20
Quando Rocky e Adriana iniziarono ad abbaiare dalla cucina, Keith ed Evan balzarono di colpo sull'attenti. Anche loro avevano sentito il campanello suonare e, visto l'ospite speciale che stavano aspettando, subito vennero colti dall'ansia e si scambiarono uno sguardo colmo di paura.
Avevano sistemato i cani in cucina, sprangando la porta con un cancelletto di fortuna, ma questo aveva indispettito entrambe le bestiole, che stavano tentando con ogni mezzo di evadere dalla loro improvvisata prigione.
Tuttavia, i due uomini avevano preferito optare per quella soluzione, temendo la possibilità che il loro ospite potesse avere paura dei cani: non volevano iniziare quell'incontro con il piede sbagliato.
Con il cuore in gola, i due aprirono il cancello da lontano e poi la porta di casa, restando sulla soglia in paziente attesa, osservando Lily e Nate procedere al fianco di Jeffrey e dell'assistente sociale, per il vialetto. Accanto alla loro amica scorsero due ragazzine con i capelli rossi.
La più piccola era riccia, mingherlina, e indossava una salopette che aveva visto sicuramente giorni migliori. Keith deglutì e contrasse la mascella, spostando lo sguardo sull'altra, che era più alta della prima, con i capelli lisci, ancora più esile nel fisico, e indossava un paio di occhiali dalle lenti rotonde; sfoggiava una giacca jeans bucherellata sopra una T-shirt scolorita e un paio di anonimi pantaloni di tuta.
Il gruppetto arrivò al patio e lì si fermò, mentre l'imbarazzo serpeggiava tra i presenti. A rompere lo stallo in cui si trovarono fu l'assistente sociale, una donna sulla cinquantina, robusta, e con i capelli biondi acconciati in stile anni Cinquanta, con tanto di cerchietto. Si schiarì la gola e poggiò una mano su una delle spalle della bambina.
-Lei è Sophie- disse. -E lei è sua sorella Paige-
Evan squadrò entrambe le ragazzine, percependo un'ansia sempre maggiore riempirgli il petto. Era terrorizzato dall'idea di commettere il più piccolo errore, e l'abbaiare dei cani in sottofondo non lo stava aiutando a mantenere la giusta concentrazione.
-Ciao- disse Keith con voce tremula e Paige sollevò una mano nella sua direzione, in segno di blando saluto, mentre Sophie abbassava gli occhi sulle assi di legno del patio. -Entriamo?- balbettò subito dopo e Jeffrey fu il primo a varcare l'ingresso, seguito dagli altri.
Si sistemarono in soggiorno, con Rocky e Adriana sempre più agitati nel vedere tante persone in casa loro e senza avere la possibilità di annusarne neppure una.
Presero posto su divano e poltrone, con Sophie che scelse per sé un angolino del primo, facendosi tanto piccola da trasmettere il timore in Evan che potesse scomparire in un battito di ciglia.
Paige rimase in piedi e si avvicinò ai cani.
-Mordono?- domandò e Keith la raggiunse subito, saltanto praticamente in piedi per correre verso di lei, tanto che l'altra, istintivamente, compì un passo indietro, per continuare ad assicurarsi una certa distanza tra di loro.
-No- balbettò l'uomo e Paige sbuffò, sentendosi infastidita dall'umore teso che leggeva in lui. Aveva immaginato che il marito di suo padre fosse una specie di orco. Uno zombie. Era arrivata a vagliare tutte le ipotesi possibili e immaginabili, mentre nella sua mente gli faceva assumere una forma vagamente umanoide, con i denti gialli e sporgenti, gli occhi enormi come due ruote da skateboard e le braccia lunghe fino al pavimento. Era indispettita dal fatto che non fosse così, anzi. Il marito di suo padre era un bell'uomo, dai tratti gentili e gli occhi più azzurri che avesse mai visto, pieni di dolcezza.
E ciò le dava fastidio.
Allungò una mano verso i cani, titubante, ma quello con il manto color caramello le andò subito incontro con il muso, strusciandosi nel suo palmo. Paige si sentì arrossire e sorrise.
-Vieni, sis, guarda come sono belli!- disse, richiamando la sorella. Sophie si guardò attorno con aria circospetta e poi scese dal divano, sotto lo sguardo attento dei presenti, avvicinandosi titubante alla cucina. Si nascose dietro la sorella e sbirciò gli animali, che presero ad abbaiare ancora più forte. Adriana tentò persino di buttare giù il cancelletto, ma Keith ne strinse una parte con forza, impedendole di aprirlo.
-Ti piacciono i cani?- le chiese e Sophie si strinse nelle spalle.
-Non parla- disse Paige, battendo affettuosamente una pacca sulla testa della bambina. -Ma prima avevamo un cane. Più o meno. Ci seguiva per il distretto. Poi è sparito. Forse è morto- spiegò con voce priva di sfumature e Keith rabbrividì. Percepì le mani del marito sui fianchi e si accorse in quel momento che Evan li aveva raggiunti.
-A te piacciono gli animali?- chiese quest'ultimo, rivolgendosi direttamente alla ragazza.
Paige si sentì avvampare e distolse lo sguardo da lui. Il suo piano di scoprire dove suo padre abitava, intrufolarsi in casa sua e indagare sul perché l'avesse abbandonata, senza chiederlo direttamente a lui, era appena iniziato e rischiava già di ritorcersi contro di lei. Non voleva dire a Evan di essere sua figlia: c'era la possibilità che Deena avesse ragione e che suo padre l'avesse mollata perché non l'aveva mai voluta.
E lei non aveva alcuna intenzione di permettergli di dirle una cose del genere con il rischio che le spezzasse il cuore.
Voleva la verità, ma se la sarebbe trovata da sola. Le bastava soltanto che le venisse data l'opportunità di frugare nella sua vita, nella sua casa ed era certa che avrebbe trovato tutte le risposte alle proprie domande.
Se tutto fosse andato secondo i suoi piani, era pure possibile che sarebbe riuscita a portare a termine la sua missione prima che la polizia fornisse i loro documenti all'assistente sociale, così avrebbe ripreso con sé Sophie e sarebbero fuggite da quella casa prima che la situazione si facesse troppo pericolosa.
Non aveva alcuna intenzione di dare loro la sua sorellina, né tanto meno di permettergli di "salvarle".
Erano state rifiutate e abbandonate e avevano sempre vissuto per strada, anche quando la loro madre era stata in vita. Non conoscevano le favole e c'era da scommettere che, anche se le avessero conosciute, di certo non vi avrebbero creduto.
•
-Bene- stava dicendo l'assistente sociale, mentre riponeva dei documenti dentro la propria ventiquattrore. Poi sollevò lo sguardo sulle ragazzine e Keith, seduti sul pavimento, intenti a coccolare Rocky e Adriana – finalmente liberi dalla loro "prigione".
Evan pose l'ultima delle firme che mancava e porse anche il foglio, che aveva avuto tra le mani fino a un istante prima, alla donna.
-Bene- ripeté quella. -Suo marito ha già firmato e con questa abbiamo finito. Ricordate che con questi documenti- disse, sventolando il foglio in aria. -Voi non avete alcun diritto sulla bambina, non ancora. Serve solo a giustificare la sua presenza in casa vostra per i prossimi dieci giorni-
-Solo Sophie- sussurrò Evan e l'assistente sociale gli rivolse un lungo sguardo eloquente, prima di spostare la propria attenzione su Paige.
-L'altra, fino a prova contraria, è maggiorenne. Decide della sua vita in autonomia- disse piano, per non farsi udire dalle ragazzine.
Nate le si fece vicino dal lato opposto, accostandosi il più possibile a lei, stando attento a non risultare invadente.
-Credo poco che sia maggiorenne- disse e la donna annuì.
-Anche in ospedale, dove le abbiamo portate per accettarci che siano in salute, stimano che non abbia più di quindici anni. Ma finché non avremo i documenti, dobbiamo crederle sulla parola- mormorò, ma poi notò una certa rigidità nelle spalle di Paige e temette che la ragazza stesse ascoltando ciò che si stavano dicendo.
-Allora, stasera si festeggia e si va a cena fuori!- esclamò Jeffrey ad alta voce, facendo sussultare i presenti. Poi si avvicinò ai tre sul pavimento, continuando a parlare a un volume eccessivo, cercando di distrarre le ragazzine dai discorsi degli altri. -Dove vi piacerebbe mangiare?-
-Bene- disse ancora l'assistente sociale, tornando a sussurrare. -Se non dovessero esserci complicazioni, ci rivediamo tra una decina di giorni. Il tempo di coordinarmi con la polizia e l'ufficio anagrafe- disse ed Evan annuì.
-La signora Spencer va via- annunciò poi e Paige si girò di scatto: l'assistente sociale se ne stava andando, quindi il suo piano stava funzionando.
Eppure, chissà perché, continuava a essere afflitta da una strana sensazione di paura.
•
Il posto in cui Jeffrey portò tutti a cena era un fast food che sorgeva poco lontano dalla casa di Keith ed Evan.
-Da quanto non mangi un hamburger, fratello?- lo punzecchiò Evan e l'altro aggrottò la fronte.
-Tipo da mai. Ma non credo che le bambine si sarebbero trovate a loro agio nel mio ristorante preferito- ribatté, rivolgendo un lungo sguardo verso Keith e Lily, tra cui camminavano Sophie e Paige.
Evan annuì.
-Stasera restiamo, per aiutarvi a sciogliere un po' l'imbarazzo- disse Nate. -Ma una volta tornati a casa sarete soli. Come ti senti?- gli domandò e l'amico trasse un profondo respiro tremulo.
-Ho paura di sbagliare- ammise.
-I genitori sbagliano sempre. Quindi stai partendo con il piede giusto- ribatté Nate, battendogli una pacca affettuosa al centro delle spalle.
-Non mi aspettavo una bambina. Non aspettavo proprio nulla. Adesso ch'è qui, mi sento davvero impreparato, come se mi avessero catapultato in questa situazione all'improvviso, come se non fossero quasi due mesi che cerchiamo di adottare un bambino-
-È naturale, penso- disse Jeffrey, scrollando le spalle con fare elegante. -Anche Daniel mi aveva detto che non bastano le buone intenzioni. Non che voi abbiate di che avere paura, ma sicuramente è una cosa nuova e dovete trovare il giusto equilibrio-
-Un equilibrio tutto nuovo- aggiunse Nate.
Evan rimase un po' in silenzio, seguendo con attenzione i movimenti delle ragazzine. Per un attimo gli tornò alla mente Loreen e si trovò a domandarsi se anche lei avesse mai provato sentimenti simili a quelli che riempivano il cuore a lui, in quel momento. Poi scosse la testa, rispondendosi di no: era inutile continuare a sperare sul quel fronte. Aveva deciso di tagliarla fuori dalla sua vita, doveva anche convincere il cuore a fare altrettanto.
-Ho solo paura che sia un bel sogno- disse piano, dopo un po', e Jeffrey gli passò un braccio intorno alle spalle, con un certo imbarazzato cameratismo, tentando di fargli percepire tutta la propria solidarietà e vicinanza.
Entrarono nel fast food e Paige si guardò attorno sgomenta. C'era un sacco di gente, di famiglie con bambini, di colori, suoni e un delizioso odore di cibo. Non era mai stata in un posto simile a quello, anche perché i fast food della sua zona non avevano affatto quell'aspetto giocoso. Sembrava ci fosse una qualche sorta di festa in corso, invece l'entusiasmo era frutto soltanto della felicità derivata dal semplice stare insieme. Aggrottò la fronte, fissando ogni cosa con distaccato scetticismo: non voleva credere ai suoi occhi e prese a darsi spiegazioni che fossero in grado di smontare ogni più piccolo brandello di bellezza.
Incominciò a immaginare la folla presente come un'orda di mangiatori di bambini. Era praticamente certa che li stessero mettendo all'ingrasso per poi divorarli, distraendoli dal loro triste destino con giochi e colori.
"Menomale che sono secca" si disse, pizzicandosi la pancia da sopra la maglietta, per accettarsi di non essere ingrassata soltanto guardando tutto quel cibo.
Il gruppo prese posto intorno a un tavolo e, malgrado i suoi sforzi, nel giro di dieci minuti Paige aveva già posto fine a tutte le sue macchinazioni da film dell'orrore. Infatti, si era appena seduta, quando Keith si protese verso Sophie, che stava tra di loro, indicando con un dito le tovagliette sparse sulla superficie del tavolo, per segnare i posti.
-Si può giocare con queste- spiegò e recuperò una penna a disposizione dei clienti. -Vedete queste linee? Creano un labirinto. Bisogna trovare la strada per aiutare il piccolo panda ad arrivare ai germogli di bambù-
-I panda sono ghiotti di germogli di bambù- disse Evan e Paige percepì la sua presenza fisica incombere su di lei sul lato sinistro.
Subito le balzò il cuore in gola e si sentì arrossire. Distolse lo sguardo dalle tovagliette, mentre Keith continuava a spiegare loro come giocarci, e si trovò con gli occhi degli altri tre incollati addosso. Era a disagio e non sapeva come tirarsi fuori da quella situazione, per lei, spaventosa.
Evan porse una biro anche a lei e Paige ebbe modo di sentire il suo profumo. Subito gli occhi le si riempirono di lacrime e strinse con forza la penna, tanto da farsi sbiancare le nocche.
-Non so scrivere- sbottò e al tavolo calò un silenzio imbarazzato.
-Fa niente. Hai tempo per imparare. Guarda- le disse Evan con fare gentile, stringendo tra due dita la punta della sua penna. La aiutò a tracciare il percorso sul foglio, finché non conclusero insieme il gioco. Paige non aveva capito assolutamente nulla in che cosa consistesse e non le importava neppure. Non sentiva più suoni e odori; pareva che il caos nel locale si fosse ammutolito di colpo.
-Di nuovo!- disse, afferrando con rabbia un'altra tovaglietta. Poi si schiarì la gola e rivolse uno sguardo in tralice verso Evan. L'uomo le sorrise gentile e annuì, notando che pure Sophie, guidata da Keith, pareva essersi appassionata a quel giochetto.
-Va bene- e l'uomo tornò a stringere la biro tra due dita, senza rendersi conto dello sguardo incantato di Paige che fissava le loro mani così vicine, strette intorno alla stessa penna.
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