I. Prologo

E lascio che la gente pensi che io sia felice
Che sia stupido, sia debole, che sia assente
Perché di tutto questo
Non sono niente

E vestiti bene che la gente vede
Che la gente parla
Che è la gente che decide
Se siamo buoni o cattivi
Se siamo vivi

Una volta ho letto che il cuore di un uomo è simile al mare perché ha le sue tempeste, le sue maree e, ovviamente, le sue perle. No, non è stato un poeta a scriverlo, bensì Van Gogh. Ogni volta che ci penso vorrei domandargli se i mari senza tempeste e maree hanno ugualmente le perle oppure se queste si trovano solo a una certa profondità. Se anche potessi farlo temo che non riceverei risposta alcuna, il caro vecchio Vincent me lo immagino un vecchietto burbero, poco incline alle conversazioni, concentrato sulla stesura dell'ennesimo dipinto.

Il mare che vedo dalla mia finestra è placido, quieto, dormiente. S'infrange docilmente contro la costa frastagliata, quasi timoroso di provocarle dolore. È stato fedele compagno delle mie notti insonni, presenza costante dei miei giorni allegri e complice della mia cupa solitudine. E sto per abbandonarlo.

Al solo pensiero i brividi si impossessano del mio corpo, impedendomi di tenere gli occhi aperti e pensare lucidamente. No, io devo partire.

Van Gogh ha altresì detto che, nonostante i pescatori sappiano quanto il mare sia pericoloso e le tempeste temibili, questo non ha mai impedito loro di partire. E nemmeno i ripensamenti impediranno a me di spiccare il volo, di lasciare quest'isola di pescatori e Reali per scoprire la vera Hilda, figlia di nessuno, prima donna a fare qualsiasi cosa io voglia.

Ho finalmente rotto la campana di vetro in cui mi hanno chiuso, seppur a fin bene, i miei genitori. In fondo li capisco, volevano solo proteggermi dalle malelingue, dalle occhiate curiose, dalle domande impertinenti che però i miei compagni di scuola non si sono mai risparmiati.

«Perché sei così bianca?» domandavano quando erano troppo piccoli per conoscere la parola malattia e la sua immensa portata. Perché sì, l'albinismo è una malattia a tutti gli effetti, anche se nel mio personale caso mi ha risparmiato alcuni degli aspetti più pericolosi, manifestandosi in forma lieve. Nata candida, la quantità di melanina prodotta dal mio organismo non è abbastanza da donarmi un colorito roseo, il pallore è il mio tratto distintivo e motivo di curiosità per gli altri.

A ciò si aggiunge il colore dorato dei miei capelli, ancora troppo chiaro per potersi definire biondo ma con sfumature calde che, se non altro, mi illuminano il viso.

«Sei malata, Mathilda, fatti curare» hanno continuato quando, crescendo, le loro lingue si sono affinate. Il mio aspetto, il mio nome, la mia famiglia, tutto ciò che ha a che fare con me è motivo di scherno, dunque è facile prevedere che non ho molti amici. Eppure, tutti gli abitanti della piccola Monarchia Costituzionale, perlopiù pescatori e artigiani, gente umile, vogliono conoscere il Consigliere del Re e il Generale Maggiore, prima donna a capo dell'Esercito; ma nessuno vuole conoscere Hilda.

«Beata te, Hilda, pagherei per avere i tuoi occhi» mi dicevano le mie compagne di classe, sperimentando l'invidia e la gelosia e imbellendole di perbenismo e gentilezze quando hanno compreso l'importanza dei rapporti opportunisti. Ma nei loro sguardi languidi, lascivi, potevo leggere le loro intenzioni arriviste.

La prigione dorata in cui mi sono rifugiata in questi diciassette anni inizia a starmi stretta e le mie catene mostrano i primi segni di cedimento, così ne ho approfittato. Alla prima occasione mi sono iscritta a un programma di scambio internazionale, ho superato un test di cultura generale e un esame di lingua; poi ho terminato il terzo anno di liceo ottenendo il massimo dei voti in ogni materia. Con questi precedenti, i miei genitori non hanno potuto far altro se non permettermi di partire.

Quando ho inviato il mio curriculum per la selezione iniziale ho pensato che, se mi avessero preso, avrei fatto loro un favore, ma quando ho saputo l'esito positivo e gliel'ho comunicato non l'hanno presa bene. I miei genitori si preoccupano per me molto più di quanto abbiano mai dato a vedere, quella consapevolezza mi ha scaldato il cuore e tutt'oggi mi rincuora quando la loro assenza è più presente che mai. Tuttavia, questa è un'opportunità che si presenta una sola volta nella vita, se non la colgo al volo rischio di far marcire il cuore nella mia gabbia toracica senza mai fargli conoscere il mondo.

«Mathilda, sei pronta?» domanda mia madre, ancora fasciata nella sua uniforme, le medagliette di riconoscimento che brillano sul taschino destro, all'altezza del cuore. Edna Berger è una donna rigida, poco incline alle manifestazioni d'affetto, realizzata e non disposta ad assoggettarsi, nemmeno quando si tratta di prendere il cognome del marito dopo il matrimonio. No, il Generale Maggiore Berger non sarebbe mai diventato Kofler, ha lottato con le unghie e con i denti per ottenere quel titolo quando era ancora nubile e non avrebbe mai permesso che un contratto come il matrimonio le togliesse quei meriti.

«Sì, prendo la valigia» rispondo sorridendole mentre mi affretto a sollevare il mio trolley. La mia corporatura gracile non mi aiuta in situazioni come questa, ma devo dimostrare per l'ennesima volta a mia madre che sono cresciuta, non ho bisogno del loro aiuto, e sono pronta a spiccare il volo nella direzione che solo io deciderò.

«Ti serve aiuto?» papà si intromette nella conversazione, affacciandosi alla porta della mia stanza. Marius Kofler è sempre stato accondiscendente con me, al contrario della mamma. Quando lei mi costringeva ad allenamenti estenuanti di difesa personale era lui che veniva a salvarmi, campando in aria le scuse più assurde pur di farmi riposare. Era sempre stato papà che la sera mi leggeva le fiabe prima che mi addormentassi, era lui che mi portava i cioccolatini per farsi perdonare quando le riunioni del Consiglio Reale si protraevano più del dovuto e mancava al nostro appuntamento serale.

«No, grazie, ce la faccio» affermo con sicurezza, trascinando il trolley nella loro direzione. Gli allenamenti con la mamma hanno dato i giusti frutti; certo, sono rimasta gracile e la mia altezza esigua non aiuta, ma contro ogni previsione il mio tono muscolare è migliorato, permettendomi una buona dose di indipendenza nella difesa.

Nonostante il sapore ferroso del sangue in bocca e le goccioline di sudore che si insinuavano in ogni spigolo del mio corpo non mi manchino affatto, sono costretta ad ammettere che tutte quelle ore di lotta libera con mia madre mi sono servite parecchio: mi ha insegnato a difendermi dagli attacchi alle spalle anche se il mio aggressore è grande il doppio di me; mi ha insegnato ad assestare colpi mirati nei punti deboli (alluce, stomaco, inguine, naso); mi ha insegnato ad usare ogni parte del mio corpo spigoloso per difendermi -i gomiti appuntiti, i denti affilati, le unghie limate, i piedi scattanti. A mia madre devo tutto, è grazie a lei se oggi posso professarmi forte e indipendente senza mentire affatto.

L'unica cosa che mi ha fatto mancare sono state le carezze, gli abbracci, le coccole, quella parte più carnale dell'affetto che solo mio padre mi ha donato, non riuscendo tuttavia a compensare l'enorme vuoto affettivo che la sua consorte ha lasciato. Da bambina credevo lo facesse perché non ero la figlia perfetta, così mi impegnavo per essere sempre la migliore, prendevo ottimi voti a scuola, suonavo il pianoforte e strimpellavo col violino -il suo strumento preferito-, e in cambio ricevevo solamente «Hai fatto il tuo dovere, Mathilda» o «Bene, se lo provi ancora una volta sarà perfetto». Ma non era mai perfetto.

Con la sua distanza, mia madre mi ha insegnato ad accettarmi da sola, senza bisogno del sostegno altrui, a dare il massimo perché io voglio ottenere il massimo, senza aspettarmi ricompense o complimenti.

«Il Re ti augura buon viaggio, vuole che tu faccia una buona pubblicità al regno.»
Papà ridacchia mentre mi aiuta a caricare la valigia nel cofano dell'auto con cui mi accompagneranno all'aeroporto privato. Ho provato a insistere per raggiungere in nave l'aeroporto più vicino, ma la principessa Anya ha insistito affinché usassi il loro jet.

«Per la figlia di due delle persone più importanti per il nostro Regno questo e altro» mi ha fatto l'occhiolino, donandomi un cofanetto e intimandomi di aprirlo solo una volta partita.

«Mi raccomando, Mathilda, stai attenta e avvertici quando arrivi» mi intima mia madre mentre papà guida alla volta dell'aeroporto. Nonostante la sua postura rigida, percepisco un guizzo di preoccupazione attraversarle le iridi chiare. Lei non si è mai allontanata molto dall'isola, è nata e cresciuta qui e in giovane età è entrata nell'esercito, non comprende il mio bisogno d'evasione. Papà, al contrario, ha frequentato l'Università in Germania, dunque ho avuto la sua approvazione quando ho comunicato loro la mia volontà di partire.

«Certo, mamma» la rassicuro sorridendole. Per quanto cerchi di nasconderlo, so che non vorrebbe che me ne vada, mi vorrebbe a casa, sotto la sua ala protettiva. Mi sta lasciando andare solo perché ho dimostrato di meritarlo davvero. E di volerlo davvero.

∽✵∼

L'aeroporto dell'isola è piccolo, non ci sono voli di linea che seguono questa rotta, solo gli aerei privati dei diplomatici europei atterrano di tanto per negoziare con i Reali. Il jet mi aspetta con i motori già accesi e il pilota mi fa cenno di essere pronto.

«Allora io... vado» dico, rivolgendomi ai miei genitori.

«Ci mancherai» papà mi abbraccia, stringendomi forte come faceva quando da bambina avevo gli incubi e lui correva nella mia stanza per tranquillizzarmi.

«E divertiti» mi sussurra direttamente nell'orecchio, senza farsi udire dalla mamma, prima di lasciarmi un ultimo bacio sul capo e allontanarsi da me.

«Buon viaggio» mi augura invece la mamma, sempre più rigorosa. Non mi sarei aspettata un tale slancio affettivo -suppongo ci sia lo zampino di papà-, ma si avvicina per scoccarmi due baci sulle guance. L'ultima volta che mi ha dato un bacio è stato al mio compleanno, ormai diversi mesi fa.

«Grazie» biascico contenta, col sorriso ampio che cattura anche i miei occhi.

«Statemi bene» proseguo, incamminandomi verso il jet. Il desiderio di voltarmi per guardarli ancora una volta è tanto, ma so che verrebbe interpretato come un gesto di debolezza, e io non sono debole. Non più.

Ho smesso di essere debole ormai molti anni fa, nel momento in cui ho imparato che gli altri usano le tue debolezze per trarne vantaggio, per soggiogarti al proprio volere o per farti rotolare giù da un precipizio senza alcuna pietà.

Mamma non ha mai mostrato debolezze, probabilmente non ne ha, per questo ha ottenuto il potere massimo; papà è bravo a mascherarle e per questo è riuscito ad ottenere l'ambito titolo di Consigliere del Re.

Io non voglio essere da meno, voglio essere forte in battaglia come suggerisce il mio nome, voglio essere una Kofler Berger in tutto e per tutto, forte e indipendente come mia madre, intraprendente e intelligente come mio padre. E lo sarò.

Non avete idea di ciò che sto provando in questo momento! Mi sento al contempo emozionata e terrorizzata all'idea di condividere questa storia con voi, ma sentivo che era giunto il momento di fare un altro passo avanti 💫

Innanzitutto vi ringrazio per essere arrivati fin qui, spero che mi accompagnerete in questo nuovo percorso, ve ne sarei davvero molto grata 🦋

Qui non troverete badboy e relazioni travagliate ma, ve lo garantisco, la mia Hilda saprà farvi disperare lo stesso 😂

Le due citazioni di Van Gogh a cui faccio riferimento sono: "Il cuore di un uomo è molto simile al mare in tempesta: ha le sue tempeste, le sue maree e, nelle sue profondità, anche le sue perle." e "I pescatori sanno che il mare è pericoloso e le tempeste terribili, ma non hanno mai considerato quei pericoli ragioni sufficienti per rimanere a terra.".

Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate, quali son le vostre prime impressioni, come vi sembra, se vi piace questa Hilda... Insomma, chiacchierare! Vi lascio anche un box su instagram (flyerthanwind_)

Infine, vi lancio una sfida: indovinare in quale città si trasferirà Hilda! Nel booktrailer ho utilizzato un soprannome, ma le immagini che trovate sia lì, sia nella copertina -realizzata dalla fantastica heavenismore- sia nelle altre grafiche della storia sono molto esplicite. Io me ne sono innamorata e vorrei visitarla un giorno, spero di far appassionare anche voi 🌸

Non mi dilungo oltre, spero di aver catturato la vostra attenzione e vi invito ad aggiungere la storia alla biblioteca così da non rischiare di perdere il prossimo aggiornamento, che è fissato per

Luna Freya Nives

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