Sonnambuli in trasferta
Nonostante l'autunno fosse prossimo alla sua fine, quel giorno il meteo sembrava esser stato generoso. Le temperature si erano alzate di un paio di gradi e il sole aveva deciso di reclamare il suo posto nel cielo limpido, anche le nuvole di passaggio sembravano voler correre via e non fermarsi per una chiacchierata. Il vento poteva esser definito una leggera brezza e i londinesi, ringraziando che fosse sabato, erano entusiasti di poter godere di tale atmosfera. In sintesi, una bellissima giornata.
O lo sarebbe stata, se solo Frode non si fosse svegliato sudato e tremate dall'ennesima battaglia, e i corpi dilaniati dei suoi amici non riaffiorassero ogni qual volta chiudesse le palpebre per più di un secondo.
L'ennesimo sbadiglio lo colpì, mentre stava portando una tazza di caffè alle labbra. Erano solo le dieci del mattino e aveva già perso il conto di quante volte ne aveva fatto rifornimento. Decisamente un pessimo segno, pensò, prima che il mento gli scivolasse dal palmo su cui era appoggiato, per crollare verso il basso, salvandosi solo grazie al fatto che la testa gli fosse ancora attaccata al collo.
Un mugolio di protesta si fece largo nella solitudine dell'appartamento, seguito da singhiozzi che avrebbero dovuto essere una risata. Forse non stava gestendo la situazione al meglio, o forse non la stava gestendo affatto.
Ammettere di avere un problema è il primo passo per risolvere tale problema. Certo, come no.
Con uno sforzo, che non era sicuro di riuscire a sostenere, convinse il suo corpo a cooperare quel tanto che era sufficiente a riportare il busto in posizione eretta e rivolse nuovamente la sua attenzione alle pagine che aveva sparse davanti a sé. La debole speranza, che rileggere la loro storia passata, lo avrebbe in qualche modo aiutato a trovare una soluzione lo aveva accompagnato, come il più abile dei doppiogiochisti, durante le notti insonni di quella estenuante settimana, in calma attesa del momento appropriato in cui avrebbe abbassato ogni difesa, per poterlo, con precisione degna dei migliori cecchini, accoltellare alle spalle, mancando di poco ogni organo vitale, aspettando che il dolore del colpo precedente cessasse, prima di scagliare il prossimo.
Una descrizione accurata, di qualcosa di cui era sicuro di aver subito in almeno due occasioni. In una delle quali non era sicuro di essere sopravvissuto. Dannati maghi di sangue.
Un improvviso suono acuto lo riscosse da quello che, in altre occasioni, avrebbe definito torpore, ma in quella era facilmente definibile come stanchezza esistenziale. Lo stesso rumore insistette, seguito dall'infrangersi di una ceramica sul pavimento. Dannato arco riflesso, si rammaricò, rivolgendo un broncio al suo avambraccio colpevole. Il perseverare di chiunque stesse suonando il suo campanello, lo costrinse finalmente ad alzarsi dalla sedia, sgranchendosi rumorosamente nel percorso che lo separava dal citofono.
«Chi è?» gracchiò al microfono, tentato di appoggiarsi contro la parete e rimanerci. Non poteva essere nessuno di importante in fondo: la sua ristretta cerchia di conoscenze non aveva problemi a introdursi nel suo appartamento per le più varie ragioni.
«E io credevo di avere il primato di voce roca, in questa compagnia» rise una voce distorta, non tanto da non fargli riconoscere Monn.
«Cosa ci fai qui?».
«Ciao Frode, sono anche io molto felice di sentirti e sapere che stai bene, anche io sto bene e ho trovato facilmente parcheggio, posso salire?» da buon scorbutico padrone di casa, non si fece scalfire dal chiacchiericcio passivo-aggressivo dell'irlandese, limitandosi al premere il pulsante corretto per farlo entrare. Con un lamento gutturale lasciò scorrere lo sguardo sulle condizioni del suo soggiorno, per poi scuotere il capo e rinunciare completamente a un qualsiasi tentativo di rendere presentabile il suo appartamento o la sua persona. Raccogliere la tazza rotta gli era invece sembrata un buona idea, almeno fino a quando non notò una copiosa scia di sangue colargli sull'avambraccio.
«Okay, no» da dove era accucciato accanto al tavolo, un'ombra lo coprì, per poi afferrarlo saldamente dalle spalle e costringerlo a sedersi, «Dove tieni il disinfettante?» due dita gli schioccarono ripetutamente davanti agli occhi, facendogli incrociare lo sguardo preoccupato del moro.
Con un dito, della mano non offesa, indicò il corridoio che portava al bagno. L'altro annuì, per poi portargli i palmi ai lati del volto.
«Torno subito, non, e dico non, muovere la mano sinistra» annuì automaticamente, mentre Monn spariva dalla sua vista, per tornare poco dopo con in mano una bottiglietta gialla e varie scatoline, che depositò vicino alle pagine delle sue vite passate, delle loro vite passate, e si tolse la giacca di pelle scura, rimanendo in una maglietta nera a maniche corte. Non male.
«Grazie» rise l'altro, «Ma visto che sono una persona decente e tu sei chiaramente fuori fase, non te lo rinfaccerò in futuro, sempre che tu la smetta di muovere la mano e mi lasci mettere questo cerotto» aumentò la presa sul suo polso, sporgendo la lingua nel lato destro della bocca, contraendo il volto in una espressione concentrata. Una volta sistemata la fasciatura, con una fantasia a cuoricini, perché no in fondo, si raddrizzò, portando le mani ai fianchi, e lo analizzò, con la testa piegata di lato.
«Ne ho assistite di trance, ma questa è davvero brutta» commentò, dopo qualche attimo.
«Grazie?» rispose, non molto convinto. Si guardò nuovamente la medicazione, ancora confuso sul come si fosse ferito in primo luogo. Sentì un suono di frustrazione provenire da Monn.
«Va bene, no, non va bene. Devi uscire di qui. Decisamente. Vai a farti una doccia, mettiti qualcosa di comodo e usciamo» lo istruì, caricandoselo di peso, quando Frode non sembrò voler accennare di volersi muovere, oltre il mostrare quando fosse convincente la sua imitazione di un pesce rosso. Una volta in bagno, l'irlandese indicò la doccia, tirandogli poi un lembo del pigiama. Uscì poi dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Frode fissò la porta chiusa, battendo un paio di volte le ciglia, prima di cercare di focalizzarsi sugli ultimi due minuti della sua vita, pregando mentalmente che l'impressione che aveva dato di sé non fosse stata così terribile. Scosse infine il capo, concentrandosi invece sul non fallire anche nel semplice compito che gli era stato richiesto. Quando si accorse di star passando la spugna su dei vestiti e non sulla sua pelle, arrivò alla conclusione che quel giorno avrebbe decisamente dato mostra di sé. Non avrebbe gli dato colpe, se Monn avesse concluso di avere a che fare con un caso perso, invece del mitico veggente che si era aspettato di trovare.
Con solo un paio di incidenti, un breve spruzzo di acqua gelata era riuscito a ridargli un minimo di vitalità, riuscì infine a infilarsi in un paio di jeans scuri aderenti, una maglietta chiara e un blazer grigio. Uscì dalla sua camera e trovò il suo ospite intento a sistemare i suoi appunti. Fu una strana impressione il suo non sbirciare quanto scritto, come erano solite fare altre persone di sua conoscenza: prendeva semplicemente quadernino per quadernino, assicurandosi che il cordino per tenere il segno fosse sistemato nella pagina lasciata aperta, e li impilava sul tavolo. Dopo qualche attimo, distolse la sua attenzione dal suo operato per voltarsi verso Frode, inarcando un sopracciglio.
«Comodo, non da serata. Dobbiamo fare un bel pezzo in moto» gli comunicò, puntando col pollice in direzione del divano, dove era sistemato un casco.
Invece che rispondergli che quelli fossero i vestiti più comodi che possedeva, non tanto per questioni di stile, ma per una limitata cerchia di impegni che caratterizzavano la sua vita, prettamente lavorativi, optò per una mezza verità.
«Non credo di poter sopportare un solo minuto di più chiuso in questa casa, mi adatterò» affermò. L'altro sembrò essere sul punto di protestare, per poi sospirare e rivestirsi. Scesero a piedi le due rampe di scale, il braccio di Monn saldamente ancorato alla sua vita, che in altre occasioni avrebbe anche trovato impressionante, come lo riuscisse a reggere nonostante il non essere propriamente un peso piuma, ma in quel momento era in uno stato ben oltre l'esausto.
Usciti finalmente dal portone, mentre si domandava se l'impermeabile che aveva afferrato dall'appendiabiti lo avrebbe protetto sufficientemente, l'altro saltò su una robusta moto nera.
«Non so che impressione io possa dare, ma non sono il tipo di persona che normalmente accetta giri in moto da tenebrosi sconosciuti» scherzò, contemplando il modo migliore per montare in sella, senza avere come risultato uno scontro violento del suo naso con l'asfalto, «Nonostante tecnicamente li conosca da numerose vite passate» concesse, arrivando alla conclusione che infilarsi prima il casco sarebbe stata un'ottima cosa.
«Che terribile modo di condurre la tua vita» rise Monn, sistemandogli le braccia attorno al suo busto, una volta in posizione, per poi partire senza preavviso. Siccome stava scherzando solo a metà sul non accettare passaggi in moto, in quanto in passato aveva accettato strappi da sconosciuti, ma non era mai realmente salito su una moto degna di tale nome, si ritrovò presto a impersonare un gatto appena ripescato da un fiume: terrorizzato e pronto ad artigliarsi ai suoi stessi salvatori.
Fortunatamente, da un lato per stanchezza e dall'altro per l'andamento tranquillo, si ritrovò a rilassare gradualmente la presa e a concentrarsi invece sul paesaggio urbano, nel suo mutare da tonalità grigie a colori non propriamente vividi, ma certamente più verdeggianti. Non era sicuro di quanto tempo fosse passato, ma era sicuro il viaggio non fosse durato meno di un'ora, dal brusio di sottofondo non più caratterizzato dal rumore del traffico, ma solo dal suono del vento e chiacchiericcio di turisti.
Parcheggiarono nelle prossimità di una struttura che poteva essere definita una fortezza difensiva, priva di torre, ma dotata di fossato ripieno d'acqua. Un cartello lo identificava come "Coalhouse Fort", incoraggiando i suoi lettori a visitare il parco che lo circondava, senza lasciare rifiuti.
Monn lo trascinò con passo sicuro verso lo specchio d'acqua, fermandosi vicino al tronco di un albero spoglio. Prima di accomodarsi, si voltò a salutare due bambini che giovano nelle vicinanze.
«Ora mi dirai che fai volontariato nei weekend in qualche canile e in estate costruisci orfanotrofi» scosse il capo, cercando di non trovarla una cosa adorabile. Come se non ci fosse già abituato. Sapeva quanto all'altro non si potesse volere male, in nessuna realtà. E in quella aveva anche un fisico- no! Ojasvi lo avrebbe ammazzato, ed era abbastanza sicuro di dover temere più lei di tutti i maghi di sangue uniti.
«No, ma ho fatto volontariato in quello in cui sono cresciuto» replicò sorridendo, pienamente conscio della battuta, «Orfanotrofio, non canile» aggiunse ridendo.
«Sfotti quello che non dorme e fai pure ironia, comportamento esemplare, davvero» lo applaudì, riuscendo nell'impresa di far collidere le sue mani solo la metà delle volte. Anni di cene imbarazzanti lo avevano preparato ad affrontare la situazione a testa alta, nonostante tutto.
Scuotendo il capo a quel goffo tentativo di ironia, Monn stese una coperta a terra, tirandola fuori dalla borsa a tracolla che aveva estratto dalla moto, su cui poi si sistemò.
«Siediti, prima che ti cedano le gambe» gli consigliò l'altro, invitandolo a sedersi accanto a lui, dando colpetti al terreno, «Credimi, sei nella zona da giorni, potresti collassare da un momento all'altro» rinunciò ai comportamenti civilmente appropriati, probabilmente non vedendo Frode dare alcun accenno di vita, ancorando la sua gamba con la caviglia per farlo cadere. Appena il mondo ebbe smesso di girare, Frode sentì la sua schiena appoggiare su una superficie solida e i rami spogli dell'albero intendi a ostruirgli la visuale del cielo. Si voltò alla sua destra, mentre il protagonista dei suoi pensieri, e crisi morale personale, era intento a monitorare dei bambini che giocavano accanto al fossato pieno d'acqua. L''intera postura era tesa, pronta a scattare, ma si rilassò visibilmente quando una donna, presumibilmente la madre, li trascinò via, nonostante le loro proteste.
Oh, fu l'unica cosa che riuscì a pensare, prima che le parole dell'altro potessero tornargli alla mente.
«Zona degli amici? Di già?» Monn a quel punto si degnò di fissarlo, sopracciglia inarcate, per poi emettere un suono strozzato divertito. Buttò indietro il capo, mugugnando qualcosa d'incomprensibile, per poi rivolgersi nuovamente a lui, coprendosi la bocca con una mano.
«Giuro, non voglio ridere, ma... Me lo stai rendendo un po' difficile» confessò, «Sento quel piccolo maledetto sandalo di sorella Grace avvicinarsi» espirò, con un tono troppo malinconico per essere un brutto ricordo.
«Chi?».
«Sorella Grace è... È la donna che mi ha cresciuto» soffiò, giocando ancora con gli anelli che portava alle mani. Erano scuri, massicci e ognuno con simboli diversi. Il più affascinante era forse quello che indossava all'indice della mano sinistra: un dettagliato serpente nero con due pietre chiare al posto degli occhi. Evocava un lontano ricordo, come di cerchio nel cielo, ma non era sicuro non appartenesse invece a qualche serie o film che aveva visto. Vita passata o meno, la vista gli provocava una sensazione di disagio. Lo rassicurava invece l'anello Claddagh che portava al pollice destro, l'unico argentato del gruppo, con un semplice cuore incoronato sorretto da sue mani.
«Immagino non fosse molto felice della tua partenza» constatò, ricordandosi tutte la chiamate che il suo compagno di stanza, ai tempi del college, riceveva dai genitori. Suo padre era riuscito a mantenere un buon equilibrio di tre chiamate a settimana, nonostante si vedessero un fine settimana sì e l'altro pure.
«No in realtà... In realtà è stata lei a intimarmi di partire» ridacchiò, «Sapeva che qui avrei incontrato il mio destino e... Ed ero io quello riluttante, a essere sinceri. Non è facile per me lasciare sole le persone a cui tengo, sono sempre preoccupato che gli possa succedere qualcosa e al pensiero che io non sia lì ad aiutarle...» inspirò profondamente, portandosi il cuore metallico alle labbra.
«Quindi lei sapeva del-del tuo compito... Della...» le parole lo fallirono, troppi concetti che avrebbe voluto esprimere, tutti insieme. Emise un suono simile a un guaito per la frustrazione. Perché il suo cervello non stava collaborando? Ah, vero, non dormiva decentemente da due... Tre... Una settimana, forse?
«Considerando che lei è la veggente di cui ti ho parlato, sì, lei è a conoscenza di tutto questo» gli sorrise, con uno sguardo distante, «Ha sempre cercato di guidarmi verso la strada giusta, come se fossi un figlio o fratello minore».
«Quindi anche lei è come me? Una suora?».
«Era giovane quando ha iniziato e ha creduto che il vedere a volte il futuro fosse un dono... Spirituale. Credo lo pensi ancora e forse è così, non lo so. Non sono mai riuscito a farle cambiare idea... Quasi nessuno ci è mai riuscito in realtà, insomma, ha cresciuto me, l'arracht...» si indicò velocemente il petto con una mano, per poi passarsela distrattamente fra i capelli, fosse stato più sveglio, Frode avrebbe notato meglio quanto quella conversazione lo rendesse nervoso, «Non ha avuto una vita facile nemmeno lei, queste... Queste zone in alcuni periodi dell'anno peggioravano. Da piccolo mi spaventavo, ora so che l'unica cosa possibile è cambiare aria, magari andare in un posto tranquillo».
«Questo sarebbe un posto tranquillo?».
«Forse no... L'ho scoperto casualmente, girando in moto. Ci vengo spesso quando devo distrarmi da qualcosa» conosceva la sensazione, ma non aveva energie o interesse a vagabondare senza meta, giusto per il gusto di farlo. Non era nelle sue corde, da persona nata e vissuta prevalentemente in città. Forse sua sorella non aveva così torto, quando lo rimproverava di avere una vita triste e monotona.
«Il tuo posto felice» osservò, chiedendosi cosa avesse quel posto di così particolare da aver impressionato Monn. Non che lo conoscesse a sufficienza da poter realmente capire cosa attirava l'altro. Forse era per quello che l'irlandese stava parlando così tanto di sé, per creare una base di rapporto, amicizia, tramite la quale avvicinarsi e conquistare la loro fiducia. Chissà, se non fosse stato destinato a proteggerlo, se Monn avrebbe comunque scelto di farlo entrare nella cerchia di persone a cui teneva.
«Qualcosa del genere» gli rispose l'altro, accennandogli un sorriso.
«Sicuro che funzioni? Non è che non voglia dormire, è che appena chiudo gli occhi...» lo scopo era distrarsi dalle sue preoccupazioni, continuare a tirarle fuori in quel modo, probabilmente contava come un fallimento.
«Una visione ti perseguita?» tentò, tono privo di sorpresa o apprensione. O noia, nel caso di Gash.
«Un insieme di situazioni... Tutte con lo stesso inizio» confessò, non sicuro di voler continuare la conversazione.
«Riguarda quello che hanno detto i maghi di sangue?».
«In parte... In realtà riguarda te» ammise nuovamente, quasi in colpa per le sue parole. Come se i suoi ricordi, in qualche modo, dipendessero da lui. Gli sarebbe davvero piaciuto cambiare il corso delle cose, tuttavia, non sembrava essergli concesso. Era solo un veggente, qualcuno che passivamente subiva profezie o messaggi. Peccato che non fosse mai stato in grado di attenersi alle indicazioni dategli.
«Me?» avrebbe voluto evitarlo, ma la verità era quella. Non era sicuramente colpa di Monn, anzi, il licantropo si rivelava molto capace nel tirarli fuori dai guai in cui si cacciavano.
«La nostra storia, o meglio, gli eventi che portano alle nostre morti, iniziano tutti da un punto... Non è colpa tua, ma...».
«Il mio arrivo?» lo tirò fuori dai suoi insulsi tentativi si spiegare e non peggiorare la situazione.
«Esatto, arrivi in città, od ovunque ci troviamo, e parte tutto» con "tutto" inteso come l'inizio delle loro sfortune. Ku escluso. Lui... Lui era un fardello diverso.
«Capisco, quindi ti preoccupa che cosa potrebbe accadere».
«Che cosa accadrà, mi preoccupa cosa accadrà» puntualizzò, sulla difensiva. Aveva le sue ragioni, non era solo un veggente paranoico.
«Ti hanno mai detto che pensi troppo?».
«Qualcuno in questo gruppo lo dovrà pur fare» quella condiscendenza poteva riservarsela anche per altre occasioni.
«Ridotto in questo modo, non ci sarai d'aiuto» continuò l'irlandese, calmo, nonostante il nervosismo che Frode stava sicuramente lasciando trasparire.
Aveva ragione, sapeva che Monn avesse ragione. Ma ripensare agli eventi passati lo avrebbe solo fatto spaventare e preoccupare maggiormente, alimentando uno stato di vigilanza stancante e tedioso, placabile solo progettando un piano d'azione, inutilmente in quanto non possedeva gli elementi per poter riuscire a elaborarlo, quindi entrava ancora in panico, che lo costringeva a rimuginare su tutto quello che aveva fatto, in quella o altre vite, auto infliggendosi colpe e rimproveri, che lo avrebbero portato a uno stato oltre l'esausto, che lo avrebbe portato a cedere al sonno, il quale lo avrebbe portato ad avere sogni e... Era una spirale discendente che non era in grado di fermare. Non sapeva nemmeno su chi fare affidamento. Era solo, perseguitato da aspiranti assassini, con l'aiuto di un immortale saccente e ora di un licantropo. I suoi fratelli erano in pericolo e lui non aveva mezzi per proteggere sé stesso o gli altri. Come avrebbe potuto non preoccuparsi?
«Lo so, ma... Non so che fare, so che non dormire mi...» si portò le mani a coprire il volto, premendo i polsi sugli occhi, trovandoli umidi. Prese un respiro profondo, nel tentativo di calmarsi.
«Non ti posso promettere che non avrai nessun tipo di sogno, ma posso assicurarti che questo» si rivolse verso il paesaggio, «Aiuta» gli poggiò una mano sul braccio, forse nel tentativo di sciogliere la tensione accumulatasi nel suo corpo.
«Questo è auto convincimento... Placebo... Quella roba lì» continuò ad argomentare Frode, non volendo dargliela subito vinta.
«Tu concentrati sul paesaggio, alla spiegazione ci penseremo poi» ghignò l'altro, scuotendo nuovamente il capo.
«Ti hanno mai detto quanto sei-» la mano dell'altro sul suo braccio strinse leggermente la presa, interrompendo il suo commento.
«Chiudi gli occhi e concentrati sul tuo respiro».
«Come sei autoritario» non aveva bisogno di guardarlo, per sapere che l'altro stava alzando gli occhi al cielo.
Nonostante le sue proteste, provò a seguire i consigli di Monn. Si concentrò prima sul suo respiro, lento e regolare, per poi lasciarsi trasportare dalla sensazione del suo corpo pressato sul prato morente, il cui freddo era fortunatamente bloccato dai suoi vestiti, creando un equilibrio tiepido incoraggiato dal calore del cielo limpido. Al suo fianco, l'irlandese si stava muovendo, in un rumore simile al fruscio di pagine, forse si era portato da leggere, mentre in lontananza il brusio di guide, bambini o semplici passanti si univa allo scorrere del fiume.
Si lasciò cullare dalle sensazioni, cedendo all'oblio inconscio, che si aprì solo per gettarlo nelle grinfie del ricordo in agguato.
Anche nel suo sogno il vento gli accarezzava il viso, attenuando il calore eccessivo dei raggi di luce. Avanzava a passo lento, con cautela, evitando di generare un qualsiasi rumore che non potesse essere coperto dal frusciare delle piante di quel giardino. Non era infatti raro che si recasse in quel poligono verde, recintato dalle mura di un castello che, appena poche lune prima, era deserto come le terre su cui sorgeva. Il fatto che la vita fosse tornata, anche solo in forma di vegetazione, era stato il primo segnale che la strada imboccata fosse quella corretta, anche se non la meno impegnativa.
Guardò alla sua destra, verso la figura che gli camminava a fianco, vestita da larghi indumenti viola, cuciti per un corpo diverso dal suo. Sfiorava con le dita l'intera superficie di un oggetto ovale, di un metallo scuro, mormorando alcune parole nella sua lingua, una preghiera in un volto segnato dal pianto.
Una volta raggiunto il centro dello spazio, si fermarono. Lante chiuse gli occhi, portandosi l'oggetto alle labbra, un ultimo bacio prima di affidarlo alla terra. Si inginocchiò, in un movimento meccanico, a scatti, come se non fosse totalmente presente.
«Questo posto sarebbe dovuto essere un luogo di nuove possibilità» un suono roco, stridente, come se la sua stessa produzione fosse dolorosa, dopo tutti quei giorni di silenzio.
«Lo è ancora Lante» si azzardò ad appoggiarle una mano sulla spalla, in segno di conforto. La ragazza la coprì con la sua.
«Non per lui, non c'è più nulla in divenire per lui» espirò, per poi riprendere fiato affannosamente, «Nulla, Frode» tremò, stringendo la presa, senza però urtarlo. Se fosse stato un momento diverso, le avrebbe invidiato quel grado di controllo che possedeva sul suo corpo.
«Ora non puoi vederlo, ma c'è ancora molto che dovrà arrivare» affermò, convinto. Avevano vinto la guerra, una guerra non combattuta, che aveva tuttavia portato con sé più vittime del dovuto.
«Lo so che arriveranno» sentì il corpo della ragazza immobilizzarsi, senza irrigidirsi.
«Lo abbiamo sconfitto Lante, la vendetta non serve a nessuno, non in questo momento».
«Se fosse stato il tuo di fratello, non parleresti in questo modo» il tono era distaccato, privo di ogni emozione o vitalità. Gli ricordò la Sacerdotessa, nel momento in cui aveva compreso e accettato che la sua fine sarebbe stata imminente e inevitabile.
«Ma ormai abbiamo vinto... Lo hai costretto a formulare un patto di sangue, un patto infrangibile» desiderò poterla vedere il volto, in modo da scorgere dalla sua espressione, o sguardo, qualcosa che gli permettesse di capire cosa stesse pensando. Non era abituato a questa comunicazione assente, non con lei che chiamava la sua anima.
«Ogni patto si può infrangere, subendo le conseguenze ovviamente» gli ricordò, una loro vecchia conversazione. Che sarebbe dovuta rimanere ipotetica.
«Lante... Che hai fatto?» le chiese, indietreggiando. Lante era un'amica, una sorella, la sua confidente per eccellenza. Aveva forse lasciato che la loro amicizia gli facesse dimenticare chi aveva davanti? Lante era nata per un desiderio di vendetta, non lo aveva mai nascosto, e discendeva sia dai maghi di sangue che dagli immortali, due fra le creature più subdole e prone al ricorrere a qualsiasi mezzo per ottenere ciò che volevano. Era conoscenza che non avrebbe mai fatto del male a loro, a tutto il loro gruppo. Ai loro nemici, tuttavia...
«Io nulla, ho solo creato una condizione, la scelta spetta a lui» continuò, lapidaria.
Frode non riuscì a risponderle.
«Lo voglio vedere soffrire, Frode, voglio che perda tutto quello a cui realmente tiene, e voglio che lo faccia per sua scelta» la calma nel suo tono era forse il dettaglio più spaventoso, una furia calma era qualcosa di calcolato, forse fin troppo calcolato «Potrà accusare me, ma saprà di essere lui, e solo lui, il responsabile della sua scelta».
«Si vendicherà» le fece notare. Non avevano combattuto e perso così tanto, per gettare tutto all'aria in quel modo.
«Sarebbe stata solo questione di tempo, ho solo velocizzato le cose» scrollò le spalle, voltandosi a guardarlo, con un sopracciglio inarcato, «Nulla lo potrà realmente fermare, io ho solo fatto in modo che soffrisse nel peggior modo possibile nel caso ci affrontasse nuovamente» un tono di sfida, a dirle che aveva torto. Non ne era capace.
«Sei al corrente del fatto che questo porterà soltanto alla nostra fine?» non aveva bisogno di vedere il futuro, per fare quella previsione. L'altra annuì, porgendogli la mano, lasciando trasparire finalmente un'emozione nei suoi occhi, d'incertezza. Come se Frode avrebbe potuto fare altro che seguirla, anche in quella strada che li avrebbe portati al baratro.
Un baratro freddo osservò, riaprendo gli occhi. Per qualche istante non capì dove si trovasse esattamente, ma la voce di Monn che chiamava il suo nome lo riportò velocemente alla realtà.
Maghi di sangue, notti insonni e gita fuori porta. Si sollevò in posizione seduta, mentre Monn chiudeva la chiamata, segnalandogli di alzarsi in fretta. Buttò rapidamente le sue cose nella borsa e lo afferrò per un braccio, in direzione del parcheggio.
Molte persone stavano seguendo il loro esempio, dato l'annuvolarsi del cielo. Quanto aveva dormito?
«Siamo nei guai» gli disse Monn, «Era tua sorella, sembra che Gash sia scomparso» aggiunse, una volta che era sicuro di avere la sua attenzione.
«Sparito?».
«A quanto pare avrebbe dovuto vedersi con tua sorella, ma al suo posto... Hanno lasciato un biglietto» non aveva bisogno di esplicitare chi fossero quei "loro". Frode si sentì solo un poco in colpa alla sensazione di sollievo provocata dal fatto che i suoi fratelli fossero salvi. Non che non gli importasse di Gash, o che provasse qualche sorta di rancore per quando aveva lasciato che lo picchiassero, intervenendo solo successivamente.
«Un biglietto?».
«Ho detto biglietto? Messaggio è forse più appropriato» si corresse, passandogli il cellulare, illuminato dalla foto di quella che riconobbe essere la porta di casa di sua sorella. Sopra un avviso "Un immortale per una profezia, a voi la scelta", sotto al quale erano indicate delle coordinate e un orario. Controllò e si accorse che avevano a disposizione solo un paio d'ore per lo scambio.
Senza profezia, poco tempo per un piano e nessuna alternativa praticabile, con i mezzi che avevano a disposizione. Erano decisamente nei guai.
Ciambella198 parla a vanvera (il quale finge di essere rapito con Gash, in modo da disfarsi del dolce):
Gionborno, armadilli e pavoni, cosa mi raccontate dall'ultima volta che ho aggiornato?
Faccio autoironia sulla lunghezza dei miei tempi di aggiornamento? Già, o faccio così o piango, quindi...
Io non ho molto da dirvi, come al solito sono sotterrata da cose da fare e in questo periodo la sessione si fa sempre più imminente, che implica solo mole di studio in più. Ma ehi, l'università è bella, fidatevi. (Sono seria, anche se non sembra)
arracht = "mostro" in irlandese
A volte utilizzerò, nel parlato di Monn parola come "quel piccolo" o l'aggettivo "piccolo" o anche "piccolo maledetto", in quanto nella zona da cui mi immagino lui provenga, usano spesso "that wee" come aggettivo davanti ai soggetti o oggetti delle frasi. Ho pensato di tradurlo in questo modo, ma ditemi tranquillamente se stona nel testo.
Mi auguro che stiate bene e che le cose stiano andando nel migliore dei modi possibile.
Al prossimo capitolo!
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