Le visite guidate di Will e Melanie sembrano non avere mai fine. A quanto pare San Francisco ha troppe meraviglie da mostrare e loro non vogliono che ne perda neppure una. Oltre a un tour cittadino, che ha compreso la visita ad Alcatraz, al Golden Gate Bridge, al Golden Gate Park e ovviamente le Painted Ladies – sette case vittoriane perfettamente armonizzate nel bel mezzo della modernità californiana –, hanno insistito per mostrarmi alcuni dei loro posti preferiti.
La gelateria Cream è stata la prima tappa, per la gioia di Sebastian. Pare sia uno dei locali più famosi della città, chiunque la conosce e per questo c'è una discreta quantità di gente quando, dopo aver consumato un ottimo pranzo preparato da Melanie, ci siamo recati lì. Ovviamente in questa moltitudine non è possibile distinguere perfettamente le persone che ci sono intorno, almeno per me.
Per qualcun altro, invece, è sin troppo facile.
Ben ha appena dato il primo morso al suo gelato incastrato tra due biscotti quando una vigorosa pacca sulla spalla lo riscuote, rischiando di farglielo scivolare via dalle dita.
«Guarda che diventerai un bisonte se non ti dai una regolata» viene apostrofato dal nuovo arrivato. Sebbene la sua vista mi sia interdetta, il suo tono irriverente mi basta per comprendere la sua identità.
«Se lo fai cadere me ne compri altri tre» Ben lo minaccia, restituendogli la pacca sulla spalla. Solo a questo punto il suo capo riccioluto entra nella mia visuale, permettendomi di osservare le fossette solcargli le guance.
«Buon appetito a tutti» Ander ignora il suo amico per rivolgersi a noi altri. William e Melanie gli sorridono affabilmente, invitandolo ad unirsi a noi. Dalla confidenza che c'è tra loro posso dedurre che lui e Ben sono amici da molto tempo.
Oppure che Ander è talmente sfacciato da rivolgersi a degli adulti come fossero suoi coetanei, non escluderei questa opzione a priori.
«Come se avessi accettato, Mel... Ho dovuto accompagnare mia sorella, spero che si muova o la porto a casa senza dolce» si lamenta, passandosi una mano sul capo. Le sue dita attraversano senza difficoltà i piccoli e definiti boccoli scuri, ora illuminati da riflessi ambrati.
Quando le sue iridi si poggiano su di me io lo sto già osservando da un po', incauta. Mi rivolge uno sguardo illuminato, i suoi occhi che sembrano urlare "Beccata!", ma tace. Si limita a non distogliere lo sguardo mentre si rivolge nuovamente a Benjamin.
«Prima mi ha chiamato Aaron, è tornato ieri sera dalle vacanze e voleva organizzare qualcosa per stasera, tu ci sei?» ma nemmeno questa domanda è rivolta a me, la sua è solo una provocazione becera; forse crede di innervosirmi in questo modo.
«Che bella idea, così farete conoscere un po' di gente a Hilda!» s'intromette immediatamente Will, entusiasta. Ed ecco che il suo gioco mi appare chiaro: coinvolgermi davanti agli adulti cosicché non possa rifiutare senza risultare scortese nei suoi confronti, perché ormai deve aver immaginato la mia volontà di fare bella figura con la mia famiglia ospitante.
«Uhm, sì» biascica Ben in risposta, la bocca ancora piena del gelato che sta gustando, mentre io mi limito a deglutire con forza senza staccargli gli occhi di dosso. In questo istante stanno lanciando fulmini e saette nella sua direzione, ma lui pare non tenerne conto.
«Ovviamente sei invitata anche tu, Penny» le comunica Ander prima di salutarci velocemente, richiamato da qualcuno che lo cerca a gran voce.
Ma i suoi occhi continuo a sentirmeli addosso ancora per molto tempo.
∽✵∼
Abbiamo camminato per tutto il pomeriggio, seguendo i tornanti e ammirando le strade di San Francisco. I Budd mi hanno accompagnato alla scoperta della città, mostrandomi gli scorci più caratteristici e i loro murales preferiti. Ogni angolo, vicolo, tornante è animato da una moltitudine di colori, sprazzi di allegria e leggerezza che si rincorrono lungo le pareti di cemento, che ormai di grigio non hanno nulla se non sporadici tratti immacolati.
Ma le mie preferite sono in assoluto le scale, di una bellezza disarmante, che quasi ti viene voglia di planare su di esse per non rischiare di contagiare cotanta beltà con le suole delle calzature, impure al cospetto di quella maestosità. Quasi ho l'impressione di volteggiare su di esse, sforzandomi così tanto di risultare delicata da arrivare stremata a casa, lunga distesa sul letto e senza alcuna voglia di alzarmi da lì.
«Hilda, muoviti o faremo tardi!» squittisce Penelope entrando di soppiatto nella mia stanza e facendomi sobbalzare. Si muove freneticamente, l'eccitazione palpabile dai muscoli guizzanti e gli occhi illuminati.
«Sono stanca, credo che me ne resterò a casa» biascico senza nemmeno alzarmi dal letto. La voce di mia madre che mi ricorda le norme di buona educazione mi rimbomba nella testa, ma la metto velocemente a tacere.
Uno dei motivi per cui ho scelto di partire è che sentivo l'esigenza di rompere le catene di stoffa che delicatamente mi stringevano il cuore. Nel Regno dovevo rendere conto ai miei genitori qualsiasi cosa facessi, persino passeggiare poteva essere un problema se facevo qualche spiacevole incontro e tornavo alla mia prigione dorata con gli occhi velati di lacrime.
Non sono a casa adesso, lo dimostrano il letto matrimoniale con la testata in legno ma privo del baldacchino, non situato al centro della stanza ma accanto alla parete. Il mio armadio in acero è sostituito da un lucido armadio scuro, in contrasto con le pareti rosate. I Budd mi hanno consegnato la chiave di quella che era stata sempre la stanza degli ospiti non appena ho varcato l'uscio. A casa mia nemmeno le avevo le chiavi della mia stanza, mia madre tiene fin troppo alla privacy, ma mai quanto tiene al suo bisogno di avere sempre tutto sotto controllo.
Penelope mi scruta dubbiosa, sovrastando con ampie falcate il parquet che dalla porta la conduce alla scrivania, proprio sotto la finestra. Un venticello fresco entra dall'apertura, stemperando l'aria altrimenti afosa.
«Devi venire per forza» mi comunica, poggiando le mani sui i fianchi. È più alta di me solo di una manciata di centimetri, ma sono abbastanza per farla apparire più grande data la sua corporatura. Inoltre, adesso ha raccolto i capelli in una composta treccia alla francese e un filo di trucco le ombreggia il viso, facendola apparire proprio una piccola donna.
«Sul serio, Penny, mi fanno male tutti i muscoli» provo a giustificarmi abbassando le palpebre. Pessima mossa dal momento che il buio non mi permette di prevedere l'avvicinamento della ragazza, né tantomeno lo strattone con cui mi tira in piedi, facendomi vacillare.
«Non mi puoi abbandonare con Ben e i suoi amici» mugola piano, sbattendo ripetutamente le palpebre e sporgendo il labbro inferiore. Somiglia terribilmente a Sebastian in questo frangente e io ormai ho rinunciato a tenere testa al piccolo di casa, specialmente quando mette su quell'espressione da cane bastonato.
«E va bene» acconsento, roteando gli occhi. Non ho davvero voglia di passare una serata intera con Ander, ma sarei troppo dispiaciuta se Penny si annoiasse o si sentisse sola a causa mia.
«Aaah, grazie!» si lascia scappare un gridolino, buttandomi le braccia al collo, il labbruccio sostituito da un enorme sorriso e il viso gioioso.
Si è presa gioco di me? E io ci sono cascata?!
«Mi hai salvato la vita, Natalie mi inquieta» mi riferisce, senza staccarsi. Non ricambio l'abbraccio, incapace di replicare quello slancio d'affetto brusco e inaspettato, ma le lascio la possibilità di strapazzarmi ancora un po'.
Non sono abituata a tutto quel contatto umano, ma a quanto pare qui è comune comportarsi in questo modo. In effetti, data la mia personale esperienza, potrei dire che è comune ovunque tranne che in casa mia, nella mia famiglia. O, meglio ancora, in presenza di mia madre. Riflettendoci col senno di poi, inizio a pensare che sia un po' germofobica, altrimenti mi viene difficile spiegarmi il suo apparente ribrezzo al contatto umano.
«Ragazze, siete pronte?» Benjamin si affaccia in camera, poggiandosi sullo stipite della porta. Quando si schiarisce la voce per annunciarci la sua presenza ha sul volto il sorrisino colpevole di chi è rimasto a fissare qualcuno più del consentito.
«Sì!» squittisce Penelope, liberandomi da quello strampalato abbraccio per andargli incontro. Non mi ha nemmeno dato il tempo di fare una doccia o cambiarmi, per cui mi limito ad afferrare una felpa mentre vengo trascinata fuori dalla mia camera.
Negli Stati Uniti si ottiene la patente di guida a sedici anni, per cui Melanie consegna le chiavi al figlio raccomandandogli di avere prudenza e ci augura una buona serata.
In tutto questo trambusto non ho idea del luogo in cui hanno deciso di incontrarsi, ma Ben guida con sicurezza tra i tornanti per cui deduco che conosca bene la strada. Per tutto il tragitto, Penelope non fa altro che sproloquiare circa la fantomatica bellezza di tale Aaron – se non erro il ragazzo che ha proposto di vedersi – mentre il fratello sbuffa a intermittenza, finché ferma l'auto davanti a un'alta cancellata. Parcheggia affiancando il marciapiede, dopodiché tutti e tre scendiamo e ci dirigiamo verso il cancelletto pedonale aperto.
La villa, che si staglia nella sua immensità per almeno tre piani, è anticipata da un giardino ben curato. Un percorso di ciottoli ci conduce fino ai gradini della veranda, la quale piega lateralmente e si perde verso il retro della casa. È Benjamin che suona il campanello, ergendosi davanti al portone blindato in attesa che ci aprano.
Nell'attesa la mia mente vaga, riflettendo sul fatto che probabilmente è la prima volta che vengo invitata ad uscire. Non mi sovviene, infatti, un'altra occasione in cui i miei coetanei mi abbiano invitato ad unirmi a loro nel tempo libero, ad eccezione dei compleanni. In quei casi, tuttavia, erano quasi costretti, vuoi dalla situazione vuoi dai genitori, desiderosi di conoscere i miei – il Consigliere del Re e il Generale Maggiore dell'Esercito.
Mi stampo un sorriso cordiale, volenterosa di fare una buona impressione agli amici di Ben. In fondo non dovrebbe essere difficile, basterà imitare lui e Penelope e tentare di integrarmi, di essere invisibile ma presente. Nulla può andare storto.
«Ehilà, chi si rivede!»
O forse no.
Un capitolo di passaggio, lo so, ma ci voleva proprio una pausa perché il prossimo capitolo sarà pieno di personaggi da introdurre, per cui... fidatevi! Inoltre, al prossimo aggiornamento seguirà il capitolo extra con le schede personaggio degli amici, che sono una chicca che mi sono troppo divertita a creare!
Probabilmente vi ho annoiato con questa storia di San Francisco, ma non esagero quando dico che mi sono letteralmente innamorata di questa città, per cui vi lascio qualche altro scorcio! Voi, in cambio, fatemi sapere cosa ne pensate con qualche commento e non dimenticate di lasciare la stellina!
Luna Freya Nives
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