13 ☆ Amore
Capitolo un po' breve ma consideratelo un intermezzo pls pls pls Comunque vi offro dei disegnini di fudanshilover96 su Keiichi e Jamil
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Contemporaneamente all'incubo di Jamil, anche Kay si ritrovava nel mondo onirico, in un sogno gelido, concorde alla sua natura. A differenza del mondo spoglio sognato dall'amico, lui si ritrovava in una radura appena illuminata da deboli raggi del sole. Nonostante fossero ormai in procinto di essere nascosti dalle nubi cariche di pioggia, il principe delle nevi poteva ancora guardarsi attorno. Si trovava in una zona isolata, circondata da densi rovi e alberi così ravvicinati tra loro che le loro chiome creavano un fitto tetto, barriera per la luce e per la pioggia. Vi era solo un piccolo sentiero che conduceva nel bosco, forse scavato col passare degli anni da chi voleva raggiungere quella radura. Quando una goccia di pioggia gli bagnò il naso, Kay si mise il cappuccio. Non aveva il solito mantello di stoffa, ma una pelliccia d'orso, simile a quella che la madre usava per visitare i paesini molto tempo prima. Nonostante fosse un ragazzo molto alto, la pelliccia era molto più grossa di lui, e avrebbe potuto coprire anche qualcun altro. Infatti, quando il principe provò a tirarne un lembo per coprirsi meglio, trascinò con sé qualcuno, già nascosto lì sotto da qualche tempo.
Nonostante dovesse essere orrificato anche al solo pensiero, Kay sollevò delicatamente il lembo ingrossato, e vide sbucare qualche ciocca di capelli azzurri, infine la testa di un bambino.
«Ciao» lo salutò quest'ultimo, avvolgendosi meglio nella pelliccia e guardandolo con gli occhioni spalancati e un'aria sorpresa, come se fosse il giovane l'intruso.
«Ciao» rispose perplesso il principe delle nevi, guardando Jamil.
«Piooove» disse solamente il bimbo, sia a mo' di spiegazione sul perché si trovava lì, sia perché il naso di Kay sporgeva comunque dal cappuccio, e si stava bagnando. O forse, come molti bambini, voleva sfoggiare solo le parole che conosceva. Si strinse nelle spalle, continuando a guardare fisso il più grande.
«Non hai un cappottino?» domandò il principe, chinandosi per guardarlo meglio e anche per rendersi meno spaventoso ai suoi occhi. Jamil scosse la testa, e Kay notò con dispiacere che non aveva nemmeno le scarpe. Quando il bimbo si rese conto di essere osservato in modo così scrupoloso, si coprì i piedi con la pelliccia, imbarazzato, e si mise a guardare gli stivali di Kay, appena passati di lucido.
Ma al principe delle nevi serviva molto più di questo per distrarsi dal proprio obbiettivo. Guardò il sentiero che conduceva nella foresta, e poi rivolse di nuovo il suo sguardo al piccolo Jamil.
«Ti va di andare a cercare le more?» domandò, inclinando il capo. «Ti piacciono?» aggiunse, con tono dolce, e cercando delicatamente di prendergli la mano. Il bimbo la sfilò lentamente dalla sua, nascondendole entrambe dietro la schiena.
«Cosa sono le amore?» domandò piano, dondolando sui suoi piedi, come se fosse nervoso riguardo qualcosa.
«Sono dei frutti che crescono sui rovi. Sono dolcissime, vedrai che ti piaceranno» provò ad incoraggiarlo il principe delle nevi.
«Ma i rovi hanno le spine» piagnucolò Jamil. «Io non voglio pungermi le dita» aggiunse piano, guardando i guanti di stoffa di Kay. Notando cosa stava adocchiando, il principe sorrise.
«Se vuoi ti dò i miei guanti, così non ti pungerai le dita. Va bene? Vuoi venire?» lo incalzò il principe delle nevi.
Anche allora il bimbo esitò, puntando i piedi.
«Non ti preoccupare, Jamil, non voglio farti niente» mormorò dolcemente Kay.
«Come sai il mio nome?» mormorò il bambino, nervoso.
«Perché ti conosco. Forse non ti ricordi il mio. Mi chiamo Kay. Ti senti meno impaurito adesso?»
Jamil annuì piano, poi si strinse di più a lui. Dato che non era ancora del tutto certo, il principe delle nevi provò di nuovo a prendergli la mano.
«Scommetto che il tuo colore preferito è il blu» mormorò, guardando il bambino annuire di nuovo, più tranquillo. Sapeva cosa stava pensando: se sapeva così tante cose su di lui, doveva essere davvero un suo amico. E poi gli aveva anche offerto i guanti, e non si era arrabbiato quando aveva trovato rifugio sotto la sua pelliccia. I cattivi delle fiabe erano sempre lupi, o mostri con gli occhi iniettati di sangue e dagli artigli affilati. Kay sembrava un principe, e non poteva fargli niente di male. A quel punto Jamil gli strinse la mano, con gli occhioni spalancati in ammirazione.
«Sei un principe?» domandò, mentre Kay lo guidava piano verso il sentiero nella foresta, dove nessuno si sarebbe accorto di un bambino mancante.
«Sì. Sono il principe delle nevi» rispose, sorridendo. «A dirla tutta, il mio titolo completo sarebbe principe dei fiocchi di neve, ma non fa molta differenza»
«Che bello! Io non ho mai visto la neve» esclamò. Poi fece una pausa e si portò un dito vicino alle labbra, pensoso. «Che cos'è la neve?» domandò, saltellando allegramente.
«Somiglia a del ghiaccio morbido» mormorò distrattamente Kay, pensando che alla fine Jamil era venuto a cercarsela. Lui da bambino non si sarebbe mai sognato di infilarsi sotto il mantello di qualcun altro e di passarla liscia. Non era mica un ingenuotto come lo era il piccolo Jamil. Chiunque, almeno una volta nella vita, si era sentito dire di non parlare con gli sconosciuti, e soprattutto di non seguirli. Quindi se Jamil non lo sapeva, e si fidava di chiunque, allora era destino che finisse così. Pensando in modo gelido, il principe delle nevi ignorava di essersi reso il più amichevole possibile verso il bambino, che continuava a blaterare.
«Sono contento che giochi con me» esclamò Jamil, indicando subito dopo una pianta di rovi. «Sono le amore quelle?» domandò.
«No, non sono quelle le more» rispose Kay, sottolineando bene le ultime due parole per correggere l'errore del bimbo. Il bimbo annuì, voltandosi indietro verso la radura, che pian piano si faceva sempre più piccola e lontana. Quando scomparve dalla sua vista, si girò verso Kay, sorridendo.
Qualche tempo dopo il principe delle nevi riemerse dalla foresta, trascinando i piedi sul terreno, con aria stanca. Doveva aver lasciato lo scrigno da qualche parte, e lo cercò con lo sguardo, le pupille che saettavano da una parte e dall'altra, annebbiate dai pensieri tetri del giovane uomo. Ed eccolo lì, nascosto da qualche radice che emergeva dal terreno. Si avvicinò, e lo aprì con un piede, facendo sbattere il coperchio al tronco dell'albero. Non sarebbe stato così rozzo se non avesse avuto le mani occupate. Si chinò, e fece cadere nello scrigno un cuore di bimbo. Lo richiuse e poi si pulì le mani sui pantaloni, incurante delle macchie scarlatte. Si voltò nuovamente verso il bosco: nulla di cui preoccuparsi, le bestie affamate si sarebbero occupate del resto.
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Ci mise un po' a riaprire gli occhi, sempre più stanco di volta in volta. Ritrovarsi in un corpo nuovo avrebbe dovuto garantirgli la perfetta salute, ma per Kay era come se gli fosse stata negata la possibilità di formare ricordi. Ogni sua piccola, minuscola cicatrice spariva, i capelli rimanevano sempre della stessa lunghezza. Era destinato a rimanere indifferente al cambiamento. Dopo aver rivissuto il sogno che l'aveva accompagnato durante la notte precedente, si mise a sedere debolmente. Tutto attorno a lui gli sembrava improvvisamente sciatto, e fu colto da un terribile attacco di claustrofobia, realizzando di essere intrappolato in un regno sotterraneo. E per quanto potessero giocare con l'architettura, lo spazio rimaneva piccolo. Voleva indietro il cielo, anche a costo della vita di qualcuno. Si mise una mano sul petto, all'altezza del cuore, e si assicurò che fosse ancora lì. Rimase qualche attimo fermo, monitorando i battiti.
Si rifiutava di far vincere Keiichi. Non poteva permettergli di scappare al suo posto, quando non solo la sua presenza non era gradita all'Accademia, ma neanche utile. Si alzò di scatto, e preso da un giramento alla testa si appoggiò alla parete, cercando disperatamente di non vomitare. Doveva farlo, doveva combattere. Ma a che scopo? L'idea di ritornare indietro dalla morte l'aveva entusiasmato, ma adesso era solamente stancante. Prese un bel respiro e si concentrò sull'aria che entrava nei polmoni, poi dedusse che fosse importante capire dov'era.
Come al solito era in sottoveste, ma era sempre grato di non svegliarsi completamente nudo. Mise le mani sulla porta e la ricoprì di brina, lasciando che il ghiaccio divorasse il legno finché questo non divenne estremamente fragile. Una volta abbattuta la porta, decise di dare la priorità alla ricerca di un'arma. Se Keiichi voleva giocare d'astuzia, l'avrebbe fatto anche lui. Fortunatamente aveva esplorato il castello, e sapeva come raggiungere la sottospecie di cucina dov'era stato brutalmente ucciso. Sicuramente ci sarebbero stati dei coltelli, e immaginava anche che i due assassini se la fossero data a gambe.
Camminò piano, i passi così delicati da essere praticamente inudibili da chiunque. Aprì delicatamente la porticina creata su misura per l'amico, e si infilò nella cucina, mentalmente maledicendo l'architettura jinnica. Come previsto, all'interno non vi era nessuno se non il suo cadavere martoriato. Osservò quello che ne rimaneva con gelido distacco: la bocca completamente bianca, e parte dei suoi interni di un colore vermiglio fastidioso agli occhi. Si mise a rovistare nei cassetti senza premurarsi di non essere rumoroso: tanto nel cercare di passare inosservato avrebbe fatto peggio. Una volta trovato un coltello abbastanza affilato, lo nascose come meglio poteva sotto la sottoveste, e si diresse alla ricerca dei due traditori, con gli occhi iniettati di sangue. In quel momento fantasticava brutalmente sul macabro sogno che l'aveva accompagnato dalla morte alla vita, e realizzò che avrebbe davvero voluto ricrearlo.
Alla ricerca delle sue vittime, però, il principe si imbatté in qualcuno di ben conosciuto. Thomas si stava ammirando ad uno specchio, guardando il proprio riflesso da tutte le angolazioni.
«Ciao Kay!» lo salutò allegramente, sperando non capisse che fosse stato lui ad aver fatto la spia. «Guarda che bello questo specchio!» squittì, e il principe delle nevi allungò il passo per controllare di essere in ordine.
«Jalina mi ha detto che elimina ogni imperfezione dal tuo riflesso. Credo mi abbia appena tolto una cicatrice sul dito, ma non ne sono sicuro» aggiunse il ragazzino. Il principe delle nevi si sporse, ma non vide alcun riflesso di sé. Non ci mise molto a capire che lo specchio lo considerava un'unica ed enorme imperfezione da eliminare. Sfortunatamente per quel mero oggetto da parete, il principe delle nevi non aveva tempo da perdere.
Continuò per qualche attimo a guardare Thomas, per nulla sorpreso dall'assenza del principe. Troppo preso dal cercare i "difetti" che l'oggetto aveva eliminato, non si accorse del pericolo che stava correndo.
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Dopo aver aspettato il tempo che gli era parso necessario, ed averne perso altro alla ricerca dello scrigno dove mettere il cuore, Jamil e Keiichi si erano finalmente avviati verso la sala del trono per mettere in atto il loro piano. Non avevano molto di cui conversare, quindi procedevano a passi veloci senza proferire parola. Il jinn si guardava alle spalle in continuazione, forse temendo una vendetta da parte del principe delle nevi. E continuava a pensare che nonostante avesse avuto tanti dubbi, aveva ceduto e l'aveva ucciso in modo estremamente doloroso. Sospirò e cercò di scacciar via quei pensieri, ma la ricorrente idea di aver "ucciso" qualcuno continuava a tormentarlo. Sapeva che Kay non era morto veramente, ma faticava a crederci.
«Ti ricordi il piano?» sibilò il principe, perlustrando il corridoio con un'occhiata rapida. Probabilmente anche lui temeva un'apparizione improvvisa del Gran Maestro.
«Certo, me l'hai ripetuto un milione di volte» mormorò Jamil, allo stesso tempo annuendo col capo, decidendo che muoversi lo aiutava a smaltire la tensione.
«E comunque, dopo essere usciti di qui, prendiamo vie separate. Non credere di essere diventato il mio migliore amico o qualcosa del genere» brontolò il corvino.
«Non andiamo nella stessa direzione?» domandò il jinn, perplesso. Forse Keiichi voleva tornare da suo padre.
«Ti ho detto che non sono il tuo nuovo migliore amico!» ribatté il principe, e Jamil sospirò.
«Non era quella la domanda!» esclamò per tutta risposta. Improvvisamente, nonostante lo scambio quasi comico di battute, calò un'aria gelida. Sembrava di essere stati travolti dal freddo vento che soffiava all'Accademia durante quell'anno di pausa dal mondo.
«Che cattivi che siete. Andate via e lasciate un bimbo indietro?» li interruppe Kay, e i due si voltarono terrificati. Il principe delle nevi era apparso esattamente come avevano temuto facesse, proprio nel momento in cui erano distratti. Con una mano sulla spalla di Thomas e l'altra a reggere il coltello che gli teneva alla gola, sorrideva inquietantemente. Il bambino appariva abbastanza tranquillo pur essendo in quella situazione, ma gli occhi vuoti tradivano una paura silenziosa, quel tipo di panico muto che piuttosto si appiccica alla gola, impedendo di urlare.
«Kay!» strillò Keiichi, che non sapeva che fare se non riprenderlo.
«Mi sento generoso oggi. Voi mi lasciate lo scrigno e ci guadagniamo tutti. Altrimenti, se proprio volete continuare la vostra fuga, credo che questo bimbo così gentile ed educato finisca qui la sua corsa verso l'Accademia» mormorò serio, con uno sguardo talmente truce da ricordare quello che aveva al Torneo dei Talenti anni prima. Nessuno dei due si mosse, probabilmente per la paura e per l'imprevedibilità del Gran Maestro.
Kay spinse la lama un po' più a fondo nella gola di Thomas, e il piccolo cacciò un gemito di dolore, e negli occhi brillò mogia la scintilla della delusione. Così concentrato sulle mosse da fare, il principe delle nevi non realizzò di essere stato colpito finché non si ritrovò a terra, con il naso rotto. Doveva ammettere di aver sottostimato la forza e la velocità di un jinn, e si ritrovò ad annaspare con gli occhi lucidi, mentre Jamil tirava a sé Thomas. Il principe delle nevi si sdraiò a terra, stancamente. Gli fischiavano le orecchie ma era ancora in grado di udire cosa si dicevano gli altri.
«Thomas, premi sul taglio» mormorò Keiichi, ed evidentemente lo trascinò con sé in qualche direzione a lui sconosciuta. Ma a Kay andava bene, perché stava tutto andando secondo il suo piano. Jamil si avvicinò a lui, piano. Probabilmente pensava che rallentare il passo fosse sinonimo di cautela. Kay non era assolutamente morto, certo che no. Forse il colpo era stato più duro di quanto immaginava, ma come il principe aveva sottovalutato la forza di Jamil, il jinn sottostimava la resilienza del Gran Maestro. Il principe delle nevi si premurò di chiudere gli occhi non appena lo sentì abbastanza vicino, in modo da simulare meglio una morte istantanea. Probabilmente il più basso voleva assicurarsi che non fosse vivo, e lo fece avvicinandosi abbastanza da sentire il battito del cuore del principe delle nevi. Non appena ebbe la terribile conferma che Kay stava solo fingendo di essere morto, fece per darsela a gambe, probabilmente terrorizzato dall'idea di colpirlo nuovamente. Spinto da un istinto animalesco, il Gran Maestro balzò in piedi e gli afferrò una delle caviglie, congelandolo all'istante.
Al che un emaciato principe delle nevi fece il gesto di spolverarsi della polvere dalle spalle, e si chinò per analizzare meglio il viso cristallizzato di Jamil. Ogni tanto le pupille del jinn tremolavano, probabilmente affaticate dal cercare di osservare i movimenti di Kay attraverso il ghiaccio.
«Ebbene, eccoci qui. Speravo da tempo di potermi concedere una conversazione cuore a cuore con il mio amico» iniziò il principe, ammiccando alla terribile battuta. Probabilmente perché congelato con un'espressione di puro terrore, o forse perché la posizione del corpo suggeriva che volesse sfuggirgli, il giovane Gran Maestro gli mise una mano sulla spalla, come a tenerlo fermo per evitare che andasse via.
«Voglio andare subito al punto. Hai idea di quanto io sia stanco? Certo, a voi mortali pare idilliaco morire e poi risvegliarsi in un corpo perfettamente sano - e onestamente parlando, anche piuttosto bello. Ma per me significa ritrovarmi a ricominciare da capo le esperienze umane, privo di ricordi tangibili sul mio stesso corpo. Vediamo, fammi pensare ad un esempio semplice che perfino tu capiresti. Vediamo...» mugugnò il principe, poi si mise a girargli attorno, senza mai rimuovergli la mano dalla spalla, con una presa possessiva. Si ritrovò nuovamente di fronte a lui, squadrandolo come i critici d'arte fanno con le belle statue di marmo. Gli toccò un punto poco più su del sopracciglio destro, concentrato.
«Ecco, immagina che questa piccola cicatrice sparisca. Cancellata, fagocitata dal mistero della morte che preferisce risputarti nuovo di zecca che ripararti. Onestamente non so chi - o cosa - ti abbia procurato questo segnetto, ma vedi, fa parte di te. È nei tuoi ricordi, probabilmente uno di quelli infantili e amabili. Magari quando hai imparato a giocare a palla? Non saprei. Non so nulla di te, ma insisti nel voler essere il mio migliore amico» sospirò Kay. «Oh, so cosa stai pensando! Credi che risvegliarsi senza alcuna cicatrice sia meraviglioso, ma forse lo credi perché pensi che le tue cicatrici ti rendano più brutto. A dire la verità, non cambiano molto il quadro complessivo. Per me, non fanno alcuna differenza, e per te...insomma, forse é vero, potrebbero peggiorare la situazione, ecco» ammise infine. «Anche se, ti assicuro, non sono quelle la tua rovina»
Seguì un silenzio tetro, inquietante. Al che il principe delle nevi decise di trovare un modo per rimediare.
«Strano che non siano ancora tornati indietro per te» commentò, toccandosi le labbra con l'indice come se stesse pensando. Poi sorrise beffardo, come se avesse appena trovato la soluzione al problema.
«Se ne vanno senza di te» esclamò, mettendosi a ridere, genuinamente divertito. Insomma, Jamil aveva fatto leva sulle sue debolezze per provare a scappare, gli stava solamente facendo assaggiare il suo stesso veleno. Prima di continuare il suo monologo, si abbassò nuovamente, forse per guardarlo negli occhi come ennesima presa in giro. Gli toccò la guancia, e la trovò umida di lacrime.
«Cosa fai, piangi?» lo derise, cosa che naturalmente non fermò il pianto del jinn.
Il ragazzo fu preso dal panico. In effetti né Keiichi né Thomas avevano dato segni di voler tornare indietro nel caso le cose si fossero messe male, ed era da un po' che ormai era congelato in quella posizione. Iniziava a far male, nonostante non fosse la prima volta che si ritrovava congelato. E per di più, era da solo con Kay. Poteva fare quello che voleva con lui, perfino strappargli gli arti e disporli nell'ordine che desiderava. Cosa poteva fare?
«È il tuo desiderio ossessivo di voler essere umano che ti ha portato in questa situazione, lo sai?» mormorò il principe, accarezzandogli il viso. Mentre le sue pupille saettavano di qua e di là, Jamil realizzava che anche a Kay mancava il contatto con altre persone, e l'unico modo che conosceva per sentire il calore umano era passare del tempo con delle statue di ghiaccio.
«Se tu non ti fossi messo a correre in quel modo privo di grazia, e che ne so, ti fossi trasformato in fumo, ti assicuro che non ti avrei preso» continuò il principe, senza mai staccarsi da lui. Il fatto che il principe gli tenesse sempre una mano sulla spalla, o che gli fosse così vicino, fece capire al jinn che forse lo faceva perché aveva davvero timore che potesse scappare. Ma aveva congelato delle persone prima, sapeva che non potevano sfuggire alla sua presa. Quindi perché tutta quella paura, apparentemente infondata?
Ricordava quando si erano accidentalmente congelati insieme - in effetti era un ricordo imbarazzante che non avrebbe voluto disseppellire - e li avevano messi vicino al caminetto per scongelarli. Era uno spirito del fuoco, diamine! I primi jinn erano nati dalla fiamma viva e lui non riusciva a scongelarsi. Cercò disperatamente di muovere le dita, ma sfortunatamente Kay era un attento osservatore.
«Andiamo da qualche parte?» domandò, avvicinando il viso a quello dell'amico. La ragione per cui riusciva a muoversi, anche se poco, era che il ghiaccio era sottile. Il principe delle nevi non aveva mentito quando aveva detto di essere stanco. Ma a trattenere il jinn vi era il terrore di sapere cos'era successo ai suoi poteri. Era ancora in grado di fare quello che faceva prima? Forse valeva la pena provare, prima che quel freddo artico gli arrivasse al cuore.
Immaginò di riscaldarsi, che il suo corpo fosse bollente proprio come una fiamma viva, e che il ghiaccio che aveva addosso si sciogliesse rapidamente. Più lo immaginava, più gli sembrava che fosse reale. Provò a muoversi, e questa volta il corpo rispose esattamente ai comandi. Schizzò via alla rapidità della luce, esattamente come aveva suggerito Kay, e si fiondò verso la sala del trono, sperando vivamente che Keiichi e Thomas non se la fossero data a gambe.
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Apparentemente i ragni sono molto gentili quando impari a conoscerli bene. Melody, nonostante fosse abbastanza schifata dall'idea di avere un ragnetto come nuovo animale domestico, stava iniziando ad accettare la realtà. Era rimasta seduta nella cella, con la schiena appiccicata al muro, a guardare Mary Jane e il resto dei suoi amici abbattere le sbarre con nonchalance. Ogni tanto la guardavano male, come se fosse stata una cosa così semplice che avrebbe potuto benissimo farla lei, ma in linea di massima svolgevano il lavoro senza troppe lamentele. Al che la ragazza preferì non dire nulla, e quando le sbarre furono completamente eliminate, Melody poté finalmente prendere una boccata d'aria.
Ma la verità è che non sapeva comunque cosa fare: Keiichi era sparito, Dario anche, con Ryuu aveva discusso. Non c'era molto da fare: Miranda l'avrebbe rigettata al fresco una volta saputa la sua fuga. Mentre la povera ragazza cercava di pensare a cosa fare, i ragni andavano via in fila indiana, passando per una frattura nella parete. Solamente Mary Jane era rimasto a farle compagnia.
«Ti senti sola, pupa?» domandò, e la ragazza si mise la testa sulle ginocchia.
«Non é che mi sento sola. Sono sola» piagnucolò.
«Bene. Beh, non hai nessuno che possa ospitarti qui?» domandò, cauto.
«No. Voglio dire, potrei chiedere a Ryuu, ma non credo sia così gentile da farmi rimanere con lei. Mi ha tradita! Però nemmeno io sono stata molto gentile con lei» sospirò.
«Immagino. Sembra che tu abbia un bel caratterino» commentò burbero il ragno.
«Diciamo di sì. Beh, in realtà sono solo un po' arrabbiata con lei, capisci? É sempre stata più sensibile di me. Il che non vuol dire che io non abbia sentimenti, però. Durante il primo anno ha avuto una sottospecie di relazione con Kay, il tipo che ci ha congelato tutti. Avevo capito fin dall'inizio che non era la persona per lei, ma Ryuu insisteva e alla fine abbiamo litigato per questo. Adesso che lo dico ad alta voce, abbiamo lasciato che un ragazzo rovinasse la nostra amicizia di anni!» strillò esasperata.
«Dovreste provare a riconciliarvi» suggerì Mary Jane.
«Ma come? Mi strillerà in faccia nel momento in cui mi vedrà. Non voglio tornare qui!» bofonchiò.
«Mi pare di capire che codesta Ryuu é una con cui bisogna andare piano. Vieni con noi, mi sembra che tu abbia bisogno di riconnetterti con la natura»
E cosa poteva fare Melody se non accettare l'offerta?
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«Jamil ci sta mettendo una vita» si lamentò Thomas, facendosi piccolo piccolo.
«Lo so, non é intelligente» si lamentò Keiichi, mentre era alla ricerca di qualcosa di utile per fermare l'emorragia.
«Non dire così. É meno brillante» spiegò il ragazzino. Fiero, il corvino si fece scappare un sorrisetto, salvo indietreggiare non appena vide la figura alta e snella di un jinn farsi avanti nella loro direzione.
«Guarda guarda cos'abbiamo qui» mormorò Maymuna, accarezzandosi le ali.
«Mangia lui per favore» rispose istintivamente Thomas. «Sono troppo giovane per morire»
«No, grazie. Non sono qui per questo» rispose la donna, poi vide lo scrigno.
«Avete ucciso Jamil?» esclamò, preoccupata.
«Sì» esclamò Keiichi, non sapendo cosa rispondere.
«No! No» intervenne il ragazzino, intuendo che fosse chiaramente la risposta sbagliata.
«Sì o no?» strillò la jinna.
«No» ammise il corvino. «È qui da qualche parte»
«Allora cosa c'è dentro lo scrigno?» domandò perplessa Maymuna. Il principe si mise a sedere, stancamente. Poggiò la schiena contro il muro e si assicurò di darci anche una testata.
«É una lunga storia»
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Inaspettatamente, in compagnia di Keiichi e Thomas vi era Maymuna, intenta a bendare la ferita del bambino. Insicuro su cosa fare, si avvicinò piano, ma la jinna lo individuò in un attimo.
«Ciao Jamil. Fatte le valige?» domandò con nonchalance, alzandosi e stiracchiandosi.
«Cerca di cambiare le bende prima o poi» aggiunse, rivolgendosi al più piccolo, che annuì piano, per timore di peggiorare la situazione.
Vista l'espressione sorpresa del nipote, la donna si avvicinò a lei a passo leggero, sorridendo.
«Non fare quella faccia, caro! Voglio darvi una mano, davvero» esclamò. «Capisco le ragioni che ha Heyvon per odiare gli umani, ma io credo che portare avanti questa campagna di odio non porterà nessun risultato. E poi, in realtà pensava di fregarvi tutti quanti. Non sa che a quanto pare quello bianco si rigenera. Sperava di togliere te di mezzo tramite lui, poi convincerlo ad uccidere anche loro due e infine probabilmente avrebbe trovato un modo per tenerlo qui. Ma io non ci sto, e lo dico da jinna. La notte eterna non ci porterà nessun beneficio» mormorò rapidamente, poi gli mise una mano sulla spalla.
«E poi, cercare di uccidere il proprio nipote é vile. Specialmente considerato...insomma, quanto ci vuole ad avere un cucciolotto. Sono contenta che almeno Amal ci sia riuscito» mormorò. «Visto che sarò io a portarvi fuori di qui, voglio darti degli ultimi consigli» aggiunse, guardandosi le spalle.
«Numero uno: dormi da solo. Lo so che può sembrarti stupido, ma ti assicuro che c'è gente che approfitterà del tuo sonno per esaudire i propri desideri» iniziò, osservando Keiichi con la coda dell'occhio.
«È possibile?» mormorò preoccupato Jamil.
«Certo che sì. Noi jinn abbiamo l'impulso di esaudire i desideri, ma quando siamo svegli abbiamo la possibilità di dire no. Numero due: solo le facce meravigliose possono essere malvagie, perché sanno che nessuno dubiterà mai dell'integrità della bella principessa. Occhio alle bionde, raccomandazione un po' specifica, ma meglio partire prevenuti. E terzo...non dimenticare che sei un jinn. Lo so che vuoi essere umano. Anche io lo voglio. Ma non puoi cambiare, e pensarci è inutile. Non logorarti su questo desiderio. E ora andiamo, prima che quel coso bianco ritorni» concluse rapidamente, sperando che Jamil avesse assimilato i consigli.
Thomas allungò il collo come una tartaruga, salvo tornare sui suoi passi a causa del dolore.
«La prendi tu la mia lampada?» domandò Jamil.
«Ho paura di perderti. Può tenerla Keiichi?» domandò piano il ragazzino, abbassando lo sguardo.
«Certo» rispose il jinn, nonostante la certezza che il corvino avrebbe tentato di farlo fuori alla prima occasione. Gliela mise in mano con uno sguardo che tradiva la paura di non rivedere mai più il mondo esterno. Poi sparì con uno sbuffo di fumo.
«Dove vuoi andare, Thomas?» domandò Maymuna.
«Non possiamo andare insieme?» la interruppe Keiichi, preoccupato.
«Non ho abbastanza forza per mandarvi tutti e tre insieme. Temo che Thomas debba andare da solo» mormorò, e il corvino sospirò.
«Allora voglio andare all'Accademia del Bene e del Male!» esclamò il ragazzino, è sparì in uno sbuffo di fumo grigiastro, sperando di ritrovare Dario al più presto. Tanto non poteva essere molto lontano, no?
In quanto a Keiichi, che aveva voglia di gettare all'ultimo la lampada via, ma che allo stesso tempo teneva il manico con energia, non potevano che sorgere delle complicazioni.
«E tu dove vuoi andare?» domandò Maymuna, prendendo fiato. Credeva di essere abbastanza forte, ma evidentemente non era più in forma come un tempo. Le girava la testa e sentiva un terribile fischio nelle orecchie.
In quel momento Kay, nascosto tra gli incavi del corridoio, tese le orecchie e se la rise.
«Agrabah» strillò, e prima che Keiichi potesse correggerlo, era già sparito.
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Shinju era nella camera di Khalil. Sarà che si erano parlati più di una volta e adesso si era convinta dell'esistenza di un legame empatico indistruttibile tra loro due. E poi aveva tutte le ragioni del mondo per esserci, visto che il principe l'aveva esplicitamente invitata a passare del tempo con lui. Era inusuale trovare qualcuno disposto a mettere su carta bianca i propri pensieri, e le semplificava di molto la vita. Sfortunatamente, il castano non sembrava avere un approccio amichevole quanto romantico. Magari era solo una persona affettuosa, o amante del contatto, ma si era ritrovata con un braccio attorno alle spalle e in mano un pettine nuovo di zecca, probabilmente in madreperla.
Forse, entusiasta dall'idea di fare un regalo, non si era reso conto che potesse risultare addirittura offensivo, ma Shinju non ci aveva fatto molto caso, ed aveva accettato il regalo di buon grado. Forse avrebbe dovuto prenderlo come segnale che i suoi capelli erano più o meno spettinati, ma non era particolarmente interessata allo status della sua capigliatura in quel momento. Khalil stava parlando di cose astratte, probabilmente che non sarebbe nemmeno stata in grado di capire, essendo quasi tutte riferite alle sue avventure di quanto era piccolo. Insomma, Agrabah era più o meno l'opposto dell'oceano.
Mentre rifletteva su queste differenze sostanziali, Khalil credeva fermamente che sostituire Domina con una ragazza bionda fosse un'idea a dir poco geniale. Se proprio non ci teneva a passare del tempo con lui, le avrebbe dimostrato che poteva trovare milioni di ragazze simili a lei, anche migliori. Il problema che però il principe non si era posto, è che quei sentimenti di gelosia che dovevano sbocciare in Domina, in realtà erano semplicemente una proiezione dei suoi. Amava Domina? Non sapeva dirlo, davvero. Sicuramente era una donna intelligente, che nonostante il suo lato crudele aveva dei pregi e sapeva anche sfruttarli bene. E poi, uscire con lei gli aveva ricordato quanto fosse bello poter mostrarsi in pubblico con il proprio partner. Non che si fosse mai vergognato di Jamil, ma nel fondo del suo animo quella piccola parte di lui che valutava il giudizio delle persone gli sussurrava cattiverie. Di solito li guardavano, e Khalil sapeva che non era perché il suo fidanzato era un modello, ma più perché era blu, era un jinn, e teneva per mano l'erede al trono di Agrabah - posto che per antonomasia era il meno aperto ai jinn. Invece camminare con Domina al suo fianco gli piaceva. Lo faceva sentire potente, e gli ricordava quanto fosse bello rispetto a beh, più o meno tutti gli altri. Anche la regina della notte era stupenda, e sapeva che averla accanto lo aiutava con l'autostima. Forse stava pensando in modo scorretto, ma era sicuro che l'idea fosse contraccambiata dalla parte della ragazza. Si consideravano l'uno un'estensione dell'altra, un piedistallo che però faceva brillare entrambi.
Era come se Khalil avesse trovato una persona degna di lui. Non sapeva da dove fosse sbucata quell'improvvisa brama potere, prestigio e probabilmente anche amore. Domina non era brava ad amare. Se avesse dovuto scegliere tra lei e Jamil, avrebbe avuto serie difficoltà. Voleva una vita avventurosa, non monotona come richiedeva il jinn. Sapeva che passare del tempo con la regina della notte lo caricava di adrenalina e lo lasciava desideroso di spenderne altro con lei. Ma allo stesso tempo l'idea di avere una casa in cui tornare, piena di affetto incondizionato, non era male. Forse era in grado di bilanciare due vite contemporaneamente. Suo padre era un ottimo bugiardo. Perché non sarebbe dovuto riuscire nella sua impresa?
«È davvero un bel pettine» lo interruppe Shinju, che aveva comunque un limite di sopportazione.
«Concordo. È perfetto per te. Ti ho pensata quando l'ho visto» rispose Khalil, sbuffando per togliersi una ciocca castana dal viso.
«Grazie. Mi piace prendermi cura dei miei capelli» rispose dolcemente la ragazza. Al che il principe avrebbe voluto risponderle che non si sarebbe detto, data la notevole increspatura.
«Si vede» rispose invece, immaginando fosse una buona idea iniziare a mettere in pratica la capacità di mentire.
Ad interrompere l'amabile conversazione fu qualcuno che bussava alla porta con violenza. Khalil si scusò con Shinju e aprì, sbuffando nel vedere Domina.
«Di nuovo qui?» domandò. «Mi pare di averti fatto capire che non ti voglio tra i piedi»
«Ma Khalil, sei stato cattivo ieri sera. Dai, ti ho portato dei fiori per fare la pace. Sono delle ortensie» esclamò, porgendogliele e mettendo su un adorabile broncio.
Il castano sospirò, poggiato allo stipite della porta. Le prese tra le mani, ma non si mosse.
«Non vorrai mica rovinare il mio appuntamento con Shinju» bofonchiò, arrossendo leggermente e osservando la principessa con la coda dell'occhio. Al che la ragazza raddrizzò la schiena, sorpresa.
Era un appuntamento? Non era una brutta prospettiva. Immaginava già una bella casetta amabile. Si domandò se Khalil voleva figlioli, ed in quel caso sarebbe stata pronta a tirar fuori qualche adorabile nanerottolo. Sarebbero stati biondi? Khalil sarebbe stato un buon padre? E se non ne avesse voluti? Nessun problema, avrebbero passato tutto il resto del tempo insieme, aderenti come delle cozze.
«Un appuntamento?» domandò Domina.
«Ti stupisce?» chiese Khalil.
La ragazza gli sbottonò i primi bottoni della camicia.
«Non sapevo fossi così impegnato! In caso, dovrò annullare la mia idea per stasera. Visto che mi hai già rimpiazzata, chiederò a qualcun altro di farmi compagnia stasera. Ed io che avevo voglia di panna...» mugugnò lei, spalancando gli occhioni.
«A che ora ci vediamo?»
«Che bimbo viziato. E Shinju?» domandò, giocando con una ciocca bionda.
«La notte é per gli amanti»
☆.。.:* .。.:*☆
Naturalmente Khalil se ne intendeva benissimo d'amore, nonostante Ryuu non volesse crederci. Adeus si era praticamente trasferito nella sua camera, e nessuno dei due si era fatto troppe domande al riguardo. Accoccolati l'uno con l'altro, senza nemmeno sapere esattamente cosa stavano facendo, si guardavano quando potevano. Entrambi facevano in modo di osservare quando l'altro non poteva vederli, come se si trattasse di un'amabile piccola cotta di bimbi.
«Alla fine per la protesi?» domandò improvvisamente la rossa.
«Non ho ben capito, ti dirò la verità. Aspetterò che chiuda il vaso di Pandora e andrò a parlarle, vedrai» rispose Adeus, chiudendo gli occhi.
«Dimmi la verità, perché mi stai aiutando? Ti piaccio?» domandò Ryuu, giocando con il lembo della manica dell'altro.
«Non mi sarei nemmeno alzato dal letto per fare qualcosa per qualcuno che non mi piace» ribatté il ragazzo, aprendo un occhio e guardando ammiccante la rossa.
«Vuoi proprio provocarmi, uh?» domandò la ragazza, decidendo di giocare allo stesso gioco sedendosi sopra di lui.
«A me sembra che quella che sta cercando di stuzzicare qualcuno sia tu» rispose lui, mettendole le mani sulla vita per evitare che cadesse.
«Dici?» domandò Ryuu, e chiuse gli occhi per baciarlo, afferrandogli il viso con violenza, quasi come se fosse necessario farlo.
Era la prima volta che baciava qualcuno che non fosse Kay. E per la prima volta, non era un bacio freddo. Era pieno di calore, di passione, di amore. E forse era quello che mancava al principe delle nevi. Era incapace di provare amore verso chiunque che non fosse sé stesso - e Dario, apparentemente. Avrebbe voluto che Kay baciasse così, e che l'avesse baciata prima di provare una pozione d'amore. In fondo aveva gli occhi chiusi, poteva immaginare che sotto di lei ci fosse il principe delle nevi. Si staccò immediatamente, coprendosi le labbra con le mani, disgustata da sé stessa.
Adeus la guardò, perplesso. «Bacio così male? Non pensavo» domandò con tono scherzoso, e Ryuu fu grata di aver perso la capacità di piangere.
«No, no» riuscì a mormorare, scivolando sul letto, e dandogli le spalle.
«È successo qualcosa?» domandò il biondo, piano. Le accarezzò il viso.
«No. Grazie, Adeus» mormorò lei, e chiuse gli occhi.
«Ti voglio bene»
Ryuu non rispose.
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