23
Paige stava in piedi in un angolo della stanza, a braccia conserte, in pigiama, uno sguardo truce dipinto in viso, intenta ad osservare con sdegno la scena davanti a sé.
Si trovavano nella cameretta che Keith ed Evan avevano abbozzato in previsione dell'arrivo del loro bambino.
Probabilmente era la stanza più grande della casa – o forse era la presenza di scarso mobilio a farla apparire tale.
I due uomini erano intenti a montare il letto a castello, mentre Sophie impalava vestiti sui materassi incellofanati e posti a ridosso di un muro, in attesa di essere sistemati. Sua sorella stava dividendo la propria biancheria da quella di Paige, con l'intenzione di riporla in seguito dentro l'armadio. Immancabile era ormai la presenza della bambola mostruosa, che la bambina si trascinava ovunque, e di Rocky e Adriana, intenti a muoversi tra i loro padroni, scodinzolando, dando loro ogni tanto una leccatina, agevolandoli per niente nel loro lavoro.
"Disgustoso" pensò Paige, distogliendo gli occhi da quel quadretto familiare.
Scivolò lungo la parete di colore bianco alle proprie spalle, girò intorno a una scrivania carica di scatoloni che contenevano libri per bambini e oggetti di cancelleria.
Era il loro sesto giorno in quella casa, l'assistente sociale non si era ancora fatta risentire e Keith, Evan e Sophie parevano si fossero già abituati al vivere insieme.
"Disgustoso" si disse ancora Paige con rabbia e uscì dalla stanza, non vista.
Si mosse in giro per casa, facendo un elenco mentale di tutte le stanze che aveva già ispezionato, senza che ciò l'avesse neanche lontanamente aiutata a trovare le risposte che stava cercando.
Si stava abituando a dormire in un letto. Al senso di sazietà, ad annusarsi i vestiti e sentirne il profumo di ammorbidente. Era bella pure la costante sensazione di pulito che le pareva rendere più leggero il corpo. Ogni tanto rivolgeva un pensiero ai suoi amici ancora per strada e si sentiva in colpa nel sapersi al sicuro sotto un tetto, al caldo, mentre loro trascorrevano quei primi giorni di febbraio ancora al freddo.
"Disgustosa" si rimproverò. Strinse le labbra in una linea sottile e si fermò davanti la porta della camera da letto dei due uomini. Era l'unica stanza in cui non aveva ancora messo piede.
Sgridava di continuo Sophie perché si stava lasciando incantare da quella vita, quando lei era assolutamente certa che fosse solo una situazione di passaggio, un bel sogno dal quale presto sarebbero state svegliate in modo brusco. Eppure, persino lei si stava lasciando stregare da quella malia che pareva prometterle in cambio il calore di una famiglia, se solo si fosse fidata abbastanza da lasciarsi andare.
"Vedi che botta" si disse con un sospiro, sicura che, se davvero avesse abbassato le proprie difese, lanciandosi incontro a quelle promesse, sarebbe precipitata nel vuoto, facendosi molto male. "Se viene fuori che sono sua figlia, sicuro mi molla di nuovo".
Aggrottò la fronte, si guardò intorno con fare furtivo, e tentò di aprire la porta della stanza, anche se temeva che fosse chiusa a chiave. Era certa che le sue risposte fossero lì dentro – dovevano essere lì, aveva già guardato in ogni altro angolo della casa e non aveva trovato niente.
Con suo grande stupore, tuttavia, la porta si aprì subito, scivolando silenziosa verso l'interno.
Da lontano udì delle risate e si irrigidì. Entrò di getto nella stanza e si chiuse la porta alle spalle.
Aveva creduto che la camera che stavano preparando per lei e Sophie fosse minimalista e approssimativa, ma dovette ricredersi: anche quella di Evan e Keith era spartana, con pochi mobili, piccola e ordinata. Ci si muoveva tranquillamente al suo interno, proprio perché pareva che ogni cosa superflua fosse stata tagliata via. Un letto matrimoniale, un armadio, due comodini. Non c'era altro. Le uniche decorazioni consistevano nelle tende di colore blu, a incorniciare le finestre che davano sul giardino, più le tante fotografie appese di fianco l'armadio, racchiuse in cornici di sottile legno bianco.
Paige si avvicinò a quella parete e sbirciò gli scatti, riconoscendo in molti i volti dei due uomini, ripresi nelle più disparate occasioni ed espressioni. Poi c'erano tante facce che non aveva mai visto, gente strana con i capelli colorati, uomini e donne di tutti i colori e le fattezze. Riconobbe l'uomo-limousine che aveva scoperto chiamarsi Jeffrey ed essere una specie di fratello di suo padre. Tutti gli altri erano a lei sconosciuti, ma le loro espressioni sorridenti le trasmisero una sensazione di gioia genuina. Parevano divertirsi tanto in quelle foto.
Aggrottò la fronte e distolse lo sguardo da lì.
"Hanno una vita così piena, Sophie deve rassegnarsi: non hanno spazio anche per noi" si disse, più per convincere se stessa che come promemoria dell'ennesimo ammonimento da rivolgere alla sorella.
Si avvicinò a uno dei comodini e aprì il primo cassetto: era quasi vuoto a eccezione di un paio di cose per lei inutili. Aprì anche il secondo e scoprì che conteneva biancheria intima. Alzò gli occhi al soffitto e richiuse entrambi con stizza.
Fece il giro del letto, avvicinandosi al comodino più vicino alle finestre, e ne aprì il primo cassetto. Dentro trovò un paio di cose rotte, un'agenda grande quanto il suo palmo, e ancora fotografie. Paige le tirò fuori con un sospiro: consistevano in un plico alto almeno cinque centimetri. Le sfogliò con fare annoiato, trovandosi davanti le stesse facce di poco prima, in decine di pose e situazioni differenti. Ripose le foto e adacchiò l'agenda.
Diede uno sguardo furtivo alle proprie spalle e poi l'afferrò e sedette a gambe incrociate sul letto. Prese a sfogliarla con poco interesse – dopotutto, non sapeva leggere – finché non si trovò tra le mani un figlio ripiegato su se stesso. Lo aprì incuriosita e rimase interdetta a fissare il disegno dal tratto incerto che, con tutta probabilità, era stato realizzato proprio da sua sorella.
Nell'immagine si potevano ammirare quattro creature vagamente umane, dalle mani enormi e i corpi piccoli. C'erano pure delle salsicce con i piedi, una bianca e l'altra marroncina e Paige intuì che dovevano essere Rocky e Adriana. Le sfuggì un sorriso, ma subito lo smorzò schiarendosi la gola e aggrottando la fronte.
Sophie doveva avere realizzato quel disegno di nascosto a lei e Paige poteva anche immaginare perché lo avesse fatto. Per quanto mostruose fossero le sue capacità grafiche, i pupazzetti che aveva disegnato erano tutti riconoscibili per via dei colori inequivocabili che aveva utilizzato per caratterizzarli.
"Che sia troppo tardi per tornare indietro?" si chiese e percepì gli occhi riempirsi di lacrime. Rimise tutto al suo posto, con sempre più domande a frullarle in testa e ancora nessuna risposta.
Si lasciò cadere sul letto con un sospiro, a braccia ampie, e strofinò una guancia sul cuscino posto a sinistra. Chiuse gli occhi e ne ispirò il profumo a pieni polmoni, riconoscendo quello di suo padre.
Come sarebbe stato vivere con lui fin dal primo giorno in cui era nata?
Se l'avesse tenuta con sé, Paige avrebbe ricevuto tutte quelle attenzioni, quelle cose, anche durante la sua infanzia?
Sarebbe andata a scuola?
Forse, anziché limitarsi a sfogliare le agende che aveva trovato avrebbe potuto leggerne il contenuto.
Se fosse cresciuta con Evan, avrebbe accettato subito Keith? Lo avrebbe trovato un uomo bello e gentile come appariva, invece di sforzarsi di renderlo antagonista della sua personale storia?
"Perché mi ha mollata?" si domandò infine, mordicchiandosi l'unghia di un pollice, mentre lacrime di rabbia e delusione le rigavano il viso. Le si appannarono gli occhiali e se li sfilò, per poi fissarli da vicino, studiandone la montatura solida e le lenti nuove, senza il più piccolo graffio. Erano stati la prima cosa in assoluto che Evan aveva acquistato per lei, portandola, il primo giorno che aveva trascorso con loro, in un negozio di occhiali dove le avevano misurato la vista e, due giorni dopo, Paige aveva scoperto l'emozione di poter vedere qualcosa con chiarezza.
"Come faccio a tornare alla vita di prima?" si chiese in preda al panico e proprio in quell'istante la porta della camera venna aperta ed Evan si palesò sulla soglia.
-Trovata!- urlò verso il corridoio e subito dopo arrivò pure Keith, di corsa, schiantandosi contro il marito, il fiato corto e un'espressione di puro panico dipinta in viso. Superò Evan e si precipitò sul letto accanto a lei.
-Sei qui! Oh mio Dio, mi era preso un colpo!- esclamò l'uomo e scosse la testa mentre Paige lo fissava tanto sbalordita da smettere di piangere.
-Tutto bene?- le chiese Evan, avvicinandosi al marito e poggiandogli una mano su una spalla. Paige tirò su col naso e indossò di nuovo gli occhiali. Annuì e distolse lo sguardo da loro, sentendosi in imbarazzo. Così facendo si accorse della presenza anche della sorella, che la fissava interdetta, parzialmente nascosta dietro Evan.
Keith si lasciò cadere al suo fianco, facendo perno su un gomito, sorreggendosi la testa con una mano.
Le accarezzò titubante una guancia, asciugandole in punta di dita i residui di lacrime. Paige rabbrividì e scivolò un po' di più verso di lui, cercando di prendere di più da quelle coccole e, allo stesso tempo, ponendo il silenzio assoluto ai propri pensieri, di modo che non arrivassero a rinfacciarle quella sua debolezza.
-Ti sei stancata di lavorare alla cameretta?- le chiese Evan e lei aggrottò la fronte.
-Non ho fatto niente io- borbottò Paige.
-Ti stavi annoiando?- le domandò Keith e la ragazza sbuffò, nascondendosi contro il suo petto – e soltanto per celare a entrambi la propria espressione, ovviamente.
-Un po'-
-Tra un poco usciamo- continuò a dire l'uomo e Paige percepì il suo cuore battere sempre più forte.
Si concentrò nell'ascoltarne il ritmo scandito dalla sua voce e dai suoi respiri, mentre i muscoli del proprio corpo si rilassavano, seguendo la melodia di quello dell'altro: li sentì ammorbidirsi e fu come se si stessero "aprendo", rilasciando tutta la tensione e la tristezza che avevano accumulato, restituendole una piacevole sensazione di pace. E anche un pizzico di sonnolenza.
Keith prese ad accarezzarle i capelli, le spalle, con una gentilezza che la fece tremare, e Paige si schiacciò di più contro di lui, mettendo a tacere di nuovo la mente che tentava di ricordarle che quello era il suo nemico e che Evan e Sophie, con tutta probabilità, la stavano guardando.
-Dove andiamo?- domandò con un filo di voce e poi chiuse gli occhi, per impedire alle lacrime di tornare a bagnarle il viso.
"Potrei restare così per sempre".
•
Il viaggio in auto non fu molto lungo eppure Paige ebbe la possibilità di riempirsi gli occhi di cose che non aveva mai visto, di cose per lei tutte nuove, come il distretto in cui i due uomini le condussero: sembrava venire fuori da una di quelle favole che Evan aveva iniziato a leggere loro la sera, per aiutarle ad addormentarsi. All'inizio Paige aveva trovato quelle storielle noiose, la situazione in sé imbarazzante, ma poi si era abituata anche quello e in soli sei giorni.
Poggiò la fronte contro il finestrino dell'auto e sbirciò il riflesso del profilo di sua sorella. Fuori si era già fatto buio e il cielo aveva minacciato pioggia per tutto il giorno. Rivolse un breve pensiero a Deena, Barry e Nick, ma poi Keith ed Evan aprirono le portiere dai loro lati, scendendo per strada e interrompendo i suoi pensieri.
Paige li seguì sul marciapiede, al fianco di Sophie, guardandosi intorno senza più fare nulla per nascondere la propria curiosità. Il distretto era tranquillo, pareva addormentato, ma illuminato a giorno. C'erano un sacco di cose sparse per le aiuole che si aprivano davanti le villette a non più di due piani che si innalzavano su entrambi i lati della strada, ma, a quanto pareva, nessuno degli abitanti del posto pareva temere che qualcuno potesse rubare le cose che avevano lasciato fuori – perlopiù, giocattoli.
Si avvicinarono a una delle case e prima ancora che arrivassero davanti l'ingresso, la porta venne aperta e una donna robusta e dai capelli viola comparve sulla soglia. Paige sgranò gli occhi, riconoscendo in lei uno dei volti che aveva visto nelle fotografie in camera della coppia.
Era assolutamente sbalordita dal fatto di vederla dal vivo, visto che aveva dato per scontato che Keith ed Evan non avrebbero mai voluto renderle davvero parte della loro vita. Era stata sicura, fino a pochi istanti prima, che per loro, lei e sua sorella, non erano altro che una breve parentesi. Un esperimento che sarebbe presto fallito. Si aspettava di essere mollata ancora e invece si trovava catapultata in un altro pezzo della loro vita, come se volessero intrecciarle ancora di più alle loro esistenze.
"E non va bene" si disse Paige in preda al panico, rendendosi conto che, nonostante tutti gli sforzi che stava facendo per restare con i piedi ben saldati a terra, nonostante tutte le sue convinzioni e paure, era ormai troppo tardi per tornare indietro.
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