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I giorni seguenti passano come gli altri, al supermercato quando sono di turno, il pomeriggio un po' di yoga, o magari preparo qualche dolce e la sera, andiamo alle feste. Giorgio e io parliamo continuamente, non riesco a fare a meno delle sue chiacchiere. Non vedo l'ora di poterlo guardare negli occhi senza schermo, voglio sentire dal vivo il suono della sua risata, osservare le sfumature dei suoi occhi, sentire le sue mani sfiorarmi. Il solo pensiero di parlare con Giorgio mi mette di buon umore. Finché non è arrivato questo giorno.
«Ciao Alice, cosa hai fatto oggi?»
« Sono andata a lavoro stamattina, mi sono riposata e poi ho impastato una crostata di mirtilli per la colazione di domani. Tu cosa hai fatto?»
« Ho fatto domanda per la task force emanata dal governo, stanno cercando giovani medici, la Lombardia è allo stremo delle forze, i medici si ammalano, hanno bisogno di aiuto.»
« Cosa vuoi dire?»
« Voglio dire che parto, ho dato la mia disponibilità. Mi manderanno dove c'è più bisogno.»
« Ma tu sei un pediatra!»
« Sono un medico e questo basta. Ho studiato per aiutare gli altri, per curare le persone. Sento che questo è il mio momento, sento di dover fare la mia parte. Posso aiutare, so di poterlo fare e lo farò. »
« E noi?»
«Noi cosa?»
« Che ne sarà di noi?»
«Alice, non esiste nessun noi! I medici stanno morendo, le persone hanno bisogno di qualcuno che le curi! »
« Dove andrai di preciso, lo sai già?»
« Bergamo. »
« Scusa, devo chiudere la videochiamata. Devo andare. »
Non gli ho dato neanche il tempo di rispondere. Dopo Paolo non mi ero mai più sentita in questo modo. Per la prima volta dopo tanto tempo mi sono sentita amata, desiderata, felice. Sembra assurdo come tutto questo possa accadere attraverso uno schermo, stando chiusi in casa. Sembra tutto uno strano film, ma a me stava capitando realmente. Quello che stavo iniziando a provare per Giorgio è reale. Comincio a piangere, in silenzio le lacrime sgorgano sul mio viso, Giorgio sarebbe andato a Bergamo. Giorgio sarebbe stato in ospedale, in prima linea contro il virus. Cosa posso fare io? Posso impedirglielo? Che diritti ho nei suoi confronti, che rapporto abbiamo noi due? Nessuno. Siamo due adulti che svolgono vite diverse. Due adulti che una sera si sono incontrati al Dynamo. Lui il classico ragazzo che vuole attaccare bottone, ed io la solita cameriera che lo rimette al suo posto. Come siamo arrivati a questo punto, perché mi sono spinta così, perché ho oltrepassato il limite, come ho potuto permetterlo di nuovo? Mi siedo per terra, mi sento svuotata. Azzurra mi vede e subito corre a sedersi vicino a me:
« Alice, che succede?»
«Giorgio va a Bergamo.»
Dico con un filo di voce che è quasi impercettibile ad orecchio umano.
« Che stai dicendo, non capisco... »
« Giorgio va a Bergamo, Giorgio va a Bergamo! »
Dico più forte quasi da farlo diventare un grido strozzato. Azzurra mi abbraccia forte ed anche Ambra corre vicino a noi, senza dire una parola sono tra le braccia delle mie amiche che in silenzio mi accarezzano.
« Ali tranquilla, andrà tutto bene.»
« Non esiste nessun noi...»
« So che ho incoraggiato il messaggiare con il dottorino ma non credevo si potesse arrivare a questo punto. Ali, ti sei innamorata di lui?»
« Lo so, sembra assurdo è una cosa impossibile. Non credevo che ci si potesse innamorare così. Ma ormai niente ha senso, per lui non è la stessa cosa. Lo sto perdendo o probabilmente, non l'ho mai avuto.»
« Non vorrei interrompere questo dramma interiore ma Giorgio ti sta telefonando... credo che dovresti rispondere. »
Cerco di calmarmi. La mia voce è ancora tremolante quando rispondo:
«Pronto?»
«Alice, se ho detto qualcosa di sbagliato mi dispiace.»
«No, è...»
« Ti prego, non interrompermi, stammi a sentire. Queste ultime settimane sono state incredibili. È accaduto di tutto, finalmente sono diventato un medico, ho conosciuto te. Tutto quello che si è creato è assurdo, non mi sono mai divertito così tanto come alla mia festa di laurea. Mi sembra di stare nella casa del Grande Fratello, dove tutto è amplificato. Ma questa è la realtà, non è una finzione. Tu mi piaci. Mi piacevi già da prima di conoscerti, da quando ti ho vista quella sera al Dynamo, ma non posso tenerti legata a me, non sarebbe giusto. Vorrei che tutto questo finisse, vorrei poterti abbracciare, stringerti forte e dirti che andrà tutto bene ma non lo posso fare, perché non so come andrà a finire. Devo andare là perché è giusto, perché voglio farlo. Sei diventata una costante nella mia vita e spero che continuerai ad essere presente, voglio viverti, voglio stare con te, prenderti per mano ma se questa assurda follia non finisce, ciò non sarà possibile. Non sono fatto per starmene con le mani in mano. Quindi andrò lì, può accadere di tutto, ne sono consapevole ma non mi va che stai male per me.»
«Per quanto mi costi ammetterlo provo anche io quello che provi tu. Vorrei poterti guardare negli occhi e parlarti faccia a faccia, vorrei sentire il tuo respiro. Non posso impedirti di andare, è la tua vita ma tu non puoi impedirmi di pensarti, non puoi impedirmi di essere preoccupata per te. Perché provo qualcosa nei tuoi confronti, qualcosa che non riesco a capire. Qualcosa che mi fa dire che anche se lontano, io sono con te. »
Vedo le mie amiche piangere. La mia sofferenza è la loro sofferenza.
«Ora devo andare, dopodomani sera vado via, ho molte cose da preparare.»
« A domani.»
Chiudo la telefonata, corro incontro alle mie amiche. Ci sediamo tutte e tre sul divano e cominciamo a guardare "The wedding date". Ci addormentiamo così, abbracciate l'una all'altra sul divano.
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