09 ☆ La fine del mondo (II)

Riassunto del capitolo: bianco e ricamato d'oro. Ci sono altre note a fondò capitolo che penso siano interessanti

Quando cala la notte ad Agrabah, qualsiasi cosa apparentemente innocente prende delle sembianze oscure e decide di strisciare fuori dalla propria abitazione in cerca di sangue. Una semplice boccetta di profumo può diventare un'arma del delitto se non si é abbastanza attenti: una delle raccomandazioni più comuni è proprio quella di non indossare alcuna fragranza se si vuole uscire la sera. Non vorrete certo che qualche jinn appena sgusciato fuori dalla sua tana tenebrosa si invaghisca di voi e vi rapisca. Apparentemente i demoni sono molto sensibili ai profumi, che stimolano la loro passione amorosa nei confronti di chi li indossa. Riguardo questo, Jamil non ci aveva mai creduto troppo, o almeno si era imposto di non farlo. Gli sembrava completamente fuori dal mondo che un jinn perdesse il controllo solo per colpa di una fragranza floreale indossata da qualcuno con un bel faccino.

Eppure, in dormiveglia, sentiva un profumo delizioso di gelsomino. Forse c'erano anche delle note di cocco, o di agrumi, che gli ricordavano senza dubbio qualcuno di incredibilmente familiare. Se si concentrava abbastanza riusciva a sentire anche una piccola parte acidula, come se chi indossasse la fragranza fosse appena tornato da una doccia post-allenamento. Forse c'era anche una porzione ferrosa, come se fosse caduta una goccia di sangue nel profumo. Spalancò gli occhi, sollevandosi di scatto, alla ricerca di Khalil. Gli era capitato diverse volte di sognare profumi "fantasma" ma non erano mai stati così reali. Per un attimo si era convinto davvero di essere in prossimità del suo fidanzato, ma l'illusione svanì nel momento in cui si guardò attorno.

Una donna dalla pelle azzurrognola e capelli lunghissimi, e apparentemente dotati di vita propria, lo guardava sorridente, con le zanne in mostra ed una boccetta di profumo in mano.
«Vi ho detto che avrebbe funzionato» esclamò soddisfatta, restituendo la fragranza al legittimo proprietario, un tipo pallido e allampanato che sembrava decisamente fuori posto. Il jinn assottigliò lo sguardo, cercando di riconoscere quel volto familiare, nonostante gli occhi bruciati e fastidiosamente secchi.
«Avevo paura che non ti svegliassi più» esclamò una voce esterna, molto più giovanile e allegra rispetto a quelle che aveva sentito fino a quel momento.
«Io invece avevo sperato che non ti svegliassi più» aggiunse una voce più pacata, ma che tradiva segni di un'irritazione incredibile. Ancora confuso, il principe dei jinn si strofinò gli occhi, cercando di ricordare quello che era successo prima.

«Jamil?» chiese il proprietario del profumo, mettendogli una mano sulla spalla, delicatamente. Sembrava un po' preoccupato dalla mancanza di risposte del ragazzo appena rinvenuto.
«Kay?» domandò lui, riconoscendo finalmente il volto che aveva davanti. Il principe delle nevi si illuminò per un attimo, poi riprese il suo contegno.
«Va tutto bene?» domandò lui, piano, studiando con lo sguardo le ferite del ragazzo.
«Questa non é la sfida delle fiabe, vero?» mormorò Jamil, premendosi una tempia preoccupato. «Mi ricordo di essere svenuto...per colpa tua!» esclamò poi, indicando Keiichi.
Il corvino, orgoglioso di sé e delle sue misfatte, gongolò un po' nelle proprie soddisfazioni prima di rispondere.
«Questo é vero, ma è successo anni fa. Adesso sei svenuto per un'altra ragione, ed é perché sei stato un incosciente» disse con tono secco, mentre Thomas trovava il modo di strisciare tra le braccia del principe dei jinn, eludendo la sorveglianza di Jalina e Kay, distratti dal blaterare di Keiichi. Ne approfittò per recuperare gli abbracci perduti negli anni in cui il jinn era stato dato per scomparso.

«Ah sì?» chiese Jamil, finalmente rivolgendo lo sguardo al bambino cresciuto che aveva appiccicato addosso. Alzò le sopracciglia sorpreso, aspettandosi di vedere Thomas ancora piccolo come quando era arrivato all'Accademia, ma incontrando invece un adolescente sproporzionato e lungo, affettuoso come un micio ma incredibilmente ridicolo per via delle sue dimensioni.
Jalina lo scacciò via, porgendo il braccio al principe dei jinn per farlo alzare. I tre lo guardarono mettersi in piedi, salvo cambiare totalmente espressione una volta che Jamil si fu rimesso dritto.
«Perché fate quella faccia?» chiese preoccupato il ragazzo.
«È come...non saprei spiegartelo...» mugugnò Kay, cercando i vocaboli giusti per descrivere la situazione. Keiichi gonfiò le guance per trattenere una risata, cosa che gli uscì molto malamente. Alla fine anche Thomas cedette ad una risatina.
«È come se ti fossi leggermente ristretto» rise piano, mimando con le dita quello che era appena successo.
«Ristretto?» domandò Jamil, perplesso. Alzò lo sguardo. In effetti i pochi centimetri di altezza che lo separavano da Keiichi sembravano essere triplicati. Sbatté le ciglia, guardandosi le mani e poi i piedi. Sembrava tutto più piccolo.
«Forse il terreno ha assorbito anche un po' della tua magia» spiegò Jalina, con la lingua tra i denti. «Quindi ti sei rimpicciolito di poco. Ma non è molto grave. Sei solo...un po' più basso»
«Di...di quanto?» piagnucolò il principe dei jinn. Keiichi inclinò il capo, evidentemente assorto in un calcolo di approssimazione.
«Forse dieci centimetri o qualcosa del genere. Sei molto ridicolo, ma almeno non devo più guardarti negli occhi a meno che io non debba abbassare la testa. Cosa che, per inciso, non ritengo di voler fare» commentò.

Jamil guardò Kay con i tipici occhioni da cucciolo bastonato che faceva quando voleva qualcosa da qualcuno - mossa efficace specialmente su Khalil. Il principe delle nevi distolse lo sguardo, schiarendosi la voce.
«Mi dispiace Jamil, non ho le competenze per restituirti la parte della tua magia che hai perso» commentò, incrociando le braccia sul petto ed evitando di guardare l'espressione delusa del jinn, che, non arrendendosi, mosse un passo verso di lui.
«Ma sei il Gran Maestro, tu puoi fare tutto!» insistette.
«Devono essere soddisfatte diverse condizioni» provò ad uscirsene il principe delle nevi, sperando di apparire abbastanza convincente.
«E non puoi soddisfarle?» piagnucolò, avvicinandosi anche di più, sostanzialmente mettendo Kay con le spalle al muro.
«Non lo so fare» ammise il ragazzo con un verso strozzato, mettendogli una mano in faccia per evitare che si avvicinasse ancora. Si azzardò a rimuoverla per vedere se aveva ancora quell'espressione ferita.

Jamil prese un bel respiro e si mise a contare mentalmente, tattica che spesso non dava i suoi frutti ma almeno lo aiutava a contenere l'istinto di sfracellare la faccia di Kay sul pavimento. Jalina si abbassò per ticchettare sulla spalla di Thomas, curiosa di sapere tutto riguardo quella pratica a lei sconosciuta.
«Che sta facendo?» domandò, sorridendo.
«È una cosa che si fa per calmarsi e ragionare prima di dire cattiverie o assalire qualcuno» mormorò lui, mordendosi le labbra nel vedere che non stava esattamente funzionando.
«Non vedo perché uno dovrebbe imbottigliare le proprie emozioni. Specialmente un jinn»
«Non lo so, forse perché Kay non può prenderle da tutti» mormorò, ragionandoci sopra.

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Sebbene il loro piano di recuperare Kazuha fosse andato in completo fumo per colpa di quel maledetto terremoto, la ragazza in questione stava benissimo. Il Narrastorie era cavo. Non sapeva esattamente come funzionasse la magia perché non ne aveva mai usata, ma probabilmente il pennino poteva esserne riempito. E proprio come inchiostro, scriveva sul libro. C'era differenza tra il tipo di magie utilizzate? Forse una era più potente dell'altra? Qual era il motore che faceva girare la Selva?

«Mi pare di averlo appurato in diversi capitoli, forse addirittura nel prologo del primo libro, che i desideri sono quello che motiva il Narrastorie» squittì una voce, che fece saltare diversi battiti a Kazuha. La principessa si spinse contro il muro e si guardò attorno, cercando di individuare la provenienza della voce misteriosa. Decise di sollevare un telo nero ai margini della stanza, incuriosita ma allo stesso tempo maledicendosi per non averlo fatto prima. Sotto vi era uno specchio dall'aria simpatica ma terribilmente sporco, cosa che fece storcere il naso alla principessa.

«Salve» esclamò lui.
«Hai detto i desideri?» domandò lei, incurante del saluto. Lui si offese leggermente per la mancata risposta, ma non lo diede a vedere.
«Proprio così. Questo terremoto é stato pieno di magia» gemette teatralmente. «Mi auguro che Miranda ne abbia fatto buon uso»
«Come...come sei finito qui! Giuro che non c'eri prima!» esclamò lei.
«Lo so. Ero nella tasca di Miranda, che, sotto inteso, è la mia padrona. Solo che ho un po' più di esperienza e appena ho sentito la scossa ho deciso di esprimere un desiderio e trovarmi in un luogo buio e fresco, dove potevo riprendere le mie dimensioni e non essere più costretto ad essere uno specchietto da trucco. Sarò fortunato se Miranda non mi scioglierà quando mi troverà. Oh, a questo proposito. Mi devi dare una mano»
«Perché dovrei?» rispose la ragazza lentigginosa.
«Te lo dico subito. Lei si distrarrà dalla mia piccola fuga e ti risparmierà perché le avrai detto delle cose molto intelligenti. Tu farai finta di non avermi visto e di non sapere che ero qui»
«Va bene, dimmele. Sento i suoi passi da qui»
«Dille che il Narrastorie é cavo é che va riempito. Non é necessario manualmente, e che si sarebbe caricato anche se non l'avesse conficcato nel terreno — dille, uhm, che l'hai vista dalla finestra! – e che per scrivere tutto quello che vuole dovrà esaudire i suoi desideri o quelli di qualcun altro, così il Narrastorie sarà sempre carico. Ora ha disposizione tre o quattro incantesimi con quel pennino. Ora ricoprimi! Arriva»

Obbedientemente la ragazza lo coprì col telo e si spostò da tutt'altra parte. Miranda aprì la porta di gran carriera.
«Dunque?» domandò, piano. «Sei riuscita a risolvere questo gran mistero del Narrastorie?» chiese.
«Sì. Come vedi, é cavo all'interno, questo perché non scrive con vero inchiostro, ma con la magia. Non una qualsiasi, quella dei desideri» esclamò prontamente Kazuha.

La rossa fu sospettosa su quanto la ragazza fosse preparata, ma non disse nulla. Forse era semplicemente geniale come tutti dicevano. Notò qualcosa coperto da un telo nero in un angolo, ma aspettò che l'altra finisse.
«Ti ho visto dalla finestra mentre lo conficcavi nel terreno. Si sarebbe caricato anche se tu non lo avessi fatto. É animato dai grandi desideri, ecco perché sei riuscita a mandare Kay a Gavaldon, o quel che era. Per adesso credo tu possa fare tre o quattro incantesimi, ma poi ti servirà qualcuno che esaudisca i desideri per ricaricarlo» borbottò Kazuha. Forse parte di quello che aveva detto era inventata, ma non le importava.

«I miei desideri non sono abbastanza potenti da caricarlo?» domandò, quasi urlando.
A quel punto rispose lo specchio, e alla sua voce Kazuha si finse nuovamente spaventata.
«Lo sarebbero se tu fossi una fatina o una jinna. Ma esaudisci i desideri? Non credo proprio» esclamò lo specchio.
«Ma lei ha appena detto che é stato il mio desiderio di cacciare Kay a...»
«Bla bla. Quando l'hai fatto aveva ancora un po' di magia dentro, reduce da qualcun altro. Tu non puoi fare nulla senza qualcuno di veramente magico»

Miranda afferrò lo specchio con tutto il telo, nervosa.
«Puoi andartene» disse a Kazuha.
«Cosa?» domandò lei, genuinamente certa di aver sentito male.
«Sei libera! Vai! Prima che cambi idea!» strillò. La principessa non se lo fece ripetere due volte.

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Il terremoto pareva essersi fermato, con grande gioia di tutti gli abitanti della selva. Dario, dal canto suo, poteva solo constatare dall'alto quanto fosse stato distruttivo. La sua analisi del territorio devastato durò brevemente, visto che sotto di lui ora non vi era altro che un'infinita distesa di sabbia. Dedusse di essere in prossimità di Agrabah e tirò un sospiro di sollievo. Voleva dire che presto avrebbe raggiunto un posto sicuro popolato da persone comprensive, e che sicuramente non sarebbe stato aggredito come invece succedeva nelle altre parti della selva. Naturalmente, le cose non intendevano andare nel verso giusto. Il tappeto si fermò ed emise una sorta di versetto preoccupato. Anche il castano, col sangue gelato nelle vene, si voltò piano per vedere cosa impediva il proseguimento del loro viaggio.

Un paio di dita enormi tenevano ferme il tappeto, mentre un paio di occhioni scrutava chi vi era sopra. Nonostante il tappeto cercasse di volare via, la forza della creatura era decisamente maggiore.
«Ma guarda un po' cos'abbiamo qui» esordì una voce così profonda che Dario temette potesse provocare un altro terremoto. Si fece abbastanza coraggio da osservare il loro aguzzino, solo per scoprire che in realtà si trattava di un'aguzzina. Doveva essere una jinna, anzi, ne era piuttosto sicuro: si trattava pur sempre di un posto isolato nel deserto (ai limiti di Agrabah). Che cos'altro poteva essere? Il viso era parzialmente nascosto da un enorme elmo dotato di un pennacchio rosso sulla cima, talmente rigido da non essere mosso nemmeno dalle forti correnti d'aria tipiche di quell'altezza. Tuttavia quell'imponente pezzo di metallo non era abbastanza forte da trattenere sotto di sé lunghissimi e foltissimi ricci blu, che sfuggivano da tutte le parti. Dario deglutì, osservando con terrore le unghie nere e la pelle di un grigio tetro, quasi come se fosse un corpo andato in malora da diverso tempo. Lei sorrise, avendo cura di mostrare le zanne che sporgevano sia nell'arcata superiore che in quella inferiore.

«Salve» pigolò Dario, facendosi piccolo piccolo, nonostante sapesse fosse inutile data la stazza della jinna che aveva davanti.
«Chi é che osa aggirarsi nei pressi della Caverna delle meraviglie?» esclamò lei, avvicinando il tappeto ai suoi occhi.
«Veramente non...non intendevo nemmeno passarci di qui...» balbettò il castano, sperando di venir mangiato presto e in modo indolore, se questo era il suo destino.
«La tua identità» ripeté seria la creatura, con tono decisamente più minaccioso.
«Dario. Mi chiamo Dario» sputò fuori lui alla fine, decidendo che fosse meglio assecondarla. Lei lo esaminò con cura, usando la punta dell'unghia per giocare con la ciocca azzurra dei suoi capelli. Il castano boccheggiò. Non si era mai sentito così minuscolo. Quanto poteva essere alta quella donna? Era vero che stavano volando molto bassi, ma era comunque una creatura di dimensioni spropositate.
Lo sollevò dal tappeto, lasciando andare il povero pezzo di stoffa ormai ridotto quasi a brandelli. Inizialmente quello provò a riprendersi il ragazzo, ma si arrese ad una semplice occhiata della jinna. Lei si abbassò e lo mise sulla sabbia, rimpicciolendosi fino ad essere di poco più alta di lui. Gli girò attorno, afferrando la lancia che aveva posato per catturarli.

In quel momento Dario inclinò il capo. Quella donna aveva qualcosa di familiare, ma non avrebbe saputo dire cosa.
«Chi sei?» domandò, un po' più tranquillo ora che la donna non sembrava più intenzionata a schiacciarlo.
«Io sono la Sfinge!» esclamò lei, spalancando gli occhi e mostrando i denti.
Il ragazzo cercò di pensarci sù, ma alla fine fu costretto a concentrarsi su quello che stava succedendo in quel momento. Prima di poter dire niente, la donna lo guardò con occhi fiammeggianti.
«Ti porrò un quesito, e se sarai capace di rispondere ti lascerò andare» proclamò la donna.
«Ma io non voglio andare nella Caverna delle Meraviglie! La mia meta é Agrabah!» squittì il castano.
«Questo lo so. Non c'è più niente che valga la pena cercare all'interno della Caverna. Ebbene, ecco la mia domanda: che cos'è che più si allunga e più si accorcia?» domandò lei, tracciandosi dei segni sul palmo della mano. Questi risultarono nella macabra apparizione di una clessidra, inesorabilmente costretta ad osservare coloro sfidati dalla Sfinge.

Dario ci rimuginò su, ma colto dalla paura gli veniva davvero difficile trovare una risposta. Cercò di concentrarsi sugli indovinelli in cui si cimentava Nova la sera, e che coinvolgevano anche la rabbia di Arisu, incapace di trovare le risposte corrette alle domande. Eppure ricordava di averlo sentito da qualcuno. Ma da chi? Mancavano pochi granelli di sabbia. Ora ricordava dov'era quando gli era stato fatto l'indovinello. Thomas era seduto accanto a lui e continuava imperterrito a rispondere "la matita", ma qualcun altro negava. Ah! Era Kay a fare l'indovinello. Ma chi aveva risposto?

«La vita!» esclamò infine, mentre l'ultimo granello si accingeva a cadere. La Sfinge spalancò gli occhi felini, guardandolo come se volesse mangiarselo. Infuriata, si accucciò, avvolta da sabbia. Dario si coprì gli occhi, e quando li riaprì, ancora irritati dai granelli riusciti ad eludere le palpebre, la donna era sparita. Al suo posto vi era un'enorme statua di una tigre col volto umano, accovacciata di fronte ad una misera porticina in legno. Doveva tornare ad Agrabah? Il tappeto era volato via, presumibilmente in cerca di aiuto.

In lontananza due figure altrettanto ginormiche lottavano, mentre la sabbia si alzava attorno a loro, preannunciando l'arrivo di una tempesta. Dario accettò tristemente il cambio di piani e afferrò l'anello di ferro che faceva da maniglia alla porticina. La sollevò con fatica, domandosi se anche lui possedesse il famoso "diamante grezzo" al suo interno, e poi sgusciò giù per la scalinata buia.
Incredibilmente, non temeva di mettere i piedi in fallo o di cadere: gli sembrava tutto così chiaro. Pian piano che procedeva delle torce appese al muro si illuminarono, mostrando al giovane visitatore cosa lo attendeva. Milioni e milioni di orci, contenenti chissà quali gioielli. Ma, sapiente degli errori dei suoi precedenti, non si azzardò a toccarne nemmeno uno, ammirandone le fattezze da lontano. Certo, uno di quei vasi avrebbe risolto i suoi problemi economici per tutta la durata della sua vita, ma sapeva bene che toccarne uno significava rinunciare proprio alla vita. Non era sicuro che la Caverna avesse una via di uscita, ma ormai era dentro e tanto valeva proseguire. La seconda, magnifica sala, era in realtà un giardino alquanto particolare. Ricolmo di piante di ogni genere, non faceva vanto di fiori, bensì di una quantità spropositata di gioielli che fiorivano sugli alberi come frutti. Si fece strada piano, silenziosamente, sperando che non ci fosse nessun jinn addormentato o infastidito dalla sua presenza. Su uno dei tronchi più grossi era inciso qualcosa, ma non sarebbe stato in grado di tradurlo. Tuttavia decise di annotarlo fedelmente sul suo taccuino, incuriosito dalla somiglianza tra la scrittura in jinnico e la grafia di un suo compagno di stanza. Dopo aver colto un rubino che gli impediva il passaggio, ed esserselo inconsciamente messo in tasca, giunse finalmente alla terrazza per la quale Jafar aveva ucciso. Tristemente spoglia fatta eccezione per un cuscinetto di velluto posto in equilibrio sulla ringhiera, sembrava un punto morto. Si avvicinò al cuscinetto, che serbava ancora il segno di una lampada ad olio che vi era stata riposta sopra per molti secoli.

Dunque, la sua avventura finiva lì, proprio come quella del suo predecessore Aladino. La terrazza era il punto più remoto dalla porta, ed ora poteva solo tornare indietro. O almeno, così credeva. Si sporse dalla ringhiera, guardando in basso. Nelle tenebre era nascosta una piccola strada, che sembrava portare altrove. Ma come raggiungerla? Non poteva mica saltare, o si sarebbe ucciso nel farlo. Sospirò, e si mise a sedere, bloccato lì. Sarebbe morto presto, o così pensava, finché una folata d'aria non lo distolse dai suoi tragici presagi.
Due creature svolazzavano allegramente, sbattendo con vigore le loro quattro ali, e ridendo fragorosamente, evidentemente di lui. Puntandolo più e più volte, non smisero nemmeno per un attimo, ma infine atterrarono sulla ringhiera e lo guardarono.

A prendere parola fu la donna. «Io sono Maymuna. Sono stata la figlia del re dei jinn, Damryat!» esordì fiera, e spiegò le ali. In effetti aveva un'aria nobile, in qualche modo turbata dal suo atteggiamento che sapeva di sciatto, irriverente. I suoi ben pochi vestiti erano bianchi come il latte, ricamati con quello che Dario non fece fatica a riconoscere come oro. Perfino le sue ali erano ingioiellate, e la fanciulla sembrava davvero beneficiare dell'alone dorato dei gioielli, che la facevano risultare meno morta e più umana. Forse di stava suggestionando, forse no, ma tutti i jinn che aveva incontrato gli ricordavano Jamil, sebbene Jamil fosse totalmente normale. Non aveva ali, né corna, nemmeno la coda. Deglutì e si chiese se i jinn li vedessero allo stesso modo. Erano più piccoli di quella incontrata prima, ma allo stesso modo enormi.

E poi, l'altro, decisamente meno aristocratico.
«Io sono Danhash, l'infedele» esclamò, riponendo decisamente molta fiducia nel brandello di stoffa che gli ricopriva lo stretto necessario. A differenza della compagna, aveva quattro ali tremendamente spelacchiate, ma capelli neri incredibilmente folti e lunghi, che sfioravano i piedi, sebbene fosse molto alto. Lo indicò con un'artiglio che ricordava quello di un rapace.
«Sei molto carino. Sei bloccato qui?» domandò tutto d'un fiato. Maymuna lo spinse, ridendo, e prese lei il timone della conversazione, scendendo con un balzo dalla ringhiera e girando attorno a Dario, curiosa. Ogni tanto gli alzava un braccio, mentre il ragazzo arrossiva furiosamente ad ogni tocco.
«Sai, sei finito in un posto davvero strano. Qui non ci viene mai nessuno, tranne chi é stato reputato un'infedele o chi ha mancato di rispetto al re. O a mio fratello Heyvon!» esclamò, soddisfatta. Poi si indicò. «Io, Maymuna, ho fatto l'amore con un umano, e sono stata ripudiata. Anche Danhash ha fatto l'amore con una donna umana, ed é stato ripudiato. Tu perché sei qui?» domandò.
«Ci sono finito per caso. La Sfinge mi ha fermato e mi ha detto di entrare»
«Zaynab gli ha detto di entrare? Quella frigida di una jinna ha finalmente deciso di divertirsi?» squittì Danhash, volteggiando proprio sopra la testa del castano, ormai più indispettito che impaurito.
«Sai, la Sfinge non vede un uomo nudo da secoli. Anzi, no! Da quando ha litigato con mio fratello Amivehl» si corresse Maymuna, poi si avvicinò sospettosamente al ragazzo.
«Hai un profumo delizioso» aggiunse piano.

Dario deglutì. «Amivehl?» chiese, cercando di distogliere l'attenzione dallo sguardo famelico della jinna. Il nome suonava familiare. Tutto gli sembrava familiare, quel giorno. Rimpianse di essersi perso nel deserto e di aver aperto quella porticina triste.
«Sono sicura che lo conosci come genio della lampada, o qualcosa del genere. Mio fratello, che é il re, adesso, è così intransigente con noi! A furia di esiliarci tutti gli é rimasto solo un nipote, quando avrebbe potuto averne a migliaia» squittì.

Oh, ora si ricollegava tutto. La ragione per cui la Sfinge gli era parsa così familiare, per cui conosceva la risposta (e adesso si ricordava chi gliel'aveva detta), perché Maymuna aveva un incarnato conosciuto.
«Jamil» esclamò, sperando che il nome funzionasse da passe-partout. E in effetti i due si guardarono.
«Sì. Javimyial» lo corresse la jinna, fermandosi dallo svolazzare senza sosta. Naturalmente Dario non avrebbe saputo dirne il corrispettivo in jinnico, ma il clima di incertezza che aveva provocato gli fu la conferma che aveva centrato il bersaglio.
Maymuna lo afferrò per un braccio e Danhash, obbediente, lo prese per l'altro prima che il castano potesse dire qualcosa.
«Ti portiamo a corte!» esclamarono, all'unisono.

In qualche modo, se ne stava andando dalla terrazza. Ma se la stesse lasciando in favore di qualcosa di positivo era tutto da vedersi.

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Una volta caricato, il Narrastorie era molto più obbediente al volere di Miranda. Faceva esattamente cosa gli era richiesto, e la seguiva a mo' di cagnolino. Ma la rossa era riluttante a scrivere qualcosa. Dunque, era ritornata a chiedere consiglio al più fedele dei suoi amici, colui che non le aveva mai voltato le spalle e che non sarebbe mai stato in grado di farlo.
Camminando a passi lunghi e calcolati, raggiunse una sala e finalmente appese al muro l'oggetto, tirando via il telo nero che copriva il suo caro confidente. Lo strappò con forza, rivelando uno specchio impolverato e particolarmente accigliato.
«Oh, quindi ti ricordi di me!» esclamò scocciato. «Temevo che tu dessi la precedenza ad un pennino per il resto della tua vita» aggiunse.
«Non dire sciocchezze. Mi serve un consiglio» rispose la strega.
«Non mi dire! Di certo non sei venuta da me per una mano a lavare le finestre!» gemette piccato lo specchio, ancora rancoroso per essere stato messo da parte.
«Cerca di obbedirmi, perché posso rimpiazzarti in qualsiasi momento con qualsiasi cosa io voglio. Il Narrastorie mi obbedisce, ma per ogni incantesimo che scriverò di mio pugno perderà la magia che ha acquisito. Che cosa dovrei desiderare?»
«Dipende da cosa vuoi. Io mi assicurerei che il tuo posto in cima alla catena alimentare sia intoccabile» mormorò lo specchio, quasi timoroso di dare consigli a qualcuno come Miranda.

La rossa ponderò la decisione, poi prese il Narrastorie tra le mani. «E sia!» esclamò, scrivendo.

Chiunque, di regni vicini o lontani, poté constatare che Miranda fosse l'unica persona degna del ruolo di Gran Maestro.

Si guardò attorno, cercando cambiamenti nell'aria. «Temo tu non sia stata molto specifica. Non hai detto che desiderino te come Gran Maestro, ma solo che ti considerino l'unica degna del ruolo» bofonchiò lo specchio. «Comunque non vale la pena usare la magia per riscrivere lo stesso incantesimo» aggiunse, godendosi un po' l'espressione innervosita della regina.
«Fa niente! Li convincerò a parole» mormorò, furibonda. Si guardò attorno. Quel palazzo le faceva schifo. Voleva una reggia vera e propria, non un castello di ghiaccio già in via di liquefazione. Poteva permettersi di lanciare un secondo incantesimo.

Il castello di Miranda, precedentemente conosciuto come Accademia, assunse le forme che più desiderava e si prestabilì di obbedire ad ulteriori cambiamenti se da lei ritenuti necessari.

A quel punto vide, con soddisfazione, che l'incantesimo le fosse uscito proprio bene. Le piastrelle del pavimento si rivoltarono, trasformandosi in quelle che da sempre immaginava nel suo personale castello. Sentiva la struttura cambiare, il colore mutare da quella sottile trasparenza tipica del ghiaccio ad un nero che ben si camuffava nella notte. Forse, se colpito dai raggi solari, si sarebbero visti tenui riflessi scarlatti, ma il Sole presto non sarebbe stato più un problema. Le torri, già abbastanza alte, si attorcigliarono su loro stesse, assunsero le forme più contorte solo per rendere la ex scuola un labirinto da cui era impossibile sfuggire. Una delle altre, ancora abbastanza dritta, parve diventare improvvisamente più alta delle altre, e cadde immediatamente in rovina, pur rimanendo stabile. Miranda decise che sarebbe stato il suo covo, ma non la sua residenza. Gongolò soddisfatta del suo lavoro, e andò via, senza nemmeno ricoprire lo specchio. Questo non disse nulla, ma emise un rumoroso sospiro.

Ora, con enorme scocciatura di Miranda, bisognava esaudire il desiderio più coccolato di Domina. La bionda, fedele come un cagnolino, l'aspettava fuori dalla stanza, aspettando curiosa di vedere il Narrastorie in azione.
«Un tentativo» mormorò la rossa, con l'intenzione di frenare il suo entusiasmo.
«Basterà ed avanzerà» esclamò la regina della notte, stringendo le mani.
«Sii molto specifica, mi raccomando» si rassicurò la rossa, porgendole il pennino ma comunque soggiogandola con lo sguardo, per assicurarsi che non tentasse nulla fuori dal copione.

La bionda si mise il cappuccio del mantello rosso sangue e scrisse.

Domina Asteria fu capace di raggiungere il regno di Sarastro e di recuperare il Settemplice Cerchio Solare dalle grinfie di sua sorella Pamina, di far calare la notte eterna, e fu capace anche di tornare indietro dalla sua amata Miranda.

Miranda trovò l'ultima frase poco necessaria, ma non ebbe tempo di rimproverarla alla fidanzata che questa era scomparsa in una polvere dorata.

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Domina si ritrovò in una sala enorme, a lei sconosciuta. Era ancora una bambina quando Pamina era già stata sottratta alla madre Astrifiammante. Non sarebbe mai stata capace di capire come mai la madre le custodisse entrambe come due tesori, quando una era molto più talentosa dell'altra. Mentre la maggiore non aveva fatto che tradirla e causarne la morte, lei aveva sempre fatto del suo massimo per onorarla e specialmente riportare il Settemplice Cerchio Solare al suo legittimo posto. Era una bella sala: la luce entrava morbidamente ovunque, facendo risplendere i dettagli dorati. Non capiva se fosse arrivata nel posto giusto oppure no, ma udì delle voci provenire dall'esterno e si nascose dietro un divanetto giallo.

Ad entrare furono una bella donna molto simile a lei, accompagnata da un uomo altrettanto bello. Lei, leggermente più bassa rispetto al compagno, portava deliziosi boccoli biondi e sbatteva spesso le lunghe ciglia nere, che contornavano occhi scarlatti privi della crudeltà che brillava in quelli della sorella. Oltre a molte similitudini con Domina, Pamina sfoggiava un pancione tondo, che poteva significare solo una cosa. La strega nascosta si coprì la bocca con una mano, disgustata dall'idea di un nipote. Tamino, con un'espressione rilassata, accompagnava felicemente la moglie, che appariva gioiosa ma stanca. La fece sedere su un divanetto poco lontano da quello dietro il quale era nascosta Domina, poi fece per sedersi accanto a lei, ma esitò.

Dalle movenze dell'uomo l'intrusa capì che presto la sorella sarebbe rimasta sola ed indifesa.
«Manca così poco ormai» esclamò Tamino, posando una mano sul pancione e sospirando.
«Sono sicura che mia madre l'avrebbe amata quasi quanto noi. Sei davvero sicuro che ti vada bene chiamarla Astrifiammante?» domandò piano.
Domina sentì il sangue ribollirle nelle vene. Come poteva quell'ipocrita mettersi sullo stesso livello di qualcuno che aveva custodito la madre come lei, quando l'unica cosa che aveva fatto lei era stata voltarle le spalle?
«È una tua decisione» rispose deciso il marito. «Ci vediamo dopo» esclamò, uscendo dalla stanza di gran passo.

La bionda nascosta aspettò qualche attimo e si assicurò che fosse abbastanza lontano. Dopo di che si alzò piano, e si avvicinò alla sorella, da dietro, con gli occhi fiammanti. Le mise una mano sulla spalla e una sulla bocca per impedirle di urlare. La fanciulla tremò terrorizzata, cercando di liberarsi con le sue stesse mani, ma le risultò piuttosto difficile data la spossatezza che si portava dietro.
«Ci rivediamo, cara sorella» le sibilò Domina all'orecchio, traendo un piacere inimmaginabile dal terrore puro di Pamina.
«Dov'è il Settemplice Cerchio Solare?» chiese immediatamente, cercando di non distogliere la sua attenzione da quello che era venuta a fare.
La donna scosse la testa, cercando di dire qualcosa, ma le parole venivano soffocate dalla presa di Domina.
«Non sono qui per giocare. Dimmi dove si trova, sorella, o ucciderò la bambina» esclamò, togliendo la mano che le aveva posto sulla spalla e usandola per sguainare dalla fodera un pugnale. Con la punta scucì un ricamo del vestito di Pamina proprio all'altezza del pancione.
«Dubito che possa sopravvivere ad un colpo ben mirato, sai?» mormorò, con finta aria mogia. «Com'è che volevi chiamarla? Astrifiammante? Non dovresti nemmeno nominare nostra madre, bastarda traditrice!» esclamò, ma abbassò immediatamente la voce per timore di essere scoperta.
La fanciulla annuì obbediente, poi le fece segno di togliere le mani dalla bocca per permetterle di mostrarle dove si trovava il Cerchio.

«È qui» pigolò la donna, alzandosi in piedi e decidendo ingenuamente di condurla sul posto. Si trattava di un'altra sala, che per qualche verso ricordava l'interno di un tempio egizio, naturalmente influenza di quel maledetto Sarastro. Domina non poté che pensare a quanto fosse stata stupida. Era quello che le avrebbe fatto fare comunque, perché di certo non sarebbe andata a caccia del Cerchio senza di lei permettendole di chiamare Tamino. Ma il fatto che l'avesse condotta lì di sua spontanea volontà, senza nemmeno provare a salvarsi...
La donna spostò un tappeto con un piede, facendole cenno di non potersi piegare per aprire la porticina nascosta sotto il tessuto bianco e ricamato d'oro. La regina della notte la guardò in cagnesco, ma aprì la porticina e ne estrasse una scatola di marmo. La aprì.

Sognava quel momento da anni. Il Settemplice Cerchio Solare, ironicamente, era completamente nero e privo di qualsiasi bagliore. Sulle prime Domina dubitò di averlo veramente tra le mani, credendo piuttosto che si trattasse di uno stratagemma per sviarla, ma poi realizzò che sua sorella non poteva essere così furba. Ora che cosa doveva farci? Era un mistero, ma intanto lo aveva tra le mani.
«Per favore, Domina, non fare del male a nessuno degli abitanti del regno solare» mormorò piano Pamina, muovendo gli occhi all'impazzata ricercando la figura di Tamino, che però sembrava scomparso.
La regina della notte, nuovamente riconsacrata, piegò le labbra in un ghigno tetro, e la sorella capì che il regno solare era ormai tristemente destinato alla miseria.

Domina si avventò su di lei, col pugnale nuovamente sguainato. Era da anni che non provava più l'ebbrezza del sangue caldo di qualcuno scorrerle addosso e macchiarle gli abiti. Era stata fin troppo veloce a reciderle la gola, ma il rancore e forse l'invidia avevano avuto la meglio sul suo sadismo. Il corpo della sorella cadde sul pavimento, macchiando indelebilmente le piastrelle bianche. Non paga, la bionda le martoriò anche le braccia, le gambe e le deturpò il viso. Quando si fu assicurata che neanche la nipotina si potesse salvare, le squarciò il petto per prenderne il cuore, in un atto non necessario ma tanto desiderato.

A quel punto qualcuno però era stato allertato dal rumore, e si intromise nella sala. Domina afferrò il Settemplice Cerchio Solare e sparì, con l'onore di udire il pianto disperato di Tamino alla scoperta dell'amata.

☆.。.:*  .。.:*☆

La corte dei jinn era più arzigogolata di quanto Dario potesse credere. Per un attimo gli pareva di salire le scale, poi realizzava che in realtà le stava scendendo, poi guardava i gradini e scopriva che non ve ne erano proprio. Se non altro era molto piacevole da ammirare: i soffitti erano tutti dorati, e le pareti piene di formazioni naturali come i cristalli, che coloravano allegramente il luogo. Fortunatamente, o sfortunatamente, Maymuna e Danhash non l'avevano portato in volo per tutto il tragitto, ma solo nei tratti estremamente necessari. Anche loro, naturalmente, sprofondavano nell'accidia, come tutti i bravi demoni. Il povero ragazzo non aveva alcuna idea di cosa dovesse fare, ma era fiducioso che si sarebbe tutto risolto per il meglio.

«Sei molto fortunato di aver incontrato noi» esclamò Danhash. «Altrimenti avresti dovuto prendere il traghetto, e fidati, non é per niente piacevole. É meraviglioso avere le ali»
«Non lo metto in dubbio» mormorò il castano, senza specificare a quale delle due frasi stesse rispondendo. «Dove stiamo andando, di preciso?» domandò. Erano entrati nella corte da un pezzo, voleva solo capire chi stessero cercando.
«Da mio fratello Heyvon. Non farti scoraggiare dal suo temperamento, è molto comprensivo. Una volta ha perfino aiutato un uomo a trovare la sua amata. Certo, poi lui non gli ha restituito lo specchio che gli aveva prestato e quindi ora ha un po' di risentimento verso gli umani, ma nulla che non sia placabile con un dono» spiegò Maymuna, un po' più seria rispetto a prima. Sembrava leggermente intimorita dal fratello, e questo faceva paura anche a Dario.

A proposito di dono, lui non aveva niente da offrire. Cosa gli sarebbe successo? Sarebbe stato ucciso? O peggio? Scosse la testa e decise di pensarci nel momento stesso in cui il dono sarebbe stato richiesto. Maymuna e Danhash si fermarono, dietro di lui, e lo spinsero leggermente più avanti.
«Questo é il trono. Dì chi sei, aspetta che il re si manifesti, poi offri il dono e aspetta che ti chieda qual'é il tuo desiderio» spiegò rapidamente la jinna, poi svolazzò via con la scusa che metteva di malumore il fratello.

Il castano si fece coraggio. Non vi era via di uscita se non questa. Sulle prime boccheggiò come un pesce fuor d'acqua, poi si schiarì la voce.
«Mi chiamo Dario» esordì piano. Sulle prime non ebbe nessun responso, ma poi vide le pareti rocciose attorno al trono tremare, e una figura apparentemente composta d'ombra strisciare tra i cristalli acuminati che componevano il trono stesso. Prima che questa potesse avvicinarsi a lui, un fulmine colpì il seggio del re, costringendo il ragazzo a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, arrampicato sul proprio trono, vi era un ragazzino che dimostrava circa la sua età.

Sapeva che l'azzurro era un colorito particolarmente inusuale anche per un jinn, ma gli parve di averne incontrati solo di quell'incarnato. Somigliava particolarmente al Genio, ma poi scosse la testa come se si fosse appena ricordato un fatto ovvio. Anche lui era vestito di poco, ma ebbe il tempo di notare che gran parte dell'abbigliamento era costituito da gioielli in oro zecchino. I capelli neri erano legati e la coda fluttuava per conto suo, mentre gli occhi neri come la pece lo scrutavano come se non avessero mai visto qualcosa di così interessante. A tranquillizzare il ragazzo fu il fatto che il re dei jinn, Heyvon della stirpe di Iblis, stava mangiando delle patatine fritte con aria critica.
«Il figlio della Fata Turchina» commentò infine il jinn con la bocca piena, indicandolo. La sua voce era molto più profonda di quanto si aspettasse, ma non per questo spaventosa. Quello che nel profondo lo turbava è che probabilmente, anche con le patatine in mano e in quella posizione rilassata, sarebbe stato perfettamente in grado di ucciderlo.
«Sei molto fortunato di essere il figlio di una fata» aggiunse Heyvon.
«Grazie mille» rispose genuinamente Dario.
L'altro alzò un sopracciglio, aspettando il suo regalo impazientemente, poi si svuotò la busta delle patatine in bocca.

In quel momento il castano sentì le proprie viscere strizzarsi. Non aveva alcun dono. Immaginò il disappunto di Xiaolong, che aveva insegnato loro così tante cose su come appagare le specie e guadagnarsi i loro favori. Poi si ricordò quella lezione che aveva suscitato tanto scalpore. Fece apparire un paio di forbici e si recise una ciocca di capelli. Li mise in un sacchetto di velluto apparso assieme alle forbici, e lo porse al jinn, inginocchiandosi.
Vide Heynab sollevare le orecchie interessate e prendere le sembianze di fumo per raggiungerlo più velocemente. Prese il sacchetto con un breve inchino, decisamente appagato del regalo. Lo vide arrampicarsi con fatica sul trono, notando sconcertato che sebbene il re fosse tutt'altro che basso, facesse molta fatica a salire gli scalini.

«Dunque, puoi esaudire un desiderio. Cosa desideri, figliolo?» domandò.
Ci pensò un po'. Aveva così tante cose da chiedere che esaudirne solo una gli pareva piuttosto riduttivo. Heyvon pareva molto paziente, ma vide anche la sua espressione tranquilla mutare in una leggermente accigliata dopo qualche minuto.
«In questo momento dovrei trovarmi alla corte del sultano Jasmine, ad Agrabah...» iniziò piano. Il re lo interruppe con un gesto fermo della mano.
«Non dire altro!» esclamò, e lo indicò.
Dario sparì in uno sbuffo di fumo azzurro, prima di poter anche solo dire "ma".

Una volta scomparso l'umano, Maymuna ne approfittò per introdursi nella corte senza alcun invito. Si appollaiò sul bracciolo del trono, rubando una patatina rimasta sul seggiolo e ingoiandola senza nemmeno masticarla.
«Sei sicuro non fosse il principe dagli occhi color cielo?» domandò.
«Non era né un principe né possedeva gli occhi color cielo. Erano neri come l'ardesia» rispose Heynab, scacciandola con un gesto infastidito.
«Beh, attento a non lasciartelo scappare, o la nostra unica opportunità di sfuggire da questa topaia svanirà in fumo»

☆.。.:*  .。.:*☆

Domina si era ritrovata a casa sua. Non aveva voglia di alcuna cerimonia, tantomeno di turbare alcuna serva o servo. Le pareva che nemmeno uccidere Pamina fosse servito ad eliminare quel suo alone di bontà che tanto la infastidiva. Senza presentarsi, senza nemmeno parlare, tanto era furiosa, si rimise il cappuccio scarlatto e cercò tra le sale del castello quella che da sempre era destinata a custodire il Settemplice Cerchio Solare. Nessuno le disse niente, forse perché i ricci biondi che sbucavano dal cappuccio erano abbastanza da allertare la corte di essere in presenza della propria sovrana. In una delle sale più anguste e tristi vi erano due spuntoni, uno a partire dal basso e uno a partire dall'alto, perfettamente allineati. Ad un primo colpo d'occhio si sarebbe detto che fossero creazioni naturali come una stalattite e una stalagmite, ma erano neri come la pece, in contrasto con il tema caldo della sala.

Lo spazio tra loro era sufficiente da porci il Cerchio. Domina fece esattamente questo, e l'oggetto incantato fluttuò tra i due spuntoni come se il suo posto fosse stato quello da sempre. Sulle prime semplicemente traballante, prese a girare su sé stesso finché l'ombra o l'illusione che rimaneva sullo sguardo di chi osservava non presero la forma della luna, con tutti i suoi segni caratteristici.
Gli spuntoni si moltiplicarono, costringendo la regina della notte ad indietreggiare per non essere impalata. Rapidi e acuminati, fungevano senza dubbio da meccanismo di protezione per il Settemplice Cerchio Solare, ormai divenuto Cerchio Lunare. Una volta che la fanciulla ebbe messo piede fuori dalla sala, il portone si chiuse con un rumore sordo. La ragazza lesse cosa era scritto sulla porta.

L'ultima alba, e l'ultimo tramonto.

☆.。.:*  .。.:*☆

Dario si era ritrovato nel bel mezzo di una cena piuttosto informale. Jasmine, seduta su un comodo divanetto foderato, era rimasta bloccata con la forchetta a mezz'aria, pronta ad imboccare Aladino con quella che sembrava una torta di fragole. Il marito, dal canto suo, aveva chiuso la bocca in shock, guardandosi attorno preoccupato, più dal fatto di essere stato scoperto durante uno dei momenti sdolcinati che dall'apparizione improvvisa di un ragazzo nella camera.
«Salve» pigolò il castano, abbassando lo sguardo. La sua camicia era bella che andata, e anche i pantaloni sembravano superstiti a qualche battaglia terribili. Le scarpe erano martoriate, e il povero ragazzo si rese conto di sembrare anche piuttosto un'idiota con quella ciocca recisa a metà. Si grattò il viso, consapevole del prossimo arrivo di un fastidioso sfogo di acne dovuto allo stress.

«Okay, Amal, i tuoi scherzi non fanno ridere» strepitò Aladino, alzandosi e andando a chiamare l'amico di lunga data, infastidito. Jasmine inclinò il capo perplessa, studiando il nuovo arrivato, poi fermò il marito per il colletto.
«Imbecille, non vedi che é un amico di tuo figlio? Davide, tesoro. Che ti é successo?» domandò premurosa la donna, e il castano sorvolò il nome errato perché aveva una furiosa e incredibile voglia di piangere. Senza nemmeno rendersene conto stava già lacrimando copiosamente. Aladino decise comunque di avvertire i suoi ospiti dell'improvviso arrivato, mentre la moglie puliva un po' il viso del castano dalla sabbia e dalle lacrime, consolandolo per quel che poteva.

Dopo qualche attimo apparvero anche il Genio e Susanne, invitati alla corte di Agrabah per via di quella strana sparizione delle lettere dei propri figli. La più bassa corse ad abbracciarlo e a stringerlo come se fosse figlio proprio, mentre Amal si limitò ad una sonora pacca sulla spalla, che almeno gli scrollò tutta la sabbia che aveva ovunque.
«Ma ti pare il caso?» lo sgridò la compagna, mettendo le mani sui fianchi.
«Perdonami, Susie. Scusa, Dario» pigolò il jinn, schioccando le dita e restituendo al ragazzo il vigore che aveva posseduto prima della pacca.
«Non fa niente» mormorò lui. Jasmine arrossì e si ricordò il vero nome dell'ospite a sorpresa. «Che ne dici di farti un bagno? Poi ci racconti cos'è successo» esclamò Aladino, cercando di essere la componente razionale del gruppo, cosa che faceva molto ridere al solo pensiero.

Il ragazzo annuì non proprio convinto, ma dopo una mezz'oretta passata nell'acqua calda la trovò un'idea meravigliosa. Ci avrebbe passato tutto il giorno, ma doveva avvertirli di tutto quello che era successo. I vestiti che gli avevano dato non erano esattamente nel suo stile, ma non era nella posizione di lamentarsi. E poi, erano sempre meglio degli "abiti" che indossavano i jinn. Una volta ripresentatosi dai quattro adulti, sprofondò nel divanetto, mentre Amal continuava a proporgli delle patatine fritte sbucate chissà da dove.

«Dunque, come mai sei finito qui?» domandò pacata Jasmine. Sebbene il tono fosse tranquillo e amabile, Dario ebbe il dubbio che fosse arrabbiata con lui per aver interrotto la sua cenetta romantica. Ma a sua discolpa, non era così che immaginava di presentarsi.
«Mi ha mandato qui Khalil. La situazione all'Accademia è abbastanza drammatica» esclamò lui, recuperando il coraggio perduto.
I quattro si guardarono.
«Forse per spiegarvela devo partire dall'inizio. Alla fine del primo anno c'è stato una sorta di incidente, ossia, Kay, il principe delle nevi, ci ha congelati tutti. Per un anno. Però mi ha confessato di aver mandato diverse lettere generiche a voi genitori per paura di essere messo al rogo. Quando ci siamo svegliati grazie all'arrivo della preside Saffron, lui era magicamente diventato il Gran Maestro. Per un po' le cose sono andate bene, ma poi è apparso un clone che ha cercato di sottrargli il ruolo di Gran Maestro, e hanno combattuto. E due anni fa, diciamo che Ryuu ha spinto Jamil nel pozzo dei desideri e, ehm, Kay è rimasto congelato e ora é scomparso e Khalil é un vampiro» sputò tutto d'un fiato.

Susanne si sentì particolarmente in soggezione. «Ryuu ha fatto cosa? Oh, appena torna a casa mi sente!» esclamò poco convinta, mentre Amal la guardava, indeciso su cosa dire o su cosa pensare.
«Ma questa nuova, diciamo, concorrente, ha fatto del male a nessuno?» chiese Jasmine. Dario sentì che qualcosa non andava per il verso giusto.
«Non direttamente?» squittì. Di solito Miranda incaricava gli altri di compiere le faccende sporche al posto suo, compito che Domina e Nova assolvevano con piacere.
«E allora che male c'è? Mi sembra più competente lei di questo Kay. Cielo! Il mio bambino è rimasto congelato per un anno» mormorò la sultanessa, ma il suo tono di voce non tradiva nessun'emozione in particolare.
«Signora, suo figlio è anche un vampiro. E poi Miranda ha comunque...cioè, vogliono far calare la notte eterna!» spiegò il castano.
«Sempre meglio dell'inverno eterno» rispose Susanne, convinta.
«Per i jinn la notte eterna é una grande opportunità» aggiunse Amal.

Oh, c'era qualcosa che non andava. Il ragazzo scattò in piedi, mentre guardava quelle che erano forse le ombre dei quattro adulti. Sembravano tutti confusi, ma allo stesso tempo certi che Miranda fosse perfettamente adeguata al ruolo di Gran Maestro.
Dario pensò di approfittarne per svignarsela, ma Jasmine lo indicò.

«Guardie, fermatelo!» esclamò. Il castano desiderò che il re dei jinn avesse esaudito la richiesta di qualcun altro quel giorno.

☆.。.:*  .。.:*☆

Prima di andare a corte (che comunque distava un po' dall'ex Occhio), Jalina si era premurata di portarli tutti da un medico a sua detta bravissimo. Si trattava di un uomo alto, con milioni e milioni di occhi che gli sfrecciavano attorno, e quella che sembrava un'aureola divisa in due, ormai ben poco luminosa. Mefistofele, questo era il nome dell'angelo caduto che si era divertito molto a tormentare il signor Faust in gioventù, aveva ritenuto di doverli tenere per la notte nel suo piccolo e angusto studio medico.

Dato che c'erano solo due letti, Thomas si era strizzato assieme a Keiichi, mentre Kay escogitava qualche piano per liberarsi dell'ingombrante (ormai nemmeno tanto) presenza di Jamil. Era disposto a tutto pur di riposare le sue povera membra che nel giro di poche ore avevano fatto di tutto e di più.
«Jamil?» domandò, cercando di emettere un tono di voce roco e sensuale simile a quello che riusciva senza problemi a Khalil.
«Hai mal di gola?» domandò il jinn, per tutta risposta. La cosa lo seccò immediatamente, ma decise di continuare col suo piano malvagio.
Keiichi sibilò qualcosa irritato, non riuscendo ancora a capacitarsi di essere finito in quella situazione.
«No. Khalil non ci scoprirà mai» aggiunse, con un tono che ricordava vagamente una gallina strozzata. Contava fermamente sul pudore dell'amico, sperando che si alzasse imbarazzato e si mettesse a dormire sul pavimento. Si rese conto di quanto l'opzione fosse irrealistica nel notare Thomas, seduto e intento a fissarlo scioccato. Anche il corvino si era messo di lato per vedere meglio l'evolversi delle cose.

«Ma che diamine ti passa per la testa?» domandò Jamil, guardandolo assatanato.
«Ops? Era una battuta?» piagnucolò.
«Di pessimo gusto» sospirò il jinn, e lo spinse giù dal letto con un sonoro calcio.
«Ahia» mormorò Kay, ma non si azzardò a reinfilarsi sotto le coperte. Pianificò di aspettare che tutti cedessero al sonno per spodestare il principe dei jinn e mettersi a dormire al suo posto. Non capiva davvero perché una persona pigra come Jamil potesse meritarsi il suo posto letto.

Dopo minuti interminabili, che sembravano dilatarsi all'infinito pur di non permettergli un sonno tranquillo, decise di accendere una lucina e procedere col suo piano. Non era sicuro che Keiichi dormisse serenamente, o anche solo che dormisse, ma illuminò lo stesso il dito con un piccolo incantesimo. Ma ora che ci pensava, non sarebbe stato meglio progettare uno studio medico con più letti? Avrebbe voluto davvero dormire in un letto suo, e non uno in cui era stato qualcun altro prima di lui.

Si stropicciò gli occhi. Era la stanchezza o adesso i letti erano tre? Sì, senza dubbio se n'era aggiunto un altro. Allungo la mano e provò a sfiorarlo, sventando un eventuale miraggio. No: era vero. Si girò verso Jamil, assorto in un sonno piuttosto profondo. Non poteva essere stato lui. O sì? Desiderò che il letto in più scomparisse, e così fu in uno sbuffo di fumo azzurro. Si voltò nuovamente verso il jinn. Adesso non aveva più dubbi su chi fosse ad esaudire i desideri, ma si chiese come mai non l'avesse fatto quando era ancora sveglio. Si sarebbero risparmiati quei venti minuti di discussione che erano solo serviti a far piangere Thomas. Forse non ne era capace.

Keiichi sgusciò fuori da sotto le coperte.
«Ogni tanto scoprì qualcosa di utile» sibilò.

☆.。.:*  .。.:*☆

Melody, ignara del mondo, se la stava sonnecchiando beatamente nella cella, nel letto che teoricamente doveva essere di Ryuu, viste le sue condizioni, ma che in pratica avevano deciso di dividere a metà. La metà di Melody però significava gettare via la rossa dal letto a calci mentre sognava di pestare a sangue il detestato Kay e anche Miranda, nuova aggiunta. A proposito della neo regina cattiva, c'era da dire che mentre Domina si era avventurata nella ricerca del Settemplice Cerchio Lunare o quel che era, non aveva nulla da fare che osservare i propri prigionieri. Magari il primo incantesimo aveva fatto effetto su di loro, ma terribilmente aveva dimenticato che l'Accademia non era un regno, e che se aveva guadagnato il supporto di re e regine di regni lontani che non avrebbe mai visitato, gli studenti dell'Accademia ancora dubitavano di lei.

Nel vedere Ryuu così affranta, con la testa posata sulle sbarre, e Melody così incurante mentre russava nel letto, le venne un'idea.
Si avvicinò di gran carriera alla principessa e si abbassò alla sua altezza, richiamandola con un leggero tocco sulla spalla.
«Per essere una Sempre non mi sembra così generosa» commentò, con una smorfia.
«Non lo é mai stata» ribatté l'altra, guardando Miranda con uno sguardo non più pieno d'odio, ma quasi di ammirazione. Come se le fosse appena venuta in mente un'idea geniale.
«Non ti trattano come dovrebbero» pigolò ancora la strega, in tono vagamente canzonatorio.
«No. Ti va se facciamo squadra?» rispose Ryuu, con tono sfrontato.

Miranda sorrise.

☆.。.:*  .。.:*☆

Fun fact: Maymuna e Danhash sono dei veri personaggi della mille e una notte. Ed é vero che Maymuna é la figlia del re.
Enniente questo.

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