La vita è come una scatola di cioccolatini... ma Frode è allergico al cioccolato
Francamente non trovava corretto da parte dell'universo, del caso o di qualsiasi divinità fosse responsabile, che il giorno in cui la sua vita iniziava ad acquisire la parvenza di un senso, suo zio decidesse di annunciare al mondo che avrebbe portato l'apocalisse. Forse definirla apocalisse era leggermente drastico. Più una sorta di sovvertimento degli ordini mondiali per instaurare una dittatura. E non era stato esattamente suo zio ad annunciarla. Più un immortale che ne faceva le veci. E la sua vita non stava proprio acquisendo una parvenza di senso. Era solo arrivato al fulcro di una catena di domande, le cui risposte portavano solo ad altre domande.
Meglio partire dal principio. Cosa non facile, non nel suo caso. Non sapeva quale fosse il vero principio. Ma di una cosa era certo, in mezzo a tanti dubbi. Chiunque muovesse i fili del suo destino poteva solo avere una fantasia molto scarsa, visti quanti stereotipi si era trovato a vivere, oppure era talmente confuso che al posto di una idea principale da sviluppare aveva deciso di usarle tutte, anche quelle decisamente da scartare.
E avrebbe dovuto partire proprio da quelle. Le idee decisamente da scartare di un improbabile demiurgo, che lui, invece, si era ritrovato a vivere. O meglio, sognare.
Come dettano i migliori stereotipi della sfortuna del protagonista, perché se lui non fosse stato almeno nella cerchia dei protagonisti di quella storia avrebbe scatenato sua sorella contro i responsabili, le sue notti erano caratterizzate da degli ospiti indesiderati chiamati incubi. Quello che forse era meno stereotipato, era come tali incubi in genere non gli mostrassero il futuro, ma solo la morte, spesso violenta o tragica, di completi e ricorrenti sconosciuti a cui ormai si era affezionato. Aveva perso il conto di quante volte si era svegliato urlando il loro nome, cercandoli con lo sguardo, correndo in bagno a lavarsi il sangue dalla pelle intonsa. Gli sconosciuti che il suo inconscio era solito mostrargli erano sempre gli stessi. Cambiavano solo le situazioni, l'ambientazione e il loro modo di morire.
E con un sogno del genere era iniziato il tutto. Forse il tutto no, ma visto che non era certo di quando fosse realmente l'inizio, poteva solo indicare il quando la catena di eventi, che lo avevano portato fino all'annuncio della fine del mondo, aveva cominciato a dispiegarsi.
Quella notte, o prima mattina, gli attori del suo sogno erano le sue vittime preferite. Un ragazzo appena maggiorenne, dal nome improbabile Ku, e una ragazza più giovane, a cui passava la maggior parte del tempo a urlare. Dalla regia gli suggerivano che si chiamasse Lante, ma non era sicuro di averlo mai usato come appellativo.
Quella volta erano in uno dei suoi ambienti preferiti: sulle rive di uno stagno, a cui poteva concedere il nome di laghetto, sdraiati su un prato di un verde fin troppo acceso a guardare le nuvole di un cielo dalle tonalità rosee.
«Secondo voi riusciremo mai a trovare un posto in cui vivere tranquilli?» chiese Ku, come da copione. Era steso su un fianco, la testa distrattamente appoggiata sul palmo. Guardava l'orizzonte e lasciava che il vento gli accarezzasse il volto, smuovendogli leggermente i capelli castani, resi più chiari dal sole.
Sembrava appartenere al panorama, ma non sarebbe mai stato fuori luogo in nessun posto, pensò Frode con un sospiro. Avrebbe voluto attribuire l'opinione al suo alter ego del sogno, ma lo trovava difficile. Rassegnato, si portò le ginocchia petto, appoggiandoci il mento, commettendo però l'errore d'incrociare lo sguardo con la ragazza alla sua destra, che gli rivolse un sorriso consapevole. Decise di guardarla male, ottenendo solo una risata in risposta. Avrebbe tanto voluto mandarla da qualche parte, ma avrebbe solo attirato l'attenzione dell'altro ragazzo, con la prospettiva di passare le successive ore precedenti al tramonto a sorbirsi frecciatine che gli altri due credevano geniali e ben congegnate.
«Non credo che un posto del genere esista» decise invece di rispondere alla domanda del ragazzo, tornando a rivolgergli la sua completa attenzione. E se poi avesse passato la serata deriso da sua sorella per il suo sorriso da ebete, così sarebbe stato.
«Però potremmo provare a crearcelo» propose Lante, mentre si alzava da terra in una movenza stranamente aggraziata, «Pensateci, potremmo trovare un posto abbastanza isolato e-».
«Quella che ha girato questa terre sei tu» obiettò prontamente Frode, guardandola lanciare un sassolino in acqua facendogli eseguire ben sei rimbalzi, esibizionista, «Se non hai trovato nulla di meglio di questo, dubito che un posto del genere esista» continuò, appoggiandosi il mento sulla mano chiusa a pugno. Sarebbe stato bello però, si concesse di pensare. Per qualche istante lasciò che i suoi pensieri lo portassero a una immagine di vita passata con quei due trovatelli combina guai. Passare le giornate senza responsabilità diplomatiche di alcun tipo, vivere senza la paura costante di essere scoperto addosso. Sarebbe stato bello, ma lasciare l'immaginazione così libera gli avrebbe fatto solo ancora più male. Con un sospiro cacciò via quel bel quadretto felice, richiudendolo nuovamente a fondo.
«Magari oltremare, nessuno di noi è stato da quelle parti e dicono che le cose funzionino in modo diverso, per quelli come noi intendo» intervenne Ku, interrompendolo dalle sue autocommiserazioni. Distolse lo sguardo dai cerchi che si formavano sulla superficie acquea, e gli rivolse un sorriso divertito. Frode era solo un uomo, poteva fare altro che guardarlo e lasciare che quell'immagine occupasse tutti i suoi pensieri? Sua sorella avrebbe avuto in una sola serata mesi di materiale per il suo intrattenimento personale.
«A me basterebbe scappare da qui, finire poi in un posto più o meno tranquillo è poco importante» confessò infine Frode, continuando a fissare gli occhi dorati dell'altro ragazzo.
«Come se potessi sopravvivere senza di noi» lo distrasse la ragazza, con tono ironico. Lanciò un'ultima volta e poi gli si avvicinò con uno sguardo che no, non prometteva nulla di buono. E prima che se ne potesse tirare indietro, si ritrovò coinvolto in un abbraccio stretto.
«Già, ti mancheremmo così tanto che torneresti indietro non appena varcate le porte della città» rise Ku, alzandosi per unirsi all'abbraccio, con fin troppo slancio a giudicare da come finirono tutti e tre sdraiati sul prato.
«Tutti hanno bisogno di tirapiedi» sbuffò Frode, cercando di divincolarsi debolmente dalla presa. Non sapeva da quando gli altri due avevano scelto di concedersi queste libertà, ma se non avessero smesso non avrebbe fatto nulla per fermarli.
«È sempre bello sapere di essere valorizzati dai propri cari» rise Ku, venendo preso a gomitate dalla ragazza che cercava di liberare la sua treccia nera.
«Lo sapete che il resto del mondo non lo prendo neanche in considerazione» ammise Frode, decidendo di prendere in mano la situazione e sistemare gli altri due in modo che appoggiassero le teste sul suo petto.
«Oh, allora siamo onorati» rispose la ragazza, intrecciando la sua mano con la sua, cercando con l'altra a tastoni quella di Ku. Se finì per centrare un paio di volte il naso di Frode, nessuno si lamentò.
«Davvero credete che un giorno saremo ancora assieme?» chiese allora, chiudendo gli occhi per cercare di godersi il momento, tristemente conscio che nel giro di poco sarebbero dovuti tornare in città. Ma quel momento, quel breve, raro e libero momento, era loro.
«Ovviamente, come se esistesse forza a questo mondo in grado di separarci per sempre» esclamò Ku, con tono sicuro e allegro. Protese poi il braccio libero verso il cielo, come se volesse afferrare le nuvole di passaggio. E non per la prima volta, Frode si chiese come sarebbe stato volare con lui.
Una risata accompagnò quel pensiero felice, mentre, come spesso accadeva, la scena mutava davanti ai suoi occhi in una che avrebbe voluto tanto dimenticare.
Davanti a sé c'era la ragazza, piegata su sé stessa inginocchiata a terra. I capelli erano più corti e in un totale disordine. Il suo corpo tremava dai singhiozzi, interrotti solo da suoni di dolore puro. Aveva una mano affondata nel terreno presso quella che riconosceva come una lastra tombale.
Avrebbe voluto abbracciarla, offrirle qualche tipo di conforto, ma era immobilizzato. Se più per rabbia o dolore era difficile da determinare. Chiuse gli occhi, promettendosi che non avrebbe perso un altro membro della sua famiglia. Non così, non in questo modo.
Promessa che sapeva sarebbe stata infranta, quando la scena cambiò nuovamente.
Questa volta stava la abbracciando Lante. O meglio, il suo corpo.
Attorno a sé sentiva delle grida e altri forti rumori, qualcuno lo stava cercando di trascinare via per un braccio. Ma non gli importava. Vedeva solo sangue. Tanto sangue. Troppo sangue.
Il suo corpo stava rapidamente perdendo calore e i suoi occhi scuri avevano perso ogni vitalità. Le prese il volto tra le mani, cercando qualche reazione. Una qualunque reazione. Si rifiutava di crederlo. Non poteva essere.
Si ritrovò a dover lasciare la presa, mentre sempre più persone lo tiravano via. Ma lui continuava a scrollarsele di dosso, non gli importava che dovevano andare. Non gli importava neanche che erano in pericolo. Lante era morta. Morta. Cos'altro importava?
Il suo mondo stava andando a pezzi, cosa sarebbe cambiato se anche il resto del mondo fosse crollato? Sentiva le fiamme crescere in lui e fuori di lui. Le sentiva alzarsi e nutrirsi di tutto quello che trovavano.
Cercò di nuovo il corpo della ragazza. Ma non vedeva altro che fiamme.
Altre mani tentarono di afferrarlo. Oppose nuovamente resistenza, ma si ritrovò subito a cedere, senza più forze. Non volevo andare via. Voleva solo gridare. Gridare. Gridare.
E con un ultimo grido aprì gli occhi.
Dove si trovava? Sentiva il respiro mancargli, qualcosa lo stava costringendo nei movimenti e il cuore batteva a un ritmo così frenetico che credeva sarebbe scoppiato. Dov'era? In un letto? Nella sua stanza? Sì, nella sua stanza. Espirò pesantemente e si buttò indietro sui cuscini, ignorando le coperte aggrovigliateglisi attorno.
C'era luce. Forse era giorno? La sveglia alla sua destra indicava che fosse ancora mattino presto.
Richiuse gli occhi, premendosi i palmi sulle palpebre.
Era stato solo un sogno. Non era reale. Era solo un sogno. Un incubo.
L'ennesimo.
Scosse violentemente la testa un paio di volte per poi lanciare le braccia sul letto. Aveva bisogno di acqua. Si alzò dal letto, lanciando via le coperte. Cercò le pantofole con lo sguardo, ma non trovandole velocemente, lasciò perdere. Aprì la porta della camera e si incamminò scalzo per l'unico corridoio della casa, in direzione del bagno. Si mosse in automatico, non avendo l'energia per focalizzarsi sui suoi dintorni, un unico obiettivo in mente.
Raggiunto il lavandino, aprì l'acqua fredda con mano tremante. La fissò per alcuni interminabili secondi, per poi sciacquarcisi la faccia. Trovò a tentoni l'asciugamano, strofinandoselo successivamente sul volto e solo allora si concesse di guardarsi allo specchio.
Dire che fosse un disastro era fargli un complimento.
Alle occhiaie era ormai abituato, non aveva mai dormito molto neanche da bambino. Il pallore del viso stava invece facendosi sempre più evidente. I capelli avevano assunto la forma di un nido di paglia abbandonato da anni. Gli occhi erano costellati da venature rossastre, messe ancor più in risalto dal verde chiaro dell'iride. Lo sguardo era spento, stanco, provato. "Esangue", lo avrebbe definito la sua matrigna. Facendo però lui parte dei comuni mortali, "smorto" gli rendeva più l'idea.
Scosse il capo al suo riflesso. Continuare a fissare une delle versioni peggiori di sé stesso in recenti anni non gli avrebbe né fatto bene né avrebbe migliorato il suo umore.
Si chiuse la porta del bagno alle spalle, appoggiandovici sopra. Si sentiva esausto, come ogni risveglio dopo un incubo del genere. Se allora avesse saputo a cosa quegli incubi avrebbero portato, probabilmente avrebbe considerato con più entusiasmo i sonniferi che il suo medico continuava a cercare di proporgli. O forse no, perché quel Frode avrebbe solo riso se qualcuno gli avesse detto cosa gli sarebbe capitato da quel giorno in poi. Ne aveva le prove, lo aveva fatto. Ma per arrivare a quello avrebbe dovuto prima affrontare la giornata e in quel momento sarebbe solo voluto tornare sotto le coperte e non emergere più.
Con tutta la poca volontà che gli era rimasta, si costrinse a percorrere il corridoio, fino all'altro capo, dove erano situati il suo soggiorno e quell'inusato spazio che chiamava cucina. Ormai era in piedi, tanto valeva prepararsi per andare in ufficio. Quel giorno sarebbe dovuta finalmente rientrare la sua segretaria dal periodo di maternità. La sua sostituta era adorabile, ma senza Pattie erano stati cinque duri mesi di appuntamenti sbagliati e sale riunioni già occupate. In un'occasione si era addirittura ritrovato a Parigi mentre il suo cliente lo aspettava nel suo ufficio. Almeno era riuscita a capire con quanto latte volesse il suo tè pomeridiano.
«Ancora incubi?» lo sorprese una voce, distogliendolo dai suoi pensieri. Sospirò, voltandosi verso la cucina, rassegnandosi al fatto che un ospite si fosse introdotto a casa sua. La notte precedente, a giudicare dallo stato del divano.
«Buongiorno anche a te, persona che non vive qui» lo salutò, forse con tono sgarbato, ma ne aveva tutti i diritti: era pur sempre casa sua e l'altro non era certo stato invitato.
«E io che ti ho anche preparato un caffè» gli ripose quell'intruso che aveva la sfortuna di chiamare fratello.
«Tipica bevanda consigliata a chi ha problemi di sonno, raccomandata proprio da Meredith Grey in persona» osservò, raddrizzando la schiena e passandosi una mano sul volto. Aveva dormito troppo poco per affrontare una conversazione del genere in modo serio e assertivo.
«Per questo ne hai un cassetto pieno?» gli chiese Samorix, aprendo il suddetto cassetto e rivelando una collezione non indifferente di marche, «Non sapevo neanche che avessero messo i gattini anche sul caffè» continuò, probabilmente credendosi spiritoso. Da bravo fratello maggiore, Frode lo ignorò, rubandogli la tazzina di mano prima che la rovesciasse.
«Allora, a cosa devo questa tua imposta visita? Un'altra fan accampata sotto casa tua?» chiese, con il tono stanco che loro padre era solito usare quando, da adolescenti, tornavano a casa con l'ennesimo occhio nero. Un misto fra l'esasperato e il chiedersi se reincarnarsi un una pianta fosse realmente peggio della sua vita attuale.
«È successo solo una volta! E poi ho risolto tutto con la mia immancabile classe e maestose abilità diplomatiche» si difese Rix, mentre si ingegnava a prepararsi un secondo caffè con la marca dei gattini, il tutto con scarsi risultati, «Persino papà ne è rimasto sorpreso, sorpreso poi di cosa? Sono in grado di fare un sacco di cose, io» continuò, arginando più o meno abilmente il fatto che avesse semplicemente chiamato la loro amorevole sorellina, lasciando quella povera ingenua fan alla sua mercé. Non fu un bello spettacolo, persino i vicini stavano implorando pietà per quella lezione accademica sulla legge sulla privacy non richiesta.
«Quindi per quale motivo ho l'opportunità di ammirare il tuo stupido viso di prima mattina?» l'insulto era un po' debole, doveva ammetterlo, ma a sua discolpa non aveva ancora finito la tazzina e per qualche strana convergenza astrale i due avevano esattamente lo stesso volto, ereditato ovviamente da loro padre. Fortunatamente Frode era riuscito a evitare i capelli rossastri e le lentiggini di cui suo fratello si vantava tanto, salvato dai geni biondi di sua madre.
«Sai, ieri sera stavo avendo un'amichevole conversazione sul vero messaggio che il personaggio di Angelica trasmette ne "La tomba che chiamo matrimonio"» iniziò a narrare Rix, come se stesse per intrattenere schiere di spettatori con un racconto di proporzioni epiche. Come riusciva a girarsi, muovere le braccia con movimenti ampi e non versare il contenuto della sua tazza sul tappeto era probabilmente il suo vero talento. Pregi di essere figlio di una attrice teatrale, probabilmente.
«Invidia perché l'autore del romanzo non è Lin-Manuel Miranda e quindi si appropria dei suoi personaggi?» lo prese in giro Frode, rubandogli contemporaneamente la tazza che si era preparato.
«Oh, sarcasmo» rispose Rix, portandosi una mano al petto, come se fosse stato colpito, «Sai, se avessi voluto ridere, sarei andato da nostro padre a chiedergli cosa ne pensa del femminismo davanti a quegli scalda sedie che chiama soci. Avrei ripreso il tutto, mandato a Camula e goduto lo spettacolo di un gruppo di uomini di mezza età che ricompra una borsa a una ventottenne che l'ha consumata ripetutamente sulle loro facce nel quarto d'ora precedente» raccontò, cercando di bere da una mano vuota, per poi voltarsi a fissare la macchinetta del caffè sul ripiano della cucina, come se ne fosse in qualche modo responsabile.
«Questa situazione è fin troppo specifica» osservò Frode, sorridendo nella sua tazza.
«Vuoi il video o no?» replicò il fratello, appoggiandosi con la schiena al mobile dietro di sé, per guardare il suo interlocutore in faccia in una posizione più comoda.
«Ricordami perché è nostra sorella quella considerata il genio del male» rispose il maggiore, porgendogli la tazza rubatagli in precedenza, ormai vuota.
«Probabilmente perché conquistare il mondo è un progetto a lungo termine fin troppo noioso» commentò Rix, mostrandogli la tazza vuota con espressione scocciata. Non si trattenne dallo scompigliargli i capelli. Per tutta risposta il minore prese una sedia dal tavolo per frapporla fra loro.
«E invece stare seduti ore davanti a un computer a scrivere di affascinanti avventure vissute da altri è il massimo dell'intrattenimento» replicò Frode, mentre cercava di convincersi mentalmente che fosse il momento di mettere in ordine la cucina. Forse ancora un paio di minuti di presa in giro di suo fratello avrebbe potuto aspettare.
«Chi di noi due è un premiato scrittore?» dichiarò Rix, appoggiandosi le mani sui fianchi.
«Chi di noi due si rifugia a casa dell'altro perché la sera è spesso troppo stanco o ubriaco per ricordarsi dove ha messo le chiavi?» gli fece prontamente il verso Frode.
«A proposito» iniziò Rix con un tono stranamente serio, puntandogli un dito, «Credo che nascondere una copia di chiavi nel portaombrelli non sia il massimo della sicurezza» lo rimproverò l'apparente nuovo responsabile della sicurezza di Fort Nox.
«Non mordere la mano che ti dà da mangiare, Rix» lo ammonì Frode incocciando le braccia.
«Mangiare?» lo schernì il minore, muovendo velocemente le mani ai lati del corpo, probabilmente per mostrare la sua incredulità, «Nel tuo frigo l'unica cosa lontanamente commestibile è del cibo d'asporto indiano» continuò, con un tono di rimprovero.
«Adoro il curry» si giustificò Frode, con una scrollata di spalle.
«Quel posto ha chiuso sei mesi fa» obiettò sconsolato Rix, guardando il soffitto.
«Adoro il cibo stagionato» ribatté debolmente Frode, fissando invece il pavimento, come se avesse avuto ancora quattro anni e lo avessero beccato a mangiare la torta al cioccolato a cui era allergico, ma che trovava irresistibile.
«E poi ti sorprendi se soffri d'incubi» sospirò Rix, scuotendo il capo, mal celando una sincera preoccupazione, «Tra l'altro, credi che sia una causa possibile? Perché ho in mente questo personaggio che-».
«Fuori da casa mia» gli intimò a quel punto Frode, non avendo la minima intenzione di essere l'ispirazione per qualche romanzo. Non avrebbe poi avuto scuse per non accompagnarlo a qualche intervista o conferenza. Posti affollati da fan che chiaramente avevano qualche distorsione nella percezione della realtà, ma suo fratello aveva quell'effetto sulle persone. Sempre avuto.
«Ma non ho neanche fatto colazione» obiettò l'altro, schivando la presa del fratello grazie alla sedia che aveva preso in precedenza.
«I tuoi pantaloni ti ringrazieranno» rispose Frode, scostando la suddetta sedia e preparandosi a rincorrerlo.
«Questo è body shaming!» urlò Rix, cercando rifugio nel salotto. Invano, essendo placcato immediatamente e lanciato sul divano.
«Questa» iniziò Frode, bloccandolo sotto di sé e passandogli ripetutamente le nocche sul capo, «è casa mia, e tu sei un abusivo» continuò alzandosi e prendendo fiato, soddisfatto di aver completamente rovinato il look del fratello. Ridacchiò allo sguardo oltraggiato che gli lanciò Rix, mentre cercava inutilmente di sistemarsi i capelli.
«Va bene, va bene, vado via...» si arrese il minore, rinunciando alla sua acconciatura e cercando le scarpe che era sicuro di aver lasciato nei pressi del divano la sera precedente, «E se tornassi fra un quarto d'ora con dei muffin?» propose, voltandosi improvvisamente a guardarlo. Frode giurò di aver sentito uno strano crack provenire dal suo collo al movimento.
«Devo andare a lavorare. Io» gli ricordò, mettendosi le mani sui fianchi e cercando d'incutere più rispetto possibile. Era abbastanza certo che il pigiama a tema Piccolo Principe rovinasse in qualche modo l'effetto, ma in fondo suo fratello era rimasto traumatizzato da un cartone chiamato "Happy Tree Friends", le normali regole chiaramente non gli si applicavano.
«I muffin di Beatrix» lo tentò Rix, «quelli ai mirtilli che fa il martedì-».
«In fondo sono il capo» lo interruppe prontamente Frode. Era solo un uomo, non poteva resistere a tutte le tentazioni, «anche se arrivo in ritardo, non si lamenterà nessuno» affermò, passando la giacca a suo fratello, incitandolo a muoversi. Se fosse arrivato troppo tardi sarebbero finiti.
«Tranne papà» gli ricordò Rix, ormai fuori dalla porta. Frode sembrò pensarci un attimo.
«Prendi un muffin anche per lui e ti coprirò se questa domenica non vieni a pranzo» gli propose.
«Andata!» gli urlò Rix, mentre si precipitava giù per le scale.
Nuovamente solo, Frode non poté fare a meno di combattere un sorriso. Suo fratello era probabilmente una delle poche persone al mondo in grado di lasciarlo con un senso di divertita esasperazione.
Chiuse la porta e si guardò attorno grattandosi il capo. Probabilmente se avesse iniziato a prepararsi non avrebbe fatto un ritardo così significativo. Anche se avrebbe dovuto lasciare la casa in disordine. Avrebbe potuto farla sistemare a Rix, per ripicca, ma ultima volta che aveva lasciato suo fratello a mettere a posto un CD senza supervisione, per qualche strano motivo, non aveva più trovato dei calzini per un mese e aveva scoperto, dopo una settimana difficile per i suoi mellini, che tutti i mobili della camera da letto erano stati spostati di esattamente un centimetro. L'ultima cosa era stata organizzata in combutta con Camula, ovviamente. Da quando aveva sviluppato una immunità a bere qualsiasi tipo di bevande col sale al posto dello zucchero, i due avevano iniziato ad architettare scherzi sempre più improbabili e diabolici a sue spese. Signori e signore, a voi lo scrittore pluripremiato e l'avvocato più brillante del suo anno. Suo padre aveva messo in piedi una famiglia movimentata, non poteva negarglielo.
Dopo un ultimo sbadiglio, decise d'iniziare finalmente la sua giornata. Si fece una veloce doccia, indossò qualcosa di appropriato per l'ufficio e tirò fuori il fondotinta, che avrebbe negato fino alla morte di possedere, per darsi un colorito tendente a quello di una persona avente un minimo di salute.
Suo fratello tornò mentre si stava annodando la cravatta. Lo squadrò dall'alto al basso, guardano poi lo stato del suo vestiario e contorse il volto in una strana smorfia.
«Così non vale però» mise il broncio suo fratello, porgendogli la confezione della pasticceria. Frode gli sorrise compiaciuto accettando i muffin.
«Mi hai salutato Beatrix?» chiese, cercando d'individuare il dolce più grande.
Per tutta risposta suo fratello chiuse la porta e prese un muffin dalla scatola, dirigendosi vero il tavolo. Frode seguì il suo esempio, prendendosi però un piattino, unicamente per dimostrare l'inciviltà del suo ospite. Ospite che per tutta risposta gli rubò un morso di quella che di fatto era la sua colazione. Gesto che non passò impunito.
Tre quarti d'ora più tardi, dopo essersi dovuto cambiare i pantaloni, vittime innocenti di un ancor più innocente caffè sprecato, e aver corso per non perdere la metro, stile di vita sano e rispettoso dell'ambiente a parte, il traffico di Londra era impossibile, si trovava finalmente davanti alle spaziose porte automatiche dell'edificio che ospitava l'azienda di suo padre.
Gli uffici si trovavano agli ultimi piani, dai quali si aveva un'ottima vista della città. Aveva più volte trovato dei clienti ammirare il panorama dal suo ufficio o dalla sala riunioni, ma per quanto tutto ciò potesse essere suggestivo, la sua parte preferita dell'edificio erano i piani inferiori dove si trovavano i laboratori. Quando non voleva farsi trovare si rifugiava spesso lì con la scusa di un controllo dell'attività o qualsiasi cosa gli passasse di mente. Probabilmente i ricercatori ne erano pienamente consci di quanto fossero deboli le sue scuse, ma da quando aveva introdotto quelle merendine alle mandorle nelle macchinette era sempre il benvenuto nel reparto. Senza contare che molti di loro, soprattutto i dipendenti più anziani, lo conoscevano da quando passava le sue vacanze in azienda per fare tirocinio.
Quella mattina però doveva chiudere tre contratti e preparare per il pomeriggio il suo intervento nella riunione di metà mese con i soci. L'ironia era che se non fosse stato così stranamente portato per dirigere e sistemare i casini creati da altri, probabilmente sarebbe stato ancora un qualsiasi assistente che portava caffè e faceva fotocopie. E gli sarebbe anche andato bene.
Raddrizzò le spalle e varcò finalmente l'entrata, decisamente non pronto per affrontare quella giornata. Salutò le guardie all'ingresso con un cenno del capo, venne come al solito ignorato dalle receptionist e si infilò velocemente in un ascensore vuoto. Ebbe il tempo di annoiarsi per un paio di piani, per poi dover far spazio a un'altra figura. Riconobbe gli impressionanti tacchi verdi prima ancora di assegnare un nome al volto. Lucy Mitchell. Trent'anni, impressionante curriculum accademico e ottima assistente della responsabile marketing. Sfortunatamente anche prona al pettegolezzo. Sfortunatamente se ne si era al centro, ma visto che la sua vita sociale non era invidiata nemmeno da una lumaca, lui si poteva tranquillamente godere la sua compagnia.
«Buongiorno, Frode. Hai notato anche tu il cambiamento?» lo salutò, riuscendo a fargli gelare il sangue in quello che non si poteva neanche definire uno scambio di battute. Nonostante gli stereotipi, lui di moda e acconciature femminili se ne intendeva ben poco. O meglio, ci badava ben poco.
«La... Spilla?» tentò, ricevendo uno sbuffo divertito in risposta. Almeno non era arrabbiata.
«Intendo la risposta di quei simpatici della direzione all'aggiornamento della musica negli ascensori» gli fece notare, coprendosi la bocca con il palmo della mano. Grandi occhi azzurri che lo fissavano incuriositi. Aveva qualcosa fuori posto?
«L'Attila è più recente della quarta sinfonia di Beethoven» rispose, non riuscendo a rilassarsi, nonostante la figuraccia scampata. Sapeva di essere nella cerchia della popolazione che poteva essere definita attraente, almeno per i comuni standard, ma era sempre in soggezione quando era oggetto di sguardi fissi.
«Non sei mai in ritardo il giorno della riunione di metà mese, è successo qualcosa?» inquisì, girandosi fra le dita una ciocca castana. Un gesto che in altre situazioni avrebbe trovato adorabile. Altre situazioni, appunto.
«Sono... Segretamente innamorato dei muffin del martedì» si ritrovò a dire, trattenendo una smorfia per averlo detto come se fosse una scusa inventata al momento, «E quindi non ho potuto resistere. Sai, ognuno ha i suoi rimedi per l'ansia» abbozzò un sorriso, sperando che sembrasse il più sincero possibile. Manco stesse nascondendo un amante al suo compagno di stanza al college. Lucy gli sorrise.
«Io vado di cioccolatini al caramello» gli confidò, con un occhiolino, prima di scendere al suo piano. Si trattenne dallo sbattere la testa sulle porte chiuse dell'ascensore solo perché sapeva che il piano successivo sarebbe stato il suo. Come diavolo era possibile che fosse in grado di rendere una normale conversazione di circostanza in una imbarazzante chiacchierata? Era un talento. Non c'erano altre spiegazioni. Aveva bisogno di un altro caffè, non era per niente lucido. E di prenotare una visita dal cardiologo. Non era sicuro che tutta quella caffeina non avesse effetti secondari.
Quando ad attenderlo fuori dall'ufficio vide il volto concentrato di Pattie era pronto a piangere. E lo avrebbe fatto. Lì, davanti a tutto il piano. Ma alla sua segretaria, santa donna, bastò un'occhiata per farlo sbrigare a entrare.
Ebbe appena il tempo di sistemare la giacca, appoggiare la borsa e accendere il computer, che la donna entrò nella stanza. Indossava un completo marrone formale, ma decisamente più confortevole dei suoi abituali, i capelli rossi erano raccolti in uno chignon impeccabile e ai piedi non aveva più i soliti tacchi. Ciò non diminuiva però l'aria di professionalità che sembrava emanare da quando l'aveva conosciuta.
«Buongiorno Pattie» la salutò, sistemandosi meglio sulla sua sedia girevole.
«Signora Yates, per lei. Ne abbiamo già parlato, signor Rowe» puntualizzò, passandogli una cartellina con il programma della giornata. O almeno credeva fosse il programma della giornata, all'interno erano contenuti solo delle pagine bianche piene di post-it azzurri.
«Certo, era nel mio volantino di benvenuto... Questo-questo cosa dovrebbe essere?» chiese, perplesso. Non era da lei confondere le cartelle. Che fosse un effetto post-parto? Se aveva bisogno ancora di qualche settimana di congedo gliel'avrebbe concessa, anche se a spese della sua sanità mentale.
«Quello» rispose, indicando l'oggetto incriminato come se fosse un insetto morto ormai in stato di putrefazione, «è stato il mio volantino di benvenuto» continuò, con un tono fintamente calmo.
«Abby era molto... Creativa» tentò.
«Ci dia un taglio, lei e la sua completa inappetenza a mandare via chi è palesemente incompetente» lo rimproverò, facendogli venire voglia di un ritiro strategico sotto alla scrivania, anche se era sicuro avrebbe comportato conseguenze peggiori, «E si tolga quell'espressione da cane bastonato, non le dona. Quante volte le ho ripetuto che se avesse avuto bisogno sarei potuta tornare?» sbuffò, incrociando le braccia al petto.
«Ma il bambino...».
«Mia madre è perfettamente in grado di prendersi cura di un neonato, ne ha cresciuti ben sei. Ora che abbiamo chiarito il concetto, si muova a liberare il tavolo da questo disordine, tra un quarto d'ora arriva il rappresentante della Crawford and Sons» disse, con un tono che indicava che non sarebbe stata l'ultima volta che ne avrebbero parlato. Si porse sulla scrivania e gli aprì il calendario dal computer, mostrandogli l'agenda piena che aveva sicuramente passato l'ultima ora a sistemare.
«Pattie, senza di te sarei perso» confessò, felice nonostante l'essere appena stato di fatto rimproverato.
«Tutta pratica, ora che so gestire lei posso anche crescere quella squadra di rugby che mio marito sogna di avere da sempre» commentò, con un accenno di sorriso. Fece per uscire, girandosi all'ultimo secondo «Ho apprezzato il set di tutine che mi inviato, la ringrazio» gli disse, con un tono più dolce, per poi chiudersi la porta alle spalle.
Frode sorrise, passandosi una mano sugli occhi. Guardò il programma della giornata, sollevato di non doverselo più imparare a memoria da quel momento in poi, e poi procedette a dare una parvenza di ordine al piano di legno, ripetendosi mentalmente i punti che avrebbe dovuto affrontare da lì a poco col cliente.
Tre caffè per tre clienti e finalmente arrivò il turno della pausa pranzo. Pausa pranzo che passò a lavorare alla presentazione, alternando foto del piccolo Simon nelle varie tutine che gli aveva regalato. Si rovesciò quasi un pezzo di zucchina addosso cercando d'ingrandire una foto in cui ne indossava uno con sopra un leoncino. Ne sarebbe valsa la pena. O almeno, lo credeva fino a che non si trovò davanti alla sala riunioni dell'ultimo piano, mentre salutava con troppe strette di mano i vari partecipanti.
«Attento a non sforzarti troppo con quei sorrisi, qualcuno penserà che tu abbia realmente voglia di trovarti qui» lo salutò Camula, sedendosi alla sua destra. Si spostò i folti ricci in modo da non impigliarli nella sedia.
«Non sapevo prendessi parte a queste riunioni, Cam» osservò, mentre sua sorella accavallava le gambe e apriva un'agendina sul tavolo. Come facesse a indossare una gonna con quel freddo non lo sapeva, ma sua sorella celava misteri ben più grandi, come l'essere riuscita a prendere due master in contemporanea in diritto internazionale e diritto e finanza.
«Sono il braccio destro del responsabile legale, era anche ora che mi cedessero una sedia» rispose, con una confidenza che celava tutto l'orgoglio di aver ottenuto quella posizione. Frode era convinto che ancora qualche anno e avrebbe avuto davanti il responsabile legale dell'azienda. Non aveva ancora la posizione solo per la mancanza di esperienza, non certo di capacità. E tutti in quella sala lo sapevano, anche se molti non volevano ammetterlo. Essendo i figli del capo era difficile che qualcuno pensasse che fossero lì per merito e non per nepotismo. In particolare, Camula, essendo la figlia adottata riceveva abbastanza astio, per non parlare dei commenti sessisti e razzisti che da sempre la accompagnavano. Aveva perso il conto di quante volte aveva dovuto prendere Rix di peso e trascinarlo via da una rissa, prima che si facesse danni seri.
«Se ti diverti a partecipare a riunioni in cui tutti cercano di far vedere che tutto va bene, sperando che nessuno noti che non nominano metà del materiale, non sarò io a fermarti» sbuffò, cercando di tenere a bada il mal di testa che si sentiva crescere. Si strofinò le tempie ripetendosi come mantra che mancavano solo quattro ore e poi avrebbe potuto tornare a casa e commentare l'incapacità dei concorrenti dei vari programmi di cucina. Non che lui avesse mai preparato qualcosa di più impegnativo di un pancake bruciato ai fornelli. Forse avrebbe dovuto prendere qualche lezione, stava diventando troppo vecchio per vivere unicamente di cibo d'asporto o da microonde.
«Quando ti asfalterò nella mia presa del potere di questa compagnia, non venire da me a lamentarti» commentò Camula, «Anche se con te non c'è divertimento, mi lasceresti fare senza nemmeno far finta di protestare» concluse sospirando, come se fosse un caso perso, mentre giocherellava con una penna. «Cosa fai stasera?» cambiò improvvisamente argomento.
«Il solito, vita da scapolo» le rispose, guardando l'entrata aspettando che gli ultimi entrassero. Prima sarebbe iniziata, prima sarebbe finita.
«Vita triste da scapolo, Rix se la gode molto di più» osservò, riuscendo a mettere sale sulle ferite ancora aperte come nessun altro.
«Come se tu fossi messa meglio» replicò. In due potevano fare quel gioco.
«Io ho la scusa d'impegnarmi per la mia carriera, te? Paura di impegnarti in generale?» controbatté, dandogli un assaggio di quanto tagliente sarebbe stata in un tribunale e non in un ufficio. Il pensiero lo fece rabbrividire per i poveri ipotetici avversari.
«Ti stai autoinvitando a casa mia, oppure no?».
«Ovviamente, e ora taci che sta iniziando» gli confermò, voltandosi verso l'entrata di suo padre seguito da quattro soci. Da piccoli li avevano paragonati a un'anatra seguita dagli anatroccoli. Voleva tanto togliersi quell'immagine dalla testa, ma lo trovava difficile.
Nonostante la sua crescente ansia, dovuta principalmente al dover parlare a un pubblico che lo considerava un idiota a prescindere, la riunione si svolse come da abitudine. Prima parlava suo padre, ringraziandoli di aver trovato il tempo di essere presenti. Poi lasciava la parola al suo assistente, che illustrava l'andamento con una serie di grafici, alla vista dei quali la metà del pubblico non capiva e l'altra metà si stava addormentando, e poi cedeva la parola ai vari membri presenti alla riunione, che parlavano della situazione del loro settore. Alla fine del tutto, si lasciava spazio alle domande. Camula prese appunti tutto il tempo, l'unica.
Al congedo, suo padre gli rubò qualche minuto, che si trasformò poi in una lunga pausa sigaretta, per parlare di come stava realmente andando in ufficio, dilungandosi poi a parlare di muffin non recapitati, della sua vita, quella dei suoi fratelli e di come caffè e fumo fossero delle pessime abitudini. Visto da che pulpito venivano i consigli, Frode gli promise che avrebbe smesso quando anche suo padre avrebbe fatto lo stesso. Poi corse all'interno dell'edificio per evitare la finta ira di suo padre.
Passò le ultime due ore a inviare e rispondere alla varie mail che non aveva assolutamente passato la giornata a ignorare, staccando alle sei di un pomeriggio che sembrava già sera. Salutò Pattie, insistendo che uscisse insieme a lui al posto di passare la serata a sistemare l'eredità di Abby, come aveva sicuramente intenzione di fare.
Dopo essersi assicurato che prendesse effettivamente l'autobus, scese nella metro e si sedette ad aspettare il primo treno. Mentre scorreva sul cellulare i vari menù che avrebbe poi ordinato quella sera, e ignorava i messaggi di suo fratello che lo accusava di aver organizzato un pigiama party senza di lui, intravide con la coda dell'occhio una figura che gli si sedeva accanto. Scostò la borsa del computer per fargli più spazio e continuò a cercare di capire se sua sorella quella sera era più propensa ad avere italiano o giapponese, quando la figura, o meglio il signore lo interruppe.
«Buongiorno» lo salutò, tenendo in mano una piuma. Lo stava fissando in un modo strano, come se si aspettasse che lo riconoscesse da un momento all'altro. Frode lo guardò meglio. Non era una persona alta, ma nemmeno bassa. Probabilmente sui cinque piedi e mezzo. Il capo era coperto da un berretto di lana scuro, il volto era abbronzato, ma l'accento era inglese, probabilmente era tornato recentemente da qualche vacanza. Gli occhi erano scuri, il naso aquilino. Era vestito sportivo, come se fosse uscito di casa per correre. No, non gli ricordava nessuno di sua conoscenza.
«Se mi stai per dire che la vita è come una scatola di cioccolatini, risparmia il fiato. Ho solo voglia di tornare a casa, non di parlare o sentire storie» rispose, tornando a portare l'attenzione sul suo cellulare. Forse era stato sgarbato, ma la stanchezza accumulata durante la giornata si stava iniziando a far sentire e non aveva propriamente voglia di fare conversazione con sconosciuti.
L'altro rise. Ma continuava a fissarlo.
«Era l'inizio di un bel film. Ottima colonna sonora. Personaggi interessanti» continuò, non leggendo l'atmosfera.
«Bene» rispose, più per cercare di riempire quel silenzio imbarazzante che per altro. Probabilmente se si fosse alzato e avesse cambiato posto lo avrebbe lasciato perdere. Mosse le spalle, sospirando quando i dolori dati dalla sua non corretta postura si fecero sentire. Doveva investire in un materasso ergonomico, stava decisamente diventando vecchio.
«So che stai sognando» continuò lo sconosciuto. Frode alzò gli occhi al cielo in risposta. Non sapeva davvero leggere l'atmosfera?
«Tutti sognano. È un fenomeno biologico» ribatté, cercando d'infondere quanto fosse scocciato nel suo tono. Non ebbe molto successo, a quanto pareva.
«Ma quanti hanno sogni ripetuti di vite passate e di... Morti?» disse tranquillamente lo sconosciuto, come se stesse parlando del tempo. Accennò anche un lieve sorriso, probabilmente per l'espressione che Frode doveva avere in quel momento in volto.
Dopo pochi attimi fece l'unica cosa razionale che gli venne in mente. Rise. E tanto. Probabilmente stava attirando l'attenzione degli altri passanti, ma non poteva fare altro.
«Okay, okay» cercò di dire, prendendo dei profondi sospiri per trovare la calma. Si sentiva la testa leggera e il petto pesante per la mancanza di aria. «È uno scherzo molto elaborato e riuscito, te lo concedo. Con tutta quell'aria misteriosa e... Le frasi dette al momento giusto... Ma, dì a chiunque ti abbia mandato che... Puoi dirgli che ci è riuscito, bello scherzo. Complimenti. Ora però se non ti dispiace sta arrivando il mio treno» gli disse, alzandosi in piedi. Davvero la gente perdeva del tempo con cose del genere?
«Aspetta, dannazione. Sei sempre stato uno scontroso testardo-».
«Calma» si impuntò a quel punto Frode, «Io ti sono stato a sentire fino ad adesso, ed è stato bello finché è durato... Amico. Ma ora smettila, perché sono a tanto così dal chiamare la polizia» lo minacciò, sfruttando il più possibile il vantaggio che aveva in altezza. Anche lo sconosciuto si era alzato, frapponendosi fra lui e il vagone in arrivo.
«Ascoltami ti prego, è importante» continuò lo sconosciuto, con un'aria quasi disperata.
«Levati» gli intimò. Quando lo sconosciuto sostenne il suo sguardo, Frode decise che non aveva tempo da perdere con i pazzi. Lui voleva solo godersi una tranquilla serata e lo avrebbe fatto. Lo scostò con un braccio, bloccando le proteste dell'altro sul nascere e salì sulla metro, sotto gli occhi di alcuni passeggeri curiosi, che però distolsero subito lo sguardo non appena le porte si richiusero.
Ciambella198 parla a vanvera (il quale preferisce i muffin di Beatrix):
Buongiorno donzelle e messeri!
Dopo anni di silenzio creativo, o almeno silenzio creativo pubblico, eccomi qui con una nuova avventura.
Ringrazio tutte quelle persone che mi hanno sopportata nella stesura, nella scelta del titolo e per i consigli grafici. Questo capitolo scritto male è dedicato a voi. Non è molto, ma è un lavoro onesto.
Critiche e consigli sono sempre ben accetti. Se leggete e basta, vi ringrazio lo stesso. È comunque molto più di quello che mi aspetto accada a questa storia.
Non sono sicura che sarà una storia con aggiornamenti settimanali o frequenti, in quanto ho già scritto vari capitoli, ma li cambio spesso e ricorreggo quindi non sono assolutamente ultimati. Per cui mi scuso, cercherò di postare il più frequentemente possibile, ma se non dovessi riuscire vi ricompenserò con capitoli non propriamente corti, promesso.
Sulla pagina Instagram https://www.instagram.com/ciambella198_wattpad/ tengo aggiornati sulle pubblicazioni, quindi se volete passare a dare un'occhiata o a urlarmi fate pure. Oppure potete farlo qui su wattpad.
Spero passiate un buona giornata o serata, e se leggete la sera non fate come me, che domani avrete sicuramente qualcosa da fare e vi dovete svegliare presto. Chiudete wattpad e andate a dormire, la storia sarà qui anche domani <3.
P.S.: sì, nelle prime righe mi prendo in giro da sola. Si capisce già da qui quanto mi prendo sul serio come ""scrittrice"".
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