14 ☆ L'importante é ciulare


Questo capitolo é la scena di sesso di 15 minuti di Oppenheimer

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All'ora in cui sarebbe dovuto sorgere il sole, Amal e Susanne avevano lasciato Agrabah, non volendo gravare troppo sulle spalle dei loro amici. Entrambi erano abbastanza confusi su quello che stava succedendo, ma convinti che la notte eterna fosse una buona cosa. Nel momento in cui le loro figure si allontanavano dal palazzo, ne apparve una nuova.

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I suoi preziosi pattini d'argento gli avevano promesso di trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto, e Thomas ci credeva fermamente. Eppure, la giustizia è come la verità: non sempre va giù e non sempre è quella che vorresti vedere. Con la promessa di riaprire gli occhi nell'atrio dell'Accademia, li aveva riaperti all'interno di un armadio che conosceva bene. Sulle prime pensò di spalancarne le ante e di correre via, tra le braccia amorevoli di Dario, ma dei suoni soffocati lo convinsero ad attendere un attimo prima di gettarsi nuovamente nel ritmo frenetico della reggia di Miranda. Si abbassò e decise di guardare cosa stesse succedendo all'interno della stanza. Convinto di quello che faceva, chiuse un occhio e avvicinò l'altro alla serratura. Da quel poco che riusciva a vedere distinse la silhouette di Khalil, con la cintura slacciata ed intento a sbottonarsi la camicia con frenesia, i gesti che tradivano un'evidente impazienza nei confronti di qualcosa, o qualcuno. Confuso, immaginò che Jamil e Keiichi fossero arrivati lì prima di lui, e che il principe fosse semplicemente molto entusiasta di rivedere il proprio fidanzato. Se si fosse sforzato di ignorare il contesto, avrebbe pensato compiaciuto a quanto il futuro sultano sarebbe stato felice di rivedere Jamil, dopo tutti quegli anni passati a compiangerlo. Poi, però, scorse un paio di gambe affusolate avvicinarsi a Khalil, e si tappò la bocca come se fosse appena stato testimone di un crimine indicibile. Riconosceva un corpo femminile delicato come quello, dato che la proprietaria non si era mai preoccupata di nasconderlo. Il principe era a corto di fiato, e non avevano nemmeno iniziato. Si ripromise di prenderlo in giro una volta ripresosi dallo shock iniziale. Chiuse gli occhi, ma non poteva cancellare anche i suoni.

«Mantengo sempre le mie promesse» sibilò suadente la voce di Domina, confermando l'orrore del ragazzino. A differenza del compagno, lei aveva un tono meno entusiasta, che tradiva una certa rassegnazione al suo ruolo.
«È per questo che mi piaci» rispose il giovane, tirandola a sé in un bacio appassionato. Ancora bloccato per la terribile sorpresa, Thomas lasciò che passassero diversi minuti di coccole prima di aprire l'anta, trattenendo il fiato. Sperò vivamente che i due fossero troppo presi l'uno dall'altra per accorgersi di un ospite indesiderato, ma quando mise piede fuori dall'armadio entrambi si voltarono verso di lui, con il volto congelato in un'espressione fra paura e imbarazzo. Khalil sembrava molto più a disagio dell'amante, il viso che tradiva una sorta di delusione per essersi umiliato pubblicamente. Le iridi, ormai a metà strada tra il grigio e lo scarlatto, saettavano ovunque tranne che nella direzione degli occhi del ragazzino.
«Mi fai schifo» esclamò infine Thomas, e fece per andarsene via. Mise frettolosamente la mano sulla maniglia della porta, ma il principe gli afferrò con violenza il braccio.
«Posso spiegare» ribatté il giovane, ma il bambino non parve convinto e sgusciò fuori dalla camera. Non fece molta strada, piuttosto si fermò a qualche passò dalla stanza, poggiando la schiena contro il muro e scivolando sul pavimento. Anche se era ferito indirettamente, il desiderio morboso di conoscere il punto di vista di Khalil lo divorava. Dopo essersi riallacciato la cintura – senza nemmeno curarsi di infilarsi una maglietta – l'uomo gli apparve davanti, con la solita aria amichevole e affabile di sempre. Thomas inclinò il capo, e poi si stropicciò gli occhi. Il sorriso del giovane sembrava così sincero che per un attimo credette di essersi immaginato tutto.
«Senti, piccoletto» iniziò l'uomo, grattandosi la nuca, come se stesse cercando le parole adatte per spiegare la situazione. Poi la sua espressione perplessa sfumò in una divertita. «Innanzitutto, vorrei davvero sapere come sei finito nel mio armadio»
«È una lunga storia. Jamil è vivo. Perché lo tradisci con una ragazza che odia?» domandò, con gli occhioni lucidi.
«Come fai a sapere che è vivo?» domandò cautamente il castano, con una freddezza che non tradiva alcuna sorpresa. Thomas studiò il suo viso per qualche attimo, prima di indietreggiare gattonando, facendo aderire la schiena al muro.
«Perché ero con lui fino a poco fa» sibilò, poi lo squadrò un ultimo istante prima di indicarlo furiosamente. «Tu lo sapevi!» strillò.
«Non dire sciocchezze. Come avrei mai potuto saperlo?!» urlò di rimando il principe. Domina, che al contrario dell'amante si era rivestita e ripulita la bocca dalla panna, si avvicinò incuriosita. Inizialmente era rimasta in disparte dopo essere uscita dalla camera, anche lei velatamente imbarazzata dell'accaduto.
«Porti il suo anello al dito» commentò semplicemente il ragazzino, livido di rabbia. Khalil mise la mano in tasca e sospirò adirato, senza però contraddirlo.
«Tu sei sceso nel pozzo, e probabilmente hai ritrovato il suo anello» mormorò Thomas, senza mai staccargli gli occhi di dosso.
«È corretto» ribatté il principe, ticchettando la punta della scarpa sul pavimento.
«Sai cosa c'è in fondo al pozzo» sibilò ancora il ragazzo, in tono quasi interrogativo, per indurre l'uomo a confessare.
«Il regno dei jinn. Sì, immaginavo che Jamil fosse vivo» ammise infine, e per un attimo sul viso si lessero dei segni di rimorso appena percettibili. Poi aggrottò la fronte, usando la rabbia per nascondere il rimpianto di quello che aveva appena fatto.
«E non ti vergogni delle tue azioni squallide?»chiese il ragazzino, per nulla intimorito dall'atteggiamento aggressivo del principe.
«Di certo non sarà un ragazzino a giudicare le mie azioni, specialmente con quel tono arrogante. E poi, mi sembra perfettamente normale tentare di rifarsi una vita dopo che il proprio fidanzato è stato abbastanza cretino da gettarsi in un pozzo senza fondo» iniziò Khalil, incrociando le braccia sul petto, ed abbassandosi in modo da guardare il ragazzino negli occhi.
«Vuoi davvero dirmi che Jamil mi è stato fedele per tutto questo tempo? Sei andato via dall'Accademia quanto tempo fa? Due mesi, forse? Non credo che ti abbia raccontato tutto quello che ha fatto in tua assenza» continuò, imperterrito, cercando con lo sguardo l'approvazione di Domina. Thomas rimase in silenzio, guardandolo torvo.
«Il regno dei jinn è pieno di bordelli» aggiunse sottovoce, pentendosene immediatamente. Non aveva il diritto di fare quell'assunzione, ma ormai le parole aleggiavano nell'aria, pronte a colpirlo indietro come coltelli.
«Non so se stai assumendo che ci abbia lavorato, o che ci sia andato, Khalil. Ma non riesco davvero a guardarti in faccia senza che mi risalga il pranzo su per l'esofago. Non capisco, hai aspettato che andassi via per non avere testimoni del tuo tradimento? Non vedo l'ora di poterlo dire a Jamil» cercò di concludere il ragazzo.

Domina sorrise, e si staccò dal muro, avvicinandosi a lui e mettendogli le mani sulle spalle.
«Non era con te fino a poco fa, caro? Io ancora non lo vedo. Accipicchia, è rimasto chiuso nell'armadio?» domandò provocatoria, passandogli le unghie laccate sul collo. Il ragazzino se le scrollò di dosso, infastidito.
«Cosa c'è?» chiese premurosa. «Brividi lungo la schiena? Non temere, non voglio ucciderti. A meno che non voglia farlo Haidar, in quel caso non c'è molto che io possa fare»
«Haidar?» piagnucolò confuso, immediatamente tornando sui suoi passi alla prima minaccia di morte.
«È il mio primo nome» lo informò Khalil, scuotendo la testa. «Se vuoi ucciderlo per tenere segreto il tradimento, dubito possa funzionare. Ormai lo sanno tutti, potremmo perfino renderlo ufficiale» commentò, portandosi due dita alla tempia per massaggiarla, pensoso.
«Ancora non vedo Jamil» sibilò la donna, guardandosi attorno. «Non ti sarai mica inventato una bugia, spero»
«Non lo farei mai» balbettò Thomas.
«Bene» concluse Domina. «Ma io non vedo ancora nessuno»
«Arriveranno» pigolò il bambino. «Arriveranno»

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Nel buio della notte eterna, due soldati facevano la ronda, entrambi impauriti ed entrambi silenziosi. Era durante quelle ore che le creature succubi della Luna uscivano fuori dai loro anfratti, pronte a rubare l'umanità che non gli apparteneva. Era diverso tempo che il Sole non sorgeva più, ed ormai si erano semplicemente rassegnati al loro destino. I jinn e gli spiriti notturni non erano aumentati più di tanto, ma quell'improvviso calo di temperatura aveva messo il regno in ginocchio. Non che alla sultanessa interessasse, troppo presa dalle sue congetture sviluppate in biblioteca. Da regina paziente e disposta al dialogo era diventata dipendente dal gettare nelle segrete chiunque osasse contraddirla. Come sempre Aladdin aveva dimostrato la poca predisposizione al comando, lasciando semplicemente che Jasmine continuasse la sua nuova politica di censura. Allo stesso tempo sembrava terrorizzata dalla notte, che metteva a nudo i peccati della sua famiglia. Uno dei due aveva in tasca dei dadi, e per ammazzare il tempo ci giocava, rimescolandoli pensoso. Naturalmente la notte non poteva che riservare sorprese. Senza nemmeno il tempo di processare come fosse apparso, si ritrovò davanti quella che gli pareva una giovane donna dai capelli corvini e i lineamenti taglienti.
«Salve?» domandò, perplesso. Non gli passò nemmeno per l'anticamera del cervello di potersi trovare dinnanzi una persona pericolosa. Perfettamente consapevole di una deviazione indesiderata, un ragazzo inclinò il capo.
«Siamo ad Agrabah?» domandò secco, mentre la guardia indietreggiava, sorpresa dall'aspetto androgino dell'uomo.
«Sì, signore» ribatté. Abbassò lo sguardo sulla lampada dorata che lo sconosciuto aveva tra le mani e deglutì. Strinse la lancia con forza e gliela puntò alla gola, tremante.
«I jinn non sono ammessi qui» esclamò, sperando di richiamare l'attenzione dell'altra guardia, e allo stesso tempo di suonare abbastanza minaccioso da mandare via la creatura notturna.
«È una grande fortuna che io non lo sia, allora» ribatté Keiichi.
«Tu non sei umano. Sei apparso qui davanti dal nulla. Cosa sei?» insisté la guardia.
«Non è di tuo interesse. Portami da chiunque governi questo regno. Non rimarrò qui un minuto di troppo» concluse seccamente il corvino. Per tutta riposta la guardia gli strappò la lampada dalle mani, ancora convinta si trattasse di un jinn.
«Strofinala a tuo rischio e pericolo. Io vado a parlare con il sultano, se ce n'è uno» bofonchiò il principe. La guardia deglutì, guardandosi attorno. L'altra, udito il trambusto, si avvicinò in fretta.
«Che fai con quella lampada in mano?» lo riprese, rivolgendo un mero sguardo all'ospite indesiderato.
«Credo sia un jinn» bofonchiò lui, dandogli una gomitata ed ammiccando a Keiichi, che tamburellava con il piede a terra, aspettando di essere condotto dal sovrano.
«Sei stupido? Mi sembra abbastanza ovvio che non sia un jinn. Ne hai almeno mai visto uno? Hanno le corna, la coda e le ali. E due orecchie enormi, e la pelle colorata. Questo è solo un ragazzino che viene da qualche paese lontano»
«Sono un principe» li corresse il corvino. La guardia più scorbutica strappò di mano la lampada al collega, guardando molto male Keiichi. Per dimostrare al compagno che fosse solo un bluff di uno straccione ben vestito, tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e lucidò la lampada. Improvvisamente entrambi vennero avvolti da una fitta nebbia azzurra, che gli impediva di vedersi a vicenda. Alla ricerca l'uno dell'altro, finirono per incrociare una presenza inattesa, proprio in mezzo a loro due. Un paio di occhi dorati li fissavano, saettando da uno all'altro.
«Buongiorno», esclamò amichevolmente Jamil, seduto a gambe incrociate, ad un metro da terra.
«Ecco, questo è un jinn» borbottò la guardia saccente.
«Sì, esatto. Sono un jinn!» esclamò allegro il giovane, intrecciando le dita fra loro.
Le due guardie si guardarono, incerte sul da farsi.
«Se non vai via adesso, iniziamo a pregare» pigolò la più spaventata.
«Va via o ti infilo uno spillo sotto la pelle» ribatté la più combattiva.
«Nessun bisogno di pregare o di usarmi come puntaspilli. Che ne dite se mi fate parlare con Jasmine?» domandò invece Jamil, posando i piedi a terra, rivelandosi in tutta la sua mancata altezza, suscitando l'ilarità della guardia più dispotica.
«Cielo, ci stavamo facendo intimorire da un cucciolo di jinn. Per un attimo ho pensato si trattasse di una cosa seria» esclamò, reggendosi la pancia.
«Oh, wow, pensavo si portasse rispetto qui da queste parti» commentò seccato il jinn. La guardia cambiò espressione, prima di rigirare gli occhi verso l'alto e di cadere a terra, colto da convulsioni improvvise. L'altra guardia afferrò la lancia e fece per recidersi la gola, ma Jamil mise la mano tra l'arma e la carne con un gesto deciso.

Keiichi alzò un sopracciglio. «Che cosa gli ha preso?» domandò, incrociando le braccia sul petto.
«Umani deboli di spirito che non sopportano la presenza di un jinn» rispose il ragazzo, strappando la lancia dalle mani della guardia e piegandola in due, rendendola inutilizzabile.
«Quindi carne da macello. Conviene di più avviarci verso il palazzo per conto nostro» bofonchiò il corvino, e Jamil scrollò le spalle.
«Spero che allontanarmi li faccia stare meglio» mormorò, sinceramente dispiaciuto per la guardia più spaurita.
«Al massimo se ne andranno in modo indolore» commentò solamente il principe, con un gesto elegante della mano.
«Mi dispiacerebbe comunque. Magari avevano una famiglia» sospirò tristemente.
«L'unica persona per cui dovresti dispiacerti adesso sono io. Speravo che il mio cammino da martire finisse qui, ma ci manca ancora un bel po' per arrivare all'Accademia» mugugnò Keiichi.
«Almeno sono sicuro che Jasmine ci aiuterà» esclamò il jinn, ricordando con affetto la suocera.

La suocera non lo ricordava con altrettanto affetto. Dopo aver messo (volontariamente e non) k.o. un'altra decina di guardie, i due principi erano riusciti a farsi ricevere forzatamente dalla regina.
«Salve» esclamò Keiichi, nonostante intuisse che ci fosse qualcosa che non andava nello sguardo della sultanessa.
«Che volete?» domandò brutalmente la donna, e Jamil si sentì profondamente in imbarazzo.
«Sono un principe anche io, quindi un po' di rispetto. Siamo finiti qui per via di diversi trascorsi, e vorremmo tornare all'Accademia. Ci servirebbe una mano» rispose il corvino, piccato. Non la ricordava così scorbutica: i Sempre non erano ben disposti ad aiutare le persone in difficoltà?
«Non mi piace il tono con cui ti approcci a me. E poi, chi sareste?» ribatté lei, altrettanto acidamente.
«Sono il principe Keiichi» rispose sfrontatamente lui, dando una gomitata al jinn.
«Jamil?» esclamò lui, alquanto perplesso dal non essere stato riconosciuto.
«Ah sì, il passatempo di Haidar» parve ricordarsi Jasmine, poi scrollò le spalle e si corresse. «Fidanzato, giusto. Quanto a te, non mi viene in mente niente. Non vedo nemmeno una corona, non è che stai mentendo?» disse la donna, indicando il corvino.
«Mi faccia il favore di non continuare a parlare e mi dia questo passaggio» concluse il giovane, mentre a Jamil tremava leggermente una palpebra.

Passatempo?

«Non mi piace quel tono. Guardie?» domandò Jasmine, poggiando la testa sul bracciolo del trono, annoiata. Due energumeni parvero spuntare dal nulla, e guardarono la sultanessa in attesa di altri ordini.
«Portate via quello con i capelli neri, mettetelo assieme a quell'altro di qualche tempo fa. Il coso blu lasciatemelo qui, è il figlio di Amal. Non vogliamo mica che ci faccia sparire il palazzo» rise la donna, poi si ricompose. «E poi devo indagare su di lui, non so se va bene per mio figlio. Abbiamo certi standard» concluse, e le due guardie afferrarono ciascuna un braccio di Keiichi, impassibili alla presenza di un jinn.
«Te la farò pagare!» strillò infuriato il corvino mentre lo trascinavano via. Jamil deglutì, e si voltò nuovamente verso la regina.

«Puoi accomodarti nelle stanze di Khalil. Tanto siete fidanzati, non credo ti turbi» mormorò Jasmine, e il giovane annuì, pensando a come recuperare Keiichi. La donna scese dal trono e si avviò verso le camere, passando per un lungo corridoio. Sulle pareti erano appesi centinaia di ritratti, incluso quello di Khalil e dei suoi genitori.
«Non vedo l'ora che Haidar possa appendere il suo e quello dei suoi figli. Mi domando come saranno fatti i miei nipotini» sospirò Jasmine.
«Sicuramente non saranno blu» mormorò Jamil, ma il commento non fece particolarmente piacere alla regina, che lo squadrò per un bel po' prima di rispondere.
«Oh, lo spero bene. Saranno tutti loro padre, me lo sento» commentò, e il jinn decise di rimanere in silenzio, imbarazzato.
«Questa stanza andrà bene. Forse un pigiama che usava Haidar da piccolo ti starà bene. Buonanotte» esclamò Jasmine alla fine del corridoio. Aspettò che il jinn facesse il suo ingresso nella camera e poi chiuse la porta.

Spaesato, Jamil si mise ad esplorare l'enorme stanza. Su un grosso tavolo di legno vi era una teca di vetro, probabilmente la vecchia abitazione di Kaa. Constatò che fosse quasi più grande del letto di casa sua e rabbrividì. Era bello che il suo animale domestico avesse così tanto spazio, ma allo stesso lo turbava che Khalil potesse permettersi ogni sfizio senza alcuna ripercussione economica. L'armadio era impolverato ma ordinato, segno che comunque la camera veniva pulita abbastanza regolarmente. Un po' imbarazzato, aprì le ante alla ricerca di un pigiama, come gli aveva suggerito Jasmine. I vestiti erano tutti puliti, e sul fondo dell'armadio diversi giornali erano impilati ordinatamente. Si guardò attorno e ne prese uno, poi lo rimise dov'era, avvampando. Giovani belle e mezze nude. Decisamente prevedibile da parte di un adolescente, e specialmente da parte di Khalil. Qualcosa attirò la sua attenzione: sul comodino c'era un suo ritratto. Stupito, si avvicinò e prese la cornice tra le mani. Forse l'aveva spedito per farlo vedere ai suoi genitori. Tirò un sospiro di sollievo: se si era preso il fastidio di inviare a Jasmine un ritratto del suo fidanzato, voleva dire che non era certo un passatempo. Posò la testa sul cuscino, e sospirò felice.
«Non vedo l'ora di rivederti, Khalil» mormorò, chiudendo gli occhi.

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Anche Kay era ad Agrabah, ma per qualche ragione era scomparso dopo Keiichi. Non aspettandosi che Maymuna esprimesse anche il suo desiderio si era aggrappato alla parete, confuso su cosa stesse succedendo. Nel farlo aveva tirato via qualche pezzo delle decorazioni, e adesso aveva una sorta di orologio in mano. Se lo mise in tasca e scosse la testa. Sperava di minacciare la jinna e farsi portare direttamente all'Accademia, e invece era bloccato di nuovo in una zona sconosciuta. Era strano trovarsi sotto la luce lunare sapendo che il Sole non sarebbe sorto a breve termine. Sospirò violentemente, e si guardò attorno, alla ricerca di Keiichi. Purtroppo per lui, però, il principe si era già avviato da qualche parte. E il principe delle nevi non sapeva in quale direzione. Forse avrebbe dovuto cercare il palazzo, però per qualche ragione non ne vedeva nemmeno uno. Eppure sapeva che il castello di Khalil non era proprio anonimo. Era in una stradina sporca, e dei bambini lo guardavano curiosi. Uno di loro si avvicinò, e si pulì le mani sul suo mantello.

«Sei malato?» domandò.
«Adesso che mi hai toccato con quelle manine lerce, probabilmente sì» commentò, alzando il lembo di stoffa da terra.
Un altro si infilò accanto a lui.
«Ciao» lo salutò, abbracciandogli la gamba. «Che cos'è?» domandò poi, con l'orologio in mano. Kay glielo strappò di mano. «State cercando di derubarmi?» strillò, contorcendosi come una spugna strizzata.
«No» disse uno, ma l'altro fece cenno di sì con la testa, sorridendo.
Il principe delle nevi deglutì terrorizzato, e poi corse via.

«Pensi che andrà molto lontano?» domandò il più piccolo.
«Non so, visto che gli ho preso la cintura» rispose il più grande.

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Dopo quell'episodio con Adeus, Ryuu aveva iniziato ad evitarlo per un po', insicuro sul cosa provare nei suoi confronti. Non voleva essere cattivo, ed in parte sapeva che era solo colpa sua se continuava a pensare a Kay. Il principe delle nevi aveva ancora un'influenza non indifferente su di lui. E poi non voleva nemmeno illudere Adeus di essere un ragazzo gestibile. Non lo era. E non poteva interessargli di meno di avere una protesi da quella serpe di Kazuha, che si sentiva in diritto di trattare tutti come voleva lei, per poi frignare nel momento in cui qualcuno le rivolgeva lo stesso trattamento. Anzi, era infastidito anche da Adeus. Perché aveva dato per scontato che volesse una protesi? Perché voleva che fosse Kazuha a farla? Non poteva adoperarsi lui stesso se proprio ci teneva? Visto che Khalil aveva iniziato a mettere mani nelle cose di suo fratello, aveva iniziato a farlo anche lui, e aveva deciso di accendersi una delle poche sigarette rimaste buone. Non era proprio contento
Ed ecco apparire il biondo davanti a lui, con le braccia incrociate.

«Dobbiamo parlare» esclamò, avvicinandosi abbastanza da spingere il rosso con la schiena contro il muro.
«E di cosa?» domandò lui, guardandolo torvo.
«Se vuoi evitarmi, vorrei almeno sapere perché» mugugnò Adeus, togliendogli la sigaretta dalle dita. «E non fumare che ti fa male»
«Me lo dici in qualità di medico o di fidanzato?» domandò, guardandolo mentre la gettava a terra e la pestava con la punta della scarpa per spegnerla.
«Entrambe le cose» rispose il giovane.
«E da quando saresti il mio fidanzato, Adeus?» domandò innocentemente il rosso, sbattendo le ciglia. «Non mi pare ci sia stato nulla di ufficiale tra noi. Forse hai frainteso tutto»
«Non farmi gli occhi da cerbiatto» riuscì solo a bofonchiare il biondo. Non riusciva ad essere troppo intimidatorio con lui. «Ti sto solo chiedendo di non farmi perdere tempo che potrei usare per dormire, ecco tutto»
«Quindi mi consideri una perdita di tempo?» domandò Ryuu.
«Non è quello che ho detto» bofonchiò il biondo. «Non capisco perché tu voglia autosabotare la nostra relazione. Io credo tu stia bene assieme a me, ma forse mi sbaglio»
«No...è solo che non ho la mente libera» si giustificò il ragazzo.
«Per colpa tua nemmeno io la ho più» rispose Adeus.
«Non arrabbiarti con me» lo supplicò lui, improvvisamente mansueto. Guardarlo dal basso mentre era nervoso gli ricordava quell'opprimente sensazione che aveva vissuto per anni nel palazzo assieme a suo padre.
«Non sono arrabbiato» mormorò il biondo. «Ma penso che tu debba schiarirti i pensieri prima di gettarti a capofitto in una relazione. E non dare la colpa a Kay come fai sempre. Questo è tutto un problema tuo» sibilò, allontanandosi.

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Dario aveva ormai perso la speranza di uscire da quella cella, ma almeno stava facendo amicizia con una guardia ed un amabile piccione. Non contava di chiedere esplicitamente a Samir di liberarlo, perché avrebbe voluto dire tradire le sue aspettative di aver trovato un bravo prigioniero. Eppure ebbe il presentimento che non sarebbe più stato solo, a giudicare dalle urla che provenivano dalle scale. Due guardie apparvero in tutti i loro muscoli, trascinandosi dietro quello che sembrava...
«Keiichi?» domandò perplesso, mentre il corvino si lasciava portare nelle segrete senza ribellarsi, ma lasciando che dalla sua bocca uscissero le peggiori profanità possibili. Nel sentirsi chiamato con il proprio nome, rimase in silenzio per un attimo, poi si voltò verso il castano.
«Mi conosci?» domandò perplesso, sbattendo le ciglia. Non riusciva di certo a ricordare e catalogare ogni faccia che esprimeva ammirazione verso di lui all'Accademia.
«Sì. Sono Dario» sospirò il castano, spostandosi mentre le guardie lanciavano il corvino dentro la cella. Il ragazzo si sarebbe aspettato di vederlo aggrappato alle sbarre come un osesso, invece il principe tirò con nonchalance uno specchio fuori dalla tasca e si specchiò, sistemandosi i capelli con le dita.
«Davide...non mi viene in mente niente» mugugnò, aggiustandosi con il dito la matita rossa sbavata.
«Dario. Ehm, com'è che sei finito qui?» domandò, alzando un sopracciglio.
«Oh, è una lunghissima storia. E terribile, davvero. A quanto pare, nel regno dei jinn non esistono i tagliaunghie. Guarda che tragedia le mie mani! Sembro uno straccione»
«Terribile»commentò Dario, e istintivamente guardò anche le sue di unghie, che non erano messe molto meglio. Solo che a differenza del regno dei jinn, lì i tagliaunghie li avevano, è che naturalmente non li fornivano ai prigionieri.
«Com'è che sei finito nel regno dei jinn?»chiese. «Melody sarà molto sollevata nel sapere che sei vivo»
«Insomma, l'idiota patentato di Khalil mi ci ha spinto dentro. Dentro quel pozzo c'è il pandemonio! Ho perfino incontrato Jamil, poi Kay e Thomas. Solo che adesso sono solamente con Jamil, che se ne sta comodamente a fare un aperitivo con Jasmine» riassunse il principe.
«C'è Jamil?» esclamò felice Dario. Sapere che era vivo lo rese contento.
«Sì. Se solo sapesse che paio di corna ha non sarebbe così contento di vedere sua suocera» bofonchiò il corvino, con un gesto scocciato.
«Ah, vero» borbottò il castano, poi si fece scappare uno sbadiglio, stanco.
«Ma che fai, dormi? Guarda che non hai ancora finito di ascoltare tutti i miei problemi!»

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Non è che si sentisse proprio felice circondata dai ragni. Sospirò mogia, ripensando a quanto avrebbe fatto schifo a Keiichi vederla dormire nel bosco assieme a tanti piccoli occhietti gialli.
«Non so come la prenderanno. La mia fuga, intendo» mormorò Melody, guardando le luci accese dalla finestra. Sperava di fare almeno un po' di conversazione. Mary Jane fece spallucce, per quanto un aracnide possa farlo.
«Non credo ti debba importare. Tanto siamo qui, ormai. Sally dice che tu e Ryuu dovete fare pace il prima possibile, perché percepisce qualcosa di grosso in arrivo. Di molto grosso»
«Pensi che intenda che Keiichi stia tornando all'Accademia?» domandò la bionda, risollevandosi da terra, entusiasta.
«Non so nemmeno chi sia questo qui, ma deduco sia il tuo tipo» borbottò MJ, scuotendo il capo.
«Sì! Non ufficialmente, ma pianifico di farne la mia sposa. E poi avremo un sacco di figli, spero sia d'accordo. È davvero l'uomo perfetto: ha i capelli lunghi, e poi sembra una ragazza. I requisiti perfetti»
«Sei sicura di non esserti innamorata di una ragazza?» domandò il ragno.
«Ti assicuro di no. Vedi, lui odia le donne»
«Ogni parola in più che dici su di lui peggiora la mia opinione su di lui»
«È a me che deve piacere, non a te» borbottò la fanciulla. Ci fu unna pausa predominata dal silenzio.
«Credi che Ryuu mi faccia dormire da lei se chiedo per favore? Non sono una grande fan del terriccio»
«Potremmo provare. Se ci mandasse Sally potrebbe cedere...» mugugnò MJ.

«Tu pensi che i cowboy esistano davvero o che sia tutta una leggenda metropolitana?» domandò la ragazza, avviandosi verso l'Accademia.
«Una leggenda metropolitana. Nessuno metterebbe mai cappelli così orrendi di proposito» rispose Mary Jane, arrampicandosi sulla spalla della padroncina.
«Ok» ribatté Melody, cercando con lo sguardo la finestra di Ryuu. Una volta individuata quella che le pareva la più coerente con gli interessi dell'amica, rimaneva solamente da arrampicarsi sulla torre. MJ la guardava come se fosse facile aggrapparsi a mattoni traballanti per raggiungere qualcuno, con la probabilità di morire cadendo che aumentava di metro in metro. E poi sapeva di qualcuno che era morto cadendo da una torre e frantumandosi in mille pezzi. La storia la turbava particolarmente soprattutto perché di solito i gatti cadono sempre in piedi.

«Beh?» la sollecitò la bestia sulle sue spalle.
«Che ne dici se lo facciamo domani?» propose la ragazza.
«No. Provaci, almeno»
«La fai facile! Guarda che se cado col cavolo che Keiichi uscirà di nuovo con me. Ah, una volta l'ho portato ad un appuntamento. Non lo ricordo con affetto solo perché Ryuu ha deciso di rovinarmi l'esperienza uccidendo suo padre lo stesso giorno. La solita egocentrica»
«Romantico. E non é il piede giusto per iniziare, cara. Almeno chiamala. Inizia ad ammorbidire i rapporti» sospirò il ragno. Melody prese fiato, ma poi si fermò.

«Non pensi che possano riconoscere la mia voce?» domandò piano.
«Hai ragione» si ritrovò a concordare la bestiola.
«Se avessi il mio piffero sarebbe tutto più facile» sospirò mogia, e fece per andarsene. Vide un'ombra passare sulla sua testa, e farsi sempre più grande. Alzò lo sguardo. Era il tappeto volante, con Khalil sopra. Non appena ebbe individuato la fanciulla, le atterrò vicino.

«Credevo l'avessi perso» mormorò la ragazza, preoccupata che potesse denunciarla a Domina e compagnia bella.
«Ne ho diversi. Posso farti una domanda?» ribatté lui, con aria stranamente pensosa.
«Sì, basta che non includa se sono single o se sono libera questa sera»
«Se Keiichi tornando all'Accademia ti dicesse che ti ha tradito con una bella bionda, cosa faresti?» domandò, e Melody vide l'anello di Jamil scintillargli al dito.
«Pensavo l'avessi buttato» mormorò, indicandolo. E comunque penso che gli taglierei le palle, se ne ha» sospirò, mettendosi le mani in tasca. Poi si illuminò.
«Jamil é vivo?» chiese, curiosa.
«Purtroppo sì. A quanto pare é vivo anche il tuo ragazzo» commentò, poi fece spallucce. «Quindi fammene approfittare prima che torni» le sussurrò all'orecchio, dopo essersi abbassato alla sua altezza.

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Chiaramente Khalil e Domina non l'avevano voluto in camera. Aveva troppa paura di Miranda, e Dario era scomparso. Nonostante non fosse più inverno, la notte era gelida. E dato che era sempre notte, i caminetti rimanevano spesso accesi, tranne quando gli studenti bene o male andavano a dormire. Thomas notò con sollievo che quello in cucina era ancora pieno di cenere calda, e dopo averne spazzata un po' con la mano, sperando di non ustionarsi, si accomodò lì, chiudendo gli occhi.

Sembrava davvero che non fosse destinato a stare accanto a persone che gli volevano bene. Inghiottì la delusione della giornata, e sognò il cielo.

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Nonostante Jamil non fosse magicamente apparso dal nulla durante la giornata, Khalil era ancora un fascio di nervi. Il pensiero di venir smascherato come traditore l'aveva turbato così nel profondo da averlo costretto a disdire una passeggiata con Shinju. Non che lei fosse il problema principale: al massimo si sarebbe sorbito qualche delicata lamentela sul fatto che si sentisse trascurata, e sarebbe finita lì. Forse si sentiva in colpa per averci provato un po' con Melody nella sera tarda, anche se aveva ricevuto solamente un potente schiaffo sul viso. Decise di non pensarci e si sdraiò sul letto, deciso a recuperare qualche ora di sonno. E poi non si diceva che dormire portava consiglio? Magari si sarebbe svegliato con le idee un po' più chiare di quando era andato a letto. Chiuse gli occhi, ma si sa: dal rimorso non si sfugge nemmeno scappandosene nel mondo onirico.

Jamil era sdraiato accanto a lui, vestito alla maniera dei jinn. Aveva visto i loro vestiti solo nelle stampe che ogni tanto venivano messe in mostra a palazzo, ed era più coperto di quanto immaginasse. Allungò una mano per giocare con un lembo di stoffa che apparteneva ai pantaloni, e il jinn non si oppose, guardandolo passare un dito sui ricami dorati.
«Non hai niente da dirmi?» domandò il principe, sollevando una ciocca di capelli blu, nella speranza di stuzzicare una reazione.
«Mi dispiace essere sparito per così tanto tempo. Devi aver sofferto molto a causa mia» mormorò piano il jinn, senza cambiare però espressione, rigido in volto come una bambola.
«È vero. Mi hai fatto soffrire molto, ma anche io ti sto facendo soffrire, non è così?» rispose il castano, accarezzandogli il viso.
«Sì» ribatté Jamil, sollevandosi su un fianco per guardare negli occhi l'amante. «Come hai potuto farmi questo? Sai che io non sono niente senza di te. Così come non esiste la notte senza il dì, non esiste jinn senza padrone»
«Mi dispiace. Lo sai che non ti avrei mai ferito di mia volontà» sussurrò Haidar, senza spostare la mano dalla guancia dell'altro, lasciando che si inumidisse con le sue lacrime. Vedere qualcuno piangere per colpa sua lo faceva sentire potente. Le sue risposte condizionavano l'umore di una persona. Se avesse voluto, avrebbe potuto spingerlo a fare qualsiasi cosa volesse. Era quello che si aspettava dalle persone fedeli al sultano di Agrabah.
«So che è colpa mia. Sono stato ingenuo a credere a Ryuu. Sarei dovuto rimanere con te»
«È stato solo perché sentivo la tua mancanza che sono andato a letto con Domina» disse, ben consapevole di non essersi spinto a tal punto. Era comunque incuriosito sulla reazione del jinn.
«Avete fatto l'amore?» domandò Jamil, in tono perfettamente inespressivo.
«Sì. Se fossi stato qui, l'avrei fatto con te. E poi ti avrei sposato»
«Mi avresti sposato?» sussurrò il ragazzo, avvicinandosi impercettibilmente a lui.
«Certo che sì. Vedi, nutro un po' di risentimento nei tuoi confronti, qualcosa di inconscio...mi hai lasciato proprio quando avevo bisogno di te. Forse l'idea di avere un fratellastro ti ha dato alla testa in quel momento, e la tua famiglia ti ha spinto lontano da me» mugugnò Haidar, voltando immediatamente il capo, come a dimostrare che non l'aveva del tutto perdonato per essere sparito. Jamil si strofinò contro di lui come un cerbiatto spaurito.
«C'è qualcosa che posso fare per farmi perdonare, signore?» domandò, la voce che tradiva un po' di paura della risposta. Ad Haidar parve che il jinn stesse simulando un'innocenza che aveva un che di erotico, come se volesse sedurlo con la sua esitazione.
«Forse sì» rispose, girandosi piano e passandogli un dito sulle labbra. «Spogliati. Voglio fare l'amore con te»

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