12 ☆ Alto tradimento
Il leggero rossore che la spina le aveva lasciato sull'indice era già sparito, lasciando indietro solo un piccolo segno a ricordarle le menzogne pronunciate quella sera. Domina si esaminava la mano con attenzione, alla ricerca di qualsiasi imperfezione che potesse minare la sua facciata angelica. Fortunatamente si trattava di un'immagine inviolabile ormai per tutti, che pur a conoscenza dei suoi giochi successivi alle feste - che spesso coinvolgevano ghigliottine e coltelli - continuavano a stimare l'idea di lei che si erano fatti prima dell'avvento della monarchia scarlatta. Sdraiata sul letto, in posa come se qualcuno la stesse dipingendo, continuava a rigirare la propria mano come se custodisse segreti mai rivelati, nemmeno alla sua stessa padrona. Sfortunatamente per la pace della regina della notte, qualcuno bussò con violenza alla porta, e sebbene si trattasse solo di suoni, a Domina parve fossero prodotti da ansia ed impazienza. Si coprì pigramente con il lenzuolo, immaginando chi potesse esserci fuori dalla camera, ma genuinamente noncurante di farsi vedere semi nuda. Aprì la porta solamente per vedere il volto piuttosto imbarazzato di Khalil, che la squadrò per qualche attimo decisamente troppo lungo prima di guardarla negli occhi. La bionda inclinò il capo, incuriosita dal braccio nascosto dietro la schiena del giovane.
«Che hai lì?» domandò sorpresa, quasi in contemporanea con il timido "buongiorno" emesso da Khalil con un voce strozzata, troppo distratto dalla pelle candida di Domina in bella vista.
«Oh, ti ho portato dei fiori» spiegò lui, tirando fuori un mazzo di giacinti viola, mescolati ad altri fiori di cui onestamente non ricordava il nome. La ragazza parve onestamente stupita, e prese i fiori con delicatezza, cercando disperatamente di non rovinarli. Li avvicinò al viso per sentirne il profumo e sorrise dolcemente.
«Te li sei ricordati» mormorò, felice.
«Certo. Chiunque si ricorda i fiori preferiti della propria fidanzata, o mi sbaglio?» ribatté fieramente lui, spostandosi una ciocca castana dietro l'orecchio. La regina della notte sorrise imbarazzata, valutando se ricordargli che lui non era certo il suo fidanzato, ma l'amante. Il suo flusso di pensieri venne interrotto da Khalil, che si chinò per metterle un fiore tra i capelli.
«Scherzavo, comunque. So benissimo che i tuoi fiori preferiti sono i nontiscordardimé» ridacchiò, grattandosi la nuca e guardando altrove. La bionda allungò delicatamente la mano per sfiorare i petali del fiore, anche più piacevolmente sorpresa di prima.
«Come...» balbettò, guardandolo curiosa.
«Ho visto come li guardi quando passeggiamo» ammise il principe, gonfiando il petto fieramente.
«Sei davvero attento ai particolari» mormorò Domina, facendo per prenderlo a braccetto ma ricordandosi di essere praticamente svestita.
«Dammi un secondo, mi vesto. Andiamo a fare una passeggiata?» propose allegramente, immaginando di dover ricambiare in qualche modo il favore.
«Certo» rispose il castano, facendo un passo avanti ed impedendole di chiudere la porta con il piede.
«Perché questa mossa?» domandò lei, perplessa ed un filo spaventata dall'atteggiamento che in un secondo era passato da amorevole a morboso.
«Lascia il collo scoperto» disse Khalil, in un tono che tradiva più un'intimidazione che un suggerimento. Sorrise, mettendo in mostra i canini. «Mi piaci di più così» aggiunse, sfilando lentamente il piede e permettendole di chiudere la porta. La regina della notte deglutì e si appoggiò con la schiena contro il muro, esaminando rapidamente la stanza alla ricerca di qualche vestito che soddisfasse la richiesta.
Forse facendogli bere il suo sangue aveva creato un mostro, ma non sapeva come rimediare. E soprattutto voleva l'immortalità più di ogni altra cosa, non certo perdersi in quel tira e molla di fiori e morsi. Si cambiò in fretta e in furia, sapendo benissimo che nulla sarebbe mai riuscito a farla risultare brutta finché avesse avuto un faccino come il suo.
Riaprì la porta, e si affacciò nel corridoio alla ricerca dell'amante. Appoggiato alla parete, Khalil fumava il narghilè in tutta tranquillità, anzi, quasi turbato dalla rinnovata presenza della regina della notte.
«Pronta?» domandò, riaprendo gli occhi prima socchiusi e staccandosi dal muro con un gesto pigro.
«Sì. Andiamo da qualche parte in particolare?» chiese la bionda, arricciandosi una ciocca non proprio perfetta al dito, sperando che riprendesse la sua forma rapidamente.
«Non esattamente. Pensavo più ad un giro. Ci sei mai stata sul tetto?» domandò a raffica il vampiro, leccandosi le labbra, concentrato.
«No» rispose la fanciulla, sospirando e guardando l'ampia gonna. Sarebbe stato un po' scomodo salire fin sul tetto, ma accontentare Khalil le sembrava il modo più rapido di ottenere quello che voleva.
«Allora andiamo lì» decise il castano, senza ulteriori esitazioni. Si affacciò alla finestra, controllò che non ci fosse nessuno nei paraggi e si aggrappò ad un mattone sporgente, sicuro di sé. Domina non parve avere la stessa entusiasta reazione nello scoprire che il modo più veloce per raggiungere il tetto era fare parkour. Ma comunque non era una codarda, e decise di fare lo stesso, seguendo i passi del principe ogni qualvolta questo andava avanti. Penzolando nel vuoto sospirava frustrata nel sapere che nel suo armadio c'erano completi decisamente migliori per un'arrampicata. Si ritrovò un po' persa nel vedere Khalil saltare da una parte all'altra come se fosse semplice come bere un bicchiere d'acqua. Doveva essere rimasta particolarmente indietro, perché il castano tornò indietro e le offrì una mano, che tenne finché non riuscirono a raggiungere entrambi la tettoia.
Entrambi ansimanti si misero a sedere verso l'interno, guardando la luna.
«Ringrazia di aver portato me qui e non Jamil» esclamò la bionda, a corto di fiato.
«Che intendi?» domandò il castano, un po' più allenato ma comunque affaticato. Domina alzò gli occhi al cielo.
«Se lo avessi preso per mano come hai fatto con me sareste caduti entrambi. É troppo pesante per queste cose» commentò, irritata dal fatto di dover spiegare le sue battute.
«Ah. Beh, non saprei» rispose Khalil, facendo spallucce. «Non l'ho mai preso in braccio» aggiunse, mortificato.
«Non importa. Questo momento è per noi due» sospirò la regina della notte, stendendosi con le braccia dietro la testa, ammirando la luna brillare nel cielo.
«Già. Noi due» ripeté il castano, imitandola, nonostante occupasse molto più spazio della regina.
Lei gli si avvicinò e si infilò tra il suo braccio e il suo petto, facendosi stringere. «Guarda che meraviglia la notte. Si vedono tutte le stelle» commentò rapita, spalancando gli occhi.
«Già, le stelle» ripeté nuovamente Khalil, pensando a quando aveva fatto incidere delle costellazioni sul fondo di una lampada.
La fanciulla si voltò verso di lui.
«Ma tu...sei nato vampiro?» domandò, piano, per dargli l'impressione di voler essere cauta con i suoi sentimenti.
«No. In realtà è una storia buffa. Qualche anno fa ho trovato nel laghetto uno specchio incantato, ma quando l'ho sollevato una scheggia mi é finita nell'occhio» mormorò, leccandosi le labbra concentrato, cercando di ricordare ogni dettaglio della storia. «La persona intrappolata nello specchio era un vampiro, e il suo unico modo per uscirne era usare il corpo di un'altra persona. Quindi ha posseduto me, ma nel farlo mi ha reso un vampiro» concluse, sospirando. Sentì Domina allontanarsi leggermente.
«Quindi tu non sei un vero vampiro» mormorò, riavvicinandosi dopo aver sentito il leggero ma percettibile cambio di atmosfera.
«Non esattamente. Voglio dire, posso passare un sacco di tempo senza bere sangue, ma poi non sto benissimo. So trasformarmi in un pipistrello, a volte riesco a camminare sulle pareti come se fossero un pavimento, ma niente di più» spiegò lui.
«Quindi niente carisma, niente possibilità di trasformare anche me in vampiro?» domandò delusa, a bassa voce.
«Questo non saprei dirtelo. E poi hey, io ho un sacco di carisma» borbottò offeso il principe.
«Non quel carisma, Haidar. È un potere magico! Potresti far fare a tutti quello che vuoi. Secondo te tutte quelle care verginelle vestite di bianco vogliono rimanere chiuse a vita in castelli decrepiti accanto ad un uomo che le usa solo come pasto?» sbottò la fanciulla.
«Non capisco, che ti cambia se lo ho o no?» domandò confuso Khalil, cercando di capire a cosa le servisse.
«Haidar...» mormorò lei. «Io e te potremmo dominare il mondo. Tu sarai il sultano di Agrabah, e io sono la regina della notte. Insieme potremmo...insomma, ci sarebbero davvero limitazioni ai nostri poteri?»
«Non lo so. Ma non credo di voler dominare il mondo. Mi basta stare con la persona che amo» rispose lui, genuinamente confuso. Si strinse contro di lei, chiudendo gli occhi.
«Romantico, ma io voglio anche altro dalla vita» bofonchiò lei, ma prima che potesse spiegare cosa, Khalil le afferrò una mano e gliela mise sul suo petto.
«Lo senti il mio cuore? Batte per te» esclamò, e la bionda approfittò dei suoi occhi chiusi per fare una smorfia disgustata. Poi tastò seriamente il petto.
«Non sento nulla» ammise, stupita.
«Ah, già» commentò tristemente Khalil. «I cuori dei vampiri non battono»
«Quindi non puoi nemmeno avere un erezione» commentò la regina della notte, staccandosi definitivamente da lui.
«È un argomento delicato, ma credo che...sì, insomma...» balbettò il castano, decisamente imbarazzato.
Domina non riuscì a trattenere la frustrazione e scattò in piedi, percorrendo in avanti ed indietro la tettoia.
«Sei inutile!» esclamò infine, guardandolo furiosa. Nel vedere quegli occhi iniettati di sangue Khalil si fece piccolo piccolo.
«Non ti piacciono più i fiori?» mormorò.
«Ti sembro una persona a cui basta un mazzo di fiori? Forse sei abituato a frequentare campagnoli che si esaltano per un bouquet di poca classe, ma io voglio di più da un amante che fiorellini! Tu devi essermi utile!» strillò, e a quel punto si alzò in piedi anche Khalil.
«Non ci si ama mica in base all'utilità!» ribatté lui. «Io ti amo perché...perché...» provò a continuare, ma poi rimase in silenzio.
Perché amava Domina?
«Ecco, non sei capace nemmeno di dirmi che mi ami! Insomma, Haidar, non posso stare con qualcuno che non sa nemmeno dirmi perché mi ama» sospirò lei. Khalil cercava di effettuare connessioni nella sua testa. Pozione di disamore. Immortalità. Frustrazione di Domina per le sue mancata abilità.
«Tu mi stai usando» commentò debolmente.
«Io?» gemette la fanciulla, improvvisamente cadendo sulle ginocchia, come se qualcuno l'avesse privata della sua forza vitale. Il principe accorse in suo aiuto prima ancora di rendersi conto di quello che faceva.
«Non ti sto usando, Khalil. Lo sai. È che se tu fossi veramente inutile, Miranda ti ucciderebbe» piagnucolò.
«Non é solo per questo che sei frustrata» commentò serio Khalil, sollevandola fra le sue braccia.
«Anche perché non sai dirmi perché mi ami. Dimmi la verità, tu mi usi solo per il mio corpo?» singhiozzò la bionda, ma il castano la fece cadere. Sorpresa, Domina si fece indietro trascinandosi con le braccia, intimorita.
«Che c'è?» domandò lui, chinandosi verso di lei e guardandola con gli occhi ormai cremisi spalancati.
«Tu...mi fai paura» ammise la fanciulla, ricordando quasi con tenerezza gli occhi cerulei e serpentini del principe, molto più amorevoli di quelli che la guardavano adesso.
«Affronta il mostro che hai creato, Domina Asteria» sibilò Khalil, sorridendo con i canini in bella mostra.
☆.。.:* .。.:*☆
Non vi é nulla di più frenetico che una giornata al palazzo dei jinn quando il re é di cattivo umore. Perfino le pareti del palazzo ne risentivano, tremando e strizzandosi proprio come se fossero umane e terribilmente spaventate. L'eco delle sue urla risuonava in tutte le stanze, e i servitori si nascondevano negli anfratti, timorosi anche solo di portargli del tè. L'unica cosa che potevano fare i sudditi del regno era rintanarsi dove potevano, e aspettare che il sultano si calmasse da solo, e smettesse di lanciare fulmini e saette a chi gli capitava a tiro. Sfortunatamente nemmeno il ritorno dell'amata moglie Jalina sembrava aver placato i suoi bollenti spiriti, che emergevano anche più furenti nei confronti del nipote al suo prospetto.
«Il siero della verità ti é stato dato con uno scopo preciso, non certo per dei giochi da fanciulletti ingenui!» strillò Heyvon, in piedi sul proprio trono, preso dalla rabbia più nera. Tra le mani aveva la propria arma, che scintillava alla luce delle candele, più minacciosa che mai. Diverse volte aveva dovuto trattenersi dallo scagliarla contro Jamil, seduto sulle proprie ginocchia di fronte a lui, così terrificato da essere incapace di alzare lo sguardo.
«Mi dispiace» mormorò con un filo di voce il principe, facendosi piccolo piccolo e coprendosi il viso con i capelli.
«Ti dispiace? Ti dispiace? Il nostro destino non é alle tue dipendenze» sbraitò ancora Heyvon, tanto da dover essere trattenuto dalla mano di Jalina posata sulla sua spalla. Prima che il piccolo jinn potesse anche solo pensare a come replicare, si mise le mani tra i capelli.
«Ti rendi conto che se ci lasciamo scappare il principe della profezia, nessuno di noi sarà mai in grado di lasciare il regno sotterraneo? Cosa pensi di fare, figlio di Iblis, se non pensi prima al bene della tua famiglia?» aggiunse, più pacato rispetto a prima ma comunque terrificante.
«E se non si trattasse di loro?» pigolò Jamil, voltandosi indietro per paura di fronteggiare gli zii.
«Non essere sciocco. La notte eterna è appena calata per merito tuo, colui che ha dentro di sé la chiave della sua disfatta è sicuramente tra qualcuno dei tuoi amici» lo sgridò il re, squadrandolo come se avesse appena detto una delle più grandi eresie mai pronunciate.
«Non voglio ucciderli» ammise il principe, mordendosi le labbra e sperando in conseguenze meno pesanti di quelle che già immaginava.
«Sono esseri umani. Sono facilmente rimpiazzabili, e ti assicuro che fra un paio di secoli nemmeno ricorderai i loro nomi. Vuoi davvero mettere a confronto la vita di due mortali con la nostra? Non desideri la distruzione di Agrabah, non desideri fare il bagno nella luce lunare per l'eternità?» domandò Heyvon, questa volta in tono decisamente più gentile ed atto a convincere il nipote a fare la scelta giusta.
«Io non voglio distruggere Agrabah, e nemmeno ucciderli perché sono esseri umani. La loro vita non vale meno della nostra» rispose Jamil, questa volta un po' più deciso. Sperò anche di essere stato abbastanza educato dal non venire incenerito sul momento.
«Un giorno rimpiangerai di aver avuto pietà degli umani» mormorò il re, e si rimise a sedere sul suo trono, insoddisfatto.
«Forse lo farò» rispose il jinn, improvvisamente insicuro di tutto quello che aveva detto.
«Forse? Lo farai sicuramente. Come lo rimpiango io, e lo rimpiangono tutti i jinn che hanno avuto a che fare con i mortali» sospirò scocciato Heyvon, scivolando sul manico del suo posticino. Il nipote non rispose, dunque si schiarì la voce e guardò Jalina per conferma.
«Millenni fa, quando il regno dei jinn ancora non era una prigione e noi creature notturne potevamo ancora raggiungere la superficie, avevo un servo fedele. Un essere umano di grande calibro. Colto, piacevole da avere attorno, parsimonioso, amante del popolo e primo figlio di un sultano di un regno nascente che adesso si chiama Agrabah. Sfortunatamente, ebbe un figlio terribile. Cielo, ricordo ancora il suo nome. Zeyn Al-Asnàm, come dimenticarlo. Suo padre morì qualche tempo dopo la sua incoronazione, e lasciati dire che del tesoro di Agrabah non rimase nemmeno la più insignificante delle gemme. Ma lo amavo come un nipote, quindi decisi di apparirgli in sogno e rivelargli una stanza segreta costruita da suo padre nel palazzo, piena di ricchezze. Era conscio dell'animo spendaccione del figlio. Comunque all'interno vi era anche un biglietto che prima l'avrebbe condotto da Mubarak, un caro amico sia mio che dell'umano di cui ti parlavo prima, e poi da me. Quando giunse nel nostro regno mi giuro fedeltà, e io gli donai uno specchio incantato per trovare la soluzione ai suoi problemi. L'unico ma, gli spiegai, è che lo specchio faceva parte del tesoro dei jinn, e che dopo averlo usato avrebbe dovuto restituirlo»
Heyvon si interruppe, sospirò e si passò una mano sulla faccia, come se il solo ricordo gli facesse accapponare la pelle o la tingesse di rosso per via dell'imbarazzo.
«Lo specchio era in grado di fare molte cose in mano ad un jinn, ma solo una in mano ad un umano. Poteva vedergli l'anima. Trovò quindi una ragazza buona e casta, la sposò con la mia benedizione ed ebbero un figliola. Ebbene, quella nacque con un demonio dentro. Pretese lo specchio come parte del suo regalo di nozze, e poi attraversò tutti i sette mari e tutte le terre alla ricerca di un modo per bandirci nelle profondità della terra. E ci riuscì» concluse il racconto il re, spiando la reazione del nipote.
Jamil deglutì, cercando di guardare dalla parte opposta, imbarazzato.
«Promettimi una cosa, Javimyial. Quando visiterai la corte di Agrabah - e lo farai presto - cerca lo specchio. E se vorrai chiedere, la sultanessa ti dirà che é un regalo per le nozze di suo figlio. Ormai se lo tramandano così. Tempo fa avevo perso le speranze di riaverlo indietro a causa della nostra prigionia, ma adesso possiamo distruggere Agrabah e vendicarci. Gli umani non ci ameranno mai. Hanno paura di noi, ma vogliono i nostri poteri. Detestano il nostro aspetto, ma desiderano i nostri occhi e i nostri cuori. Odiano il nostro linguaggio, ma amano definirsi di "sangue blu". E se trovano l'anello debole tra noi, il suo destino é simile a quello di uno schiavo» mormorò Heyvon, e con un cenno del capo coinvolse anche la moglie, rimasta allerta per tutto il tempo.
«Non mettere a repentaglio la nostra unica possibilità, Javimyial. Sei il sangue del nostro sangue» mormorò Jalina. «Non farti usare dagli umani, o finirai come tuo padre» aggiunse poi, osservando il marito con la coda dell'occhio nella speranza di non farlo adirare nuovamente.
Jamil si morse le labbra. Avrebbe dovuto chiedere a Khalil dello specchio, ed era sicuro che l'avrebbe restituito ai jinn. Una volta fatto questo, lui si sarebbe messo a studiare seriamente la magia e avrebbe trovato una soluzione per un incantesimo lanciato da una semplice strega. Non poteva essere impossibile, e poi le cose possono sempre prendere una piega inaspettata. Maymuna gli svolazzò accanto, mentre Heyvon e Jalina discutevano piano sui loro troni.
«Non prenderla troppo seriamente» cinguettò la donna, sistemandosi con un gesto esperto il lembo di stoffa che a malapena copriva qualcosa. «Gli umani ci odiano solo quando conviene a loro, ma quando hanno la possibilità di fare l'amore con noi sono sempre pronti. Sperano sempre di ricavare qualcosa anche da questo, non credere. Vogliono figli furbi, con l'aspetto da umano ma dai talenti straordinari. E noi ogni volta glieli diamo, ma poi sposano altri umani. La verità è che preferiranno sempre una biondina che si finge stupida ad un jinn» sospirò, scocciata.
«Parli per esperienza personale?» domandò il ragazzo, piano. Dall'espressione della jinna durante il discorso gli era parso che le fosse accaduto esattamente quello di cui parlava.
«Purtroppo sì. Secoli fa, anzi, millenni! Beh, in realtà non ne sono sicura. Comunque abitavo nel pozzo di un palazzo e mi ero innamorata del principe. Era un tipo scorbutico, che odiava le donne e qualsiasi cosa fosse associata a loro, ma naturalmente ne soffriva la mancanza. Quindi ripiegava su di me, una jinna perdutamente invaghita di lui. Col passare del tempo realizzai che con me faceva l'amore semplicemente perché per lui non qualificavo come donna, ma come intrattenimento. Fu in quel periodo che feci amicizia con Danhash, che similmente a me era innamorato di una fanciulla bellissima. Solo che lui con lei l'amore non lo fece mai, o almeno questo é quello che dice a me. Facemmo una scommessa su chi fosse il più bello e li mettemmo a paragone, addormentati l'uno vicino all'altra. Quando si svegliò il mio principe si invaghì terribilmente di quella maledetta umana, con il suo faccino ingenuotto e l'aria da completa imbecille! Avrei dovuto strapparle il fegato a morsi e appendere quell'uomo alla torre con il suo stesso intestino! Loro si sposarono e io venni ripudiata dal regno dei jinn» raccontò velocemente la donna, mettendogli le mani sulle guance e strizzandogliele energicamente.
«Ti stiamo raccontando tutte queste storie non per farti pietà, Javimyial, ma perché tutti noi siamo stati abbastanza ingenui da farci spezzare il cuore da esseri umani, e ti chiediamo di non rifare il nostro errore. Non é importante che tu uccida gli umani, ma è importante che tu sappia che non sarai mai e poi mai una priorità per loro» spiegò la zia, e Jamil annuì.
Ma era come se tutto il discorso non gli avesse davvero fatto effetto. Non gli stavano dicendo nulla di nuovo: anche lui aveva passato anni di disprezzo da parte degli umani, ma a differenza loro non riusciva a vendicarsene. Sapeva di non avere il coraggio di prendere la vita di qualcun altro e lo terrificava l'idea di vedere sparire il bagliore dagli occhi di qualcuno per colpa sua. Era un panico infondato, nato chissà da cosa. E poi, era genuinamente convinto che Khalil fosse diverso, nonostante tutti i racconti sulla sua famiglia e tutte le premesse di Maymuna. Era piuttosto sicuro che gli avesse raccontato la storia perché a conoscenza di una biondina che si fingeva stupida all'Accademia. Ma il suo principe era diverso da quello di sua zia, ne era certo. E anche se fosse stato identico, non avrebbe mai trovato il coraggio di fargli del male. Perché il castano poteva non amarlo, ma lui lo amava.
«Pensi di essere in grado di uccidere gli umani?» tuonò la voce di Heyvon, nuovamente rivolta al nipote. Jamil ripensò a Thomas: era solo un adorabile bambino che sognava di sposare la sua fidanzatina e di fare il falegname da grande. Mangiava con gusto tutto quello che preparava, ogni giorno più allegro di essere in compagnia di creature incantate. Forse Kay non lo considerava il suo migliore amico, ma il principe delle nevi rimaneva il suo. Certo, ucciderlo era pressoché impossibile, ma sapeva benissimo che tenerlo prigioniero del suo stesso corpo non era altrettanto complicato. E poi, Jamil cercava di seguire un criterio di vita molto semplice: non fare agli altri quello che non voleva gli fosse fatto. Keiichi gli faceva un po' pietà, con quella sua maledizione addosso. Non avrebbe voluto addormentarsi per sempre, e pensò che cadere nel regno dei jinn al confronto era stato un destino rincuorante.
«Non fa niente. È chiaro che la tua mente sia stata corrotta dal mondo umano» concluse Heyvon, con la voce quasi rotta dalla delusione.
Jamil si alzò, con l'intenzione di allontanarsi. Non reputava la sua mente una mente "corrotta". Aveva passato tutta la vita assieme agli umani, era perfettamente normale che il suo cuore si fosse ammorbidito alla loro presenza. Lo avevano sempre trattato quasi egualmente, spaventandosi minimamente alla sua presenza. Non gli sembrava naturale inseguirli con un forcone e punirli per il solo crimine di essere umani. Si chiese se il forcone fosse solo una forchetta gigante, poi fece un inchino e saltellò via.
Heyvon si prese il viso tra le mani, scivolando lentamente sul trono.
«Non ce la farà mai» ammise, guardando la moglie dalle fessure tra le dita.
«È stato mandato nel corpo di un inetto per facilitarci le cose» provò a consolarlo Jalina, mettendogli una mano sulla spalla.
«Sculetta quando cammina!» singhiozzò il re dei jinn.
«Non credo lo faccia di proposito» mormorò con una smorfia la jinna. «Sarà qualche uso e costumo umano»
«È perché ancora non ha la coda. Non riesce a bilanciarsi» spiegò Maymuna, spalancando le ali e sedendosi sullo schienale del trono. I due sovrani annuirono, trovandola una ragione molto pertinente.
«Anche un paio di corna e ali aiuterebbero» commentò la jinna, poi scosse la testa.
«Sai come funziona, crescono con le cattive intenzioni» rispose Heyvon.
Qualcuno bussò sonoramente alla porta, sperando di attirare l'attenzione dei presenti. Jalina aprì la porta con uno schiocco di dita, e Kay cadde rovinosamente nella sala. Evidentemente doveva essersi appoggiato alla porta nella speranza di spingerla con abbastanza forza da aprirla.
«Buonasera» commentò il principe delle nevi.
«Buonasera a te» rispose Heyvon, assottigliando lo sguardo, infastidito da quella terribile entrata in scena ma incuriosito dal motivo che si celava dietro di essa.
Sulle prime Kay li squadrò per bene, esibendo una sorta di smorfia di disgusto, cercando di capire come creature come loro potessero trovarsi attraenti. Gli sembrava che fossero un mix sconclusionato di fattezze bestiali con la pelle blu e martoriata da cicatrici. Naturalmente i presenti intuirono i suoi pensieri, e guardarono Jalina, in assoluto la jinna con più cicatrici tra loro.
«Cosa ti aspettavi che regnasse i jinn? Una bimba pallida come la neve che dimostra sei anni?» domandò seria, squadrando l'umano come se stesse valutando come bollirlo.
«No, è che siete così...vabbè, non importa» ribatté il Gran Maestro, che né aveva idea di quando fermarsi e né aveva molto tatto.
«Se hai qualcosa di importante da dirci fallo subito, altrimenti avremmo di meglio da fare» aggiunse la jinna, inclinando il capo con aria molto infastidita.
«Dunque, sono venuto per con una ragione. Ho tutti i motivi di credere che Jamil sia il principe della profezia. Adesso li elencherò, quindi vi prego di ascoltarmi» esclamò, ed Heyvon alzò le sopracciglia, per nulla impressionato. Pensando che la ragione per cui i jinn fossero così scorbutici fosse che non si era inchinato al loro cospetto, il giovane si inchinò velocemente e poi riprese il suo contegno, schiarendosi la voce.
«Ebbene» esclamò, prendendo un grosso respiro e preparandosi ad esporre le sue motivazioni. «Mi pare di capire che questa profezia sia stata redatta da Damryat, che però non é mai uscito da questo posto. Dunque mi domandavo se il cielo di cui si parla nel testo non fosse un cielo metaforico. E naturalmente il cielo metaforico sarebbe il soffitto. Chiaramente avrei abbandonato questo concetto se il colore del soffitto e quello degli occhi di Jamil non corrispondessero. E poi é molto probabilmente che la profezia riguardi una sola persona, o mi sbaglio?» concluse, esclamando tutto d'un fiato.
I tre jinn lo guardarono, e per qualche ragione Kay capì di non averli informati di nulla di nuovo.
«Lo sapevate?» domandò scioccato. Per qualche ragione fu un colpo basso scoprire di non essere l'unico capace di ragionare.
«Ma certo. Speravamo di convincerlo a trucidarvi in modo da rimanere qui con noi per sempre. Però non sembra funzionare. L'unica opzione adesso é ucciderlo» sospirò Heyvon. Il principe ci rimuginò qualche secondo.
«Lo farò io» esclamò senza esitare. «Ma ad una condizione: dopo averlo fatto mi permetterete di tornare all'Accademia»
I due sovrani si guardarono.
«È un patto ragionevole» mormorò il re, e tese le mani in avanti come se gli stesse porgendo qualcosa. Confuso, il Gran Maestro strizzò gli occhi, immaginando ci fosse qualcosa che non riusciva a vedere. Con un'occhiata Maymuna lo convinse a fare lo stesso, e tra le sue mani si materializzò uno scrigno.
«Uccidilo e portaci il suo cuore» ordinò Jalina.
☆.。.:* .。.:*☆
Sfortunatamente per Kay, qualcuno aveva origliato la conversazione, e adesso il suo intero piano era in pericolo. Spaventato dal tetro risvolto della situazione, Thomas correva alla ricerca di qualcuno a cui confessare quello che aveva appena udito. Quando fu certo di essere abbastanza lontano il bimbo si fermò a prendere fiato, e si domandò a chi raccontare i fatti. Incerto sul da farsi, decise che avrebbe spiegato la situazione al primo che gli fosse capitato vicino. Keiichi, ormai ben lungi dall'entrare di nuovo in biblioteca, camminava per i corridoi senza uno scopo, cercando di ammazzare il tempo. Nonostante avesse un'espressione tranquilla, Thomas si rese conto che il corvino stava rimuginando infastidito su qualcosa. Si avvicinò piano e si strinse a lui.
«Che succede?» domandò il principe, troppo scocciato per arrabbiarsi.
«Il re e la regina hanno commissionato a Kay di uccidere Jamil e di portargli il suo cuore in uno scrigno. Come in Cenerentola e i sette nani» piagnucolò triste il fanciullo.
«Che cosa triste» commentò solo il ragazzo, per nulla interessato.
«E hanno promesso a Kay che se ci riuscirà potrà andare via» aggiunse, al che la curiosità di Keiichi venne stuzzicata. Non gli interessava così tanto scappare quanto l'idea di sabotare il piano di Kay e rivoltarglielo contro. Se il principe delle nevi credeva davvero di essere il più cattivo del reame, forse doveva ricredersi e lasciare spazio a chi quel mestiere lo faceva da molto tempo prima di lui.
«Sai dov'è Jamil?» domandò, sbattendo le ciglia al bimbo, sperando di ottenere altre informazioni.
«Non lo so, forse è in cucina...i suoi zii lo stavano sgridando, quindi probabilmente adesso é triste e sta mangiando il gelato direttamente dal barattolo» dedusse il ragazzino, e vide il corvino correre nella direzione che gli era stata indicata. Il ragazzino sperò solamente che la cosa non finisse in tragedia.
☆.。.:* .。.:*☆
Jamil non stava mangiando del gelato, come previsto da Thomas, ma stava addentando un peperone crudo, convincendosi che fosse sia abbastanza salutare sia abbastanza appetitoso da essere considerabile uno snack di supporto dopo una crisi emotiva. Sulle prime venir sgridato non l'aveva scosso più di tanto, ma adesso ne risentiva. Non si sentiva al sicuro nemmeno tra i jinn, tra la sua famiglia. Non capiva perché non riusciva ad integrarsi da nessuna parte. Gli umani che lo conoscevano, lo amavano davvero come lui amava loro? Se fosse stato per lui, gli avrebbe strapazzati e coccolati per sempre. Gli piacevano ad ogni stadio della loro vita, da quando nascevano ed erano strani e minuscoli fino a quando erano vecchi e di nuovo minuscoli. Tutto quell'affetto che riceveva all'Accademia era reale? O era solo una scusa per non inimicarsi il brutto genio cattivo?
Mentre rifletteva qualcosa strisciava dietro di lui, pronto a prendere vantaggio della situazione.
Keiichi si mise a sedere accanto a lui, e prima che Jamil potesse salutarlo o avvertirlo di non pestare i peperoni rimasti a terra, questo si schiarì la voce.
«Kay vuole ucciderti» proclamò serio, sbattendo le ciglia nel tentativo di sembrare convincente. Il jinn ricambiò lo sguardo con la solita aria di chi non ha nemmeno un pensiero per la testa, nonostante ne avesse parecchi in quel preciso istante.
«Mhm?» rispose, poggiando la busta di peperoni sulle ginocchia, salvandola dal pericolo.
«I tuoi parenti stanno pianificando di ucciderti, perché a quanto pare il principe con gli occhi color cielo sei tu. E Kay ha colto l'occasione per farsi assoldare come mercenario e ucciderti. In cambio gli permetteranno di andare via» riassunse il corvino, scuotendo la testa.
«Oh!» esclamò Jamil, e il più grande trovò sospetto che non si scomponesse più di tanto nel sapere che questo principe tanto ricercato alla fine era proprio lui.
«Ma non sono qui semplicemente per avvertirti del pericolo che stai correndo. Sono qui perché ho una proposta abbastanza vantaggiosa che ti permetterà di sopravvivere» esclamò Keiichi, intrecciando le dita. Il jinn lo squadrò da capo a fondo, alzando un sopracciglio, perplesso.
«Che cosa ci guadagni? Non credo tu sia così cordiale e generoso da interessarti della mia salute se non hai un guadagno diretto» rispose Jamil, dopo qualche minuto di riflessione.
Il corvino sospirò ed incrociò le braccia.
«E va bene, d'accordo. È più semplice raccontarti il mio intero piano che parlarti dei vantaggi che otterrei. Dunque: Kay ha uno scrigno dove dovrebbe riporre il tuo cuore - cosa che personalmente reputo un po' antiquata, ma in fondo sono gusti. Quindi i jinn vogliono un segno che tu sia veramente morto, e noi glielo daremo. E chiaramente non sarà il tuo, altrimenti l'avrei già fatto. Uccidiamo Kay, prendiamo lo scrigno, prendiamo il cuore dal cadavere di Kay e lo spacciamo per il tuo. Io prendo le sembianze di Kay, tu ti nascondi nella lampada, andiamo via. Fine!» squittì il principe, guardando Jamil.
«Perché mi stai chiedendo di collaborare? Non sarebbe più facile uccidermi qui?» domandò il jinn, prendendo lentamente un altro peperone dalla busta e dandogli un morso senza rompere il contatto visivo.
«Perché voi carissimi jinn vi dissolvete in sabbia non appena schiattate» ribatté Keiichi, digrignando i denti. «E non so assolutamente come strapparti il cuore mentre sei vivo»
«Buon punto. Altra domanda: Kay non risbucherà non appena sarà morto?»
«Credo che più dolorosa sia la morte più tempo ci metta a ritornare, ricordi tutto quel disastro con l'impostore? Comunque non importa, lo chiuderemo in cantina o qualcos'altro» liquidò la faccenda il corvino. «Ci stai o non ci stai?»
Il jinn sospirò, e ci rifletté per qualche minuto che sembrò un'eternità all'altro. Non era sorpreso dal fatto che Kay fosse disposto ad ucciderlo, no, ma era come se fosse comunque deluso e ferito. Forse stava reagendo troppo poco alle informazioni ricevute, ma cosa doveva fare? L'ultima volta che si era lasciato prendere dalla emozioni aveva distrutto la scuola con un ciclone e poi aveva passato le settimane successive con un sigillo in fronte, tra l'altro anche molto antiestetico. Sospirò, e poi realizzò che in realtà l'idea di andarsene da quel posto non era male.
«Va bene» disse infine, con tono leggermente apatico, che lasciò Keiichi abbastanza perplesso.
«Bene. E ricorda che abbiamo una sola opportunità: Kay non se lo aspetterebbe mai da te. E onestamente nemmeno io mi aspettavo che accettassi» ribatté il corvino, soddisfatto. Rimaneva solo da organizzare l'omicidio, parte dal divertimento inferiore solo a quella del compierlo.
Jamil guardò gli ingredienti sparsi sul bancone della cucina, e pensò al debole che Kay aveva per i dolci.
«Forse potremmo avvelenarlo» commentò Keiichi prima che potesse farlo il jinn, mettendo a lavoro le rotelle del suo cervello. Dirlo era molto più facile che farlo: bisognava trovare un veleno che non avesse un sapore molto accentuato, o che fosse così aspro da spingere il principe delle nevi a non proseguire nel pasto. Insomma, bisognava pur sempre somministrargliene una dose letale.
«E con cosa? Se si accorge che il dolce non ha un buon sapore di certo non continuerà a mangiarlo» mormorò pensoso Jamil, immaginando un gelato al fiordilatte - per qualche ragione il principe delle nevi non si svegliava la mattina se non con un bicchiere di latte e gli ultimi tempi erano stati molto duri per lui. Sicuramente combinare qualcosa di gelido e qualcosa che gli piaceva l'avrebbe attirato dritto nella trappola.
«Potremmo usare qualcosa che si diluisce bene nell'acqua» rifletté ad alta voce il principe, ed improvvisamente gli occhi del jinn divennero lucidi, tanto che il ragazzo scoppiò a piangere qualche attimo dopo.
«Non posso credere di star pianificando l'omicidio del mio migliore amico» singhiozzò, prendendosi il viso tra le mani. A disagio, il corvino si guardò attorno.
«Uhm, beh, tecnicamente parlando non morirà davvero. In fondo é il Gran Maestro, e purtroppo dopo qualche ora sarà sulle nostre tracce, se ti consola. E poi, è lui che ha iniziato» cercò di calmare l'altro, sperando di non attirare troppa attenzione.
«Ma era il mio migliore amico! E adesso mi ha sostituito con Dario» pigolò disperato Jamil.
«Dario? Cosa c'entra adesso Dario?» esclamò scocciato Keiichi, ma comunque molto interessato ai fatti altrui. Si avvicinò per sentire meglio, poi ricordò con orrore che era una cosa che faceva anche Khalil e si tirò un po' indietro, ma rimase comunque molto curioso.
«Non lo so, é come se lo preferisse a me. Cioè, so che lo fa, perché è molto più intelligente ed empatico, e...però, non dovrebbe nemmeno tentare di eliminarmi alla prima occasione» sospirò il jinn. «Non posso credere di voler eliminarlo con il suo gelato preferito. È come avvelenare un bambino con una caramella. Si fida di me, e...»
Kay amava Dario. Che fosse in termini platonici, o romantici, questo non avrebbe saputo dirlo. Ma era chiaro che gli dedicasse più attenzione di quanta ne avesse mai dedicata a Jamil, che rimaneva comunque il primo amico che si fosse mai fatto. Forse perché reputava che il castano fosse quel tipo di persona per cui valeva cambiare il proprio atteggiamento, o per cui valeva cambiare il mondo. Lui non era il tipo di persona per cui qualcuno avrebbe fatto l'impossibile. Lui era semplicemente lì, inutile come un soprammobile colorato. La sua presenza era amabile finché durava, ma quando si rompeva la sua assenza non era sofferta. Non leggeva la mente, non curava le malattie, non risolveva i problemi. Era semplicemente lì.
La voce acuta di Keiichi lo richiamò alla realtà, ricordandogli di smetterla di piangersi addosso.
«Sta cercando di ucciderti. E ti assicuro che tutti questi caldi, amorosi sentimenti che provo verso di lui non sono ricambiati» disse seccamente il corvino.
«Acido ossalico» mugugnò Jamil.
«Hm?» rispose il principe, confuso dal cambio di discorso. Guardò il jinn, esortandolo con lo sguardo a continuare il ragionamento.
«Lo usa mio padre per pulire la sua lampada, che é di rame. Non ha un odore particolare, ma ricordo che mi diceva sempre di non mescolarlo con troppa acqua perché altrimenti sarebbe diventato troppo erosivo»
«Certo. L'acido ossalico è più attivo se lo diluisci. E due grammi sono abbastanza da essere mortali» concordò Keiichi, entusiasta della collaborazione. Anche più del necessario, quindi si ricompose rapidamente, approfittando anche per maledire il suo cuore fin troppo malleabile per essere quello di un cattivo.
«Potrei fare del gelato, e invitarlo...metterò il veleno nell'acqua e ci farò un caramello» mormorò, asciugandosi del tutto le lacrime.
Il principe stava per rispondere, ma vede il jinn rizzare improvvisamente le orecchie.
«Sta arrivando!» sussurrò agitato, cercando con lo sguardo un posticino dove il corvino potesse nascondersi. Dato che Keiichi non sembrava muoversi, gli toccò la punta del naso e lo trasformò in un cucchiaio.
«Ma che fai?!» esclamò furioso il Keiicucchiaio, ma Jamil gli fece segno di tacere. Difatti pochi attimi dopo il principe delle nevi fece il suo ingresso in sala, minaccioso. Indossava un mantello, che tipicamente non faceva parte dei suoi outfit, ma che in questo caso serviva sicuramente a celare un'arma alla vista. Al che il jinn si indispettì parecchio: lo reputava talmente stupido da non accorgersi del cambio di abbigliamento molto sospetto?
Doveva giocare bene tutte le sue carte.
«Mi piacerebbe sapere cosa stai facendo con un peperone e un cucchiaio in mano» commentò tetramente il Gran Maestro, facendo per sedersi sul divanetto.
«Stavo spolpando il peperone» rispose Jamil, sorridendogli innocentemente.
«Hai intenzione di preparare qualcosa con i peperoni?» domandò il principe delle nevi.
«No, lo stavo spolpando per divertimento. Mi hanno portato delle bacche di vaniglia. Pensavo di fare del gelato, so che a te piace. Ti va se domani facciamo merenda insieme?» chiese lui, per tutto rimando. Sbatté le ciglia più volte e diminuì la distanza tra lui ed il più alto.
«Perché domani? Non possiamo farlo oggi?»
«Kay, il gelato ci mette molto più di un paio d'ore. Sto anche preparando un caramello speciale, devi assolutamente provarlo. Di solito lo farei assaggiare a Khalil, ma sai, adesso non c'è» spiegò Jamil, concludendo la frase con un occhiolino.
«Allora ci sarò sicuramente. Ci vediamo. Ho delle cose da fare» troncò la conversazione il Gran Maestro, alzandosi di scatto e andando via, convinto di essere appena stato benedetto con la vittima sacrificale più sciocca di sempre.
Non appena il giovane uomo fu abbastanza lontano, Jamil rivolse lo sguardo al Keiicucchiaio.
«Per "convincente" non si intende "flirtante"» lo redarguì il cucchiaio, senza giudicare silenziosamente com'era solito, ma criticando direttamente l'interessato.
«Non stavo flirtando con Kay» rispose il jinn, genuinamente preoccupato che il principe delle nevi avesse colto il messaggio sbagliato.
«Di solito lo farei assaggiare a Khalil, ma sai, adesso non c'è» lo imitò il cucchiaio.
«Guarda che potrei usarti davvero per spolpare un peperone»
☆.。.:* .。.:*☆
Quella notte Jamil e Kay fecero sogni molto diversi.
Vestito del suo solito grembiule azzurro, Jamil era di spalle, intento a mettere del gelato in una coppetta. Ci versò sopra del caramello, avendo cura di spargerlo bene per non lasciare il commensale deluso. Si voltò verso il tavolo, pronto a servire il dolce, e quasi se lo fece cadere addosso. In uno spazio candido, e onirico, vi era solo un tavolino bianco, grande giusto per due. E all'altra estremità era seduto un bimbo dalla chioma bianca e grandi occhioni blu, intento ad allacciarsi una bavetta per non sporcarsi.
«Sei molto educato, Kay» disse Jamil, contro la sua volontà. Gli pareva di essere imprigionato in un copione scelto da altri per il suo sogno. Sebbene obbedisse alle regole, il suo corpo si ribellava, e lacrime calde gli inumidivano le guance.
«Grazie, Jamil» rispose il bimbo, sedendosi meglio sulla sedia per arrivare al tavolo. Vide le pupille dilatarsi nel vedere il gelato.
«È tutto per me?» domandò entusiasta, dondolando le gambe.
«Sì, Kay. É tutto per te» rispose il jinn, facendo un passo avanti e mettendo la coppetta sulla tovaglietta bianca del bimbo.
«Graaazie» esclamò lui, prendendo il cucchiaino e incidendo il gelato. Poi lo guardò dritto negli occhi, e inclinò il capo.
«Perché piangi?» domandò, posando il cucchiaino. Jamil avrebbe voluto tirare un sospiro di sollievo.
«Non è nulla» rispose invece, e si mise a sedere anche lui.
«È perché non hai più gelato per te?» domandò triste, guardando il contenuto della sua coppetta.
«Oh, no, no. Non è per quello» ribatté il jinn, sorridendo così forzatamente da sentire male al viso.
«Okay!» esclamò allora il bimbo, e finalmente si decise ad aggredire il gelato. Si portò una mano per coprire la bocca, e tossì.
«Mi brucia la gola» pigolò, e finalmente Jamil venne liberato da quello che sembrava uno schema divino per avvelenare il bambino. Corse verso di lui e lo strinse tra le braccia, per distrarlo dal fatto che stava morendo.
☆.。.:* .。.:*☆
Melody non avrebbe saputo dire se fosse semplicemente lei ad aver attirato gli animali, o il tamburellare a ritmo sulla parete. Comunque, non era dispiaciuta per l'aiuto arrivato improvvisamente dall'alto. Si allontanò lentamente dalla parete e si avvicinò al piccolo ragno che la guardava. In quel momento fu eternamente grata di aver richiamato un aracnide e non una pantegana, che invece sembrava essere una tra gli animali prediletti dalla sua famiglia.
«Ciao» bisbigliò, guardandosi furtivamente attorno ed abbassandosi all'altezza dell'animale. Non si aspettava una risposta e non l'ottenne, ma in compenso l'amabile bestiolina si arrampicò sul suo braccio, agitando le zampe come se volesse dirle qualcosa.
Fu in quel momento che Melody realizzò con orrore che forse avrebbe dovuto presentarsi in orario alle lezioni di comunicazione con gli animali del primo anno. Nonostante la tarantola - o almeno supponeva che ne fosse una - facesse del suo meglio per comunicarle il suo messaggio, lei poteva solo immaginare cosa questa volesse dirgli.
«Non ti capisco» piagnucolò, poi decise di darle un nome. Forse in quel modo avrebbero stabilito un legame empatico e sarebbero state in grado di comunicare.
«Ti chiamerò Mary Jane» esclamò, pensando al famoso tipo di scarpe che un tempo aveva fatto parte della sua divisa. Il ragno la guardò, con un tic a quattro degli occhi.
«Sono un maschio. E comunque, mi va bene Mary Jane» rispose la bestia, guardandola in cagnesco. Terrificata, Melody quasi lanciò un urlo, ma fortunatamente si riprese prima di allertare l'intera Accademia del nuovo amico.
«Tu sai parlare!» sibilò estasiata.
«No. E anche se fosse?» ribatté Mary Jane, scuotendo la testolina. «Senti, ti va bene se ti appelli a me come MJ? Mary Jane mi turba. Non lo so, è come se mi sentissi uno sketch comico.» aggiunse, sospettando vagamente di poter venir preso in giro dai suoi colleghi.
«Va bene» rispose la ragazza, sbattendo le ciglia più volte per assicurarsi di non star sognando tutto. Dopotutto da quanto tempo non vedeva la luce del giorno? Da quanto tempo non usciva da quella minuscola celletta? E poi negli ultimi giorni stava anche fantasticando su una pentola di chili che sembrava fin troppo reale, sogno che veniva spesso interrotto dalla fantasia successiva (Keiichi che arrivava a salvarla a petto nudo cavalcando un alicorno). Probabilmente era solo impazzita.
«Comunque, non sono venuto qui per caso. Ci ha spediti Sally, non so se hai presente. Grosso ragno gigante, animale domestico di Ryuu?» provò a risvegliarla dai suoi sogni il ragno. Nel sentire il nome della sua migliore amica la ragazza scosse il capo e mise il broncio.
«Perché mai Ryuu vorrebbe aiutarmi?» esclamò. «Non mi serve una mano da lei. É a lei che servirebbe una mano»
«Ma allora non mi hai sentito. È Sally che vuole aiutarti. Dice che tu e Ryuu eravate trooooppo carine insieme, e che vuole rivedervi felici» rispose MJ.
«E pensi davvero che io prenda ordini da un ragno gigante?» esclamò Melody, chiudendo gli occhi e agitando la mano per liberarsi di Mary Jane. Pensò davvero di esserci riuscita dato che non sentiva più la sua fastidiosa presenza sulla mano, ma quando aprì gli occhi si rese conto di una miriade di occhi giallastri che la circondavano, e che non sembravano troppo contenti del trattamento riservato al loro amico.
«Pensi molto bene»
☆.。.:* .。.:*☆
Attento a non infrangere l'etichetta della tavola, il principe delle nevi raddrizzò la schiena e si assicurò che i suoi gomiti non toccassero il tavolo. Guardò l'amico servirgli una coppetta di gelato, ed immaginò dal colore che il gusto fosse fiordilatte. Abbastanza soddisfatto che si fosse ricordato del suo gusto preferito e soprattutto che gliel'avesse servito gelido, fece per prenderne una cucchiaiata, ma vide Jamil arrivare con qualcosa che sembrava abbastanza caldo - o molto freddo - da come si affrettava. Mise la scodella sulla tavola, poi prese un cucchiaio e Kay allungò il collo come una tartaruga per spiarne il contenuto.
«Che cos'è?» domandò, sentendo un gradevole odore dolce ma non intendendosene abbastanza di cucina da capire cosa fosse.
«É il caramello all'acqua che ti ho fatto assaggiare prima» rispose Jamil, facendo per versarne un po' sulla propria coppetta di gelato. Il principe delle nevi gli afferrò il braccio per fermarlo, allo stesso tempo aggrottando le sopracciglia in un'espressione infastidita.
«Innanzitutto» esclamò, scocciato. «Si servono prima gli ospiti. Secondo, penso che tu ne abbia mangiato abbastanza mentre lo cucinavi» aggiunse rapidamente, e gli tolse la ciotola dalle mani per versare il contenuto solo sulla sua, con una sorta di sguardo di sfida verso Jamil, che si rimise a sedere.
Il jinn sospirò, per nulla sorpreso.
«Sei sempre il solito, Kay» commentò, iniziando a mangiare il suo gelato, mentre il principe delle nevi si avvicinava alle labbra un bicchiere d'acqua.
«Chissà perché il gelato fa venire sete» commentò curioso Jamil, affondando il cucchiaino nella sua coppetta.
«Non saprei» ribatté Kay, ma subito dopo aver bevuto assunse un'espressione strana. «Quest'acqua é amara!» esclamò, allontanando il bicchiere da sé.
«Per forza che é amara, se prima mangi il gelato. Che per inciso, é dolce» ribatté scocciato Jamil, e il principe delle nevi si limitò a tossire, sperando di mitigare il bruciore alla gola con il gelato. Inizialmente ne cercò una porzione priva di caramello, che sicuramente non era indicato in quella situazione data la sua viscosità. Però in quell'atto di ingordigia di prima l'aveva versato ovunque, quindi adesso l'unica opzione era mangiarlo senza lamentarsi. Ne mise una cucchiaiata in bocca, ma anziché lenire il bruciore ne peggiorò la situazione, e il ragazzo si mise una mano all'altezza del pomo d'adamo, dolorante.
«Va tutto bene?» domandò l'altro, sbirciando l'espressione dell'amico, ormai piegato su sé stesso per quell'improvviso dolore. In mancanza di risposta il jinn si alzò, avvicinandosi a lui e dandogli una sonora pacca sulla spalla, quasi a fargli male.
«Povero Kay, ti é andato qualcosa di traverso?» chiese, prendendo un bicchiere pulito e versandoci il contenuto di una brocca diversa da quella usata prima. Costretto dal jinn a bere, il principe delle nevi trangugiò anche l'acqua, ma gli parve solo che Jamil avesse gettato benzina sul fuoco. A quel punto il dolore era acuto anche all'altezza della bocca dello stomaco, e il Gran Maestro ci mise un tempo ridicolosamente lungo a capire di essere stato avvelenato.
Fece per afferrare il braccio del jinn, ma non ne aveva più le forze. Si guardò attorno con gli occhi arrossati per il pianto, poi si piegò nuovamente in due solo per rigettare rovinosamente sul pavimento. Sangue. Era sangue che stava vomitando, e vide Jamil passargli premurosamente un secchio, preparato in anticipo.
«Sapevi?» pigolò debolmente, tra un conato e l'altro, alzando il capo sperando di trovare conforto nel viso familiare dell'amico. Jamil distolse lo sguardo, con gli occhi lucidi.
A quel punto il respiro era diventato irregolare, similmente al battito, che si faceva sempre più debole di secondo in secondo. L'amico gli teneva due dita sul polso, come se stesse aspettando il momento esatto in cui il cuore del povero principe delle nevi si fosse arreso al suo destino. Kay desiderava disperatamente la morte: sentiva le membra formicolanti, e allo stesso tempo la parte superiore del corpo pareva paralizzata. L'unica cosa che poteva fare era sudare freddo, e attendere la sua morte sperando arrivasse in fretta. Dopo qualche secondo il Gran Maestro stramazzò a terra, incosciente ma ancora vivo. Scocciatosi di aspettare e in parte troppo triste per guardare i fatti, il jinn si mise a sparecchiare in modo robotico, osservando con la coda dell'occhio i movimenti del principe delle nevi - ormai limitati a dolorosi spasmi. Visto che nonostante tutto Kay pareva essere molto resiliente, decise anche di dare una ripulita ai piatti.
In quel momento apparve Keiichi, pienamente convinto che ormai il Gran Maestro fosse passato a miglior vita. Controllò comunque i battiti dal polso, e fu piuttosto scocciato nello scoprire che il ragazzo era ancora vivo e quasi combattivo.
«Sicuro di aver somministrato la giusta dose?» domandò il corvino, leggermente perplesso.
«Ne ho messo un po' nell'acqua, poi nel caramello e infine ne ho diluito un po' in un'altra brocca e gliel'ho fatta bere. Poverino, più di così non potevo dargliene» rispose Jamil, senza nemmeno girarsi per vedere chi era entrato nella stanza.
«Ricapitolando: quando riappare nel suo nuovo corpo sano me ne occupo io, e tu gli prendi il cuore» disse il principe, dando un calcio al corpo steso a terra, giusto per velocizzare il processo.
«Mhm» rispose Jamil, asciugandosi le mani sul grembiule e voltandosi.
«Dopo dovrei pulire questo schifo» aggiunse, guardando il secchio rovesciato sul pavimento. Keiichi, che aveva accuratamente evitato ogni traccia di lercio sulle piastrelle, non osò nemmeno guardare.
«Dovresti, ma forse é meglio aspettare di operarlo, se capisci cosa intendo» mormorò, e piegandosi in modo assurdo pur di non dover toccare con le scarpe il sangue sul pavimento, ne prese di nuovo i battiti.
«È ancora vivo» esclamò frustrato, poi si ritirò e decise di sbarazzarsi del veleno rimasto sul tavolo.
«Ma perché ci mette così tanto? Ho sbagliato qualcosa? Forse dovevo cambiare le proporzioni tra acqua e zucchero...» mormorò Jamil, genuinamente perplesso.
«Sono sicuro che fossero buone. É che i bastardi non muoiono mai» rispose il corvino.
A quel punto Kay, bagnato del suo stesso sangue e sudore, fissava il soffitto con gli occhi spalancati, maledicendosi per non essere in grado di finire la sua sofferenza più velocemente. Nel frattempo, per distrarsi da quella terribile e lenta agonia, ascoltava interessato la conversazione. Che intendevano farne di lui? Si sentiva terribilmente tradito, specialmente da quello che considerava uno dei suoi migliori amici. Il mondo in cui discuteva con Keiichi poteva solamente indurlo a credere che il corvino gli avesse fatto il lavaggio del cervello per convincerlo a tramare contro di lui. Anzi, ne era sempre più sicuro: nessuno in perfetta salute si sarebbe mai messo contro il Gran Maestro, specialmente uno dei suoi amici più cari. Specialmente qualcuno che l'aveva sempre difeso a prescindere da quanto indifensibile fosse quello che aveva fatto, qualcuno che adesso poteva sentirsi "offeso"dall'essere stato svegliato a calci. Ci rimuginò ancora, nella vana speranza di sfuggire dal dolore. Forse Keiichi l'aveva trascinato dalla parte oscura come stupida vendetta per quella frase pronunciata poco tempo prima. Era scontato che fosse lui il più cattivo del reame: aveva letteralmente congelato l'intera scuola per un anno!
Finalmente sentì il magone svanire e il suo corpo cedere al veleno, e l'ultima immagine di quel corpo fu il corvino chino su di lui.
«È morto» pronunciò questo soddisfatto, e Jamil prese il coltello da cucina più sottile e affilato che aveva, mentre il principe rimaneva in allerta, aspettando che Kay si rifacesse vivo.
Il jinn deglutì e si mise dei guanti di tessuto. Praticò un'incisione sul torace, cercando di fare tutto il più rapidamente possibile ma rimanendo preciso: non voleva martoriare il cadavere e non voleva contaminarsi con il veleno. In più, avrebbero dovuto sicuramente pulire il pavimento, e spargere più sangue del necessario non era conveniente. Ora andava tagliato lo sterno: l'unica cosa che lo rassicurava era la certezza di non doverlo richiudere dopo. Non stava salvando la vita di Kay. Stava salvando la sua. Eseguì il resto delle azioni in modo automatico, freddo. Prese il cuore tra le mani, cauto, e lo ripose all'interno dello scrigno. Si domandò perché proprio il cuore del suo migliore amico: non era sicuro di come fosse fatto il cuore di un jinn o se fosse fatto molto diversamente da uno umano, ma non potevano prendere il cuore di un cerbiatto? Se lo domandò sapendo benissimo che cerbiatti nel sottosuolo non ve n'erano, e che Kay sarebbe tornato di lì a poco, in sottoveste e furioso. Keiichi lo guardava con un po' d'apprensione, quasi come se fosse spaventato dall'idea di essere il prossimo.
«Certo che per essere la prima volta che apri qualcuno hai una certa manualità» commentò, seriamente perplesso. Forse si trattava della fortuna del principiante. Jamil sorrise, imbarazzato.
«Non é la prima volta che apro qualcuno» ammise il jinn, poi vide il volto paonazzo del corvino. «Scherzo!» aggiunse rapidamente, coprendo Kay con la tovaglia. Sfortunatamente un corpo avvelenato non é più molto allettante.
«Anche a te viene più appetito se la carne é cruda?» domandò Jamil, prendendo una pezza per pulire il pavimento.
«No»
«Ok»
☆.。.:* .。.:*☆
Kazuha l'aveva mandato via a male parole una volta capito per chi fosse la suddetta protesi. A quanto pareva, Ryuu una volta le aveva urlato contro cose molto scortesi e non si era mai scusata. Non che scusandosi l'avrebbe mai perdonata, naturalmente. Adeus stava cercando di consolarsi solo con il fatto che la ragazza non gli era mai sembrata troppo propensa ad aiutare gli altri, e che in fin dei conti doveva aspettarsi un rifiuto. Forse non così secco e netto, ma comunque doveva tenerlo in conto. Pensò anche alle altre opzioni. Forse provvedere a Ryuu con un uncino non si trattava proprio della cosa migliore che potesse fare. Fortunatamente non le aveva anticipato niente, perché in un angolino del suo cervello aveva previsto una situazione simile.
Mentre si apprestava a mangiare un panino nella sua pausa pranzo - in realtà non era particolarmente felice di farlo, visto che il suddetto panino era stato preparato da Ryuu - decisamente non nota per le sue abilità culinarie - Kazuha si parò davanti a lui.
«Okay, ci provo» esclamò, cogliendolo abbastanza alla sprovvista.
«A fare cosa?» rispose lui, trovando necessario insegnarle un po' di umiltà prima di proseguire.
«La protesi» sibilò la principessa tra i denti, guardandosi attorno come un'ossessa, nella speranza che nessuno la sentisse mentre aiutava qualcuno.
«Ah! Buon per te. Hai deciso cosa vuoi in cambio?» domandò lui, approfittando della conversazione per buttare il sandwich con discrezione.
«Puoi leggermi il futuro?» domandò lei.
«Posso provarci» rispose il ragazzo. E prima che la principessa potesse lamentarsi, sospirò. «Come tu proverai a fare quella protesi. Spero che Ryuu la prenda bene»
«Non lo sa?» rispose lei, perplessa. Ma quel biondino l'aveva mica capito che per fare una protesi su misura servono le misure?
«Non gliel'ho detto nel caso avessi rifiutato. Come, beh, hai fatto» spiegò il ragazzo, sorridendo imbarazzato.
«Non voglio nessuna protesi» sibilò la rossa, apparendo all'improvviso. Chissà da quanto tempo si era celata dietro le tende, nella speranza di apparire al momento giusto. Se fosse stata una situazione normale la principessa avrebbe gioito e sarebbe tornata a rintanarsi sotto le sue amate lenzuola, ma era riuscita a concludere un patto vantaggioso. Ed anche se eventualmente l'avrebbe incontrata, era comunque curiosa sul destino della sua versione futura.
«Ryuu, credo ti farebbe bene. Te lo sto dicendo in quanto medico» mormorò Adeus, sciogliendo la tensione che aveva nelle spalle e sbilanciandosi in avanti per andarle incontro.
«Ma io non voglio un braccio finto. Rivoglio il mio braccio vero. Insomma, siete tutti magici qui dentro! Non potete farmi spuntare di nuovo un braccio?» esclamò la rossa.
Kazuha prese un bel respiro profondo, e cercò di risultare il più rilassata possibile nella risposta, nonostante fossero cose così ovvie che le avrebbe sapute anche un bimbo.
«Per alterare la realtà bisogna esaudire un desiderio! La realtà è che non hai un braccio!Non abbiamo una persona che esaudisce desideri! Ma abbiamo una persona che potrebbe darti una mano! Letteralmente e figurativamente! Spero ti faccia capire qualcosa!» sbottò la principessa, poi sorrise.
«Di certo non voglio un braccio fatto da te!» strillò la rossa di rimando.
«Perché secondo te io voglio fartelo?! Non fa niente e nemmeno mi interessa! Adeus, mi dovrai leggere il futuro come compensazione emotiva per aver parlato con questa imbecille!»
Ryuu si trattenne dal saltarle addosso.
«Non parlare al mio fidanzato come se fosse una pecora!» esclamò lei, e Adeus si chiese se fossero davvero fidanzati o fosse qualcosa detto al momento per intimidire Kazuha.
«Che paura!» esclamò la ragazza, per nulla spaventata. Ma per la sua pace mentale, decise comunque di andarsene. I due rimasti si guardarono, imbarazzati.
☆.。.:* .。.:*☆
«Che diamine significa che non gli piaci più, Domina?» borbottò Miranda, senza nemmeno scomodarsi dal divanetto.
«Non lo so, oggi era strano. Uff, magari dovrei provare con quell'altra. Harriet? Solo che é così piccola e spaventata che ho paura che solo avvicinandomi il suo povero piccolo cuoricino ceda! E poi è sempre con quella specie di mastino gigante, Arisu o qualcosa del genere! Ugh!» strillò la bionda, quasi mettendosi le mani tra i capelli.
«Lasciala stare e concentrati su di lui. Se continua a fare i capricci inizia a testare la sua immortalità. Se capisci cosa intendo»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top