5

-In che senso?- chiese Jeffrey, domandandosi se i fumi che percepiva annebbiargli la ragione fossero dovuti al sonno, alla stanchezza o a Evan stesso.

Suo fratello si strinse nelle spalle e impiegò qualche secondo prima di rispondergli, sorseggiando il suo caffè con aria indecifrabile.

-A Keith piacciono molto i bambini. Era una cosa che penso mi aspettassi, prima o poi, anche se mi è arrivata come una richiesta a cui non ero preparato-
-Una richiesta?-
-Più o meno. Ha preso l'argomento molto alla larga, ma il punto è questo: gli piacerebbe avere dei figli-
-Uhm- fece Jeffrey e, quella volta, toccò a lui restare in silenzio.

"Avere dei figli" era una cosa che Jeffrey non aveva mai contemplato per sé – un po' come aveva scartato a priori il matrimonio. Era cresciuto all'interno di un ambiente sterile di sentimenti, dove si "producevano" figli, con obiettivi poco nobili. Lui sarebbe dovuto essere l'erede dei Major e suo padre, da bravo borghese con mentalità d'altri tempi, aveva fatto di tutto per crescerlo e plasmarlo affinché diventasse l'immagine di orgoglio e perfezione della loro famiglia.

Jeffrey Senior non era riuscito nei propri intenti: aveva scartato il figlio, esattamente come se fosse un prodotto di fabbrica mal riuscito, e si era concentrato su Evan. Aveva fallito pure con lui e allora si era trovato una nuova moglie, aveva avuto un altro figlio e, da ciò che aveva appreso l'ultima volta in cui si erano incontrati – un anno e mezzo prima, proprio al matrimonio di Evan e Keith – era nuovamente impegnato nella costruzione dell'immagine del suo nuovo erede.

Era un "sistema familiare" che Jeffrey trovava malato, antidiluviano e insensato.

Non era stupido, quindi sapeva che il problema della loro famiglia era suo padre – anche se sua madre non faceva assolutamente nulla per essere migliore di lui –, ma crescere con un uomo così aveva spento in Jeffrey ogni desiderio di "famiglia" – intesa in senso canonico.

Preferiva di gran lunga la famiglia che si era costruito nel tempo, con Daniel, Evan e tutti gli altri amici. E immaginava che Evan nutrisse riguardo ciò dei pensieri molto simili ai suoi. 

-Avete approfondito l'argomento? Non è che stai scappando dal confronto con tuo marito, vero?- gli chiese e l'altro sorrise imbarazzato.
-Nessuna fuga. Gli ho chiesto un po' di tempo per riflettere sulla cosa. Non mi ci vedo come papà, ma Keith mi ama e vede in me cose che io... Beh, cose che io credo di non avere-
-Per questo sei qui?-
Evan annuì.

-Tu mi conosci da sempre, in pratica. Avevi... undici anni? quando siamo diventati fratelli?-
-Dieci e tu quindici-
-Mi ci vedi a fare il papà?-
Jeffrey si strinse nelle spalle.

-Ti aspetti che smonti tutti i castelli di Keith e che ti dica che saresti un pessimo padre perché noi non ne abbiamo avuto neanche il più piccolo buon esempio... o qualcosa del genere?-
Evan aggrottò la fronte e lo fissò stranito.

-Perché mi stai attaccando?- gli chiese, stupito dalla reazione dell'altro.
Jeffrey tornò ad accarezzarsi il labbro inferiore con un pollice, distogliendo lo sguardo da lui.

-Perché... detesto che lui abbia ancora tutto questo potere su di noi. L'hai invitato al tuo matrimonio, anche se ti aveva già disconosciuto. E oggi sei qui a chiedermi se saresti all'altezza di crescere un figlio. Sai quanto bene ti voglio, la stima che ho nei tuoi confronti. Dovresti smetterla di ripeterti mentalmente tutte le accuse di Senior-
-Non lo sto facendo...-

-Com'è che ci diceva sempre?- lo interruppe Jeffrey ed Evan si irrigidì, capendo immediatamente a cosa si stava riferendo. -Che non eravamo buoni neanche come arredi. Incapaci, stupidi, brutti, sgraziati. E non dimentichiamoci la sua accusa preferita: affatto virili-
-"Non c'è nulla in voi che possa salvarvi dall'essere schiavi della società"-
Jeffrey rise con amarezza.

-I modi ambigui per darci degli "schiavi" senza provocare uno scandalo!- esclamò e rise più forte. -Ci sta gente che ancora nega uno dei periodi più bui della nostra storia passata, per vergogna, e lui la rimpiange! E tu!- sbottò, puntandogli contro un dito e protendendosi verso di lui. -Ti fai ancora mettere sotto psicologicamente da uno così?-
-Non lo faccio- tentò di difendersi Evan, ma l'altro scosse la testa e lo interruppe di nuovo.

-È esattamente quello che stai facendo, anche se magari in modo inconscio. Hai trentacinque anni, Evan. Dovresti smetterla di farti buttare giù dai giudizi di un uomo che non è neanche più tuo padre... che non è neanche definibile "uomo"-

Evan distolse lo sguardo da lui ancora una volta e appoggiò le spalle contro lo schienale della poltrona, di modo da porre una certa distanza fisica tra di loro.

-Saresti un ottimo papà- disse Jeffrey, con voce più dolce, e l'altro trasalì. -Attento, premuroso. Lo sei già, anche se stai scaricando tutto ciò sui tuoi amati animali-
-Non sto cercando di compensare un bel niente-
-Io credo di sì-
-Io credevo che tu fossi obiettivo, pensa te!- esclamò Evan con stizza e l'altro scosse la testa.

-Io sì!- ribatté Jeffrey. -Sono obiettivo. Ti guardo da fuori, non ti vedo come fa Keith. So che sei pieno di difetti, ma hai anche tanti pregi. E sono obiettivo quando ti dico che saresti un bravo papà-
-A essere sinceri... mi aspettavo tutt'altro da questa nostra conversazione-
Jeffrey rise di nuovo e si alzò dal divano, stiracchiandosi.

-Keith mi guarda attraverso gli occhi dell'amore. È il mio tutto. Quello che mi fa sentire una persona migliore- sussurrò Evan, giocherellando con i propri pollici, strofinandoli nervosamente tra di loro.

-E quindi sei venuto da me, memore del nostro passato burrascoso- disse Jeffrey atono, avvicinandosi al basso frigo di vernice nera che si trovava alle spalle dell'angolo salotto. Ne tirò fuori una bottiglia, ne lesse l'etichetta e fece una smorfia disgustata. Di solito preferiva del vino rosso, ma non ne vide in giro – probabilmente Daniel stava continuando a portare avanti la sua crociata contro le cattive abitudini del compagno. "Mi accontenterò" si disse, versandosi un bicchiere di spumante scadente.

-Detta così...- borbottò Evan a disagio.
-Sì, è offensivo- ribatté Jeffrey, sempre più disgustato da ciò che stava bevendo.
-Mi dispiace, hai ragione-
-Peccato che io non ti veda più come il mio nemico numero uno da anni. Sai che ho amato Keith per tanto tempo, è stato il mio primo amore. Il destino me l'ha rimesso sulla mia stessa strada soltanto per incassare l'ennesimo due di picche e, come se non bastasse, si è innamorato di te! La vita mi ha preso per il culo a sufficienza...-
-Adesso hai Daniel-

-E sono l'uomo più felice del mondo. Ti ho perdonato tante cose, Evan: l'esserti accalappiato le attenzioni di mio padre, quando ancora lo vedevo come tale. E il signor Walker che mi sembrava gioire sempre più per i tuoi successi che per i miei. E Keith...-
-Jeffrey...- tentò di interromperlo Evan, ma l'altro continuò come un treno in corsa, alzando persino un po' la voce per non farsi sovrastare da lui.

- ... e poi. E poi mi sono accorto di quanto fosse stupido continuare a guardarti in funzione degli altri, no? Sei mio fratello, ci sei sempre per me, ci sei stato anche quando ufficialmente ci odiavamo. Abbiamo condiviso così tanto...-
-Dici sul serio?- gli chiese Evan, sbalordito. -Non puoi tirarti addosso colpe che non hai- disse e l'altro si strinse nelle spalle.

-Sei stato più padre tu per me di tutti gli altri. Siamo sempre stati in competizione, vero. Eri un padre immaturo... forse. Ma quando Octavia non mi rispondeva neanche alle telefonate che le facevo per Natale, per il Ringraziamento, per il giorno del suo e del mio compleanno... tu c'eri. Ci sei sempre stato, anche con una litigata, ma c'eri. Quindi sì, non è una questione di "colpe", più una consapevolezza da persona ch'è diventata adulta e ha capito tante cose che prima neanche riusciva a vedere-

-Stai diventando saggio-
-Vecchio e stucchevole-
-Hai solo trent'anni, eh-
-E mi consola che tu sia più vecchio di me-
-Che stronzo!-
Jeffrey rise e si sbarazzò dello spumante, decidendo di smetterla di "punirsi" a quel modo.

-Una delle due cose di cui sono felice di essere stato battuto da te!-
-E l'altra?- gli chiese Evan, sentendosi sempre più leggero e vicino all'altro, anche se Jeffrey continuava a stare in piedi, dietro il divano, e lui seduto sulla poltrona, a diversi passi di distanza.
-Keith- rispose l'uomo, con un sorriso, ed Evan si trovò ad annuire. -Siete persone a cui voglio bene e siete felici insieme, e questo rende felice me-
-Sì... sei sempre più vecchio e stucchevole-

Jeffrey si precipitò verso di lui e afferrò un cuscino, iniziando a picchiarlo con quello. Evan si stupì della reazione del fratello – assolutamente inusuale per lui –, ma si lasciò andare subito dopo, dando il via a una vera e propria battaglia a suon di cuscinate.

-Mio Dio!- esclamò Jeffrey, al termine dello "scontro", tentando di ridarsi un contegno.
-Avremmo dovuto farlo più spesso anche da piccoli- disse Evan con il fiato corto.
-Concordo. Mi raccomando! Non farti sfuggire niente con Daniel, o peggio, con Claud, altrimenti mi prenderanno in giro a vita-
-Il mitico Jeffrey Major si dà alle battaglie con i cuscini! Che cosa poco mitica!-
Jeffrey gli rivolse un'occhiataccia.

-Stai seguendo un qualche corso di dubbio gusto dove insegnano a imitare Claud?-
Evan scosse la testa, ridendo di cuore.
-E menomale ch'è il tuo migliore amico!- ribatté, ma l'altro sollevò gli occhi al soffitto e sedette vicino a lui, sul divano.
-Claud è Claud e gli voglio bene. Lo accetto perché gli voglio bene, questo non significa che lo comprendo sempre o che condivido il suo stile di vita, la sue idee folli. Gli voglio bene e basta-

-Come a me?-
-Tu mi sei più vicino in tantissime cose. Comunque, ormai anche questo "migliore amico", "più amico di", eccetera eccetera, mi sembrano pure cose senza senso. Siamo un famiglia, per scelta, ma lo siamo, e ci siamo capitati ognuno con i propri difetti e pregi. L'importante è esserci sempre-
Evan annuì.

-È tutta colpa tua, Major! È del tuo locale scandaloso!- sbottò con ironia e l'altro sollevò le sopracciglia tanto da fare apparire i suoi occhi più grandi di com'erano in realtà. Jeffrey si mosse come a rallentatore e afferrò l'angolo di un cuscino. Evan fece esattamente lo stesso. Rimasero a fissarsi per qualche secondo e... poi ripresero a prendersi a cuscinate.

Rientrando a casa, Evan non ebbe neanche il tempo di posare le chiavi e togliersi la giacca, che Rocky e Adriana lo assalirono nell'ingresso, festanti e in cerca di attenzioni. Keith li raggiunse qualche istante dopo, aiutando il marito a sfilarsi la giacca di finta pelle prima che le unghie dei cani la rovinassero troppo. Gli tolse pure le chiavi di mano e poi rimase a fissarlo con sguardo apprensivo, ma un sorriso dolce gli incurvava le labbra.

Quando Rocky e Adriana si furono saziati e lasciarono andare Evan, Keith si fece avanti e lo salutò con un bacio.

-Tutto okay?- gli chiese, cercando i suoi occhi scuri con i propri, e l'altro annuì.
-Sono stato da Jeffrey-
-Lo immaginavo- disse Keith, accarezzandogli il mento.
-Sul serio?-
-Beh, dopo i discorsi di ieri sera...- disse l'uomo, ma lasciò la frase in sospeso, dirigendosi in cucina. -Ho preparato il pranzo- aggiunse e arrossì, rifuggendo dal suo sguardo.

Evan si trattenne dal ridere e rivolse uno sguardo dubbioso al contenuto che faceva bella mostra di sé sul piatto da portata posto al centro dell'isola: ricordava vagamente del pollo fritto, ma aveva un inusuale colore nero.

-Sembra delizioso- disse ironico e l'altro gli picchiò una spalla. -Ahio!- esclamò Evan atono.
-Se togli la... ehm... panatura, dentro è buono- assicurò Keith e il marito scosse la testa, rassegnandosi a pranzare con pollo fritto bruciato.

Alla fine del pasto, mentre Evan era intento a lavare le stoviglie che avevano utilizzato, si sentì abbracciare da dietro e le mani di Keith si poggiarono sul suo petto, accarezzandolo.

-Com'è andata con Jeffrey?- gli chiese parlando così vicino a lui, dato che teneva una guancia contro le sue spalle, da fargli percepire la pelle crepitare sotto il suo fiato, attraverso la maglietta.
Evan si asciugò le mani in un canovaccio e strinse quelle del marito tra le proprie.

-Concorda con te- ammise e percepì l'altro sorridere.
-Non ne dubitavo-
-Ma... io non so se sono pronto- sussurrò Evan, girandosi nel suo abbraccio. Keith annuì e gli baciò la punta del naso.
-Con calma- disse e scese a baciargli le labbra. -Abbiamo tutto il tempo del mondo- e continuò a depositargli baci sul collo, sul petto, procedendo verso il basso, sollevandogli la maglietta sui fianchi, iniziando a scoprire porzioni di pelle sempre più generose.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top