27
Il cellulare squillò squarciando il silenzio raccolto di primo mattino. Claud si rigirò nel letto, imprecando, allungando un braccio verso destra e trovando il nulla.
Si girò a sinistra, mentre la suoneria continuava a infastidirlo, propagandosi nel buio assoluto della stanza. Quella volta trovò il corpo di qualcuno e gli si aggrappò, nascondendo il viso contro la sua schiena.
-Rispondi- bofonchiò con voce impastata di sonno e sentì Ryan sbuffare.
-È il tuo telefono- ribatté lui e Claud gli morse una spalla. Ryan sussultò, svegliandosi del tutto di colpo.
-Stronzo- disse e il compagno gli strofinò la punta del naso contro la pelle.
-Buongiorno anche a te, amore- disse soddisfatto, mentre Ryan si allungava verso il comodino alla propria destra e recuperava il cellulare dell'altro.
-Pronto?-
-Alla buon'ora, stavo per mettere giù!-
Il giovane sbuffò e si lasciò ricadere di schiena e Claud ne approfittò per intrufolarsi sotto un suo braccio, facendo del suo petto il proprio nuovo cuscino. -È Jeffrey- disse rivolgendosi a lui, per poi tornare a parlare con il suo interlocutore. -Stanotte abbiamo fatto le cinque, eh-
-Chi vi ha detto di scopare fino all'alba?-
-Saranno cazzi nostri? Letteralmente- ribatté Ryan e premette il cellulare contro un orecchio di Claud, interrompendo la propria conversazione con Jeffrey.
-Ti ricordo che abbiamo lavorato fino alle due e mezza e siamo in tre. Abbiamo sempre tanto da fare, a letto- disse il serafino, soccombendo a quella molesta telefonata mattutina da parte del suo migliore amico. Jeffrey lo mandò a quel paese e lui ridacchiò soddisfatto.
-Salutami anche Jade-
-Mi dispiace, a lui non sei riuscito a inportunarlo, non ci sta a casa. Sarà già andato al lavoro- ribatté Claud, accompagnando le proprie parole con un sonoro sbadiglio. -Si può sapere che cazzo vuoi a quest'ora?-
-Io non sono ancora andato a letto...-
-E allora?-
-Ho bisogno di parlare con te- disse Jeffrey e Claud sgranò gli occhi, captando chiaramente il mutamento che avvenne nel tono di voce dell'amico, che si era fatto serio.
-Problemi?-
-Forse- ammise Jeffrey e in un battito di ciglia Claud fu in piedi, con il cellulare incastrato tra una spalla e un orecchio, in cerca della propria biancheria intima. Ryan accese l'abat jour, illuminando il compagno nudo e intento a muoversi per la stanza a tentoni.
-Chi è nei guai?- chiese e Claud mosse una mano in aria, come a volergli fare intuire di non avere una risposta per lui, tuttavia, Jeffrey udì la sua domanda in sottofondo.
-Mi hanno chiamato Lily e Nate-
-Si tratta di Evan e Keith?-
-No, di Paige-
-Ah. Sta bene?-
-Benissimo- lo rassicurò Jeffrey. -Ho bisogno di qualcuno con una gran bella faccia tosta che mi accompagni a Skid Row-
-Bello... sono bellissimo. Tosto... c'ho due palle che sono la fine del mondo, vero, amore mio?- chiese con fare retorico rivolgendosi a Ryan e quello rise e gli rivolse un dito medio. -Tutta la mia favolosità è al tuo servizio, Major-
•
Claud giunse a Skid Row nel giro di un'ora scarsa, tant'è che Jeffrey si stupì di vederlo arrivare tanto presto.
-Hai messo le ali ai piedi?- gli chiese stupito, mentre l'altro scendeva dalla sua sgangherata auto rosso fuoco.
-Non sono mica un messaggero divino. Sono divino e basta. Le strade si aprono al mio passaggio- ribatté Claud e Jeffrey sorrise e scosse la testa.
Il serafino prese a rigirarsi una ciocca dei suoi ricci e biondi capelli tra due dita. Erano anni ormai che si recava dal barbiere solo per aggiustare il taglio e mai li accorciava per davvero, perciò gli arrivavano in lunghezza oltre le spalle, come se fosse ammantato da una coperta di luce e oro.
Claud era un uomo dall'aspetto davvero angelico, ma dentro di lui convivevano personalità contrastanti, che il giovane era solito richiamare a sé in base alle situazioni che la vita gli presentava. Era dolce e pieno di attenzioni solo per i suoi compagni, per la madre e per il suo migliore amico; con gli altri preferiva indossare la maschera del seduttore bastardo. Ma era anche una persona leale e gli bastava ricevere un briciolo d'affetto per diventare una specie di angelo custode e vendicatore di chi quell'affetto glielo dimostrava.
Claud era tante cose, ma in comune con Paige ne aveva una sostanziale: provenivano entrambi da distretti malfamati, avevano vissuto sulla propria pelle le violenze della strada, la fame e la disperazione.
Jeffrey si accarezzò il labbro inferiore con un pollice: sì, Claud aveva le ali abbastanza spezzate per essere la persona giusta al suo fianco, in quel momento. Era il suo migliore amico. Non potendo chiamare Evan - non ancora, non se l'era sentita - Claud era stato il suo primo pensiero, il porto sicuro al quale attraccare.
Non gli piaceva gettare Daniel nel fango, e poi Jeffrey e Claud avevano condiviso così tanto, da quando erano amici, da essere diventati guadatori di fango professionisti.
L'uomo sospirò e gli andò incontro. Claud sapeva che se l'amico aveva cercato il suo aiuto di certo non c'era tempo da perdere, né per scherzare.
-Che succede?- gli chiese con fare guardingo e Jeffrey si strinse nelle spalle, indicandogli il residence con un pollice. Si avviarono al suo interno, tra gli stretti vicoli formati dalla collocazione delle roulotte. Claud percepì un brivido corrergli lungo la schiena: quel posto gli ricordava ciò che per anni lui aveva chiamato casa, senza che passasse un solo istante, nel viverci, che non si fosse sentito prigioniero al suo interno.
Il luogo in cui era cresciuto aveva potuto vantare una struttura senza ruote, ma vi si respirava la stessa aria di passaggio, di approssimativo, come se ogni cosa, finanche la propria vita, fosse destinata a svanire da un secondo all'altro in un buco nero. Non era spiegabile a parole, non era comprensibile per chi quella situazione non aveva avuto la triste possibilità di viverla in prima persona. Rimaneva addosso come un marchio, come un vento intento costantemente a sibillare nelle orecchie: "qui sei nato, puoi nasconderti quanto vuoi, sempre feccia sarai".
Esattamente quello che per anni aveva continuato a ripetersi Claud, come se, per quelli come lui, nonostante gli sforzi, non fosse prevista redenzione.
"Sei una puttana e tale sarai per sempre" si disse, continuando a rigirarsi una ciocca di capelli tra due dita, "Per troppo tempo, c'ho creduto davvero".
Non gli piaceva trovarsi a Skid Row, era diverso nell'aspetto dal suo Compton, ma vi si respirava la stessa atmosfera e gli stava procurando gli stessi pensieri deprimenti che a lungo lo avevano tormentato quando aveva vissuto lì.
-Ricordati che ti voglio bene e che sono qui solo perché sono troppo favoloso- disse ad alta voce e Jeffrey sorrise ancora, fermandosi davanti una roulotte.
-Stai bene?- gli chiese e l'altro si strinse nelle spalle.
-Questo posto è una merda-
-A Lily e Nate piace-
-Si vede che hanno perso la sanità mentale-
-Bisogna lottare per cambiare le cose-
-Uhm- fece Claud, poco convinto.
-Non sei d'accordo?-
-Tu, mio caro, non puoi capire. E di questo sono contento, credimi. Certe cose non possono cambiare. L'unica cosa che si può fare è cercare di non farsi risucchiare. Scappare-
-C'è tanta gente che non può farlo-
-C'è tanta gente che non vuole farlo-
-E tu lo sai bene- disse Jeffrey e Claud tornò a stringersi nelle spalle.
-Vivere in posti come questo ti convince di non avere alternative. Ma guarda le Williams*, guarda me! Il posto in cui vivi non fa la persona. Credevo che fosse così, per anni me ne sono convinto. Adesso so che mi sbagliavo. Guarda dove sono arrivato-
-Sei proprio favoloso!- esclamò Jeffrey e l'altro ridacchiò. -Mi piacerebbe aiutare di più-
-Fai già tanto-
-Sono diverso da te. Certe cose non le riesco a capire, hai ragione. Magari, se mi aiutassi...-
-Un altro giorno, Major. Oggi sono ancora troppo egoista. Mi sto godendo la vita che mi sono faticosamente conquistato da solo-
Jeffrey scrollò la testa e bussò alla porta della roulotte numero nove, interrompendo la loro conversazione. Poco dopo vennero accolti proprio da Lily che subito rivolse uno sguardo diffidente nei confronti di Claud.
-Tranquilla, dolcezza. Assomigli troppo allo stronzo ex del mio migliore amico. Non mi attizzi per niente- disse con fare sprezzante, riferendosi a Theodore, l'ex in questione che lui disprezzava tanto perché aveva fatto soffrire Jeffrey, ma che di Lily e Nate restava un amico importante.
La donna fece una smorfia, ma preferì non dire nulla. Si era aspettata che Jeffrey, come al solito, dicesse qualcosa a riguardo per mettere a tacere gli attacchi altrui e gratuiti verso Theo, ma quella volta non accadde e immaginò che ciò dovesse essere causa diretta del motivo per cui si trovavano lì.
-Il tuo investigatore privato è andato via da poco- disse Nate, quando i suoi ospiti entrarono nell'abitazione, senza salutarli. Sedeva a ridosso del tavolo della cucina e stava leggendo con attenzione dei documenti, quindi parlò senza alzare gli occhi verso di loro.
Jeffrey allungò una mano nella sua direzione e Nate gli porse uno dei fogli, fissandolo brevemente in tralice e aggrottando la fronte.
-Pensi che lo sappia?-
-L'assistente sociale aspetta ancora che quelli dell'ufficio anagrafe escano i documenti- disse Jeffrey con voce atona, eludendo la domanda dell'uomo. Claud spostò lo sguardo tra i presenti, percependo sempre più chiara la tensione che aleggiava tra di loro.
-Cosa non fanno i soldi... - disse Nate con fare retorico.
-Carta canta. Abbiamo il più alto tasso di corruzione tra le forze dell'ordine e degli uffici statali in America. Benvenuti a Los Angeles!- esclamò Jeffrey senza entusiasmo.
-Il tuo investigatore avrebbe potuto aiutarla-
-Preferisco sia andata così-
-Quindi lo sa...- ipotizzò Nate e Jeffrey gli rivolse uno sguardo fulminante.
-No- rispose secco.
-Ne sei sicuro?-
-Assolutamente. È mio fratello-
-No, non lo è- ribatté Nate, mentre Lily si muoveva a disagio dietro di loro, intuendo la rabbia del suo compagno, spaventata dalla possibilità che quella discussione potesse tramutarsi presto in una rissa.
Claud sbirciò oltre una spalla dell'amico e diede una lettura veloce al foglio che teneva ancora in una mano. Lesse in alto la dicitura "certificato di nascita" e poi altre parole che però non riuscì ad afferrare bene, poiché erano state stampate troppo piccole per essere lette a distanza.
-Il sangue c'entra poco. È mio fratello- sibilò Jeffrey. -E sono certo che lui non sappia nulla di questa storia-
-Magari l'ha tenuta nascosta per non essere obbligato a legarsi a una donna...-
-Hey- scattò Claud. -Rivedi la tua ultima frase, amico, perché mi suona dannatamente di merda- Nate sollevò entrambe le mani, trattenendosi dal ribattere. -Si può sapere che succede?-
Jeffrey batté due dita sul Certificato di Nascita, avvicinandolo a lui e indicando prima un nome e poi un altro. Claud si sentì impallidire e rimase in silenzio per qualche istante, assimilando la notizia. Poi gli strappò il foglio di mano e lo lesse con più attenzione.
-È uno scherzo?!- sbottò alla fine e Jeffrey scosse la testa.
-Il documento è autentico-
•
Il Topanga State Park era uno dei polmoni verdi più florido di tutta Los Angeles, una riserva naturale, dal paesaggio selvaggio e pressoché incontaminato. Erano poche le abitazioni, dall'aspetto rurale, in cui ci si imbatteva percorrendo le strade tortuose che conducevano fino a lì.
Al suo interno diversi privati si adoperavano per garantire ai visitatori le più disparate attrazioni, dai più semplici percorsi alla scoperta della natura, alla possibilità di praticare diversi sport, anche estremi.
Alla fine, Keith ed Evan avevano optato per un picnic con le bambine, qualcosa di tranquillo, immersi nel verde, in un silenzio così diverso dalla vita frenetica e caotica tipica della loro città.
-È bello qui- disse Paige con aria assente e i due uomini si scambiarono uno sguardo, intuendo che la ragazza aveva parlato senza riflettere.
Sophie addentò un tramezzino, ignorando la sorella, fissando da lontano un coniglio coraggioso, quest'ultimo forse indeciso se correre da loro per rubargli del cibo oppure scappare a nascondersi. La bambina lo indicò con un dito e si girò verso Keith, ma prima che anche lui potesse vederlo, l'animale era già fuggito via.
Era piacevole stare lì, in tranquillità, una situazione "normale" che a qualcun altro sarebbe persino potuta apparire insignificante e noiosa.
Paige tirò le ginocchia al petto. Dalla sua posizione poteva vedere i due uomini e la sorella incorniciati in quel quadro di bellezze naturali e le sembrava tutto fin troppo bello per essere vero.
Era certa che avrebbe potuto trascorrere l'eternità in quel modo, fino anche ad annoiarsi per davvero. L'idea di riprendere Sophie, strapparla da lì, e costringerla a tornare con lei a Skid Row le pareva l'inizio di un nuovo incubo. Però non aveva trovato risposte alle sue domande, anzi, se ne era aggiunta una alle altre ancora più terribile.
E se Evan, scoprendo che era davvero sua figlia, si fosse rifiutato di tenerla con sé?
Paige percepì gli occhi riempirsi di lacrime. La verità era che si era già affezionata a quella vita, alla goffaggine di Keith, ai sorrisi genuini e spensierati di Sophie, alla dolcezza di Evan. Non voleva perdere tutto ciò, ma la paura di essere rifiutata, per quello che era davvero, era ancora più grande.
-Sta vibrando il tuo telefono- disse Keith rivolgendosi al marito, indicando con un dito la coscia destra dell'uomo, vicinissima alla sua sinistra, ed Evan recuperò il proprio cellulare, mentre Paige percepiva una strana tensione alle spalle, in grado di mettere a tacere i suoi vorticosi pensieri, ponendola improvvisamente all'erta.
-È Jeffrey- disse Evan e rispose alla chiamata.
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*Si riferisce a Venus e Serena Williams, nate a Compton, divenute la Venera Nera e La Regina del tennis, entrate nella storia di questo sport.
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