30
Villa Major sorgeva su una delle vie principali di Bel Air.
Si affacciava direttamente sulla strada, imponendosi nel panorama con il suo prospetto di un bianco scintillante, anticipato da un'enorme fontana zampillante.
Circondata da alberi e aiuole curate da qualche artista del giardinaggio, appariva come un monumento alla portata degli occhi di tutti.
L'esterno non era neanche lontanamente paragonabile all'opulenza degli interni, ma il progetto disegnato dall'architetto, che era stato a capo dei lavori della villa, doveva avere preso ispirazione dal Barocco italiano, ideando qualcosa che fosse in grado di sconvolgere chiunque mettesse piede all'interno della villa.
Difatti, fu proprio quella la sensazione che Claud provò quando si trovò all'interno dell'edificio, davanti una statua a grandezza naturale di un angelo, intento a schiacciare sotto un piede la testa di un drago.
Ampie scale dai corrimano color oro si aprivano su entrambi i lati, donando alla stanza un'impressione di rotondità.
-Dove cazzo mi avete portato?- sussurrò in un orecchio di Jeffrey e l'amico gli sorrise teso, indicandogli con una mano una delle due scale. Evan li seguiva in silenzio, guardandosi attorno con lo stesso panico e la stessa irrequietezza che sarebbe potuta trasparire da un animale in gabbia.
Jeffrey indicò all'amico i dipinti che decoravano il muro alla loro sinistra, sciorinando tutta una serie di nomi che si alternavano tra Jeffrey, William e anche un paio di Aaron.
-In teoria, qui ci dovrebbe essere la mia faccia- disse Jeffrey, indicando un punto vuoto sul muro.
-Ah- fece Claud, intuendo di essere stato appena "presentato" agli uomini della famiglia. -Tuo padre ci tiene proprio tanto alle apparenze- aggiunse a mezza voce ed Evan si lasciò sfuggire una risata amara.
-Talmente tanto che ci ha cancellati dalla sua vita- disse quest'ultimo e li superò, percorrendo a grandi passi il lungo corridoio nel quale giunsero dopo avere salito le scale.
Evan si sentiva davvero come prigioniero, nonostante gli ambienti della villa fossero tanto ampi da poter accogliere il passaggio di almeno un carrarmato. Odiava quel luogo, le pareti cariche di tutte le parole che avevano assorbito nel corso degli anni, i pavimenti di lucido marmo che avevano fatto propri i passi, i tentativi di fuga. I ricordi di urla, lacrime e disperazione. La sensazione di essere senz'aria nei polmoni, di non poter dire nulla, di non potersi muovere liberamente. I litigi che si erano alternati ai silenzi lunghi, raggelanti. Il terrore di essere soltanto una delle tante statuine che decoravano i ripiani scintillanti, senza alcun valore aggiunto, senza una propria volontà.
A metà del percorso trovarono un uomo che, evidentemente, stava andando loro incontro, intento a sfoggiare un'austera divisa da maggiordomo, in stile nobiltà britannica ottocentesca, e con un'espressione severa a rendergli i lineamenti spigolosi.
Claud sollevò un sopracciglio con fare scettico e lo indicò con un pollice, mentre l'uomo in questione si fermava a metà corridoio. Fissò Evan e poi, a passo spedito, fece dietrofront, tentando di precederli.
-Quanto scommetti che sta andando ad avvisarlo che ci sono pure io?- disse Evan e Jeffrey accelerò il passo.
-Corri!- lo incitò. -Che se arriva prima di noi, sicuro Senior si chiude in biblioteca, rifiutandosi di incontrarci-
-Hai fatto bene, allora, a non buttare le chiavi della baracca, qui- disse Claud, iniziando a correre anche lui per tenere il passo degli altri due. Raggiunsero il maggiordomo, lo superarono, mentre Jeffrey rideva con un certo isterismo.
-Vedi a non infrangere le etichette di casa neanche durante le emergenze!- esclamò ad alta voce: sapeva che era vietato correre all'interno della villa. -Se avessi buttato le chiavi, non avrei più potuto mettere piede qui dentro. Non che ne avessi intenzione, ma...- disse Jeffrey, fermandosi di colpo davanti una porta.
Evan spalancò l'uscio, fecero irruzione nella biblioteca e a Jeffrey si mozzò il respiro in gola. C'entrava nulla la breve corsa che li aveva condotti fin lì, dato che tutto il suo panico era dovuto all'uomo presente nella stanza.
Jeffrey Major Senior sedeva su una poltrona rivestita di velluto rosso, la cui struttura in legno intarsiato, verniciata di colore oro, pareva essere uscita direttamente da qualche museo. L'uomo stava fumando un sigaro e sollevò gli occhi scuri su di loro, aggrottando subito dopo la fronte. Senior lasciò andare la rivista, che aveva avuto tra le mani, sulla superficie lignea della scrivania, stringendo due dita intorno al sigaro.
Jeffrey deglutì sonoramente e richiamò a sé tutta la propria prontezza di spirito per poter affrontare quell'incontro.
Non vedeva suo padre da due anni e, l'ultima volta che era stato lì, l'uomo l'aveva mandato via, anche se suo figlio si era trovato nei guai, infischiandosene di quale sarebbe potuto essere il suo destino.
Il fatto che per suo padre non valesse neppure un briciolo dei propri pensieri, per Jeffrey, per troppo tempo, era stato come vivere sapendo di non meritarlo.
La totale anaffettività dei suoi genitori – non solo di Senior, ma anche, appunto di Octavia, sua madre – lo aveva convinto, in passato, di essere immeritevole di stare al mondo. Tuttavia, Jeffrey possedeva dalla sua un carattere battagliero, non si era mai piegato davanti l'evidenza e a lungo aveva tentato di farsi strada nei cuori dei genitori, finché non aveva compreso che entrambi parevano possedere in petto dei sassi anziché dei muscoli pulsanti sangue e vita. Scoprirlo, malgrado ciò, non lo aveva aiutato granché ad accettarlo. Né a comprenderlo.
Jeffrey restava un uomo forte e convinto di essersi meritato un posto nel mondo, ma continuava a non accettare di calpestare la stessa Terra dei suoi genitori. Nella sua mente era arrivato alla conclusione che, quelli immeritevoli di esistere, erano proprio Senior e Octavia. Sapeva quanto questo suo pensiero sarebbe potuto apparire crudele e tendeva a tenerlo per sé.
Forse odiava ancora i suoi genitori.
Forse in fondo al cuore li amava ancora, e l'odio non era altro che una forma diversa di rabbia.
Forse era deluso dalla loro incapacità di amarlo più di quanto fosse disposto ad ammettere con se stesso, ma troppo spesso si era augurato che sparissero per sempre, di modo da lasciare lui finalmente libero di scendere a patti con quella fine della sua famiglia – che famiglia non era mai stata.
Doversi confrontare ancora con loro, anche a intervalli di anni, gli faceva male, come una ferita che veniva costantemente riaperta, impedendole di rimarginarsi del tutto.
Longilineo e avvolto in un completo di alta sartoria, Jeffrey Major Senior assomigliava paurosamente al figlio e possedeva quell'aria che ricordava, in qualche modo, lo Scrooge di Dickens. Anche se, a differenza del protagonista de Il Canto di Natale, si percepiva proprio che neanche le visite inaspettate da parte di fantasmi sarebbero state in grado di rendere il suo animo meno arido.
Aveva uno sguardo così severo da fare rabbrividire, glaciale.
Il maggiordomo li raggiunse in quel momento e Senior si alzò, aggirando l'ampia scrivania.
-Sei licenziato- disse con il cenno approssimativo di una mano, congedandolo.
-Colpa tua se non ha fatto bene il suo lavoro. Tua e delle tue stupide etichette- disse Jeffrey e suo padre scrollò le spalle con fare elegante. Incrociò le braccia sul petto e si poggiò contro il bordo della scrivania.
-A cosa devo la spiacevole visita?-
-Devo farti una domanda- disse Evan, compiendo un passo in avanti, ma Senior riservò a lui uno sguardo scettico.
-Tu... saresti?- gli chiese, con ostentato disinteresse, eppure Jeffrey sapeva che era tutta una recita. Era assolutamente certo che suo padre avesse riconosciuto Evan. Lo aveva cresciuto per dieci anni, tenendoselo sotto lo stesso tetto, elegendolo addirittura a suo erede, prima di venire a conoscenza del morboso interesse del figliastro per gli uomini. Per un totale di diciassette anni, Senior era stato ufficialmente il padre adottivo di Evan. Ma Senior l'aveva cancellato dalla propria vita ormai da circa tre anni e ci teneva troppo a ribadirlo anche in quel momento. -Quell'altro?- chiese, indicando, con la mano in cui teneva il sigaro, Claud.
-Una specie di dio sceso in terra. Qualcosa di decisamente fuori dalla tua portata, tesoro- disse il serafino e Senior prese una boccata dal sigaro, squadrandolo dalla testa ai piedi.
-Un altro depravato- sentenziò con disgusto. -Tra depravati vedo che vi trovate bene-
-Un po' come tra i vermi si... intessono alleanze. Dovresti saperlo bene, tu- ribatté Jeffrey, rivolgendogli uno sguardo tagliente tanto quanto una lama.
Senior piegò un angolo delle labbra in un mezzo sorriso. Si passò una mano sulla testa, ormai completamente priva di capelli, e scese con la stessa sul pizzetto brizzolato e ben curato che gli incorniciava la bocca, passandosi un pollice sul labbro inferiore.
-Ah! Se l'avessi sentita qualche anno fa, questa tua battuta avrebbe acceso in me una nuova speranza- disse Senior, facendo di nuovo il giro della scrivania, andando a spegnere il sigaro in un posacenere. -Ma i tempi in cui mi illudevo che tu potessi diventare il mio degno erede sono ormai finiti-
-Se non sbaglio, hai trovato già un sostituto-
-William è ancora piccolo. Ma promette bene-
-Felice di saperti impegnato a rovinare la vita di qualche altro tuo figlio- ribatté Jeffrey.
-Come hai rovinato la vita di mia figlia- sibilò Evan e Senior si girò verso di lui, guardandolo come se lo vedesse per la prima volta.
-Quelli come te non possono avere figli-
-Non sono sterile- tuonò Evan.
-Sei contronatura. Una cosa naturale, come avere figli, non fa per te. Per voi- aggiunse, muovendo un dito per indicare esplicitamente tutti e tre.
-Però una figlia ce l'ha, grandissimo stronzo- ribatté Claud e Jeffrey allungò un braccio per impedirgli di avvicinarsi troppo al loro sgradito ospite.
-Credevo che questa storia fosse morta e sepolta- disse Senior con un sospiro, tornado a prendere posto sulla sua poltrona.
-Lo sapevi- mormorò Jeffrey con un filo di voce – ne era stato praticamente certo, ma averne la conferma faceva male lo stesso – e il sorriso di suo padre si allargò e annuì.
-Tu!- urlò Evan e si mosse come se volesse balzargli addosso, ma Jeffrey e Claud glielo impedirono.
-Toccami. E il padre depravato lo farai per il resto dei tuoi giorni rinchiuso all'interno di una stanza due metri per due, con sbarre a porta e finestra- sibilò Senior, fissando i suoi occhi scuri in quelli di Evan. -Quella disgraziata era la vergogna del vostro precettore-
-Stai parlando della madre di mia figlia!-
-Una mendicante. Una tossica. Una pezzente-
-Probabilmente ci sarà diventata dopo essere rimasta sola-
-No. Era feccia anche prima che morisse suo padre-
Evan contrasse la mascella e si scrollò gli altri due di dosso, ma rimase fermo dov'era. Sapeva che il suo ex patrigno sarebbe stato in grado di farlo rinchiudere in prigione anche senza motivo, perciò non aveva alcuna intenzione di dargliene neppure uno.
-Tu avevi da poco iniziato i tuoi studi da finto medico, a San Diego. Quindi, quando quella pazza venne qui, sbandierando ai quattro venti che era incinta di te, io e tua madre...-
-Mia madre?!- lo interruppe Evan, percependo il cuore balzargli in gola, e Claud gli strinse un polso, fissandolo con apprensione.
-Loreen. Tua madre. La mia... seconda? moglie. Anche lei viveva qui, in quel periodo. Eravamo ancora sposati. E quando seppe che rischiavi di passare per l'amante di una tossica... La tua depravazione era un argomento tabù, qualcosa che si poteva tenere nascosto. Questo non lo sarebbe stato e avrebbe rischiato di intaccare il buon nome della famiglia-
-Mia figlia ha vissuto quattordici anni per strada, da sola, per colpa vostra-
-Per merito mio, ha vissuto lontano da te e dal tuo nome. Ti sei risparmiato almeno questa vergogna- ribatté Senior, aprendo la scatola dei sigari posta sulla scrivania e tirandone fuori uno.
Evan tornò a elencare mentalmente tutti i validi motivi per cui sarebbe stato controproducente uccidere il suo ex patrigno in quel preciso istante.
Keith.
Paige e Sophie.
Jeffrey.
Francine e Jack.
Gli amici.
I suoi adorati Rocky e Adriana.
Avrebbe potuto sacrificare tutto per soddisfare solo la propria furia?
"No" si disse, percependo gli occhi riempirsi di lacrime.
-Sei un mostro- disse Jeffrey.
-Un uomo pragmatico e moderno. Non come la modernità di cui la società si riempie la bocca, infestandola di depravazioni e cose assolutamente superflue e dannose per l'integrità morale dell'umanità-
-Non ha senso quello che dici-
-Solo perché tu, come tutti gli altri, sei schiavo di questa società priva di valori-
-I tuoi di valori potrebbero benissimo portarti a riaprire i campi di concentramento dove confinare... anche quelli come noi- sibilò Jeffrey e suo padre si limitò a sorridergli con sguardo compiaciuto.
Evan si lasciò sfuggire un urlo di frustrazione, comprendendo che nulla di ciò che avrebbe potuto dire sarebbe stato in grado di fare rinsavire Senior, di cambiare quello che era stato, il male che era stato fatto a Paige e ad Hanna, sacrificate sull'altare delle apparenze di un uomo arido e privo di sentimenti.
Uscì dalla stanza di corsa, seguito dagli altri, furioso per non aver potuto sfogare la propria rabbia, per non aver potuto ottenere un confronto anche con sua madre, per avere scoperto di essere stato privato di sua figlia per quattordici anni e soltanto perché ritenuto immeritevole di essere padre... perché gay. Perché Hanna non rientrava nello spettro di persone che il suo patrigno considerava meritevoli di esistere.
Jeffrey lo afferrò per un braccio, ma Evan se lo scrollò di dosso e si girò verso di lui, fermandosi a metà corridoio, urlandogli contro tutta la propria frustrazione. Poi il suo sguardo parve tremare e le lacrime che aveva trattenuto a fatica fino a quell'istante vinsero le sue difese.
Pianse.
Per se stesso e per Jeffrey, che erano stati costretti a vivere in quel "castello" privo di umanità.
Per Hanna che era stata cacciata via nonostante fosse incinta, lasciata da sola a morire in mezzo a una strada.
Per Paige e Sophie cresciute senza amore.
Evan si sentì abbracciare da dietro.
-Tu hai il potere di cambiare tutto quello che ti hanno cucito addosso- udì dire a Claud, mentre la sua voce gli scivolava gentile come una carezza dentro un orecchio.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top