10 ☆ Bevande, squilli di tromba e sbarre di metallo

Foreshadowing ne abbiamo?

Allearsi con Miranda non le avrebbe ridato il braccio, ma forse le avrebbe restituito un po' di potere. Le sembrava che tutto le sfuggisse dalle mani: a partire dalla propria famiglia, che si scomponeva di giorno in giorno in frammenti sempre più piccoli, fino ad arrivare a sé stessa. Guardarsi allo specchio era difficile, specialmente dopo l'incidente con la cancellata. Se non si fosse fidata di Melody, se non si fosse affidata a Dario quando non se la sentiva, forse nulla di tutto questo sarebbe accaduto. Ma ormai il danno era fatto, e le danze erano iniziate: l'unica cosa che le era rimasta da fare era ballare. Non in quel momento, però.

Seduta su un lettino dall'aspetto scomodo ma inaspettatamente confortevole, Ryuu si medicava il braccio con fatica. Stringeva i denti e si malediva per la sua stupidaggine, sognando qualcuno che arrivasse a darle una mano, anziché lasciarla a cambiarsi le bende da sola. Purtroppo però, anche se aveva tutte le possibilità per esserlo, la sua vita non era una favola e non lo era mai stata. Fece per alzarsi, ma qualcuno si intromise nell'infermeria silenziosamente e con aria un po' scocciata. La rossa osservò Adeus con un dito sanguinante, e sbatté le ciglia più volte, domandandosi se voleva essere vista in quello stato o se in fondo desiderava un po' di attenzioni.
«Che cosa ti sei fatto?» chiese infine lei, racimolando tutto il coraggio che aveva in corpo e nascondendo il braccio ferito dietro la schiena.
Il ragazzo si voltò, richiamato alla realtà dalla voce di Ryuu, che sapeva ancora essere melodiosa e solare nonostante tutto.
«Mi é sfuggita una tazza di mano. Pensavo non si fosse rotta e l'ho raccolta, ma invece si é scheggiata e mi sono tagliato» rispose il ragazzo, facendo spallucce. Una benda intrisa di qualche unguento avrebbe fatto miracoli, e poi c'era gente messa molto peggio. Si concentrò nuovamente sulla ferita, e si mise a medicarla, dando le spalle alla rossa. Lei ingoiò la delusione e continuò a lavorare sulla sua. Ma quando alzò nuovamente lo sguardo Adeus la stava osservando, poggiato pigramente con la schiena contro il muro, in una postura che tradiva il desiderio di schiacciare un pisolino, piuttosto che intrattenere una conversazione. Ma il fatto che si fosse fermato a guardarla e non fosse corso nel letto fece battere il cuore di Ryuu un po' più velocemente.
«E tu? Che ti sei fatta?» domandò piano, incredibilmente premuroso. «Perdere un braccio non é da tutti i giorni» aggiunse, cercando di sdrammatizzare.
«Quindi l'hai notato» sorrise amaramente la ragazza.
«È un po' difficile che passi inosservato. Quando ti sei fatta male?» chiese, con la voce leggermente dura. Il cuore di Ryuu riprese il ritmo normale.Quindi non si era fermato perché era lei, o perché ci teneva, ma solo per interesse medico. Si rattristò più di quanto avrebbe voluto, ma si lasciò avvicinare e controllare, come un animale ferito. Adeus aguzzò lo sguardo, esaminando la ferita con fare analitico, ragionando su quale crema o quale pozione fosse la migliore per una ferita del genere.

«Ti dirò la verità» ammise dopo qualche minuto di ragionamento. «Non mi era mai capitato qualcuno ferito così gravemente. Sarebbe bello avere del sangue di drago, in questo momento. E no, non andrò a chiederlo a Xiaolong» aggiunse rapidamente, troncando sul nascere la domanda della rossa.
«Perché no?» mormorò poi lei.
«È una mezzosangue. Non so quanto sia concentrato il suo sangue. Potrebbe farti più male che bene. E non vorrei peggiorare la tua situazione» spiegò. «Ma ho qualche cosa che potrebbe farti stare meglio. Piuttosto, i tuoi bendaggi sono terribili. Dove hai imparato a farli così male?» chiese con tono terribilmente serio, ma Ryuu scoppiò a ridere.
«È difficile farli con una mano sola, sai? Ma tu che ne puoi sapere» commentò, sorridendo.
«In effetti hai ragione. Però ti assicuro che sono il protetto di Apollo per un motivo» esclamò Adeus, prendendo un barattolo pieno di una crema verdognola da un armadietto.
«Sei il protetto del dio della musica, non di quello della medicina» lo punzecchiò lei.
«Orrore! Apollo é anche il dio patrono delle arti mediche. E poi, se preferivi che fossi protetto di Esculapio, ci tengo a ricordarti che é suo figlio» la rimbrottò lui, senza pensarci troppo. Gli dei lo amavano troppo - e soprattutto amavano troppo la sua famiglia - per offendersi dall'ignoranza di una fanciulla non iniziata al loro culto.

«Non ne avevo idea» ammise la rossa.
«L'ho notato. Ora aspetto che si assorba e poi ti faccio un bendaggio degno di questo nome» rispose Adeus, poggiandosi di nuovo al muro e sprofondando nelle sue spalle, tradendo nuovamente segni di stanchezza.
«Grazie» rispose solo Ryuu, tentennando. Avrebbe voluto chiedergli perché lo faceva, se li avrebbe fatto con tutti, o se lei era speciale. Si limitò a dondolare le gambe.
«Sei carina anche senza braccio, se é questo quello di cui ti preoccupi» disse lui, dopo qualche minuto di silenzio in cui credeva di aver decifrato i pensieri criptici della ragazza.
Lei arrossì, ma non volle dargli la soddisfazione di arrivare a lei così facilmente.
«Lo so» esclamò orgogliosa, gonfiando un po' il petto. Adeus abbozzò un sorrisetto, poi chiuse pigramente gli occhi.

La ragazza lo guardò addormentarsi, sorpresa. Non aveva mai creduto fosse possibile addormentarsi in piedi, ma a quanto pare era fattibile. Gli ticchettò una spalla.
«Adeus, le bende». Il ragazzo, per tutta risposta, scivolò sul pavimento e continuò a ronfare, sotto lo sguardo scocciato della rossa. Dopotutto uomini perfetti non ne esistono, in questo mondo.

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Sareste sorpresi dalla quantità di profezie jinniche che riguardano i principi. Vennero tutte enunciate da Damryat, il secondo re dei jinn e l'unico figlio di Iblis. Era una creatura schiva e burbera, e il suo aspetto non gli facilitava il contatto, nemmeno con altri della sua specie. Era nato in un'era in cui nemmeno i jinn più effimeri potevano lasciare la voragine infernale ed avventurarsi in superficie, o, come lo chiamavano amichevolmente i demoni, il Regno di Sopra. Quindi, chiuso nel suo studio, immaginava l'aspetto delle stelle e socchiudeva gli occhi, lasciando che la sabbia che aveva sparso sulla scrivania gli rivelasse il futuro. Ai tempi di Damryat non c'era nulla che potesse essere considerato davvero "passato". Quando era ancora un cucciolo ascoltava ammirato la storia di una donna incauta che aveva morso una mela, passione che non sarebbe poi cambiata nel corso delle generazioni.

Pur essendo il figlio del primo demone, da giovane Damryat non era davvero cattivo. Forse Iblis portava nel suo sangue il retaggio di quando era stato il più bello degli angeli. Le sue profezie più famose furono predette il giorno del suo diciannovesimo compleanno, e divulgate solo molto tempo dopo, quando divenne re, e divenne anche credibile. La prima divenne così nota da essere sussurrata con trepidazione, un piccolo assaggio di libertà da custodire con cura. Col tempo la barriera che li teneva chiusi nel Regno di Sotto si sarebbe logorata, e qualcuno sarebbe riuscito ad uscire. Ma con l'arrivo di un principe dei jinn, venuto proprio dal Regno di Sopra, sarebbe scesa la notte eterna e la barriera avrebbe permesso a tutti loro di uscire. Tra le parole a lui sconosciute c'era la presenza spettrale di un cosiddetto "Occhio", ma dedusse che sarebbe stata una struttura futura.

Però una delle profezie non riuscì a lasciare le mura del palazzo. Infatti il regno lunare sarebbe entrato in un declino lento ed inesorabile, confinandoli nuovamente nel Regno di Sotto, ma solo quando il principe dagli occhi color cielo sarebbe fuggito dal regno dei jinn. Pensando al suo destino, si limitò a guardare le volte dorate del palazzo dei jinn e a desiderare di vedere il cielo. Millenni dopo, suo nipote faceva la stessa cosa, dopo aver accidentalmente permesso la discesa della notte eterna.

«Questo é il palazzo più bello che io abbia mai visto!» esclamò Jamil, senza riuscire a staccare gli occhi dal soffitto, completamente ricoperto di incisioni. Ogni tanto vi era anche qualche pietra preziosa incastonata, principalmente rubini e smeraldi. Ad occhio, il principe non avrebbe dubitato che fossero più grandi di lui. Le pareti erano decorate da dipinti, e le maniglie delle porte erano d'avorio. Senza alcun dubbio il palazzo di Khayunaq era il più sfarzoso che avesse mai visto e che probabilmente avrebbe mai visto. Anche le dimensioni della struttura erano notevoli: le fondamenta occupavano un'intera isola, raggiungibile solamente tramite un lentissimo traghetto in grado di portare un solo jinn alla volta. Fortunatamente Jalina non era delle stesse dimensioni di un jinn normale, quindi era riuscita a convincere il traghettatore (un tipo alquanto strano: aveva il corpo di una tigre ma la testa di un elefante) a portare con lei anche il nipote. Sfortunatamente per i tre umani che viaggiavano con loro sarebbe toccato aspettare il prossimo turno. Il viaggio per raggiungere l'isola era durato sei ore, ma il traghettatore aveva spiegato brutalmente che stava andando veloce solo perché portava nobiltà, e che gli umani non avrebbero ricevuto quel trattamento di riguardo. La struttura era altissima e rigonfia, come se cercasse di occupare il maggiore spazio possibile senza toccare la pietra. Se da fuori aveva già un aspetto pacchiano, l'interno aveva completamente preso alla sprovvista Jamil.

«Io vivevo qui» disse piano Jalina, come se fosse un peccato ammetterlo ad alta voce. «Accanto a mio marito Heyvon» aggiunse, ancora più piano.
«Credevo tu fossi la sorella maggiore di papà» rispose il jinn, senza distogliere lo sguardo dalle volte dorate che da secoli appassionavano la sua famiglia.
«No, sono sua sorella acquisita. Ho sposato suo fratello maggiore, ma é successo così tanto tempo fa che il popolo non si ricorda più niente» spiegò la donna, dedicando attenzioni anche al pavimento decorato.
«Quanti fratelli ha mio padre?» domandò perplesso Jamil. «Credevo fossero quattro»
«Sono quattro. La prima a nascere é stata Libelith, poi Maymuna, Heyvon ed infine tuo padre Amivehl» spiegò pacamente la donna, spiando ogni anfratto del palazzo, alla ricerca di qualcosa di familiare.
«Papà é il più piccolo?» esclamò sorpreso il principe, finalmente guardando negli occhi la zia acquisita.
«Sì. É sempre stato considerato un piccolo incidente felice. Quando é nato io ed Heyvon eravamo sposati da anni»
«Oh» commentò Jamil, sollevandosi leggermente per guardare le incisioni poco più alte della sua testa. Jalina lo osservò con attenzione mentre staccava i piedi da terra e levitava di qualche centimetro. «Non deve essere stato piacevole essere considerato un incidente» aggiunse il jinn.
«No, ma sicuramente l'ha temprato» rispose la donna, sollevandosi alla stessa altezza.
«È questo il massimo che riesci a fare?» domandò lei, dandogli una gomitata amichevole.
«Non so volare. Al massimo fluttuo un pochino. E prima che tu lo dica, sì, ci ho provato e sono caduto. Mi sono anche rotto la gamba cadendo» rispose lui, gonfiando il petto cercando di sembrare più sicuro di sé.
«Ma questo é stato prima di entrare in contatto con lo Zeniith. Magari adesso sei capace di volare» suggerì lei. «C'è stato sicuramente un ricambio di capacità»
«Che cosa intendi? Vuoi dire che io e lo Zeniith ci siamo scambiati i poteri?» domandò Jamil, guardandosi le mani.
«Non lo so. Sicuramente non sarai più capace di fare quello che facevi prima...come lo facevi prima. Il fatto che tu ti sia ristretto significa che hai perso una quantità significativa di magia. Ma ne avrai acquisita altra» rispose lei, facendo una capriola in aria. Il nipote si astenne dal provare a replicarla, già immaginandosi il naso distrutto per l'ennesima volta. In qualche modo, si dispiacque.
«Ma io non...» provò a lamentarsi, senza nemmeno sapere di cosa. Voleva solo rassicurarsi di essere ancora capace di qualcosa. Jalina lo zittì con un gesto della mano.
«Tu sai esaudire desideri» disse con un filo di voce ed un sorriso entusiasta. «Ed è il potere più bello di tutti»

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Forse il piano di Khalil era stato farlo finire nelle segrete di Agrabah fin dall'inizio. Inconsapevole dell'incantesimo di Miranda, il ragazzo malediva il supporto incondizionato che il principe riceveva da sua madre. Leggermente rancoroso nei suoi confronti, non poteva che sbeffeggiarla mentalmente figurandosela vestita di bianco al matrimonio del figlio, o a pretendere di tagliargli la torta nuziale. Ma nessuno di questi pensieri, per quanto ridicoli, poteva tirarlo fuori dalla prigione. L'unica cosa che poteva fare era rimanere seduto ed aspettare la prossima mossa dei sovrani. Non credeva intendessero giustiziarlo: dopotutto era solo un ragazzino, per di più amico del loro amato Khalil. Posò la testa sulle sbarre, in cerca di qualcosa di fresco che potesse alleviargli il mal di testa. Sepolto in profondità del castello, non aveva idea di quello che stesse succedendo all'esterno.

Un soldato entrò di gran carriera, un po' impacciato dall'armatura. Era lo stesso che lo aveva trascinato nella cella, ma Dario non riusciva a considerarlo davvero cattivo. Era piuttosto un giovane confuso (come lui, d'altronde) dai repentini cambiamenti d'umore a cui erano soggetti i suoi sovrani e i loro ospiti. Sembravano confusi, ma fondamentalmente convinti che Miranda fosse l'unica giusta erede del primo vero Gran Maestro. Aveva un piatto in mano. Glielo fece passare da sotto le sbarre.

«Ecco a te» esclamò fiero, poi si guardò attorno per assicurarsi di non essere osservato e si abbassò.
«Tu che sei una creaturina magica, sapresti dirmi se Jasmine e Aladino sono per caso vittima di un maleficio di qualche...tu-sai-cosa?» domandò preoccupato.
«Non credo sia un'opera di un jinn» ribatté il castano, prendendo un pezzo di pane.
«No? E allora chi é stato? Cosa c'è peggio di loro?» bisbigliò, terrificato. «Non dovresti chiamarli per nome»
«Molte cose. Tipo i demoni veri e propri»

Il povero ragazzo si tappò le orecchie.
«Oh cielo! Cielo! Non posso nemmeno immaginare cosa possa accadere? Perché dovevo nascere proprio qui?» singhiozzò, nascondendo la faccia nell'elmo.
«Da ogni parte ci sono i pericoli. E poi, i jinn non mi sembrano così aggressivi»
«Lo credi davvero?» chiese lui. «Ora devo andare, ma torno presto perché Jasmine mi fa paura. Buon appetito»
Dario lo guardò svignarsela e sospirò tristemente, giocando con un lembo dei pantaloni.

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Sul traghetto, Kay si sentiva osservato. Sapeva che Keiichi si sentiva superiore a lui, adesso che condividevano un segreto. Non pianificava di dire nulla a Jamil sulla sua nuova abilità – o magari, abilità che possedeva da sempre, solo un po' difficile da scoprire – ma il fatto che anche il corvino ne fosse a conoscenza lo turbava terribilmente. Sapeva che da un momento all'altro avrebbe potuto dirlo a Jamil e rovinare i suoi piani di utilizzare quel potere per migliorare la sua situazione. Desiderava ardentemente arrivare a Khayunaq il prima possibile e buttarsi su un letto. Dopodiché avrebbe pensato a come sfuggire da quel terribile regno sotterraneo e si sarebbe ripreso il suo ruolo di Gran Maestro. Avrebbe volentieri lasciato indietro i suoi compagni di viaggio, perché la loro presenza lo stressava irrimediabilmente. Specialmente Keiichi e quel suo sorrisetto malizioso. Forse era di parte, perché sorrideva così raramente da far invidia alla Principessina che non sorrideva mai, ma lo detestava. E poi era un affiliato di Melody, e Melody non sarebbe mai stata simbolo di pace.

Thomas, pressato tra i due, sorrideva felice, nonostante pensasse a loro come una sorta di coppia divorziata. Ogni tanto guardava il traghettatore, ma in linea di massima si rifiutava di guardare l'acqua sottostante. Col suo tipico colorito rossastro gli ricordava terribilmente il sangue, ed era abbastanza impressionabile da crederci. Dato che il principe delle nevi era gelido, si spingeva progressivamente sempre di più verso Keiichi, che non sembrava particolarmente apprezzare, ma non diceva nulla. Probabilmente era abituato a viaggi anche più frugali.

Il corvino, contrariamente a quanto credeva Kay, non stava rivolgendo nessun pensiero alla scoperta mistica della notte precedente. Piuttosto stava cercando di pensare a come scapparsene dal regno, sebbene fosse abbastanza curioso di sapere come fosse Khayunaq. Dopotutto il regno dei jinn era chiuso al pubblico, e visitarlo non era un'esperienza da tutti i giorni. Ne era grato. Ma voleva tornare in superficie il prima possibile e tornare a godersi i raggi del sole.

«Non sembri felice di esserti riunito ai tuoi amici» bisbigliò Thomas al principe delle nevi.
«Non sono i miei amici» bofonchiò lui, scocciato. Odiava essere interrotto durante i suoi flussi di pensieri.
«Sì che lo sono. Dici così perché preferisci far finta di essere uno tosto, ma in fondo sei un tenerone» lo prese in giro il più piccolo, e Kay si illuse che Keiichi stesse abbozzando un sorriso per deriderlo, quindi gli rivolse un'occhiataccia. Il corvino sospirò. Mai e poi mai i Mai avrebbero raggiunto l'unità per sconfiggere i Sempre. Ormai l'isola che ospitava la capitale iniziava ad intravedersi, e i tre non potevano che guardarla farsi più grande remata dopo remata. Dopo un tempo interminabile il traghettatore approdò, e li guardò scendere lentamente, con le gambe tutte indolenzite e le spalle contratte. I tre si stavano accingendo ad entrare a palazzo, quando uno scricchiolio li costrinse a voltarsi.

«Due di voi moriranno» proclamò il jinn. Loro lo guardarono, perplessi. Forse era qualcosa che facevano con i turisti, nella speranza di cacciarli via. Dovevano essere un popolo particolarmente chiuso.
«Avete gli occhi color cielo. E morirete» aggiunse, come se non l'avessero sentito la prima volta.
«Perché dovremmo?» rispose Keiichi, sentendosi preso in causa.
«Perché lo dice il re» sibilò il traghettatore, e poi si mise a remare nella direzione opposta.
«Strano» bofonchiò Kay. «Comunque, io non posso morire. Conoscervi é stata sicuramente un'esperienza» aggiunse, superandoli e cercando di aprire il portone.
«È troppo pesante per te» bisbigliò Thomas, turbato, ma Keiichi lo zittì con un'occhiata e preferì godersi lo spettacolo.

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«Pensavo fossi stata imprigionata» commentò Xiaolong, sorpresa dal ritorno di Kazuha.
«Solo gli stupidi si fanno imprigionare» rispose la principessa, scrollando le spalle. L'espressione soddisfatta tradiva un certo orgoglio nell'essere stata risparmiata da Miranda. Notoriamente chi entrava nelle sue camere non ne usciva più, e se lo faceva, era sotto forma di amabile spiritello.
«Sono contenta che tu stia bene» mormorò dolcemente Rossana, tirando un sospiro di sollievo. «Xiaolong voleva trasformarsi in drago e distruggere la torre dov'eri» aggiunse, divertita.
«Davvero? E perché non l'hai fatto?» disse scocciata la più bassa, mettendosi le mani sui fianchi. Non è che desiderasse di essere salvata come una damigella in difficoltà, ma le sarebbe davvero piaciuto vedere un drago dal vivo. «Avevi paura?» la stuzzicò.
«Perché! Perché quel terremoto mi ha interrotto» rispose l'ex insegnante. «Ti piacerebbe. Ma a quanto pare te la sei cavata da sola, quindi sembra che tu non abbia bisogno dell'aiuto mio e di Gnocca»

«Infatti» ribatté lei. «Ma apprezzo le vostre attenzioni. Vi piaccio così tanto?»
«A me piaci» rispose la castana. «Sei originale»
«Sembra più un insulto che un complimento» borbottò la dragonessa.
«Per me é un complimento. I miei nonni mi dicevano sempre che sono una persona originale» rispose Rossana.
«Forse i tuoi nonni non sapevano come dirti che non gli piacevi» aggiunse Kazuha.
«Esilarante! Ma i miei nonni prenderebbero una spada nel petto per me, e io per loro» ribatté fieramente la piratessa.
«Beata te» mugugnò la principessa, ripensando ai suoi genitori. Loro, piuttosto, l'avrebbero usata come scudo da due spade. Le sarebbe piaciuto per una volta provare il sentimento che provava Rossana nei confronti della propria famiglia.
«Ci sono persone che lo farebbero per te» la confortò piano la ragazza, mettendole una mano sulla spalla. «Anche se non lo credi»
«Non toccarmi. E poi non credo proprio»
«Ti sottovaluti troppo» si intromise Xiaolong, che era rimasta silenziosa per un po'. «Dovresti lasciarti amare un po' di più. Non abbiamo intenzione di ferirti. Gnocca, me lo dai un bacino?»
«Dopo. Davvero, Kazuha, sei una bella ragazza con tanto cervello. E noi ci teniamo» mormorò la più alta. Questo fece solo innervosire la principessa, che scattò in piedi e se la defilò.

Rossana abbassò lo sguardo, e sospirò tristemente.
«Adesso me lo dai un bacino?»

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Dopo un ingresso imbarazzante (un jinn pensava fossero dei topi a grattare la porta) e
visto che Jamil era stato preso in ostaggio dal parentato, Keiichi ne approfittava per curiosare per il palazzo. Ogni tanto qualche inserviente gli rivolgeva uno sguardo torvo, ma le occhiatacce non sarebbero bastate a colmare la sua curiosità. Da quel che sapeva, in gran parte - se non tutti - i jinn erano Mai. Il loro obiettivo era portare gli uomini verso le tendenze peccaminose, a cui però erano soggetti loro stessi. Tranne per una stirpe specifica, totalmente e completamente demoniaca, che naturalmente regnava sulle altre. Si aspettava dunque un popolo più apprezzabile rispetto alla sua compagnia degli ultimi giorni, e non si era sbagliato. A furia di percorrere corridoi di dimensioni spropositate, era giunto in un posto dalle premesse interessanti. Dall'ingresso decisamente più minuto - rispetto ai grossi portoni che conducevano alle altre stanze - la biblioteca di Khayunaq avrebbe fatto invidia a quella del Narrastorie. Scaffali e scaffali ricolmi di libri, ordinati con criteri estremamente chiari e comprensibili a chiunque. I tomi arrivavano fino al soffitto, e nascondevano le pareti ricche di decori. Qualche jinn dall'aria saccente sfogliava enciclopedie più grandi di Keiichi stesso. Non si era mai considerato particolarmente alto, ma nemmeno basso. Per lui era l'altezza perfetta, ma adesso si rendeva conto di quanto gli standard di bellezza dell'Accademia fossero inapplicabili al mondo esterno. Qualcuno lo guardava come se avesse appena visto uno scarafaggio, e non c'era pelle candida e priva di imperfezioni o capelli neri come l'ebano a salvare la sua immagine.

Ma dal canto suo, anche lui reputava i jinn decisamente brutti, quindi la cosa era perfettamente ricambiata. Non era così stupido da andare a provocarli, sapendo di non poter vincere, ma ancora una volta gli doleva il cuore a sapere che i Mai non si sarebbero mai uniti contro il nemico comune. Alcuni libri erano accatastati sul pavimento. Prese il più piccolo, dalla copertina piena di simboli strani. Si rese conto che tutto lì era scritto in jinnico o in qualsiasi altro strano linguaggio. Stava già per riporlo, deluso, quando vide i segni strizzarsi e cambiare forma danzando, finché non gli fu tutto comprensibile. Un'ifrita, nell'angolo, ridacchiò un po' del suo stupore. Era un romanzo. Non si aspettava che creature grosse come quelle potessero interessarsi a sentimenti disgustosi come l'amore. Scocciato dai frequenti risolini di sottofondo, cercò una via di fuga, ma piuttosto intravide una porta anche più piccola di quella da dove era entrato. Questa era così striminzita che solo lui dei presenti sarebbe riuscito a passarci. Decise di intraprendere quella strada, senza rimuginarci troppo.

Doveva essere un'altra ala della biblioteca. Era buio, ma una piccola lucina vagamente illuminava a tratti il pavimento, permettendogli di non inciampare. C'erano diverse pile di libri delle dimensioni a cui era abituato, così prese quello in cima. Anche questo era scritto in jinnico, ma si ripeté il processo di prima per permettergli di leggere il titolo. Era un manuale di cucito. Sulle prime pensò ai demoni e alle loro mani enormi, e alle difficoltà di perseguire un'arte fine come il cucito. Poi il pensiero di manipolare un ago prese il sopravvento: piccoli oggettini di metallo appuntiti, che prima non gli avevano mai fatto impressione, ora erano divenuti nemici mortali. Sfogliò qualche altra pagina,  spinto dal desiderio morboso di sapere tutti i possibili usi di un ago. Si guardò l'indice. La punta era illuminata da un bagliore malsano. La lucina vagante girò attorno a lui, sulle prime distraendolo dal libro, poi gli mostrò un set da cucito esposto in bella vista.

Keiichi sfiorò il filo, messo in piedi. Poi toccò la superficie fredda e metallica delle forbicine, anche queste messe dritte per essere esaminate con facilità. Ed infine l'ago, anche lui in piedi, splendente nonostante fosse al buio. In qualche modo Keiichi l'aveva previsto, ma adesso non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, preso dal desiderio irrefrenabile di toccarlo. Nonostante il lato razionale della sua mente cercasse di tirarlo fuori da quell'anfratto, qualcosa in quel piccolo strumentino lo soggiogava. Senza nemmeno rendersene conto aveva già allungato la mano e poggiato l'indice sulla punta dell'ago.

Una goccia di sangue. Quando si era punto con l'ago incantato all'Accademia aveva sanguinato? Non se lo ricordava. Comunque c'era poco da pensarci su, perché i suoi pensieri diventavano sempre più vaghi ed effimeri. Si poggiò alla pila di libri e chiuse gli occhi, mentre la lucina continuava ad illuminare a tratti la stanza, beffarda.

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Khalil stava venendo a patti con il fatto che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui. Che forse, anche se si imponeva di non crederci, Domina l'avesse incantato e che i suoi sentimenti per lei non fossero reali. Forse doveva chiederglielo davanti della cioccolata calda e ne avrebbero parlato pacificamente. Non gli sembrava una cattiva idea. In ogni favola c'era qualcuno che veniva incantato, e la risoluzione era il bacio del vero amore. Ma se Domina era stata colei che l'aveva stregato, non poteva essere la persona a disincantarlo. Jamil. Si mise una mano sul cuore. Ma Jamil era lontano. Forse era meglio parlarne con Domina.

Qualcuno bussò rumorosamente alla porta.
«Avanti» pigolò tristemente il castano, alzando la faccia dal cuscino.
Shinju saltellò dentro, sentendosi invitata. Anche se era passato un po' di tempo, erano ancora decisamente amici. Insomma, lui le aveva espresso i segni di amicizia in modo molto esplicito, aiutandola a trovare quella terribile festa anni prima.
«Ciao! Come stai?» domandò la principessa, catapultandosi accanto a lui. Nonostante non fosse una ragazza particolarmente perspicace, riuscì a notare che l'umore del principe non fosse proprio alle stelle. Specialmente perché sembrava piegato in due dal dolore.
«Hai le coliche?» domandò innocentemente.
«No» rispose il castano, socchiudendo gli occhi e desiderando ardentemente una fialetta di sangue per estinguere la fame.
«Allora perché sei piegato così? Ah, ci sono. Ho la soluzione. Credo che una buona bottiglia di sakè possa risollevarti l'animo, amico mio»
«Grazie per la gentilezza, Shinju, ma non credo»
«Perché no?» domandò la bionda, sistemandosi la frangetta ma incastrandosi le dita in una molletta. Osservandola in difficoltà, il ragazzo le diede una mano, silenzioso.
«Credo di essere stato incantato da Domina» bisbigliò lui.
«Ci metterei la mano sul fuoco» rispose la ragazza. «Devi assolutamente andare lì e dirle di annullarla»
«Non so se ho la forza di farlo»
«Ma devi. Comunque, se permetti, io un bicchierino di sakè me lo faccio»

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Era piuttosto sicuro di essersi addormentato su una pila di libri, e non su qualcosa di morbido. Keiichi aprì gli occhi, piano, aspettandosi di ritrovarsi all'Accademia. Sfortunatamente per lui, il soffitto fin troppo decorato ruppe l'illusione. Si mise a sedere, rendendosi conto di essere in un'incavatura del pavimento piuttosto che su un letto come immaginava. Così facendo, una pezza bagnata gli scivolò dalla fronte sul viso. Infastidito se la tolse, posandola sul pavimento e facendo per uscirsene da quel giaciglio. In realtà si sentiva ancora piuttosto spossato, quindi cambiò idea e decise di rimanere ancora un po' in quello che doveva essere un letto. Socchiuse gli occhi, e si mise a ragionare. L'incantesimo non si era spezzato? Allora perché toccando un ago si era addormentato di nuovo? A furia di rimuginare si convinse che era stata solo la suggestione a farlo addormentare. Dopotutto, si era svegliato da solo, senza che qualcuno gli desse il bacio del vero amore. Sì, era stata assolutamente suggestione. Decise di alzarsi.

In quel momento si rese conto di non essere affatto solo nella stanza. Jamil era seduto a gambe incrociate con una tisana in mano, e un giornale nell'altra. Sulle prime il corvino non lo riconobbe nemmeno, probabilmente portato fuori strada da un paio di occhiali da lettura azzurri decisamente della misura sbagliata.
«Buongiorno!» esclamò il jinn, senza nemmeno sollevare lo sguardo dal magazine.
«Che ci fai tu qui?» esclamò disperato Keiichi. Non poteva credere di ritrovarselo tra i piedi ovunque andasse. Era una maledizione anche quella?
«Mi hanno mandato a controllare le tue condizioni vitali» rispose Jamil, sfogliando pagina.
«Compito che stai assolvendo molto bene» commentò il corvino, mettendosi in piedi.
«Ti ho visto vivo quindi probabilmente non sei morto. Hai un effetto residuo?» chiese Jamil, finalmente chiudendo quell'odioso giornaletto e riponendo gli occhiali. Il corvino inarcò un sopracciglio, e il jinn arrossì. «Ho sempre voluto fare un'entrata in scena così» ammise, e il principe scosse la testa.
«Che diamine sarebbe un effetto residuo?» chiese piuttosto, decisamente interessato a quello e non a quegli occhiali fuori moda.
«Non lo sai? É su tutti i libri dei sempre. È quando non spezzi una maledizione efficacemente. Certo, poi c'è sempre la suggestione, ma quando c'è la suggestione svieni, non ti addormenti. Allora, chi ti ha maledetto?» spiegò brevemente Jamil.
Grato che la domanda non fosse così specifica da costringerlo a rivelargli l'intera storia.
«La stessa persona che ti ha spinto nel pozzo» commentò solamente, tenendo a rispondere nel modo più cattivo possibile. Si sentì soddisfatto nel vedere l'espressione dell'altro diventare più sofferente.
«Non capisco ancora perché l'abbia fatto» mormorò lui, poi scrollò le spalle. «Quindi, se é un residuo...come hai fatto a svegliarti la prima volta?» aggiunse rapidamente, cercando di non soffermarsi troppo sul ricordo della caduta.
«Come si sono svegliate quelle due imbecilli che tanto adorate. Si rimuove il corpo estraneo» rispose il principe, mantenendo un'espressione neutra, cercando di sembrare abbastanza convincente da persuaderlo di star dicendo la verità.
«Non é vero. Perché altrimenti si sarebbe incastrato nel dito anche questa volta» rispose seccamente Jamil, sorridendo. Dal modo in cui si piegavano gli angoli delle labbra, il corvino riuscì a prevedere la domanda successiva ed avvampò preventivamente.
«Chi ti ha dato il bacio del vero amore?» domandò il jinn sbattendo le ciglia.

Keiichi balzò in piedi e si avviò all'uscita. Non arrivava alle maniglie, e sicuramente il portone era troppo pesante. Si appiattì con la schiena contro il metallo, e pregò che fosse almeno una morte indolore.
«Melody» mugugnò così rapidamente ed incomprensibilmente che Jamil non capì assolutamente nulla.
«Andavamo in classe insieme? Lo conosco?» domandò. Il corvino realizzò che se doveva continuare a manifestare apertamente odio verso le donne, doveva manifestare così chiaramente anche quello verso gli uomini.
«Non é un uomo!» sbraitò, completamente rosso.
«Davvero? E che cos'è allora?» chiese Jamil, genuinamente perplesso. Prima che Keiichi potesse chiarire, ci arrivò da solo.
«È Ryuu? Ti ha incantato così sarebbe stata lei a svegliarti con il bacio del vero amore e tu avresti capito che é la donna dei tuoi sogni. È come un dark romance!»
Il corvino decise di gettarsi nuovamente nel letto e aspettare che la morte giungesse da sola.
«Però è un'idea originale. É affascinante» continuò a blaterare il jinn, avvicinandosi al letto. Per un breve, terribile istante, Keiichi pensò che il ragazzo volesse sedersi accanto a lui. Fortunatamente non lo fece.
«Credo che prenderò spunto» aggiunse.
«Spunto per cosa?» piagnucolò il corvino.
«Per niente! Quindi adesso sei mio cognato?»
«Melody! È stata Melody a baciarmi, okay?!»

Jamil non rispose e si tappò le orecchie con violenza, distratto da un rumore che evidentemente Keiichi non riusciva a sentire. Si guardò attorno scocciato, immaginando si trattasse di uno stupido scherzo. Invece dopo qualche minuto il jinn continuava a premersi le orecchie, e quando si accinse a toglierle, erano macchiate di sangue. Cercò di regolare il respiro, pulendosele sui pantaloni. Alzò lo sguardo solo per incontrare quello perplesso del corvino.
«Non hai sentito?» ansimò.
«Niente» ribatté secco il principe, grato almeno di aver concluso quell'imbarazzante conversazione.
«Era uno squillo di tromba! Fortissimo. Non so chi la stava suonando» biascicò il jinn, cercando in qualche modo di ritrovare la calma. La porta si aprì con uno scricchiolio.

☆.。.:*  .。.:*☆

Melody si era svegliata nel letto, ancora dietro le sbarre. Ma la cosa preoccupante non era tanto dove si trovava, piuttosto che era da sola.
«Ryuu?» domandò, stropicciandosi gli occhi. Magari era solo buttata in un angolino, come al solito. Questa volta nessuna risposta. Si tolse di dosso le lenzuola e si mise a cercarla, perlustrando ogni singolo anfratto delle segrete. Infine, ecco la spiegazione, dritta in piedi di fronte a lei.

«Ciao» mormorò la rossa, con un filo di voce e l'aria improvvisamente molto timida. Miranda la copriva con aria arrogante ed una mano sul fianco.
«Inutile fare l'imbarazzata» commentò la regina cattiva, e le diede una spallata per incoraggiarla a parlare.
«Perché sei fuori?» ringhiò Melody, avventandosi sulle sbarre, intuendo immediatamente l'ennesima pugnalata alle spalle.
«Perché ho colto una possibilità!» ribatté debolmente la principessa, cercando di non piangere. Forse non era davvero cattiva e probabilmente quel ruolo non era stato creato per lei. Ma come pensava prima, le danze erano iniziate e non poteva fare altro che seguire il flusso.
«Come al solito. Fai schifo, Ryuu. Ti odio!» strillò la più bassa, facendo passare una mano attraverso le sbarre per spingerla, o graffiarla.
«Anche io ti odio!» sibilò questa volta la principessa, decisamente più motivata ad urlarle contro che ad inizio conversazione.
«Sei solo un'egoista e un'ipocrita!»
«E tu un'insensibile arrogante e saccente!»

Miranda non era un'amante delle litigate. Piuttosto preferiva una sorta di chaos organizzato, se così si poteva definire. Al posto di Ryuu avrebbe subito messo in chiaro chi era al comando, ma evidentemente la rossa aveva ancora molto da imparare. E poi aveva molto altro a cui pensare: dove la trovava una persona in grado di esaudire desideri? Per un attimo rimpianse di aver permesso a Dario di scappare, ma poi guardò la rossa. E le venne in mente un'altra opzione.

☆.。.:*  .。.:*☆

Cosa c'é di più meraviglioso della luna piena? Domina non avrebbe saputo rispondere. Posata delicatamente sulla ringhiera, si godeva il risultato dei suoi sforzi, e giocava con una rosa bianca tra le mani. Finalmente era la vera, ed unica, regina della notte, proclamata universalmente. A quanto pareva nessuno era rimasto scombussolato dall'improvviso cambiamento. Le andava bene. Aveva esaudito tutti i suoi desideri, e adesso poteva anche dedicarsi alla semplice dominazione del mondo. Sorrise all'avanzare incerto di qualcuno alle sue spalle.

«Ciao, Khal» cinguettò la donna, poggiando i gomiti sulla ringhiera. «Devi migliorare le tue apparizioni spettrali» aggiunse, giocando con una ciocca di capelli.
«Tu mi hai fatto qualcosa» rispose lui, con voce tetra. Fece qualche passo avanti, insicuro.
«Questo é vero» ammise la regina della notte, voltandosi. «Perché ti sembra un problema?»
«Perché...io...» bofonchiò il ragazzo. Tutto il discorso che aveva pronunciato in camera con la convinzione necessaria aveva ceduto il posto ad un balbettio confuso.
«Vuoi sapere esattamente quello che ti ho fatto?» domandò lei, squadrandolo con quegli occhi scarlatti che tradivano pessime intenzioni.
«Sì. E non provare a tirare fuori uno dei tuoi giochetti» cercò di intimidirla, sfruttando la sua altezza e le spalle larghe. Non ebbe molto successo, perché gli parve di rimpicciolirsi sempre di più al suo cospetto.
«Si chiama pozione di disamore. É il contrario di una pozione d'amore. Anziché farti sprofondare perdutamente nei sentimenti amorosi verso qualcuno, li risucchia via. L'ho fatto per te, Khal. Dimmi la verità, vuoi continuare a soffrire per qualcuno che non c'è più...o darti una seconda possibilità?» spiegò con voce dolce, e per un attimo al castano sembrò che avesse ragione.
«Ma perché?» chiese lui. «Tu non hai bisogno di me. Tu e Miranda siete fidanzate»
Domina rimase in silenzio, poi lo guardò, con gli occhi lucidi.

«Anche io voglio una seconda possibilità» mormorò piano, la voce spezzata dal pianto. Khalil si avvicinò a lei, genuinamente dispiaciuto. In effetti Miranda non gli sembrava tutta questa gran bella persona, e dedusse che per quanto la bionda amasse la violenza, riceverla da chi si ama non é mai piacevole. Lei gli si gettò tra le braccia, e scoppiò in lacrime. Il castano, un po' perplesso, la strinse a sé, e lasciò che si sfogasse quanto desiderava. Improvvisamente la donna si distaccò da lui, e scosse la testa.
«No. No, hai ragione, non posso farti questo, Khal. Mi sei sempre di supporto e io non faccio mai niente per te in cambio» mormorò, asciugandosi il viso rapidamente, e costringendosi a guardarlo dritto negli occhi.
«Ma tu non devi darmi niente in cambio, Domina. Sono tuo amico...anche più di amico, negli ultimi tempi. Mi dispiace che tu ti senta così. Non sapevo che...» bisbigliò, improvvisamente preso di mira dai sensi di colpa.

Forse Domina voleva solo dargli una seconda possibilità. Non era una pozione d'amore, dopotutto. Voleva solo eliminare quell'amore senza destinatario che lo stava logorando da anni. Voleva dargli una mano, e lui la stava trattando così. Dopotutto, era lui ad averla baciata, e non viceversa. Non ebbe molto tempo per pensarci, perché sentì un familiare (ed invitante) odore ferroso. La bionda si guardava il dito, con un'innocenza candida.
«Credevo che questa rosa non avesse le spine» ammise, gonfiando leggermente le guance. Il ragazzo deglutì, osservando con aria famelica la goccia di sangue che spiccava su un petalo bianco.
«Hai sete, Khal?» domandò, sbattendo le ciglia. «È da tanto che non bevi sangue umano» aggiunse, avvicinandosi a lui. Sulle prime il castano cercò di distrarsi, cercò di pensare ad altro. Provò a ricordare qualcuno per cui valeva la pena resisterle. Ma alla fine gli istinti presero il sopravvento, e con una mossa rapida le scostò i ricci e le affondò i denti nel collo. Domina trattenne un gemito di dolore, poi sorrise crudelmente.

Idiota.

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