05 ☆ Sarà stata la mano delle fate
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«Questa sera desidero che si tenga un ballo»
La voce di Domina risuonò per l'intera sala, ottenendo diverse occhiate che tradivano confusione. La sola presenza della giovane causava diverse domande, in realtà. Dalla scomparsa di Kay e dalla presa di potere di Miranda, sembrava risplendere di salute. Questo si ripercuoteva inevitabilmente sul suo aspetto: adesso abiti da sera erano quotidianità e i gioielli erano raddoppiati, ma quello che dava nell'occhio era il modo in cui i suoi occhi cremisi risplendevano nella notte. Naturalmente una regina non poteva che essere scortata: aveva reclutato le due ragazze che l'erano sembrate più sciocche e vulnerabili e aveva dato loro uno scopo. Adesso erano le sue damigelle di compagnia, e dovevano vestirsi esclusivamente di rosso. Il loro compito era seguirla e fare quello che per lei era faticoso: aprire le porte – le maniglie erano unte di chissà cosa — oppure semplicemente aggiustarle i capelli. Entrambe avevano una maschera sul viso che rendeva impossibile riconoscerle, e forse era un bene.
«E desidero che sia un ballo in maschera!» aggiunse emozionata la donna, intrecciando le dita e sospirando lieta. In effetti la sua vita non doveva essere piena di preoccupazioni come quella dei suoi sudditi.
«La partecipazione é obbligatoria! E chi avrà la maschera peggiore del ballo verrà giustiziato» commentò secca, per mettere fine alle discussioni. La folla esultò e lei si ritirò nell'ala del castello adibita a sue stanze.
«Davvero vi piace questa roba?» chiese Thomas, abbassandosi per parlare con un principe dal petto gonfio d'orgoglio.
«Perché no? Non dobbiamo studiare, non dobbiamo lavorare: il nostro unico compito é divertirci e non arrivare ultimi nelle competizioni» ribatté questo. «E ora scusami ma devo andare a prendere delle piume di pavone per la mia maschera!»
Il ragazzino fece un passo indietro e si riavvicinò a Dario con fare preoccupato.
«Sono tutti ammattiti?» gli domandò, stringendogli il braccio.
«Domina fa quello che avrebbe dovuto fare Kay. Lei sa come ingraziarsi il popolo» ribatté con voce fioca. Sua madre non era più venuto a trovarlo nel sonno e sospettava che le fosse successo qualcosa. O, nel profondo dell'animo, sapeva di aver smesso di interessarle.
«Ma finirà male! Domina non vuole solo festeggiare, Domina vuole distruggerci! E anche Miranda» sibilò il ragazzino.
«Cosa posso farci io?» sbottò infine il castano. Thomas serrò la bocca e puntò i piedi. Lo guardò male per qualche istante, poi sciolse la tensione nelle spalle e sospirò.
«Vado a cercare qualcosa per la mia maschera» mormorò, e corse via.
Ada si avvicinò a passi rapidi al giovane rimasto da solo. «Nova ha riaperto il processo di Lorina. È questo pomeriggio. Vieni?» domandò. Onestamente Dario non aveva davvero voglia di rivedere quella cesta piena di teste sanguinose e capelli mozzati. Si morse la lingua e deglutì. Si era concesso l'unica risposta cattiva dell'anno.
«Certo. Spero venga assolta» mormorò con calma. La ragazza non disse niente ed indicò Khalil, intento a svignarsela.
«Mi preoccupa» ammise infine. «È completamente succube di Domina»
«Non so cosa fare...Kay é scomparso, e non ho idea di dove sia e di come recuperarlo. Forse é meglio stare ai giochi finché lo permettono»
«È a Gavaldon. Ti ci accompagnerei ma non posso. Che scocciatura. Mettiamoci l'animo in pace e accettiamo il nostro destino. Tanto più che ucciderci non possono fare»
«Perché non puoi?»
«C'è una regola della Selva. Non puoi fare ritorno due volte a Gavaldon»
«Che strano»
«Lo so»
Ada trascinò i piedi a terra.
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Thomas si gettò sul suo letto, rischiando di dare una testata alla tastiera in legno. Strinse il cuscino e soffocò un singhiozzo.
«Non é possibile! Dovevo tornarci io a Gavaldon! Non Kay!» mugolò tra le lacrime.
Si rotolò diverse volte sul materasso, impigliandosi tra le lenzuola e le coperte, finché non si ritrovò al bordo del letto. Nel vano tentativo di non cadere si aggrappò alla tastiera, ma perse la presa e colpì lo spigolo con il capo e perse i sensi.
Non li riprese dopo molto. Aprì lentamente gli occhi e si mise a sedere. Non era nella camera, ma era tra l'erba alta. Dovevano averlo portato fuori per prendere un po' d'aria. Con fatica si mise in piedi e provò a muovere qualche passo, guardandosi attorno. Non era la Selva Infinita. Di solito era completamente innevata, ma questa volta sembrava primavera. Riconosceva gli alberi, e il ruscello davanti a lui gli sembrava familiare. Ci mise la mano dentro e tirò su un osso. Era piccolino, ma decisamente umano. Cacciò un urlo e lo lanciò, voltandosi per correre nella direzione opposta. Non era abituato a quel calore così intenso. Gli sembrava di svenire nuovamente.
«Thomas?» lo chiamò una voce femminile, piano. Si girò lentamente, per non cadere ed evitare giramenti di testa. Era al di là del ruscello. Fece per raggiungerla ma questa mise le mani in avanti e fece segno di no con la testa.
«Non puoi passare, tesoro» mormorò, con tono calmo. Si mosse lei di qualche centimetro in avanti.
«Neanche tu puoi passare, giusto?» ragionò lui. Avrebbe voluto abbracciare la sua mamma.
«Non posso, no. Ma posso allungare la mano. Vuoi tenermi la mano?» chiese la donna.
Il ragazzino guardò il lunghissimo vestito di tessuto blu. Era davvero bello. A Gavaldon non sapevano nemmeno come aggiungere il pizzo ad una gonna senza renderla orribilmente simile ad un centrino. E sua madre era bella. Si somigliavano, credeva. Lei in quel momento non aveva i capelli intrecciati come i suoi, e forse era quella l'unica differenza. Allungò la mano e la sfiorò, prima indeciso, poi sicuro di sé. Le strinse le dita, perché più di così non poteva sporgersi.
«Ti è piaciuto il tuo regalo di compleanno?» domandò la donna dopo un po'.
«Erano i pattini d'argento, vero?» ribatté il ragazzino.
«Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda» lo riprese bonariamente Safira.
«Ma hai ragione. Erano proprio quei pattini»
«Sono bellissimi. Pattino ogni giorno sul laghetto ghiacciato. Se solo questo ruscelletto fosse ghiacciato potrei passarci sopra e arrivare da te»
«Guarda che è una barriera figurale» rise lei. «Devi anche sapere una cosa su quei pattini. Naturalmente, sono incantati. Niente viene lasciato al caso»
Gli occhi del ragazzino si illuminarono. «Davvero? E cosa possono fare?» chiese.
«Ti condurranno esattamente dove devi andare, ad una velocità tale che nessuno possa tenerti testa, ma perfetta affinché tu arrivi nel momento giusto, al posto giusto» spiegò Safira. «Li scelse tua madre» aggiunse sottovoce.
«Dov'è?» chiese ansiosamente Thomas, voltandosi alla ricerca del volto materno.
«Non vuole vederti» mormorò la donna. «Si vergogna. Ma dice che ti vuole bene. Tanto bene. E che sei cresciuto così tato. Ricorda di quando ti nascondevi sotto la sua gonna»
«Ma voi...dove siete?» piagnucolò infine il ragazzo. Voleva davvero riabbracciare le sue madri, ma qualcosa glielo impediva e questo gli spezzava il cuore.
«Nel limbo. Sai, Tommy, la leggenda dice che non si può tornare due volte a Gavaldon, pena la morte. Eri solo un bambino e corresti via. Credevamo fossi nella Selva e ti seguimmo, ma eri sempre stato al villaggio. Provammo a raggiungerti»
Safira gli strinse le dita più forte. «Mi dispiace. Ne limbo ci sono i genitori uccisi dai figli e i figli uccisi dai genitori, quindi non siamo sole. Il padre di Kay ci tiene compagnia» commentò, cercando di sollevargli il morale.
«Kay» esclamò il ragazzo. «I pattini! Devo recuperarlo!»
«Allora non perdere tempo. Ti voglio bene, Thomas»
Nel girarsi verso di lei il ragazzo vide il corpo della madre spolparsi fino all'osso e cadere nell'acqua. Lo guardò per qualche istante e chinò il capo. Non era nemmeno riuscito a chiederle se si sarebbero rivisti.
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Nova era nuovamente seduto sul suo trono. In realtà non era proprio un trono, ma si atteggiava come se lo fosse. Martellò diverse volte per attirare l'attenzione dei presenti. Thisbe scosse la testa disperata. Voleva bene a Lorina, ma le sembrava che l'altra non capisse quando doveva fermarsi. La sua sfacciataggine la conduceva in guai sempre più grossi.
«Ti sei presa gioco di me e di mia madre durante lo scorso processo» esordì il principe di cuori, incrociando le braccia.
«Non proprio. Stavo solo dicendo la verità, ecco» commentò allegramente.
«Non é la verità! E comunque, questa é la volta buona che ti condanno» esclamò fiero.
«Scusate, ma nessuno si é accorto che non ci sono avvocati?» domandò la rossa, perplessa. Li cercò con lo sguardo, senza trovare niente.
«E poi il giudice giudica. Non ho nessuno che mi ha denunciato»
«Ti denuncio io!»
«Ma allora dobbiamo andare in tribunale»
«Siamo in tribunale!»
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Da qualche altra parte, la Fata Turchina singhiozzava e strofinava il pavimento. Guardò mogia la catena che la legava al bancone.
«Non piangere così tanto, non é malissimo come lavoro» la rincuorò Jamil, sistemandosi l'ennesima coppia di orecchini d'oro allo specchio.
«Sei un demone!» sibilò lei, disperata. «Mi hai ingannato!»
«Tecnicamente sì, sono un demone» rispose tranquillamente il jinn. Si allacciò una delle diverse cinture che aveva alla vita, scocciato.
«Pesano più del pantalone e lo portano giù» si lamentò.
«La mia vita é un incubo per colpa tua!»
«Non capisco perché i jinn inventino cose inutili come queste»
«Cosa faranno i bambini senza la mia protezione?!»
«Questa poi é già rovinata. Mi sa che devo sostituirla. Budur, che ne hai un'altra?»
«Ascoltami almeno!»
«Mi porti anche una tazza di té?»
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Dario era seduto a decorare la sua maschera, spossato dopo l'ennesimo processo di Lorina. Thomas gli si parò davanti e lo guardò fisso, con i pattini d'argento in mano.
«Vado via» disse, cercando di trovare qualche altra parola che potesse spiegare il suo intento. Il castano lo guardò perplesso.
«Via?» chiese, inclinando il capo. «Vai a pattinare?»
«No. Cioè, sì. Cerco il momento giusto nel posto giusto. Magari troverò la donna dei miei sogni e avremo dei figli nel mentre, ma devo assolutamente rispondere alla chiamata del destino» mormorò, abbassando lo sguardo. Dario rise e posò piume e brillantini sul tavolino.
«Se incontri davvero la donna dei tuoi sogni e hai una figlia con lei chiamala Miracolo perché è praticamente impossibile che succeda» ridacchiò, aspettando che Thomas svelasse lo scherzo. Ma improvvisamente Dario realizzò che non c'era alcuno scherzo. Andava via davvero. L'espressione rilassata si trasformò in una seria e preoccupata.
«Dove vuoi andare?» chiese, e gli accarezzò lentamente il viso, consapevole che non si sarebbero più rivisti. La realizzazione gli strappava il cuore, forse anche per ragioni egoistiche. Thomas aveva sempre avuto bisogno di lui. Era sempre stato il suo punto di riferimento. Quando c'era un problema chiamava lui per risolverlo e dopo lo guardava come se fosse l'uomo più bello e forte del mondo. In quei due anni aveva ricevuto l'amore incondizionato che riceve un padre dai suoi bambini, e ora il fato glielo stava strappando crudelmente via.
«Dove mi portano i pattini. Sei l'unico che saluto, perché mi fido di te» rispose il ragazzo, appoggiandosi a lui e abbracciandolo silenziosamente.
«Ti fidi di me» mormorò il castano, ripetendolo per assimilarne il significato, e lo cullò dolcemente. Non era pronto a lasciarlo andare. E nemmeno Thomas era pronto a partire.
«E chiedi scusa agli altri da parte mia, per favore » aggiunse, sciogliendosi lentamente dall'abbraccio.
«Va bene» mormorò Dario e gli diede uno schiaffetto sulla guancia. «Allora ciao, Tommy»
«Addio, Dario» rispose il bambino. «Ti voglio bene»
«Ti voglio bene anche io»
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La notte era calata. La musica aveva iniziato a danzare per tutto il castello, e gli invitati si stavano presentando nel salone felici di esistere. Per qualche attimo la vita diventava perfetta.
«Thomas non viene?» domandò Khalil, sistemandosi l'elaborata acconciatura che lo faceva sembrare un piccione, a parere di Melody.
«No» ribatté abbattuto Dario, cercando dentro di sé la forza per dire la verità, ma ricevendo come risposta solo un eco.
«Strano, pensavo gli piacessero i balli» commentò il principe, poi aggiustò la maschera del più basso con l'indice.
«Molto meglio» commentò deliziato.
«Speravo vedesse la mia maschera» bofonchiò Keiichi. Era decisamente elegante, ma il ragazzo non riusciva davvero a trovare un equilibrio tra le piume di pavone e l'abito dai colori eccentrici. Ma cosa ne poteva sapere lui? Il suo abito aveva delle toppe sui gomiti.
«Sicuramente ti avrebbe detto che é un plagio della mia» lo rimbeccò Khalil, indicando una piuma di pappagallo che sbucava dai capelli.
«Ah! Che bel coraggio che hai!» ribatté il corvino. Melody si mise in mezzo ai due litiganti per evitare un conflitto armato.
Il castano andò a sedersi da qualche parte, abbattuto. Si versò del vino senza troppi complimenti. Non aveva più nessuno. Lo sorseggiò senza troppa energia. Guardò i fiocchi di neve intraprendere il loro valzer e precipitare al suolo. Oh, che esistenza fragile e magnifica la loro! Vivevano solo per essere felici, per pochi attimi, che bastavano a cogliere la vera essenza della vita. Forse era un po' ubriaco, ma accarezzò comunque il vetro della finestra, che lo separava dal mondo delle nevi. Gli mancava Kay, davvero tanto. Gli doleva il cuore, e non sapeva nemmeno che fosse in grado di soffrire così tanto. Si accartocciò su sé stesso e pianse. Pianse e pianse, ma la musica era troppo forte e il ballo troppo magico perché qualcuno gli prestasse attenzione.
La regina del ballo e della notte fece il suo ingresso nella sala. Ormai Dario vedeva tutto sfocato, ma distinse che qualcuno le si avvicinava. Non sapeva chi fosse e non gli interessava. La donna si era naturalmente avvicinata a Khalil, il suo prediletto tra i ragazzi che le facevano la corte, nonostante il principe non le avesse fatto alcuna avance.
«Non mi offri nemmeno un ballo?» mormorò lei, col finto tono dispiaciuto che irritava le orecchie di chiunque nonostante il tono smielato e convincente.
«Sicura che a Miranda non dia fastidio?» domandò lui, cauto. Keiichi lo guardò di traverso. Nemmeno lui, che era un Mai, mancava così tanto di rispetto alla sua dolce metà. Lo trovava inaccettabile. Una volta che si é devoti a qualcuno lo si é per sempre, o no? Scosse la testa. In realtà non aveva idea del perché ragionasse così. Stava empatizzando con Jamil o si stava innamorando perdutamente di Melody? Sperò che nessuna delle due opzioni fosse la risposta.
«Non lo so. E anche se le desse fastidio, a me non interessa» gli sibilò all'orecchio la bionda, costringendolo ad abbassarsi. Khalil arrossì leggermente.
«Non sei un po' troppo crudele con lei? Stai giocando col suo cuore» commentò lui, lasciandosi trascinare via e mandando qualche occhiata disperata a Ryuu, che non parve provare pietà.
«Anche lei sta giocando col mio» si lamentò la fanciulla, guidandolo nella danza.
«Chi giocherebbe col cuore di una ragazza come te?» domandò il principe, pensando spaventato alle conseguenze possibili. Domina avrebbe potuto benissimo strappare il cuore di chi l'aveva tradita e usarlo come decorazione per il suo specchio. Dallo sguardò ammiccante della bionda si rese conto che la frase potesse essere interpretata in diversi modi.
«Più di uno, sai?» mormorò lei, mettendo su un teatrino eccezionale. Sapeva che avrebbe ceduto all'idea di una fanciulla così bella col cuore spezzato proprio come il suo.
Sorrise, le labbra lucide della pozione di disamore che intendeva utilizzare la notte stessa. Gli accarezzò la mano, soffermandosi sull'anello che aveva all'anulare.
«Forse é il caso di toglierlo» suggerì delicatamente. «Devi imparare a lasciare andare. Posso capire il tuo dolore più di tutti gli altri, e so quanto é intenso. Un tempo ero sposata, sai? Il mio cuore apparteneva a lui, e il suo apparteneva a me. Eravamo destinati a stare insieme...e invece no. Almeno é morto velocemente e non ha sofferto» mormorò, senza mentire. Le lacrime le rigarono dolcemente il viso, rendendola più simile ad una bambola che ad una ragazza in carne ed ossa.
«Dici davvero?» chiese Khalil, destabilizzato dal pianto della fanciulla. Gli sembrava che stesse raccontando la verità e le asciugò le lacrime. Domina si autoinvitò ad appoggiarsi al suo petto.
«Lascialo andare. Tutto quello di cui hai bisogno adesso é davanti a te, tra le tue braccia» concluse la regina, e si mise in punta di piedi per dargli un casto bacio. Il castano sentì uno strano sapore sulle labbra. Forse era dolce, forse amaro. Non avrebbe saputo descriverlo. Ed improvvisamente si rese conto che Domina aveva ragione. Lui non aveva bisogno di un morto, lui aveva bisogno di lei. Non aveva bisogno di una relazione infantile, ormai erano adulti. E lui era umano, e un principe. Non avrebbe mai potuto amare davvero un demone! Anzi, l'idea gli disturbava lo stomaco.
«Mi ami, Haidar?» domandò gentilmente Domina. Il castano esitò per un attimo, il tempo che la pozione di disamore completasse il suo compito. Si inginocchiò e le prese la mano, baciandola delicatamente.
«Naturalmente, vostra maestà» ammise, concentrandosi solo su di lei. Ryuu e Keiichi si guardarono, ma il ragazzo non si girò nemmeno una volta verso di loro. Il suo sguardo era cambiato, e non in meglio.
«Dillo con le tue parole» continuò la donna, non paga.
«Ti amo, Domina Asteria. Il mio cuore sanguinava e tu l'hai ricucito»
«Bene» commentò la fanciulla, coprendosi il rossore sulle guance aprendo un ventaglio.
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Kay dormiva in una stalla. Gli era sembrato l'incubo più puro fino a pochi tempi prima, ma in realtà la mucca Gemma era bella calda e molto simpatica. Era una sistemazione provvisoria ma non brutta. Non sapeva cosa fare della sua vita, ma almeno sapeva chi era e non rischiava di essere la causa della fine del mondo. Almeno lo sperava. Gli sarebbe davvero piaciuto trovare un lavoro, così almeno il popolo di Gavaldon avrebbe iniziato ad apprezzarlo e a integrarlo nella società. Perché ci aveva provato, ma non era riuscito a scappare. Forse il suo destino era quello di fare il lattaio. Non era malissimo, come lavoro. Gemma muggì.
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La serata era continuata come se niente fosse accaduto.
«Non é né il primo ragazzo né l'ultimo a dichiararsi a Domina» commentò Melody, cercando di rincuorare in qualche modo Ryuu.
«E poi non dispiacerti troppo per Jamil. Voglio dire, non l'ha certo visto dichiarare il suo amore eterno alla sua acerrima nemica» mormorò la fanciulla, mettendo una mano sulla spalla della migliore amica.
«Non é questo che mi turba. Voglio dire, mi dispiace per Jamil e tutto, ma la verità è che Khal e Domina non si sono avvicinati per caso. È successo un pasticcio, diciamo...che coinvolge Khalil che non sa bere sangue e Domina che non aspettava altro» spiegò la rossa.
«Khalil l'ha morsa e si sono lasciati prendere dalla passione e ha paura di dire a Jamil che...»
«No! No, voglio dire, non ne ho idea. Però Khalil ha, uhm, dissanguato un ragazzo e Domina ha visto tutta la scena. E naturalmente l'ha ricattato. C'ero anche io e l'ho aiutato a pulire» borbottò rapidamente.
«E quindi? Jamil non mi sembra il tipo da giudicare? L'unica volta che hanno litigato è perché quando Ghayth ci ha provato con Jam Khalil ha proposto una threesome»
«Non so perché abbia pensato fosse una buona idea. Comunque, adesso é sicuramente stregato. Non credo possa davvero innamorarsi di lei, deve esserci qualche stregoneria dietro»
«Ma è naturale che ci sia. È Domina, non Biancaneve. Affascina solo gli sciocchi. Non sto dicendo che Khal é una testa di rapa, ma...»
Si guardarono. Keiichi sorseggiava il suo drink con fare indaffarato. In realtà sembrava star apprezzando molto la sua pina colada con l'ombrellino. Anche la cannuccia arzigogolata sembrava interessarlo.
«Tu cosa ne pensi?» domandò Melody, cercando di coinvolgerlo e distrarlo dall'alcool. Il corvino la guardò con gli occhi languidi.
«Riguardo cosa?» domandò ingenuamente, osservando l'ombrellino. Era proprio un bel ombrellino. Era rosa e molto bello. Veramente ben fatto. Lo prese tra le dita.
«Riguardo Khalil, che si é appena dichiarato a Domina!» strillò la fanciulla, disperata.
«Non mi interessa. È sempre stato uno stolto. Posso avere altra pina colada?»
«No, Keiichi. Basta pina colada. E lascia quel dannato ombrellino!»
Una voce interruppe l'amabile conversazione. Domina cinguettò allegra, spingendo gentilmente Haidar tra la folla.
«Le vostre maschere erano tutte deliziose! Eppure qualcuno non si é impegnato come avevo richiesto. É una tragedia. Dunque ho deciso di punirlo per non aver seguito le regole. Lorina, dov'è la tua maschera?» domandò irritata. La giovane apparve baldanzosa, con il viso totalmente scoperto.
«La sto indossando in questo istante!» squittì soddisfatta. La bionda rise.
«Indosso non hai nulla» commentò secca dopo qualche ghigno falso.
«E invece sì. Tu credi di indossare una maschera, ma ne indossi due. Pensi di avere un adorabile oggettino di seta dura sul viso, ma in realtà reciti anche una caricatura. Tu non sei davvero quello che mostri, e questo conta come maschera. Neanche io sono davvero Lorina. Sono solo una caricatura di me stessa. Una versione gonfiata e trascinata così tanto che la mia vera personalità è andata perduta nei primi capitoli. In fondo qui siamo solo interpretazioni di diverse schede? Non siamo solo accumuli di parole destinati a provare emozioni spiacevoli per l'intrattenimento di creature che non vogliono confrontarsi con la realtà» commentò fiera di sé stessa.
Nova e Domina si guardarono, e quella sera il rumore sordo della testa della figlia di Alice che cadeva sul pavimento turbò le orecchie di tutti.
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