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-Buonanotte e grazie per tutto- disse Keith, salutando i genitori sull'uscio di casa, stringendosi nel cardigan che indossava e che pareva non essere abbastanza caldo per lenire i brividi di freddo che lo scuotevano. Francine gli accarezzò una guancia e sorrise con dolcezza.
-Vai dentro, amore, altrimenti rischi di prenderti un accidenti- disse la donna.
-Buonanotte, figliolo- aggiunse Jack e Keith li osservò allontanarsi, sparendo poco dopo alla sua vista.
Rientrò in casa e trovò Rocky seduto dietro di lui, intento a fissarlo con il suo solito sguardo colmo di devozione. Si chinò a baciargli il muso, poi ci ripensò e sedette sui talloni, abbracciandolo stretto.
-È tutto merito tuo, bimbo mio- disse piano, rammentando il suo primo incontro con Evan, nella clinica veterinaria del marito, il giorno in cui aveva trovato Rocky nel giardinetto della sua vecchia casa, ferito e bisognoso di cure. Ringraziò il cane e lo grattò dietro un orecchio. Quello sbadigliò e lo precedette nel corridoio in cui si affacciavano le porte delle camere da letto. Con il muso si infilò nello spiraglio lasciato socchiuso della prima a sinistra, intrufolandosi nella stanza delle bambine.
Trovarono Adriana placidamente distesa sul tappeto al centro del pavimento, Evan seduto sul bordo del letto di Sophie, intento a leggere una storia. Teneva il libro tra le mani, con un indice già pronto a girare la pagina, la voce morbida e cadenzata, che scandiva le parole del testo come se fossero le moledie di una dolce ninnananna. L'uomo sollevò gli occhi per una frazione di secondo verso di lui, proprio mentre girava pagina, e gli sorrise, poi tornò a leggere.
Keith poggiò una spalla contro lo stipite della porta e incrociò le braccia sul petto, continuando ad osservare il marito. Con un dito Evan accompagnò la lettura dell'ultimo paragrafo della storia, trasse un profondo respiro e chiuse il volume. Accarezzò la fronte di Sophie, mentre lei sbagliava e chiudeva gli occhi, poi si alzò e diede la buonanotte anche a Paige, anche lei già in viaggio verso il mondo dei sogni.
-Buonanotte- disse Keith e attese che il marito uscisse dalla stanza, rivolse uno sguardo complice in direzione di Rocky, e chiuse la porta.
Evan si diresse verso la loro camera da letto, iniziando a spogliarsi.
-Questi... credo che li butterò- disse quest'ultimo, portandosi al naso i vestiti che si era appena tolto. Keith si strinse a un suo braccio.
-Va bene. S'è quello che desideri, va bene-
-Quello che desidero ce l'ho già- lo rassicurò l'altro e gli baciò la fronte. -Devo gettare via solo il superfluo- aggiunse dirigendosi verso il bagno che si trovava dentro la stanza. Aprì il cestino dell'immondizia e vi lasciò cadere pullover e jeans. Rimase in slip e calze, incrociò le braccia sul petto e fissò un punto imprecisato dinanzi a sé.
Keith tornò a farglisi vicino e si aggrappò ancora a un suo braccio, ma quella volta iniziò a baciarglielo con estrema dolcezza, salendo verso la spalla, fino al collo, prendendogli poi il lobo dell'orecchio tra le labbra, accarezzandogli l'arcata esterna in punta di lingua. Evan sospirò e percepì i muscoli sciogliersi. Sorrise e poggiò la fronte contro la sua, prendendo una sua mano in una delle proprie, stringendola forte, accarezzandone le nocche con un pollice.
-Ti amo- disse Evan.
-Ti amo anch'io-
Keith rimase a fissarlo pure mentre il marito si lavava i denti con vigore – nonostante lo avesse già fatto poco dopo essere rientrato dall'incontro con Senior. Lo vide lavarsi le braccia come se volesse strapparsi di dosso la pelle e lui, osservandolo muoversi con tanta foga e rabbia, tornò a preoccuparsi un po'. Evan sbuffò e si denudò del tutto, infilandosi dentro la doccia. Keith si spogliò a sua volta e lo seguì subito dopo, prese la spugna dalle sue mani, e iniziò a insaponarlo con estrema attenzione.
-Laviamo via tutto- soffiò a un centimetro dalle sue labbra ed Evan tremò. Mentre il marito si prendeva cura di lui, gli raccontò tutto quello che era accaduto, di quello che Senior e Loreen gli avevano vomitato addosso, del dolore lancinante che aveva provato e che si tramutato in qualcosa di fisico, in cerca di uno sfogo. Alla fine Evan fu grato dell'acqua che gli bagnava il corpo e il viso; Keith aveva sostituito la spugna con le proprie mani e tornò a poggiare la fronte contro la sua, raccogliendo tra le dita i rivoli sottili d'acqua che gli scivolavano sulle guance, confondendosi alle lacrime.
Strofinò la punta del naso contro la sua e lo baciò. Evan lo afferrò in vita, schiacciandoselo contro, riempiendosi le mani della sua carne, le narici del suo profumo, le orecchie del suono dei suoi respiri spezzati.
-Ti amo- disse e lo spinse contro la parete di mattoni che delimitava un lato della doccia, facendosi spazio tra le sue gambe con un ginocchio. Keith scese ad accarezzargli il petto cesellato, l'addome piatto, ridisegnandone i contorni con dita tremanti di desiderio. Adorava ogni singolo centimetro del suo corpo e amava perdutamente l'anima che conteneva.
-Ti amo, Evan- sussurrò e sollevò gli occhi a incontrare i suoi. Suo marito riprese a baciarlo, chiuse distrattamente il rubinetto della doccia e poi tornò a toccarlo. Bastava quello per accendere in lui un'emozione travolgente: la confidenza e l'intimità con cui solo a lui era concesso di vezzeggiare il suo corpo, di ammirarlo in tutta la sua intima perfezione.
Keith gli accarezzò il collo con entrambe le mani e scese di nuovo verso il basso, in punta di dita, osservando i movimenti in riflesso dei muscoli del marito, che si contraevano sotto pelle al suo passaggio, e arrivò alla linea sottile di peli che si dipartivano da sotto l'ombelico. Scese ancora, sceguendone la scia scura, fino a ritrovarsi il suo sesso tra le mani. Prese a toccarlo con delicatezza ed Evan gli accarezzò le cosce, salendo verso l'alto, poggiando la fronte contro le mattonelle, vicinissimo con la bocca a un suo orecchio, lasciandosi sfuggire gemiti di piacere a tempo con i movimenti delle sue mani bollenti.
Decise di non essere da meno e iniziò a stuzzicato a sua volta. Gli strinse con forza una natica, spingendolo contro di sé, facendo sì che entrassero in contatto, e un brivido di puro piacere gli corse lungo la schiena, andando ad accumularsi tra le tempie. Keith schiacciò la nuca contro le mattonelle e chiuse gli occhi, si morse le labbra, tentando di soffocare i propri ansiti, ma era difficile cercare di mantenere un minimo di lucidità, quando Evan era a un palmo da una sua guancia, intento a soffiargli il proprio piacere in un orecchio.
Gli afferrò il mento con una mano e lo mise a tacere con un bacio, invertendo le loro posizioni e spingendolo contro il muro. Evan sussultò e si specchiò nei suoi occhi azzurri. Riprese a baciarlo, a toccarlo, senza riuscire a trovare sazio. Gli sollevò una gamba, intrecciandola a una delle sue, ma poi ci ripensò – temeva che finisse per scivolare – e lo pose di nuovo contro la parete.
Keith si trovò con una guancia contro le mattonelle fredde, in netto contrasto con il calore del suo corpo. Le mani di Evan intrecciate alle sue, le sue labbra che gli accarezzavano un orecchio, il suo sesso che si faceva strada nel suo corpo con una certa irruenza.
Si morse le labbra, soffocando un urlo di dolore misto a piacere. La tensione si sciolse presto ed Evan lo afferrò per i capelli, obbligandolo a girarsi verso di lui e lo baciò ancora, come se davvero volesse divorarlo, assorbirlo interamente dentro di sé.
Keith lo seguì di buon grado e gli leccò il labbro inferiore, poi le spinte del suo amante si fecero più decise e premette la fronte contro le mattonelle, chiuse gli occhi, concentrandosi sulle sensazioni soverchianti che lo stavano travolgendo.
Raggiunse il piacere sentendosi venire meno le gambe ed Evan lo afferrò in vita, scivolando con lui sul piatto doccia, ansante e appagato a sua volta. Gli baciò la base del collo e lo avvolse con entrambe le braccia. Keith si girò verso di lui, rannicchiandosi contro il suo petto.
-Ti amo- disse ed Evan percepì il cuore smettere di sanguinare, mentre il freddo che aveva patito Keith si dissolveva nel calore del loro amore.
•
Esausti, entrambi fecero in tempo a indossare il pigiama e mettersi a letto, con ancora i capelli umidi, prima che il sonno iniziasse a corteggiare le loro palpebre, facendoli sbadigliare.
Era stata una giornata lunga e faticosa, carica di emozioni contrastanti ed erano davvero sfiniti.
Ma non tutti, in casa, erano riusciti a prendere sonno appena poggiata la testa sul cuscino.
Sophie si rigirava nel letto, irrequieta. Le era bastato che i due uomini uscissero dalla stanza, spegnendo la luce, e si era trovata ad occhi spalancati nella semioscurità.
Si alzò a sedere, indecisa sul da farsi.
Keith ed Evan l'avevano "perdonata" e le avevano promesso che l'avrebbero tenuta con loro. In pratica, sarebbero diventati la sua famiglia e Sophie era così felice da avere già dimenticato ogni cosa brutta, ma anche tanto da essersi guastata il sonno. Diede un paio di pugni alla rete sopra la propria testa, ma non ebbe risposta. Si alzò dal letto e sbirciò oltre il bordo di quello di Paige, arrampicandosi sui gradini della scala di ferro che conduceva lì.
-Paige?- chiamò e sua sorella balzò a sedere, sgranando gli occhi. -Scusa- disse piano e l'altra afferrò gli occhiali e li indossò, fissandola come se fosse un'apparizione mistica.
-Hai parlato- disse Paige sottovoce, allibita, e Sophie si sentì arrossire. Annuì e scese di nuovo sul pavimento, tuttavia la sorella la seguì subito, ed entrambe furono sveglie e in piedi.
Paige si protese verso di lei e l'afferrò per una spalla, scuotendola un po'.
-Mi dispiace- disse Sophie e l'altra la strinse forte a sé, abbracciandola di slancio. -Non scappare più, per favore-
-Hai sentito mio pad... Evan. Non ci mollano più-
Sophie annuì ancora e tirò su col naso.
-Anche se io non sono davvero sua figlia?-
-Ha parlato di tutte e due. Adesso... saranno tipo i nostri papà, tutti e due- spiegò Paige e l'altra sorrise imbarazzata, continuando ad asciugarsi gli occhi.
-Speriamo di sì-
-Se non ci credi, possiamo andare da loro a chiederglielo-
-Tu ci credi?-
Paige rispose affermativamente con un cenno del capo.
-Ma andiamo lo stesso!- esclamò a voce e Adriana abbaiò, come a volere dare loro la propria benedizione.
Le due sussultarono e risero nervosamente, poi, al buio, uscirono dalla stanza, cercando di fare meno rumore possibile.
-E se li disturbiamo?- domandò Paige, improvvisamente spaventata dalla possibilità di avere frainteso le parole di Evan. Stentava ancora a credere che, quello che stava vivendo, non era affatto solo un bel sogno.
Sophie sbuffò e aprì la porta. La stanza era più al buio della loro e si sentiva qualcuno russare piano. Rocky e Adriana li raggiunsero e le due si aggrapparono ai loro manti, facendosi guidare fino al letto. I cani salirono sul materasso, scodinalzando e iniziando a leccare i volti dei loro padroni, finché Keith ed Evan iniziarono a borbottare parole sconnesse, dando dimostrazione di essersi svegliati.
Paige e Sophie si presero per mano e balzarono sul letto. Subito venne accesa la luce di un'abat jour e la coppia si tirò a sedere, mentre le ragazzine fissavano entrambi gli uomini, un po' spaesate e spaventate. Keith fu il primo a sorridere e a spalancare le braccia per loro e Paige corse a rannicchiarsi contro di lui. Sophie rimase a fissare Evan, un po' indecisa, ma poi l'uomo batté una mano sul materasso, al suo fianco e lei gli sorrise, distendendosi accanto a lui.
-Possiamo restare qui?- chiese Paige con un filo di voce e Keith le scostò i capelli dalla fronte, limitandosi ad annuire.
-Avete avuto degli incubi?- domandò Evan e Sophie scosse la testa, nascondendosi di più contro il suo ampio petto. Si sentiva davvero piccola tra le sue braccia, ma anche al sicuro, come se davvero nulla di brutto potesse arrivare a lei, se Evan continuava a stringerla a sé.
-No. Possiamo restare qui?-
-Ma certo, tesoro- ed entrambi sollevarono le lenzuola cosicché le ragazze potessero coprirsi. Stavano un po' stretti e Paige si sentiva un po' a disagio nel gioire di quella situazione, come se ormai fosse troppo grande per trovarsi lì. Però era un qualcosa che non aveva mai avuto prima e in cuor suo sperò che questo fosse sufficiente a "giustificarla", a permetterle di comportarsi come Sophie – che era più piccola di lei – anche se lei non aveva più dieci anni.
-Ah- disse a un tratto, mentre passava gli occhiali a Keith, di modo che lui potesse metterli al sicuro sul comodino.
-Cosa c'è?- le chiese Evan e Paige si sentì arrossire e nascose il viso dietro le palme delle mani.
-Non sono maggiorenne- mormorò e i due uomini si scambiarono uno sguardo che non passò inosservato a Sophie, che sorrise, mentre loro cercavano, invece, di trattenersi dal ridere.
-Eh... un po' l'avevamo intuito- disse Evan e Paige aprì due dita, rivelando un occhio, e sbirciando nella sua direzione.
-Un pochetto, però- aggiunse l'altro e Paige richiuse le dita e scosse la testa, dimenandosi in preda all'imbarazzo. Keith l'abbraccio da dietro e le baciò una guancia. -Va bene lo stesso-
-Ne abbiamo avuto conferma dal tuo Certificato di Nascita, hai quattordici anni, giusto?- disse Evan e la ragazza annuì e aprì le mani, rivelando il proprio volto.
-Se mamma si decideva a dirtelo, tu cosa avresti fatto?- sussurrò Paige e nella stanza calò un silenzio pesante.
-Tua mamma voleva dirmelo- disse Evan, allungando una mano verso di lei. La ragazza rimase a fissarla per qualche istante, anche se non riusciva a vederla con chiarezza, dato che aveva tolto gli occhiali. Spostò lo sguardo sulla figura incerta di Sophie, poi lo riportò sulla mano di Evan e la prese tra le proprie, avvicinandosela al viso e poggiandovi contro una guancia.
Era bello trovarsi lì, al caldo, con la presenza rassicurante di entrambi da una parte e dall'altra: si sentiva circondata d'affetto ed era una sensazione tutta nuova. Avrebbe persino potuto abbassare la guardia, smettere di avere paura, di guardarsi le spalle, perché loro erano lì, loro l'avrebbero protetta, mentre lei avrebbe potuto iniziare a comportarsi come una ragazzina della sua età.
-Ma non te l'ha detto- disse ed Evan scosse la testa.
-Non ha potuto. Però... questo è il passato, Paige. Adesso tu e Sophie siete qui. Ci aspetta un futuro insieme e vi prometto che sarà sempre così: insieme. Adesso siamo una famiglia-
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