04 ☆ Processi vari (giudiziari, trasformazioni e liberazioni)


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Ipoteticamente, un giorno potresti morire e nemmeno lo sapresti. Apriresti gli occhi e ti ritroveresti in un luogo misterioso. Magari é l'Inferno. O il Paradiso. O il Purgatorio. Ma conoscendosi, Kay dubitava fermamente di essere finito lì. L'unica cosa che gli suggeriva la sua cara mente razionale era di pensare lucidamente e capire dov'era e perché così tante persone strane lo fissavano. Il luogo non gli sembrava nemmeno così assurdo, ma venir assalito da uomini e donne che si somigliavano tutti era curioso. I loro capelli erano quasi tutti scuri, e i lineamenti simili. La cosa che lo turbava è che le uniche persone ad avere i capelli bianchi come i suoi erano quelle più distanti, rugose come un foglio accartocciato. Non avevano nemmeno occhi dolci e accoglienti come ti aspetteresti da delle dolci nonnine in un villaggio. Doveva dire qualcosa. Magari l'avrebbero riconosciuto come simile a loro e si sarebbe spezzato quel velo di diffidenza che lo ricopriva.

«Io...» iniziò debolmente, con la voce roca. Sapeva chi era, ma i ricordi gli venivano meno. Doveva presentarsi, innanzitutto.
«Tu sei Kay» concluse una donna. Il ragazzo la osservò, perché per riconoscerlo doveva conoscerla per forza. E invece gli sembrava la persona più anonima del mondo. Capelli grigiastri, che erano legati in modo confusionario sulla testa, ma che tradivano qualche segno di gioventù in un colore bruno. Aveva delle rughe sulla fronte e accanto agli occhi, accompagnate da un paio di occhiaie molto scure. Le labbra erano leggermente tinte di un tenue rosa. E con quelle mani sorprendentemente giovanili teneva una scopa al contrario. Gli mise rapidamente il manico sotto il collo, costringendolo ad alzare il capo.
«E sei il principe delle nevi» aggiunse una ragazzina. Guardò anche lei, senza muovere la testa. Doveva avere la stessa età di Thomas, né più né meno. Aveva dei ricci biondissimi, legati in un bel fiocco azzurro dietro la testa. Piegò il capo, sorridendogli gentilmente. Aveva un vestito blu che le arrivava poco più sopra delle caviglie, ed un grembiule arancione. Osservò i suoi stivaletti lerci. Doveva camminare molto. Accorgendosi di essere osservata, si guardò sospettosamente attorno.
«La mia prozia era Riccioli D'Oro» mimò con le labbra, e involontariamente Kay fece una smorfia. Avrebbe dovuto capirlo. La donna che gli teneva l'arma alla gola lo costrinse a guardarla di nuovo. Questa volta si era aggiunto un uomo, un po' stempiato dalla preoccupazione che gli mangiava le ossa dalla sua nascita. Mise una mano sulla spalla della signora e strizzò gli occhi.
«Cos'abbiamo qui?» chiese con tono che tradiva un evidente paura dell'ignoto.
«Cyril, ti devi mettere gli occhiali» lo rimproverò bruscamente la moglie, senza cattiveria.
«Scusa scusa. È che siete corsi tutti fuori e volevo capire perché»
«Senza occhiali non lo capirai mai»

Kay approfittò della confusione per reclinare il capo e sgusciare via dalla trappola. Si alzò di scatto e corse via, dirigendosi verso la foresta. Gli adulti si guardarono. Inseguirlo per loro era inutile. Ma per Carolina no. La ragazzina si alzò la gonna e gli corse dietro conservando il sup sorriso, veloce come il vento. Notò immediatamente (e quasi con dispiacere) che il principe era piuttosto impacciato. Credeva che all'Accademia fossero tutti molto atletici. Lo raggiunse in qualche attimo, quando ormai erano nel bosco. Kay si fermò, arrendendosi. Si appoggiò ad un albero per riprendere fiato. Non si sentiva molto minacciato dalla ragazza.

Cercò di sembrare intimidatorio lo stesso.
«Umana» iniziò, tra un respiro affannato e l'altro. Carolina lo abbracciò e lo strinse forte, con un po' di risentimento.
«Tu sei il principe delle nevi. E anche il Gran Maestro. Hai portato via Thomas» mormorò.
«Thomas si é portato via da solo» provò a ribattere lui.
«Lo so. Volevo venire con lui. Almeno saremmo stati pari» spiegò.
«Pensavo non ci avesse visto nessuno, a parte quella signora che ha urlato all'assassinio»
«Quella signora é la mia vicina di casa, e poi é morta l'anno scorso. E comunque, tutti vedono una slitta enorme che vola, anche se scelgono di non vederla e di non parlarne. Tommy aveva promesso che ci saremmo sposati e poi saremmo scappati nella Selva Infinita. Non sono arrabbiata con lui, ha fatto quello che doveva. Ma adesso non lo potrò vedere più» sputò tutto d'un fiato.
«Mi ha parlato di te» mentì il ragazzo, cercando di sollevarle il morale.
«Non é vero. Non ne ha parlato con te. Ne ha parlato con un altro»
«Come lo sai?» chiese preoccupato il principe.
«Mi fischiano le orecchie quando qualcuno parla di me o mi conosce. A Gavaldon mi usano per togliere il malocchio» spiegò rapidamente.

Kay si guardò attorno e rimase piuttosto sorpreso da quello che vedeva. Ai suoi piedi c'era un ruscello pieno di ossa umane. Alcune erano piccole. Di un bambino. Altre grosse. Due donne. Carolina abbassò lo sguardo.
«Il vero figlio della madre di Ottilie. Le madri di Thomas» commentò, e lo guardò di sottecchi.
«Come...»
«Non sei a Gavaldon. Ormai sei nella Selva Infinita. Ma non puoi oltrepassare questo ruscello»

Kay necessitò di sedersi su una pietra e prendersi la testa tra le mani. Carolina si sedette accanto a lui e rimase in silenzio, imbarazzata. Avvampò e boccheggiò come un pesce fuor d'acqua, cercando le parole giuste per scusarsi di aver parlato troppo.
«Spiegami» chiese poi il ragazzo, con tono autoritario.
La bionda iniziò a gesticolare, prendendo un bel respiro.

«Ci sono due luoghi. Gavaldon e L'Altra Parte. Un tempo Gavaldon serviva a tenere il Narrastorie in salvo da qualsiasi influenza di magia. Ma gli umani ne avevano paura e L'Altra Parte lo prese e lo portò via, lasciando gli abitanti qui a marcire. Nessuna magia. A meno che tu non sia un bambino. Quando il tuo cuore é tenero, L'Altra Parte ti permette di arrivare a questo ruscello, solo per guardarla e rimpiangere quello che avresti potuto avere. Ma ogni tanto prendi due bambini. Per risarcire Gavaldon di quello di cui é stata privata»

Non capiva di cosa parlasse finché non si girò. Le due torri dell'Accademia lo guardavano, brillanti e rilucenti. Erano così lontane, ma gli sembrava che correndo ci sarebbe potuto arrivare. Si alzò di scatto e provò a oltrepassare il ruscello. Lui era il Gran Maestro, no? Aveva il diritto di farlo. E invece andò a sbattere contro qualcosa di invisibile che lo respinse indietro.
«Benvenuto a Gavaldon» sospirò Carolina. «E scusa se parlo tanto. Sono emozionata. Non avevo mai visto qualcuno di così bello» esclamò. Kay sospirò rumorosamente.

«Faccio questo effetto a molti»
La bionda rise.

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Dicono che siamo noi gli artefici del nostro destino. Forse il destino della Fata Turchina sarebbe stato diverso se solo avesse tenuto Dario con sé e avesse annunciato al mondo che aveva un bambino. Quella mattina era una mattina sgradevole, come tutte quelle in cui si recava nella bottega di Budur per comprare qualcosa. Non aveva idea di come la jinna si procurasse gli ingredienti e non ci teneva a saperlo, ma qualcosa le diceva che non era il metodo più corretto. Aprì con fatica la porta, spingendola con tutto il peso del corpo. Il tintinnio del campanello appeso avvertì l'intero negozio del suo arrivo. Si costrinse a sorridere imbarazzata, mentre i suoi lunghi boccoli azzurri illuminavano l'interno di un pallido blu. Salutò la proprietaria con un leggero inchino. La jinna ricambiò educatamente, poi riprese a leggere l'etichetta di un barattolo per un cliente particolarmente esigente.

Sapendo cosa le serviva e dove fosse, la donna sgusciò tra i mille corridoi creati dagli scaffali. Si mise in punta di piedi per arrivare ad una scatola piena di piume dorate, rischiando di farsele cadere addosso pur di non chiedere aiuto. Non poteva far sapere che la Fata Turchina comprasse i suoi ingredienti da Budur come molti altri maghi. Eppure si sentiva degli sguardi puntati addosso. Strinse le due piume che aveva selezionato al petto e indietreggiò, spaventata. Infine riuscì a identificare il proprietario degli occhi che la fissavano. Un ragazzo la spiava curioso, nascosto dietro uno degli scaffali. Sorrise rincuorata. Gli si avvicinò lentamente.

«Non spaventarti» disse piano, indicandolo e mettendo le piume nella tasca, con l'intenzione di pagarle dopo. «Abbiamo i capelli di un colore simile» aggiunse in tono allegro, per ottenere la sua simpatia. Il jinn si allontanò facendo tintinnare la catena legata alla caviglia. La Fata Turchina se ne accorse e lo inseguì, guardandolo girare tra gli scaffali senza criterio. Decise di rimanere ferma in attesa che la catena si esaurisse da sola e che il ragazzo rimanesse bloccato da qualche parte. Non ci volle molto, e gli si avvicinò decisa.
«Perché mi spiavi?» chiese con tono leggermente più duro rispetto a quello smielato che aveva usato precedentemente.
«Tu sei la Fata Turchina?» chiese infine il ragazzo, assottigliando lo sguardo, cercando di intimidirla.
«In persona» rispose lei, sedendosi accanto a lui e scombinandogli i capelli. «Come sei finito qui? E questa catena?» chiese, sollevandola tra le dita.
«Ho oltrepassato le proprietà di Budur senza saperlo. Quindi le devo la mia anima finché qualcuno non spezzerà la catena» rispose rapidamente. «Mi chiamo Jamil, comunque»
«Cielo, Jamil, sei proprio un pasticcione per essere finito nelle mani di Budur. Anzi, nella sua tela» rise la donna, scherzando per metterlo a suo agio ma ottenendo l'effetto opposto. Guardò meglio la catena, cercando qualche anello da cui partire. «Come fai a non sapere quali sono le sue proprietà? Sei un jinn»
«Non ero mai stato nel regno dei jinn» rispose lui. «Io e mio padre viviamo Sopra»
«Strano. Molto strano. Conosco solo pochi jinn che vivono Sopra»
«Ci vivono quelli banditi dal regno» le suggerì Jamil.
«Oh cielo. E tuo padre é stato bandito?»
«Sì. Ma per motivi ingiusti. L'ha bandito mio zio perché voleva il trono»
«Quindi saresti il principe? Sei andato all'Accademia?»
«È una lunga storia» bofonchiò il jinn, aspettando con pazienza che la fata spezzasse la catena. Ci stava mettendo così tanto che aveva dei dubbi sul fatto che riuscisse a farlo. Finalmente un anello emise un rumore stridulo, come se stesse per rompersi.

«Tu...sei la mamma di Dario?» chiese improvvisamente Jamil. La Fata Turchina lasciò cadere la catena e sorrise nervosa.
«Uh?» domandò, mentre il jinn spostava lo sguardo dalla catena alla donna, in attesa che riprendesse il lavoro. Scosse la testa inconsciamente.
«Di Dario! Tu sei sua madre» ripeté il jinn. «Parla sempre di te e di quanto ti voglia bene» aggiunse rapidamente, per farla ammorbidire.
«No. No, non...voglio dire, é mio figlio ma...silenzio. Non dire niente» bofonchiò con fare sconclusionato e gesticolando.
«Perché no? É un ragazzo di cui andare fieri. La catena! Devi romperla»
«Sì ma! Non sono pronta! Non é mio figlio se non...non sono una madre. Capisci? É un ragazzo buono. Lo so. Però non vuole usare i suoi poteri come dico io, e questo mi rammarica. Cielo, non hai figli, non puoi capire quello che dico»
«Anche la mia mamma diceva che dovevo esaudire i desideri per rendere felici gli altri. E con altri intendeva sé stessa. Tu pensi a Dario come a un'estensione di te stessa. La catena!» sibilò Jamil agitato. Sentiva Budur arrivare, e voleva andarsene.

I passi della proprietaria risuonarono nel silenzio imbarazzante, questa volta abbastanza forti da essere uditi anche dalla fata. Jamil la prese per le spalle. «Sbrigati!» esclamò. «Devo andare via!»
«Non posso...non puoi dire nulla su di me. Cosa ho fatto per meritarmi questo? Io aiuto i bambini. Il mio stesso figlio ha messo i suoi amici contro di me»
«Ma ci sei o ci fai? Ti ho detto che parla bene di te!» esclamò il jinn, mettendole le mani sull'anello. «Senti, non fa niente. Solo, apri questa cosa. Io vado via e dirò che sono scappato da solo. Ma apri questa catena!»
«Prometti di non dire niente?»
«Ma chissene! Apri e basta!»

La Fata, umiliata, spezzò in due la catena. Vide il jinn schizzare via e rimase sul pavimento. Guardò la catena che aveva ancora tra le mani e lacrimò per la sua stessa incompetenza. Budur la guardò dall'alto, incrociando tutte e sei le braccia in disappunto.
«Non solo cerchi di rubare le piume che faccio più fatica a reperire, ma liberi anche il mio garzone» commentò seccata.
«Ah! Ah...avevo intenzione di pagarle, naturalmente» balbettò la Fata Turchina, intimidita. Si fece piccola piccola.
«E per il garzone? Che facciamo? Perché non mi porti tuo figlio Dario? Credevo non avessi figli»

La donna deglutì.

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«Te l'ho detto che bruciare i loro libri non era una buona idea» sibilò Khalil. Forse non era la situazione migliore per ammetterlo, ma il castano non riusciva a controllare la sua lingua quando era nervoso. Dritti come soldatini, erano stati messi in fila da Miranda, che passava tra loro come un generale particolarmente crudele. Il Narrastorie fluttuava ancora in aria, ma sembrava seguire il comando della rossa. Thisbe era ancora accanto a lei.
«Almeno sai che non faranno nessun incantesimo dai libri» ribatté Ada, guardando la bionda venir strapazzata in continuazione.
«Verremo inceneriti» concluse il castano. Rigirò tra le dita l'anello di Jamil ritornato al mittente.

«Ho intenzione di concludere qui la vostra istruzione» bofonchiò infine Miranda, dopo aver ponderato a lungo cosa dire.
«Cambierà tutto. Sfortunatamente, nonostante sia di fatto una principessa, non ho un castello. Quindi questo sarà il mio. Sarete lietamente invitati a rimanere qui come la mia corte. Purtroppo qui dentro in molti mi hanno fatto dei torti! Mi sembra giusto processarli. Ma non temete, anime pulite. Arriverò anche a voi. Adesso ho altro da fare» concluse, gettando Thisbe tra la folla. La bionda la guardò andare via, accompagnata fedelmente da Domina e Nova.

Khalil l'aiutò ad alzarsi. Ada le diede una sberla. «Dovevi proprio sanguinare?»
«Non é che può controllarlo» commentò il castano, assottigliando lo sguardo e scuotendo la testa.
«Lo so. Lo so, sono solo frustrata» borbottò la lettrice, mentre Thisbe rimaneva in silenzio e lacrimava copiosamente. Alzò l'occhio al cielo.
«Scusa Thisbe. Non volevo darti uno schiaffo» commentò, fissando male il castano.
«Così va bene?» sibilò sotto voce, per nulla pentita del gesto. Ma la bionda era troppo impegnata a tremare per rendersi conto di quello che stava succedendo. Figurarsi se le importava delle cinque dita che aveva stampate sulla guancia.

Thomas corse verso di loro, aggrappato a Dario. Il più alto cercava disperatamente di frenare la corsa e di non dare nell'occhio, ma l'agitazione del ragazzino glielo impediva. Disperato, il più basso si guardò attorno e infine saltò tra le braccia di Thisbe, buttandola giù come un birillo. Nessuno degli altri tre li aiutò e li guardarono rotolare sul pavimento.
«Mi dispiace non averti salutato! É tutta colpa mia! Se ti avessi salutato non avresti fatto amicizia con Miranda e Kay non sarebbe finito nel portale!» biascicò tutto d'un fiato.
«Se me lo dici così mi convinci davvero che sia tutta colpa tua» commentò bruscamente Ada. Khalil le mise una mano sulla spalla e non disse niente, ma la ragazza si quietò per un attimo. Ryuu si avvicinò con circospezione, mentre Melody trascinava Keiichi verso il gruppo.

«Non posso credere che Miranda e Domina ci abbiano voltato le spalle!» squittì Keiichi in falsetto, guardandoli tutti male e imitando in particolare la voce di Khalil, che non gradì particolarmente.
«Guarda che io non parlo così» sussurrò.
«Lo so, parli come parla il cinghiale innamorato di Adone» commentò il corvino, lasciando il più alto in silenzio. «Specialmente appena sveglio» aggiunse poi.
«Beh, che dobbiamo fare? Io non voglio diventare una cortigiana!» piagnucolò Ryuu.
«Io userei il termine schiavi, perché vuoi che ci trattino con dignità?» sibilò Keiichi, particolarmente preso dal non dire che gliel'aveva preannunciato da un pezzo. «So già cosa ci metteranno a fare: i giullari. E direi che voi ve lo meritate, io no!»
Dario sospirò.
«Anche me?» bofonchiò Thomas disperato.
«Specialmente te. Forse l'unico che si salverà da questo crudele destino é Khalil perché Domina lo userà come scaldaletto...se capite cosa intendo. E comunque, io me ne vado»
«Se vai via vengo con te» ribatté Melody.
«Certo, e poi con noi viene Ryuu, con Ryuu Khalil, con... santo cielo, sto parlando con dei Sempre! Dei Sempre! Sto impazzendo»
Ada lo guardò con sufficienza.

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In tribunale. Erano finiti in tribunale. In realtà Keiichi non era nemmeno sicuro che fosse veramente un tribunale, perché non ci era mai stato. Ma aveva studiato abbastanza per riconoscerlo, all'incirca. Forse le proporzioni erano sbagliate, perché Nova si elevava ad un'altezza spropositata per la sua stazza al posto del giudice.
«Sta cercando di compensare qualcosa» commentò Thomas. Melody mugugnò in senso di approvazione.
«L'altezza o la lunghezza?» domandò Khalil. Ryuu gli pizzicò il braccio e gli intimò con uno sguardo di starsene in silenzio. Per loro fortuna erano solo spettatori dei processi che iniziavano e finivano con incredibile rapidità. Erano piuttosto sicuri che l'attesa facesse parte della loro tortura.

«Signorina Lorina, lei...» iniziò pomposo il rosso.
«Sono colpevole!» esclamò la ragazza, alzando entrambe le braccia in segno di vittoria.
«Non ti ho nemmeno detto di cosa! Silenzio!» esclamò lui, allungando spropositatamente la i, cosa che lo fece risultare piuttosto ridicolo.
«Ma io sono colpevole»
«Non lo sei finché io non dico che sono colpevole! Cioè, che sei colpevole!» squittì il principe di cuore, schiarendosi la voce e tossendo per coprire l'errore.
«D'accordo»

Lorina sorrise allegramente e giocò con la sua treccia. Ada e Thisbe la guardavano nervose.
«Di questo passo si farà assolutamente decapitare» mormorò la bionda, abbattuta.
«Vivrà un po' di più degli altri, perché la cesta delle teste é piena» commentò macabramente Ada, indicando il cestino che conteneva tutte le sorprendentemente poche vittime di Nova. Gli altri, che non l'avevano notato, sussultarono e rabbrividirono. A quanto pare il ragazzo non scherzava.

«Dicevo. Lei mi ha chiamato orripilante nano rosso, brutto gnomo di fogna, abbagliante uomo basso e via dicendo»
«Abbagliante uomo basso? Chissà cosa intendevo. È un termine molto interessante però! Mi permette di parafrasarlo, signor Giudice? Vorrei darle una versione aggiornata al lessico moderno»
A quel punto il principe di cuori scattò in piedi e la indicò, col volto arrossato per la rabbia e l'imbarazzo più puro.
«Tagliatele la testaaa!» strillò in preda alla furia.
«Obiezione!» rispose invece Lorina, saltando in piedi anche lei. «Lei – nel caso non lo sappia, intendo usare la terza persona femminile in segno di rispetto e non perché lei é una fanciulletta stressante – vuole utilizzare la ghigliottina. Questo strumento fomenta i nostri ideali illuministici, ma sa cos'altro é illuminista? L'eguaglianza. Mi permetta dunque di giudicarlo»
«Assolutamente no! È aberrante che lei mi proponga una cosa del genere! Io sono il re! Io sono il re di cuori!» piagnucolò Nova, sbattendo prima il martelletto che segnava la fine di una sentenza e infine entrambi i pugni sul tavolo.
«Se il re dei capricci» rispose Lorina scuotendo la testa. «Perfino tua madre era più lucida...»
«Non parlare di mia madre!»
«Allora parliamo del tuo fidanzato? Mi é giunta voce che non fosse fedelissimo»

Nova cacciò un urlo, con il viso paonazzo. Afferrò il martelletto e lo tirò in direzione della ragazza, che preferì semplicemente scansarsi.
«Sono impressionato» commentò Keiichi.
«In senso buono?» domandò Melody sbattendo le ciglia.
«Non so dirtelo» borbottò il corvino, seriamente perplesso.
«Ti condanno ai lavori forzati per tutta la vita!» esclamò Nova. «In questo modo non avrai mai pace»

Ghignò soddisfatto. Lorina gli fece i pollici in sù. «Molto volentieri! Non vedo l'ora di iniziare!» esclamò, e il principe dei cuori strillò frustrato.
«Noo! Devono essere forzati! Devi essere triste!»
«No, dai»

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«Rivelami i tuoi segreti» sussurrò Miranda, guardando con dolcezza il Narrastorie. «Perché hai aperto un portale verso Gavaldon? Volevi aiutarmi? Cosa ti ha spinto a darmi una mano?» domandò curiosamente. Domina era seduta dietro di lei, dondolando le gambe proprio come una bambina felice. Il suo umore ultimamente dipendeva da quello della rossa, e in fondo in fondo apprezzava dipendere così tanto da lei. Non sottovalutava sé stessa, ma le piaceva molto essere così...non trovava nemmeno gli aggettivi giusti. Le piaceva appartenere a qualcuno.
«Non lo capisco» sospirò infine Miranda, staccandosi dall'oggetto tanto amato.
«Forse é la potenza del desiderio. Insomma, è quello su cui si basa il nostro mondo. Avrebbe senso, no?»
«Credo proprio di sì. Sei brillante» ribatté la rossa, avvicinandosi a lei e baciandole la fronte. Domina schiuse leggermente le labbra in attesa di un altro bacio, ma l'altra si allontanò nuovamente.

«Quindi vuoi davvero trasformare l'Accademia nella nostra corte?» chiese, sbuffando. «Questa parte del piano me l'ero persa»
«Ho bluffato, chiaramente. Certo, sarà divertente averli come cortigiani per un po'. Nova ne spennerà qualcuno, noi uccideremo il resto. Bene e Male non potranno più esistere se ne elimineremo il futuro» spiegò la rossa.
«Hai ragione. Ma ricordati della promessa che mi hai fatto» bofonchiò la bionda, controllando il suo riflesso. Lo specchio dell'Accademia, offeso, le mostro le sue spalle. Si accigliò leggermente e mise il broncio, ma non disse nulla perché venne richiamata all'attenzione da un elegante baciamano di Miranda.
«Non ho dimenticato del tuo Cerchio. Faremo cadere la notte eterna quando e come lo vorrai» le sussurrò all'orecchio dopo essersi alzata.
«Questo é quello che voglio sentire da te» rispose la bionda, portandosi una mano al petto. Il cuore le batteva così forte.
«Mi prometti che staremo insieme per sempre?» chiese infine. Ricordava di aver fatto una promessa del genere, una volta. Solo memorie che sfumavano lentamente per lasciare spazio a quelle nuove.
«Per sempre. Fino alla fine. Non potremo mai essere separate» promise Miranda. La guardò dritta negli occhi.

«Nel Bene e nel Male»

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