia del proprio figlio. Scosse la testa, sorpreso dall'angoscia che gli trasmetteva la donna.
«Non farmi preoccupare» rispose sollevata la sultanessa, accarezzando la porta dolcemente. Normalmente sarebbe entrata senza farsi troppi problemi, ma suo figlio sembrava essere cresciuto in una persona più timida ed introversa, abbandonando il guscio di esuberanza e chaos. Era un bene che avesse iniziato a capire come stare da solo senza farlo diventare un problema nazionale.
«Non era mia intenzione» ribatté piano Kay, insicuro sul come agire. Come si comportava il principe con sua madre? Sicuramente diversamente da come si comportava con i suoi amici e con il suo fidanzato.
La donna sorrise soddisfatta. «Haidar!» strillò divertita, coprendosi la bocca. Gongolò soddisfatta. Inizialmente, visti i pianti che si era fatto il figlio la sera prima, aveva quasi immaginato di pregare il Gran Maestro di non spedire suo figlio all'Accademia.
«Sì?» balbettò, improvvisamente colto dal panico. Che la donna avesse riconosciuto di non avere in casa suo figlio, ma un suo impostore? Che qualcosa del comportamento anomalo di "Khalil" le avesse destato un sospetto, e adesso quello strano rumore glielo avesse confermato? Il povero Kay si accasciò sul letto.
«La scuola ti ha fatto proprio bene. Sei più serio e più educato. Ma non dimenticarti della tua mamma, ok? Anche se adesso sei un uomo io continuo a preoccuparmi!» concluse Jasmine, con un sorriso amaro sulle labbra. Suo figlio stava crescendo esattamente come aveva immaginato.
«No...non lo farò» pigolò Kay, con un nodo alla gola. Deglutì, con gli occhi umidi. Gli sembrava che dentro di sé fosse sbocciato un sentimento caldo, rincuorante. L'affetto materno piantava le sue ostinate radici, amando ferendo, com'è giusto che sia. Solo che quell'amore agrodolce non era destinato a lui, era destinato a Khalil. Si fece aria con uno dei giornaletti sconci.
«Posso darti la buonanotte o sei diventato troppo grande?» lo prese amorevolmente in giro la sultanessa. Mise la mano sulla maniglia, senza attendere una risposta. Il principe delle nevi sudò freddo e si infilò rapidamente nel letto, coprendosi con il lenzuolo fino al naso, spiando ansiosamente la porta.
«Eccoti qua» esclamò Jasmine, avvicinandosi a lui e spostando uno sgabello accanto al letto. Si mise a sedere, dando un buffetto sulla guancia a quello che credeva fosse il figlio.
«Già» rispose il principe delle nevi, tremando. Gli occhi saettavano di qua e di là, nel terrore di venir scoperto. Tutta la sicurezza che aveva sulla sua interpretazione era svanita nel nulla, rimpiazzata da un'angoscia crescente. Riconobbe la capacità incredibile di Miranda di impersonare chiunque. Jasmine notò con dispiacere l'assenza del ritratto di Jamil e la finestra distrutta.
«Le cose fra voi non vanno molto bene, vero?» mormorò, sollevando un frammento di vetro.
«È passato di qui, sai? L'ho chiamato il tuo passatempo. Non é stato molto educato da parte mia. Ti ha fatto qualcosa?» aggiunse sussurrando.
«No» ribatté secco Kay.
«Sicuro?» chiese stupita la donna. Ma era abituata a sentire il figlio parlare di tutto e di più. Afferrò uno dei giornaletti che Kay aveva lasciato in giro. Sospirò, in disappunto.
«Questo é sempre tuo padre che continua a darti corda» si lamentò. «E comunque, non é molto carino se state ancora insieme. Se mai dovessi trovare tuo padre con uno di questi tra le mani...» bofonchiò, ma alla fine sorrise. Non avevano segreti tra loro, quindi se Khalil diceva che andava tutto bene doveva essere così. Gli scostò i capelli dalla faccia e si chinò verso di lui, baciandogli dolcemente la fronte. Il principe delle nevi divenne paonazzo, ma rimase paralizzato. Chiuse gli occhi, stressato.
«Ti voglio bene, Haidar. Buonanotte» mormorò Jasmine, alzandosi stancamente. Lo salutò piano con la mano e spense il lumino. Si poggiò allo stipite della porta e lo guardò amorevolmente, aspettandosi una risposta.
«Ti voglio bene anche io» rispose Kay, poi deglutì, facendo fatica a pronunciare l'ultima parola. Prese un bel respiro, aiutato dall'oscurità.
«Mamma»
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