05 :: Genesi
Qualcuno lo chiamava. Non riusciva a capire esattamente quale lettere componessero il suo nome, tantomeno il suono che facesse quando recitato, ma sapeva che qualcuno lo stava richiamando all'attenzione. Sarebbe stato scortese non rispondere. Il nome venne ripetuto, ancora una volta. Ormai sembrava l'eco di una dolce ninna nanna che qualcuno doveva avergli cantato in un tempo imprecisato.
Kay cercò di recuperare le coperte con l'intento di ricoprirsi e scacciare i sogni, ma ad occhi chiusi ed a tentoni il letto diventava enorme e le lenzuola introvabili. Particolarmente seccato, aprì gli occhi. Fu costretto a stropicciarseli, travolto da una luce abbagliante improvvisa. Si mise a sedere, ancora intontito. Era da solo nella neve. Si ricordava di quel momento: dovevano essere passati due o tre mesi dal Torneo dei Talenti. Istintivamente cercò con lo sguardo le statue che gli avevano tenuto compagnia durante quello che sembrava un sogno febbrile. Non ce n'era nemmeno una. Deluso, si mise in piedi, ripulendosi le mani dai fiocchi di neve.
Non si vedeva nemmeno l'Accademia, da nessuna parte. Era solo un enorme, infinito spazio vuoto ricoperto di neve. Non riusciva nemmeno a vedere il cielo, che era stato sostituito da un bianco accecante. Gli sembrava di essere appena stato riposto in una scatola. Se non altro, non nevicava. Indeciso sul da farsi, cercò di capire se fosse un sogno o la realtà. Era difficile trovare la soluzione. Si incamminò senza direzione. Non che potessero esistere, in un luogo del genere.
C'era un albero spoglio. Il legno era nero, e pieno di incisioni fatte con le lamette. Passò il dito su una di quelle: era la sua iniziale e quella della persona che un tempo aveva amato. Erano contornate da un cuore. Con l'unghia ripulì l'opera, poi si abbassò per passare tra i mille rametti della pianta, che ostinata, cercava di mettere su le foglie. Non gli piaceva la primavera, e odiava che durante il suo regno tutti cercassero quella.
Oltrepassato l'albero si rese conto di essere inavvertitamente scivolato in un'altra dimensione. Questa volta si ritrovava in un prato fiorito, con l'erba di un verde fastidioso da vedere, che ondeggiava accarezzata dal vento. Si chinò per raccogliere un fiore. Proprio mentre stava per recidere il gambo, un'ape si posò sulla corolla, guardandolo curiosa. Kay la lasciò fare, e si limitò ad annusare i profumo della piantina. Era la seconda primavera che vedeva in tutta la sua vita, e lo sorprendeva come tutti i colori esplodessero, e i rumori fossero più forti e la temperatura salisse. Non gli piaceva, ma solo perché non ci era abituato.
Improvvisamente qualcosa gli passò attraverso. Confuso da quello che era appena successo, il principe guardò in avanti. Un bambino paffutello con disordinati capelli rossi inseguiva un coniglietto. Mentre cercava di prenderlo per accarezzarlo, inciampava e cadeva, ma si rialzava sempre contento. Ogni tanto si voltava verso di lui, ma Kay era piuttosto convinto di non essere visto. Si guardò attorno, sperando che qualcun altro sbucasse fuori. Infine il bimbo riuscì a prendere l'animaletto, che aveva un'aria un po' scocciata, ma se ne stava buono in braccio.
«Ora ti canto una canzone» esclamò, passando la manina sul pelo nella direzione sbagliata. Infastidito, il coniglio lo guardò male. Kay si mise a sedere a debita distanza, ascoltando la voce tremolante e un po' stonata di qualcuno che conosceva bene. A fine esibizione, il piccolo Ryuu Nova lasciò andare la bestiolina per conto suo. Prese in mano un lombrico e lo guardò strisciare sul suo palmo, ridacchiando perché gli faceva il solletico. Il principe delle nevi sorrise, posando la testa sulle ginocchia.
«Da grande tutti mi conosceranno» esclamò improvvisamente il bimbo, indicando Kay. Il ragazzo saltò un battito, ma poi si rese conto che Ryuu in realtà puntava ad uno scoiattolino dietro di lui. L'animale arrampicato sull'albero doveva essere stato attirato dalla canzone del bambino. Ryuu corse verso di lui, passando di nuovo attraverso al principe delle nevi.
«Avanti, prendimi!» esclamò il principino. Anche se Kay sapeva che non era rivolto a lui, si mise a rincorrerlo. Questo finché non mise il piede in fallo in una tana di coniglio. Perse l'equilibrio per qualche breve attimo, poi ci precipitò all'interno, urlando.
Mentre cadeva, osservava la quantità di cose stipata nelle mensole costruite un po' a casaccio. Più andava in fondo, più il terreno iniziava a sembrargli un enorme ammasso di travi di legno marce. Poteva sentirne la puzza. Infine cadde sul pavimento altrettanto ammuffito. Si mise in piedi, disgustato. Era precipitato in una casa che cadeva a pezzi. Si spolverò le spalle, cercando di bloccare l'odore nauseabondo. Sembrava puzza di morto.
Rimase qualche momento in silenzio, cercando di imprimere nella sua testa il ricordo della primavera precedente. Poi si mosse piano, cercando di non bucare il pavimento. Cercava di seguire il suono della risata di un bambino. Si fece largo tra porte scassate e passando attraverso buchi nelle pareti, arrivando infine ad una camera in condizioni accettabili. Era praticamente spoglia. La mancanza di mobilio eccetto una culla lo inquietava. Una lampada ad olio accesa bruciava delle scartoffie impilate sul pavimento, ed il fumo inondava la stanza.
Kay si sporse nella culla. Un bambino con orecchie a punta e qualche ricciolino azzurro sparso qua e là per la testa lo guardò per qualche istante, curioso. Poi gli rise in faccia. Divertito, il principe delle nevi si avvicinò di più a lui, scatenando l'ilarità del piccolo. Gli diede un buffetto sulla guancia. Il neonato rise anche più forte, agitando le braccia e cercando di afferrare il mantello del Gran Maestro.
Improvvisamente la pila di fogli sul pavimento crollò, con un rumore sordo. Distratto dall'accaduto, Kay si voltò verso la lampada e diede a Jamil l'occasione di prendere un lembo del mantello e metterselo in bocca. Il principe delle nevi non ebbe il tempo di salvare la preziosa stoffa dei suoi abiti, perché vide un paio di occhi cremisi fissare la culla da uno dei buchi della parete. Camminando a quattro zampe e lentamente, una creatura di fumo e tutta artigli avanzava verso il bambino, distruggendo quello che trovava sul suo cammino per via delle sue dimensioni. Istintivamente Kay si mise davanti alla culla, ma quando la creatura giunse lì davanti assunse le sembianze di una bella donna.
Il principe delle nevi rimase qualche secondo imbambolato cercando di processare il cambio di forma. Era rimasta una creatura enorme, tanto da sfiorare il soffitto, ma adesso aveva una cascata di ricci azzurri e ciglia lunghe. Mise le mani ancora dotate di unghie dure e affilate nella culla. A lui sembravano ancora artigli, e si stupì di come non ferisse il piccoletto. Prese in braccio il bimbo, che parve piuttosto contento delle attenzioni della madre, e lasciò perdere Kay. La donna lo strinse a sé e uscì velocemente dall'abitazione.
Il principe delle nevi era sicuro che ci fosse qualcosa di losco in quella faccenda, ma non potendo intervenire, si limitò a guardare la culla abbandonata, mentre il vento agitava le tende bucate.
Non aveva niente da fare, quindi si mise a rovistare tra le scartoffie. Si era reso conto di quanti ritratti ci fossero. Ne prese uno, salvandolo dalle fiamme. Non riuscì a capire chi o cosa fosse, perché diede un colpo alla lampada a terra. Distratto, guardò la fiammella tremolare ed infine spegnersi. Spaventato dall'aver creato un danno, prese in mano l'oggetto, ma venne risucchiato al suo interno.
Dopo qualche botta alla testa, riaprì gli occhi. Adesso sì che era in una casa ben curata. Profumava di pulito, e non di morto. Questa volta era direttamente sulla scena, senza alcun bisogno di inseguire suoni o risate. Si mise a sedere su una delle sedie sparse per la stanza, guardando una donna seduta a terra con le braccia spalancate.
«Melody, vieni qui!» esclamò, mentre una bambina seduta a terra suonava il tamburo. Richiamata, si voltò verso la mamma e la salutò con la manina, pensando fosse quello che volesse.
«Insomma, tesorino, è l'ora di camminare dalla mamma! Sei grande ormai!» disse la donna, gattonando verso di lei e accarezzandole i capelli. Poi si rimise al suo posto.
«Magari non le interessa» commentò una voce maschile da lontano.
«Pif, come posso non interessarle? Sono una delle star di questa città!» piagnucolò lei, sospirando e distraendosi.
Attirata dal rumore, Melody si mise in piedi. Kay si sporse in avanti, spostando la sedia cercando di non fare rumore. Mentre la mamma era distratta, si mosse incerta in avanti. A quel punto Symphony cacciò un urletto di sorpresa. «Cammina! Cammina!» esclamò, spalancando di nuovo le braccia, commossa. La bambina continuò con il suo percorso, e la ignorò, afferrando il piffero del padre gettato sul divanetto. Se lo mise in bocca, cercando di imitare quello che vedeva quando il padre suonava.
Kay si coprì la bocca per non ridere. Melody brandì lo strumento come una spada. Il principe delle nevi ci rifletté qualche secondo. Era sempre stata una ragazza decisa. Sospirò. Forse era il caso di non intromettersi in un momento madre-figlia di quella portata. Varcò l'uscita più vicina. Era una porta che avrebbe dovuto portare in un'altra stanza, ma il ragazzo si ritrovò all'aperto, sotto il sole. Infastidito, si coprì la testa.
Dei ragazzini scorrazzavano allegramente nel cortile, a volte passandogli attraverso, a volte semplicemente fissandolo per qualche secondo. La porta di una casa di legno era aperta. Kay entrò, timoroso di scottarsi. Una signora non proprio giovanotta cullava un bimbo molto piccolo, addormentato. Ogni tanto quello sospirava nel sonno, e faceva spaventare la donna, che non voleva svegliarlo. Sperava si addormentasse per sfilare la spilla attaccata alla sua copertina.
Il principe delle nevi si era seduto accanto a lei. Voleva capire chi fosse, visto che non aveva lineamenti molto familiari. Un uomo pressappoco della stessa età della signora entrò nella stanza. «Dorme?» chiese a bassa voce.
«Penso di sì» sussurrò lei, girandolo verso il marito.
«É proprio bellino» mormorò. «Togligli un po' la spilla, vediamo cosa dice» aggiunse, curioso.
Anche Kay si sporse.
«Dario» lesse la donna, una volta estratta con attenzione la spilla dalla stoffa, sperando di non pungere con la punta metallica il neonato.
Il principe delle nevi ci rifletté un po'. Ah, era il ragazzo che l'aveva fatto sedere vicino a lui.
Dario aprì gli occhi. «Ciao» disse dolcemente la donna, per non spaventarlo. Lui fissò Kay dritto negli occhi. Emise un vagito, si guardò attorno e si riaddormentò. Una bambina corse dentro la casa. «Posso tenerlo in braccio?» esclamò. La donna la guardò male. «Non urlare» sussurrò.
«Scusa» mormorò la bimba, arrossendo e tendendo le braccia. Prese il neonato e lo cullò un po'. «Come si chiama?» chiese.
«Dario. Era scritto su una spilla che aveva addosso» rispose l'uomo.
La bimba lo strinse a sé. «Che carino»
La donna mise la spilla sulla sedia, alzandosi. Kay la prese, guardando il suo riflesso. A volte non poteva fare a meno di essere egocentrico. Non gli sembrava una cosa così brutta, se doveva essere sincero. Era solo un altro lato del suo carattere. Si domandò da chi l'avesse preso: sua madre era una donna molto presa dalla sua figura, ma non l'avrebbe comunque definita egocentrica. Aveva trattato l'altro Kay come un figlio, e gli aveva dato tutto l'amore che avesse mai potuto desiderare. Forse era un tratto paterno? Non lo sapeva. Magari era il primo della sua famiglia ad averlo. La cosa lo rendeva speciale. Oppure lo rendeva la pecora nera, non ne era sicuro. A lui non sembrava un difetto, comunque. Negli ultimi tempi erano venuto a patti con l'idea che la sua figura non fosse delle migliori, e si era davvero messo in testa il proposito di cambiare. Ma ormai lo conoscevano tutti come il mostro che aveva congelato la scuola solo perchè non era riuscito ad ottenere quello che voleva.
Alzò lo sguardo dalla spilla. Adesso era in una casa diversa, molto più elegante. Un bambino era seduto a terra, con la mano sul naso. Era circondato da diverse persone, tra cui un uomo dotato di corna e coda che sovrastava nettamente gli altri.
«Cos'è successo, Keiichi?» domandò questo, con tono duro ma non cattivo. Kay si nascose dietro una trave di legno, spiando quello che accadeva senza mettersi in mostra. Aveva la sensazione che quel drago potesse vederlo. Perfino il ragazzino a terra ogni tanto gli rivolgeva qualche occhiata, ma il principe delle nevi confidava che stesse in realtà guardando una scala a pioli dietro di lui. Il corvino fu costretto a togliere la mano dalla ferita. Era a forma di mezzaluna. Una donna gliela disinfetto silenziosamente.
«Sono caduto dalle scale» ammise il bambino. Prima che il padre potesse aprire bocca, lo anticipò. «Volevo prendere uno dei libri della biblioteca ma ho messo male il piede. Mi dispiace»
Il padre lo guardò senza tradire particolare emozione. Si protese verso di lui e analizzò la ferita. «Rimarrà un piccolo segno» commentò. Poi rivolse uno sguardo a tutti i presenti. «Possibile che un principe debba farsi male per prendere un libro quando in questa casa ci sono tonnellate di servitori?» chiese estremamente serio. Molti dei presenti abbassarono il capo, umiliati. Keiichi guardò con occhi adoranti suo padre.
Da che ricordava, Keiichi non amava suo padre, tantomeno la sua matrigna. Kay si chiese cosa fosse successo tra loro, cosa avesse cambiato quello sguardo adorante in un'aria estremamente seccata. Quando (e se) sarebbe ritornato all'Accademia, avrebbe cercato una piccola cicatrice a forma di mezzaluna sul naso del compagno di stanza. Il bambino guardò nuovamente le scale, accigliato. Anche il principe di neve si girò per osservarle. Non sembravano particolarmente scivolose, ma forse da piccino il principe era imbranato. Quando si voltò indietro, nessuno dei servitori c'era più. Piuttosto, un'altra culla. Si avvicinò. Questo neonato lo riconosceva. Sorrise, ma qualcuno aprì la porta. Era una donna bellissima, che guidava una donna alta e bionda, seguita da una bimbetta con grandi occhiali da vecchietta.
«Mamma!» esclamò Thisbe. «Posso prendere in braccio Tommasino?» chiese. La madre della bionda esitò, mentre l'altra sorrideva. «Certo» disse quest'ultima.
«Non è un po'piccola?» commentò la madre di Thisbe. Non voleva che la figlia facesse del male al neonato. Era piuttosto imbranata e aveva paura che lo facesse cadere, ma la madre di Thomas non sembrava preoccupata. Kay invece era piuttosto ansioso, però era sicuro che non si sarebbe fatto male. All'Accademia era sano come un pesce, quindi decisamente non era morto. Ora che ci pensava non l'aveva visto gironzolare in giro negli ultimi tempi. Doveva preoccuparsi?
La bionda si sforzò di tenere in braccio il neonato, mettendoci tutta la forza possibile. Sua madre la monitorava comunque, temendo sempre il peggio. Thisbe cullò il neonato, affaticata. Sua madre le spinse la montatura degli occhiali più su sul naso.
«Ma insomma, non potevi scegliere degli occhiali da ragazzina?» sospirò esasperata.
«A me piacciono questi» ribattè lei, cedendo Thomas alla madre. Lei gli diede un bacio sulla fronte e lo rimise nella culla, avvolgendolo nelle coperte.
«Ti stanno bene» disse poi. La madre di Thisbe scosse la testa.
«Safira, non incentivarla» si lamentò bonariamente.
La ragazzina, lusingata, si avvicino soddisfatta al neonato, con una camminata da modella. «Quando verrò chiamata all'Accademia posso portarmelo?» chiese. «É troppo carino»
Safira rise. «Se non ci sarò più ti do il permesso. Gavaldon è troppo stretta per te, vero?»
Kay aveva avuto la stessa impressione. Gavaldon era troppo stretta per tutti. Ad ogni modo, si sentì piuttosto lusingato di aver realizzato il desiderio di Thisbe. Solo che Safira non sembrava la donna che Thomas descriveva come sua madre. Avrebbe dovuto chiedere alla lettrice.
Nemmeno il tempo di sbattere le ciglia che cambiava scena. Stava iniziando a girargli la testa. Dov'era adesso? Su un balcone. Osservò la ringhiera decorata nei minimi dettagli. Era un po' troppo pacchiana, per i suoi gusti. Un bambino era seduto sul bordo, dondolando le gambe nel nulla con aria soddisfatta. Il principe delle nevi fu preso dalle vertigini. Solo uno sconsiderato - o un bambino - poteva mettersi seduto là sopra. Anche la sultana Jasmine doveva pensare la stessa cosa, perché afferrò il figlio da dietro e lo mise sul balconcino, pallida.
«Haidar, mi hai fatto perdere dieci anni di vita» sibilò.
«Scusa mamma, stavo facendo parkour» spiegò tranquillo il castano, facendo spallucce. «Guarda come faccio la capriola!»
La donna scosse la testa. «Sei proprio una piccola peste» commentò, mentre Khalil si rialzava. Kay si spostò per non essere investito dal bambino.
«Domani posso andare a vedere il regno di Malefica? Per faaavore» la pregò, saltellandole attorno.
«Haidar, cosa devi vedere laggiù? Non ti basta questo castello enorme e tutta Agrabah? Puoi perfino visitare i regni dei sempre se vuoi. Accompagnato da tuo padre, ovviamente»
«Mi sento come Iago» piagnucolò il principe.
«Un pappagallo?» chiese Jasmine.
«Chiuso in gabbia»
La sultana gli accarezzò la testa. «Quando sarai grande e abbastanza responsabile, potrai andarci»
«Ma non sarò mai responsabile! Io odio le responsabilità. Da grande non diventerò sultano, farò altre cose. Non mi sposerò mai, e non farò mai i compiti, e nemmeno lavorerò»
«Allora non ci andrai mai» commentò Jasmine.
«Ma mamma!»
Khalil pestò i piedi. «Devo proprio?». Voleva davvero andare a vedere il castello di Malefica con i suoi amici. Avrebbero fatto un sacco di cose super divertenti come fare prove di coraggio, o esplorare case abbandonate. E poi i bambini rapiti di cui parlava sua madre erano cose che non potevano succedere a lui. Quel genere di cose succedeva solo alle famiglie sfortunate.
«Apprezzo il tuo desiderio di libertà, ma ci sono cose che vanno fatte» spiegò Jasmine.
«Allora chiederò a papà»
La sultana scosse la testa.
Kay si sentì improvvisamente geloso. Sua madre non l'aveva mai guardato così, non si era mai preoccupata per lui. Per lei era tutto indifferente. Perché aveva pensato che suo figlio potesse essere qualcosa, e poi lui le aveva rovinato la vita. Kay era la prova che nessuno della sua famiglia potesse essere amato. Il ghiaccio era il nemico, ed era nei loro cuori. Il principe delle nevi guardò Jasmine abbracciare il figlio e cadde in ginocchio. Scoppiò a piangere. Non era giusto. Si abbracciò, cercando in tutti i modi di non riaprire gli occhi. Aveva paura della scena seguente. Non poteva sopportare altro amore materno. Sentiva il mondo attorno a lui cambiare, ma non aveva la forza di vedere dove si trovava.
Ancora quel suono. Il richiamo era troppo forte. Kay ne era sicuro. Era il suo nome. Doveva esserlo per forza. Aprì gli occhi, esitando. Una donna esaminava delle copertine, sollevandole con calma e grazia. «Se è una ragazza potremmo chiamarla Inger. Oppure Kirsten» esclamò un uomo alto e con le spalle larghe, mentre si legava i capelli bianchi in una coda. Non sembrava vecchio. Non aveva mai visto suo padre, ed era sorpreso che gli somigliasse così tanto. Aveva un'aria molto più dolce di lui, però. I lineamenti affilati dovevano essere merito di sua madre.
«Sono nomi terribili» commentò lei. «E poi io credo sia un maschio»
«Allora chiamiamolo Svend» si riprese l'uomo, sollevando una pila di copertine.
«Terribile» rispose la regina delle nevi.
«Ci sono, chiamiamolo...» - ancora quel suono dolce. Kay si sforzava di sentire, ma non percepiva nulla. Il suo nome era destinato a rimanere nascosto, per sempre. Kay era una punizione. Kay non era il suo nome, era qualcosa per ricordargli che non sarebbe mai stato qualcuno di nuovo, ma solo l'eco dell'unico bambino che sua madre aveva amato. L'uomo attese la risposta della moglie.
«Carino» commentò. Era un grande traguardo far ammettere alla regina delle nevi che un nome fosse carino. Il marito si illuminò di un sorriso a trentadue denti.
«Però, se è una ragazza, chiamiamola Inger»
Kay rise tra le lacrime all'espressione disgustata di sua madre. Ora quella donna era l'ombra di sé stessa, ed era tutta colpa sua. Voleva sapere il suo nome, ma era la sua punizione. Si raggomitolò su sè stesso. Questa volta vide la scena sbiadirsi, cancellarsi, fino ad arrivare al luogo bianco iniziale. Era di nuovo solo, e aveva freddo. Rimase in silenzio. Forse ora si sarebbe svegliato nel suo letto. Invece i fiocchi di neve iniziarono a posarsi su qualcosa di invisibile. Il principe si avvicinò alla cosa e la toccò. Improvvisamente tutto riprese colore. Era in una biblioteca enorme. Mille e mille fogli svolazzavano di qua e di là, mentre un uomo si affannava cercando di recuperarli. Improvvisamente riscaldato dall'interno, Kay ne approfittò per nascondersi. Chi era?
«Kay, caro, non hai bisogno di nasconderti»commentò il bibliotecario, passandogli alle spalle. «Benvenuto nel luogo dove si realizzano i desideri...più o meno» commentò suo padre. Il principe delle nevi boccheggiò come un pesce fuor d'acqua. Voleva dire qualcosa, ma non sapeva cosa dire. Le parole gli morirono in gola. «Pa...papà?» chiese. Non aveva mai pronunciato quella parola. L'uomo lo guardò fiero e si fermò. Poi spalancò le braccia. Esitando, il principe delle nevi andò ad abbracciarlo. Ne aveva bisogno. Non riusciva a smettere di piangere, proprio come un neonato. Non doveva essere la migliore presentazione del mondo.
«Mi dispiace. Io...io non volevo ucciderti» biascicò. «Non volevo uccidere nessuno. Io non sono cattivo. Lo giuro»
«Non sei cattivo, ma non sei una buona persona, Kay. Guarda in faccia la realtà»
Lo sapeva, ma sentirselo dire ad alta voce da suo padre lo ferì. Era la verità. Doveva accettarla, una volta per tutte. Il principe delle nevi non era buono.
«Non odiarmi, ti prego» pianse ancora. Non poteva sopportare ancora quel dolore.
«Kay, non potrei mai odiarti. Sei mio figlio. Eri solo un bambino» lo consolò dolcemente suo padre. «Kay, io ti voglio bene»
Il ragazzo finì quasi per strozzarsi. Ecco, qualcuno aveva rotto l'incantesimo, ne era sicuro. Da quel momento in poi, il suo cuore di ghiaccio tornava a battere. Non era più Kay, era quel nome dolce che non avrebbe mai potuto sentire.
«Spero tu abbia capito che il modo per guardare dentro di te sia prima guardare dentro gli altri. Kay, sei egoista». Al principe non importavano le critiche, nonostante le assorbisse. Voleva solo sentirsi dire che il suo papà gli voleva bene, e che l'avrebbe sempre fatto.
«Queste sono le storie di come è iniziato tutto» commentò. «Mi auguro tu sia in grado di finirle. Kay, sono fiero di te»
Il principe delle nevi lo strinse. Doveva finire quelle storie. Era d'obbligo. Si sciolse dall'abbraccio e guardò la statua di ghiaccio del padre. Afferrò uno dei fogli volanti e chiuse gli occhi. Finalmente coperto dalle lenzuola, Kay sprofondò in un sonno tranquillo.
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