La strega che gridava "al lupo, al lupo"

Ormai erano passate un paio di settimane da quando i medici gli avevano confermato che potesse tornare a lavorare. Alla notizia esultò. In quel momento invece, seduto alla sua scrivania a visionare e-mail su e-mail, si chiedeva se fosse stata la concussione o il passare una settimana con suo fratello a fargli scordare di quanto normalmente avrebbe solo gioito al passare del tempo in più a casa in panciolle.

Mentre cercava su un dizionario un sinonimo per "cordiali saluti", la superficie di legno vibrò, portandolo d'istinto a guardare lo schermo del suo cellulare. Quando vide la notifica si pentì immediatamente, contraendo il volto in una smorfia.

Aveva dato il suo nuovo numero a quattro persone soltanto: i membri stretti della sua famiglia e Pattie. La quinta era riuscita a scoprirlo in qualche modo. Magia, gli aveva detto in un tono che lo portava a pensare che in realtà lo stesse prendendo in giro. Non era abbastanza esperto per poter confermare o meno tale affermazione, anche se a volte avrebbe sperato esserlo solo per levare quel ghigno dalla faccia dell'altro.

Appoggiandosi allo schienale della sedia, portò gli occhi al soffitto, sospirando rumorosamente. Non che qualcuno lo potesse sentire. Allungando la mano sulla scrivania per prendere l'oggetto responsabile della nuova dose di pensieri che si aggiungevano al suo persistente malumore, si passò una mano sul volto, strofinandoselo con vigore. Nonostante gli avessero confermato che non aveva riportato danni dal colpo alla tempia, erano giorni che sentiva la testa scoppiargli. E la colpa era tutta di quel presuntuoso di Gash.

Forse proprio tutta no, ma da quando aveva iniziato a essere una presenza fissa nella sua vita certamente le cose non erano migliorate. Aveva solo aggiunto una dose maggiore di confusione a quel disastro che era la sua vita. Disastro in un equilibrio molto precario, che la sola presenza dell'uomo aveva fatto sbilanciare dal lato sbagliato. Decisamente.

Perfetto, era appena diventato la protagonista sedicenne di una storia d'amore per un pubblico di adolescenti. E con la fortuna che si ritrovava, non era certamente una di quelle ispirate a Elizabeth Bennet. Emise un suono a metà tra un grugnito e un verso di frustrazione, e si decise a leggere il messaggio che gli era arrivato.

Recitava una semplice domanda: "Novità?".

Frode considerò se rispondergli come avrebbe davvero voluto lo avrebbe portato da qualche parte, ma il suo stupido cervello razionale gli fornì una risposta negativa che lo fece desistere. Si portò un angolo del dispositivo alle labbra e si concesse un attimo per ripensare alla domanda.

Aveva novità? Ovviamente no. Non pratiche per lo meno. Ma che si aspettava? Che sarebbe riuscito magicamente a trovare tutti i protagonisti dei suoi sogni nel giro di qualche giorno? Sbuffò una risata, cogliendo l'ironia di quel pensiero solo dopo averlo formulato.

La verità era che dopo il suo incontro con Gash, aveva incontrato i loro ex amici tante di quelle volte nei suoi sogni, i quali avevano scelto quel periodo per peggiorare e incrementare, che ormai ne aveva la nausea. E non solo per le sensazioni con cui si svegliava di mattina. L'odore di morte non era qualcosa a cui si era abituato nemmeno il suo alter ego.

Conie dast ter. Avrebbe tanto voluto crederci.

Rinunciò a rispondere al suo... Collega? Non era sicuro del reale rapporto che poteva avere con Gash, in questa o in altre vite. Era sempre rimasto una figura a lato. Importante, probabilmente, ma non una con cui interagiva così spesso o volentieri. Forse anche per quello non lo aveva mai sognato prima d'incontrarlo.

Gli altri invece, gli altri se li avesse incontrati per strada avrebbe saputo esattamente come prenderli e quanta confidenza dare a ciascuno di loro, dopo tutti quegli anni di conoscenza. O meglio, anni di ricordi di vite passate in cui li aveva incontrati. Sapeva che Lante era da sempre stata più di una sorella, ridendo la definiva come parte della sua anima. Monn era una delle persone più fidate che avesse avuto il piacere di incontrare, anche un'ottima spalla nel caso qualcosa fosse andato storto. Bal era dalla loro parte, la persona migliore da avere al proprio fianco nel caso si fosse dovuto difendere da qualcuno o qualcosa, ma sul lato relazionale ed emotivo era forse uno dei più carenti. Ojasvi invece era qualcuno a cui era certo di non andare proprio a genio, ma non era realmente convinto che qualcuno le stesse veramente simpatico eccetto forse Monn. Mentre Chimo, Chimo era quel genere di persona che a inizio serata si assicurava che non avrebbero fatto troppo tardi e che non si bevesse troppo, e due ore dopo era il primo ad arrampicarsi per le recinzioni e invadere le proprietà altrui. Solo che nel suo caso, non era tanto un invadere le proprietà altrui, quando buttarsi a capofitto contro avversari decisamente più pericolosi e potenti di lui. Sorrise al ricordo, almeno per quelle volte in cui non era toccato a lui doverlo recuperare.

Un bussare lo fece voltare in direzione della porta, distogliendolo dai suoi pensieri. Non fece in tempo a rispondere, che la maniglia si abbassò, annunciando l'entrata di Cam. Cam con in mano una tazzina di caffè. E non delle macchinette. Sospetto.

«Con quale dei clienti hai litigato questa volta?» le chiese, sperando vivamente non si trattasse del rappresentante delle Seaver's Clinique. Suo padre non era stato contento delle condizioni del loro ultimo contratto e dubitava sarebbe riuscito a ottenere qualcosa di più quest'anno, se fossero partiti col piede di guerra.

«Buongiorno anche a te, svegliato dal lato sbagliato del letto?» gli sorrise invece, non tranquillizzandolo affatto. Se aveva il coraggio di buttare del sarcasmo nella conversazione, forse non era così grave, ma il fatto che gli avesse portato da bere non preannunciava comunque nulla di buono.

«Dacci un taglio, oggi non sono esattamente dell'umore giusto per i convenevoli».

«Perché, ci sono dei giorni in cui lo sei?» gli sorrise sua sorella, di un divertimento che non era però rispecchiato nei suoi occhi.

«Cam» trascinò la vocale, in tono lamentoso. Non aveva davvero le energie per decifrare le reali intenzioni dell'ennesima persona quel giorno. Ed erano appena le undici di mattina.

«Va bene» sbuffò, scuotendo il capo. Gli poggiò la tazzina davanti, attenta a evitare i fogli pieni di appunti che aveva preso durante i suoi incontri con i vari clienti. Era vecchia scuola, adorava ancora scriversi a mano le cose. Cam lo criticava, Rix gli dava del romantico e Pattie era disperata al dover riorganizzare i suoi appuntamenti settimanali, ma nessuno di loro era riuscito a fargli cambiare abitudini. Anche se forse, visto il suo nuovo vezzo di prendere fuoco, avrebbe dovuto riconsiderare alcuni aspetti della sua vita. Non che un computer o un cellulare avrebbero resistito a delle fiamme.

Avrebbe voluto sollecitare una risposta da sua sorella, ma notò che il suo comportamento era... Non sapeva realmente come definirlo. Il termine che avrebbe usato se davanti avesse avuto chiunque altro era nervosa, ma sua sorella non era mai nervosa. O almeno non mostrava mai di esserlo. Ma in quel momento si stava toccando continuamente delle ciocche ricce e si stava mordendo distrattamente il labbro, evitando forse inconsciamente il suo sguardo. Davvero sospetto.

Quando aveva fatto qualcosa di grave o sbagliato, ma che comunque riteneva giustificato, e al diavolo le conseguenze! Hasta la justicia siempre!, marciava convinta in una stanza, sfidando l'interlocutore, in genere loro padre, a dirle che aveva sbagliato. Quell'unica volta in cui al liceo l'avevano colta in flagrante in un atto vendicativo, dopo un'ora di colloquio era diventata l'incubo del preside. In un liceo di casi umani, in apparenza ben più pericolosi di sua sorella.

Certo, non sempre pretendeva di avere ragione. Non era così tanto testarda. In numerosi casi, infatti, gli aveva chiesto scusa. Ma comunque si mostrava ferma, schiena dritta e portamento fiero. Persino nei suoi momenti peggiori, aveva affrontato il mondo come una sfida a buttarla giù più di quanto non avesse già fatto. Si ricordava quando era arrivata a casa loro, triste certo, in pieno lutto, ma piena di rabbia e pronta a saltare al collo di tutti loro. Sarebbe stato facile, ma non l'aveva biasimata: si ricordava come si fosse sentito lui al suo posto, incubi a parte. E a lui era comunque rimasto suo padre, a perdere entrambi i genitori non sapeva quanto meglio avrebbe realmente reagito.

Quindi, vedere sua sorella in quel modo, spalle ricurve in avanti e gesticoli ricorrenti, fu una sensazione alla quale non era decisamente abituato. E sì, si stava decisamente preoccupando.

«Quella sera» ricominciò a parlare sua sorella, occhi caramello fissi sulla sua scrivania, «La sera prima del tuo... Rapimento. Io, io volevo distrarmi da una cosa... Non che non avessi il piacere della tua compagnia, certo, ma... Volevo insomma, non tornare nel mio appartamento e affrontare, affrontare alcuni aspetti della mia vita ecco» continuò, deglutendo.

«Non hai bisogno di scuse per passare da me, lo sai» cercò di rassicurarla. Lei scosse il capo, ridacchiando tristemente.

«No, non... Non è quello. So che posso contare su di te, ma... Vorrei che questa sera passasti da me, invece» affermò in un sussurro, guardandolo timidamente negli occhi.

«Da... Te...?» osservò, molto intelligentemente. Prima che però Cam potesse ritrarre l'offerta, si affrettò a rassicurarla, «Ma certo! Sicuro, ci sarò» annuì, anche a sé stesso.

Era mai stato nell'appartamento di sua sorella? Forse sì, si ricordava vagamente un trilocale in stile minimalista. Ma anche l'appartamento di Rix era a lui un mistero, se doveva dirla tutta. In genere, era a casa sua o nella casa di famiglia che si ritrovavano. Non era un caso che gran parte del suo arredamento lo avessero scelto i suoi fratelli, vista la frequenza della loro visite. E i suoi pessimi gusti in fatto di spazi e mobili. Ma quello non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura.

«Grazie» sembrò rilassarsi, «Ho proprio bisogno di... Un consiglio» ammise, assottigliando le labbra.

«Ci sarò» confermò nuovamente, rafforzando la sua risposta prendendole una mano e stringendola.

Gli rivolse un sorriso triste, stringendogli la mano a sua volta, per poi scuotere i capo e ritrarsi dalla scrivania.

«Guarda che il caffè si fredda» gli sussurrò, con uno sbuffo divertito. Poi si congedò, e uscì dalla stanza.

Quando la porta si richiuse, si lasciò cadere contro la poltrona. Forse era una cosa meno grave di quel che pensasse. Insomma, lui aveva scoperto da meno di un mese di avere visioni profetiche, riguardo al passato giustamente, e di prendere fuoco. Tutto il resto, in prospettiva, non era così preoccupante. O almeno così aveva cercato di rassicurarsi in quel momento.

A fine giornata, davanti al portone del palazzo di sua sorella, tutte le sue paure stavano tornando ad attanagliarlo nella loro morsa. Deglutì. Nella tua vita passata eri un duro che affrontava draghi e conduceva persone in battaglia, il tutto prima di colazione: qualunque problema abbia Cam, sarai in grado di affrontarlo. Cavoli, se a volte sperava che ci fosse il suo alter ego ad affrontare la sua vita al posto suo. Lui senza quel caffè che chiamava colazione, non riusciva nemmeno a ricordarsi il suo nome. Per non parlare di quelle mattine in cui lo dovevano trascinare fuori dal letto di peso.

Per i posteri, concedeva di scriverlo nelle sue memorie, stava tergiversando. Ma era nervoso. E un Frode nervoso non era mai una buona cosa. Soprattutto se non poteva tirare un pugno alla causa di tale nervosismo. Facile giudicare, ma nessuno aveva più osato neanche provare a bullizzarlo dopo quell'incompetente di Culhwch O'Malley.

Contro tutti i suoi istinti, portò la sua mano a suonare il campanello.

Per distrarsi nell'attesa che una voce familiare gli chiedesse chi fosse, e impedire che i suoi pensieri prendessero la loro solita via funesta come in genere accadeva quando era preoccupato, si concentrò a osservare il suo respiro colorato dal freddo dell'inverno ormai alle porte. Il portone verde scuro offriva un ottimo contrasto al vapore chiaro, facendolo sorridere al ricordo delle numerose volte in cui da piccoli giocavano immaginando di essere dei feroci draghi. Di certo il fuoco non mi manca.

Mantenne il sorrisetto per tutta la corsa in ascensore, fortunatamente non dovendo dividere il cubicolo con altre persone, sicuramente già sedute a tavola cenare, o almeno al caldo dei loro appartamenti o di qualche pub. La porta dell'appartamento lo attendeva socchiusa, lasciandolo indeciso se bussare o meno, optando infine per entrare e annunciarsi con un "Cam" ad alta voce.

Colse l'occasione, ovvero un rumore di un tonfo da qualche parte all'interno dell'appartamento non immediatamente visibile accompagnato da un "arrivo" scocciato, per guardarsi attorno, confuso. La stanza era molto simile a quella presente nella sua memoria, solo che... Dire che fosse una giungla era sottostimare la presenza di piante che sembravano aver invaso la quasi totalità dello spazio. Dubitava che anche l'urlare Jumanji! avrebbe fatto sparire tutto quel verde.

Cercò con lo sguardo un appendiabiti, riuscendo a scorgerlo dietro a un arbusto cespuglioso. Convincendosi mentalmente che i ragni non stessero sulle piante, una piccola bugia bianca, ripose il cappotto e la borsa, evitando di sfiorare qualsiasi cosa verde, per quanto fosse possibile. Forse sua sorella aveva preso fin troppo alla lettera il concetto di vita green.

«Eccoti, finalmente» con forse fin troppo sollievo nella voce di quanto fosse necessario, Cam emerse dalla sua stanza. Frode si voltò, sorridendole, evitando almeno per il momento d'ignorare l'elefante nella stanza. Anche se sinceramente non si sarebbe sorpreso se ne fosse sbucato uno da quella giungla.

«Mi ricordo ancora dove abiti, Sonic» le scompigliò i ricci. Si pentì quasi del suo gesto quando sua sorella premette sul suo mignolo portandolo verso la sua spalla, provocandogli una dolorosa fitta. Quasi.

Ridacchiando, e ammettendo la sua resa, raddrizzò il busto, rendendosi conto in quel momento che stesso occupando l'unico punto della stanza non ricoperto di verde. Anche Cam smise di ridacchiare con lui, appena si rese conto di come Frode si stesse guardando intorno.

«Ecco... Era di questo che volevo parlarti» offrì, muovendo distrattamente la mano in direzione della stanza. Aveva lo stesso sguardo colpevole e spaventato di quella mattina, anche se Frode non riusciva a comprenderne il motivo. Continuò a guardarsi intorno. Non era un esperto di piante, ma nessuna gli sembrava illegale, quindi almeno quella opzione era da scartare.

«Non condivido le tue scelte stilistiche, ma se invece hai aperto una compravendita di piante online, credo che Rix se ne intenda più di me. O almeno potrebbe chiedere a LV per te» abbozzò un sorriso, cercando con gli occhi lo sguardo sfuggente della ragazza. Se nemmeno al sentire il nomignolo di Melvyn aveva una reazione, la cosa era più grave di quanto pensasse.

Si morse le labbra, pensando a cosa fare o dire per migliorare la situazione, sentendo i soliti brividi sulla schiena dovuto all'ansia. No, non erano brividi, qualcosa o stava sfiorando. Alzò il capo istintivamente, guardando dietro di sé, vedendo solo piante.

Era una sua impressione, o davanti all'appendiabiti fino a qualche attimo precedente c'era un solo arbusto? Perché in quel momento ce ne erano tre? E da quando erano così vicini?

Provò a ricomporre il volto in un'espressione il più possibile non allarmata, ma voltandosi trovò solo i due grandi occhi marroni di sua sorella che lo guardavano, aspettanti. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, ritrovandosi per la seconda volta quel giorno senza parole.

«Non sono l'unica che le vede, vero?» gli chiese in un sussurro Cam, sull'orlo del pianto. Non sapendo cosa fare, lasciò che il suo corpo agisse d'istinto e abbracciasse sua sorella, appoggiandole il mento sul capo.

«No Cam, non... Non sei l'unica» tentò di rassicurarla.

«Da piccola, da piccola pensavo fosse solo la mia immaginazione sai» iniziò, singhiozzando sul suo maglione, «Poi... Ho creduto fosse solo un mio convincimento perché non avevo amici e mi sentivo sola, ma poi hanno riniziato e non sapevo che fare e... Erano ovunque Frode, io-io non sapevo che fare. Ma poi hanno smesso, e ora, sono due mesi che non so cosa fare, mi sembra di impazzire» continuò, tremando nel suo abbraccio.

Conosceva perfettamente la sensazione. Forse più di quanto avrebbe voluto. Per cui lasciò che si sfogasse, baciandole i capelli e sussurrando parole di conforto. Quando gli sembrò che avesse ripreso un minimo di controllo, sciolse l'abbraccio, prendendole il volto fra le mani, asciugando le ultime lacrime con i polpastrelli.

«Non sei pazza Cam, non lo sei» le mormorò, avendo paura di alzare la voce. Sentì, più che vedere, il corpo di sua sorella rilassarsi a quelle parole. Tremava ancora però.

«Sono ovunque, io-».

«Ti hanno fatto del male?» le chiese, tenendole dritto il capo, in modo che non sfuggisse al suo sguardo.

«Cosa? No, no! No, non mi hanno mai... Non sono cattive» sembrò confidargli l'ultima parte. Frode annuì, bisbigliando sottovoce alcuni "okay" e riflettendo su come approcciare la situazione. Aveva una strana sensazione di déjà-vu, con cui non sapeva come relazionarsi, ma principalmente un nome gli rimbalzava in testa. E per quanto non avesse la minima voglia di ammetterlo, più passavano i secondi più si rendeva conto di quanto fosse l'unica possibilità che aveva.

Gli aveva confidato che i suoi fratelli erano coinvolti in quella vicenda. Forse nemmeno in questa realtà sarebbero stati risparmiati.

Si passò una mano fra i capelli, chiedendosi se quei, come li aveva chiamati Gash? Maghi di sangue? Se fossero responsabili di quello scherzetto con le piante, ma nonostante sospettasse che la tortura psicologica non fosse al di sopra dei loro intenti, quel poco che aveva appreso dai suoi sogni su di loro, lo portava a pensare che non si trattasse dei suoi rapitori. Le loro arti riguardavano maggiormente il controllo sulla magia stessa, che il praticare qualche tipo di magia.

«Va bene, sai come... Farle indietreggiare?» le chiese, sentendosi improvvisamente claustrofobico.

Cam annuì, guardandolo incerta. Poi avvicinò una mano a una pianta, dandogli quella che se si fosse trattato di una persona sarebbe stata una spintarella. E a quel punto successe qualcosa che davvero non si aspettava. Le piante iniziarono a ritirarsi, in dei movimenti fluidi di fogliame e rami, ritornarono al loro posto nei loro vasi, mostrando la loro disposizione allineata alle pareti. Molte di meno di quante fossero quando era entrato.

Si voltò verso sua sorella. Se le piante erano state messe lì per farla impazzire o peggio, perché Cam aveva un minimo di controllo su di esse?

Forse immaginando quello che gli passava per la mente, la ragazza distolse lo sguardo, strofinandosi un pezzo di pelle color caffè sul dorso della mano sinistra.

«Quando non sono triste o particolarmente arrabbiata, stanno al loro posto» spiegò, facendo un passo indietro.

«Aspetta, intendi dire che loro ti confortano?».

«Non so se sia un vero conforto, intendo, sono piante» provò a ridacchiare, ma le uscì più rauca di quanto si aspettasse, e quindi smise subito, «Però mi stanno vicine» ammise infine, guardando verso il pavimento.

«Io lo ammazzo» fu l'unica cosa che sua sorella gli sentì dire, portandola a guardarlo di scatto spaventata, prima che prendesse il cellulare e chiamasse quell'incompetente di un immortale che aveva la sfortuna di avere come fonte di informazioni.

Per quel motivo, una mezzoretta più tardi, all'alba delle nove di sera, uno scocciato Gash varcò la soglia della casa di sua sorella, seguito da un ancora più scocciato Rix, appena qualche minuto più tardi.

«E lui che ci fa qui?» chiese il suddetto fratello, appena entrato, indicando l'immortale.

«Non è il momento, togliti la giacca e vai a sederti in cucina» gli rispose, forse più duro di quanto avrebbe voluto, indicando col capo la stanza adiacente, dove Cam stava versando della tisana per tutti i presenti. Solo dopo che ebbe chiuso la porta dell'appartamento, realizzò che per Rix Gash era un appuntamento andato disastrosamente male. Sarebbe stata una chiacchierata divertente.

«Concordi anche tu?» chiese a una pianta alla sua sinistra, la quale aveva il dono di muoversi ma non di comunicare sfortunatamente. Sbuffò, e si diresse verso il tavolo dove due delle persone più importanti delle sua vita e un burbero ficcanaso erano seduti a guardarsi di sottecchi a vicenda.

Avrebbe voluto iniziare quella conversazione rasserenando gli animi, e spiegando con calma la situazione. Oppure direttamente inveire contro Gash, urlandogli contro tutto quello che pensava di lui e di quanto nelle ultime settimane avrebbe solo voluto strozzarlo, se non fosse per il fatto che non potesse morire. O forse l'immortalità era più una cosa legata all'età, avrebbe dovuto investigare. In alternativa rassicurare l'ancora scossa Cam che c'era di peggio che parlare con le piante, avrebbe potuto essere una delle due teste calde sedute al tavolo con lei. Per sua sfortuna però, iniziò in modo totalmente diverso.

«Io sputo fuoco».

Tre teste si voltarono verso di lui, la preoccupazione, e lo scetticismo, evidente in tutti i loro occhi.

«Cosa?» fu Rix a parlare, tono stranamente fermo.

«Sì, anche se forse dovrei iniziare dicendo che tecnicamente i miei sogni sono memorie di altre vite e che Cam parla con le piante... E loro le obbediscono» continuò, mentre tutta una serie di voci gli davano dell'idiota. Ma erano tutte voci appartenenti a persone morte anche in modi tragicamente stupidi e inutili, quindi era piuttosto sicuro non avessero una levatura mentale sufficiente per criticarlo.

«E io cosa sono? Un dominatore dell'aria? E lui dell'acqua?» osservò suo fratello, scetticamente, indicando Gash.

«Per come togli il fiato tu con i tuoi commenti stupidi, ti assicuro che lo potresti benissimo essere» gli rispose l'immortale, incrociando le braccia e ignorando i versi di disapprovazione di Rix, «Quello che invece trovo interessante è come tu possa ancora manipolare il fuoco, non che mi sorprenda del tutto».

«Tu sapevi che ero in grado di creare fiamme da nulla?» intervenne a quel punto Frode. Vero, lui aveva preferito tacere al loro incontro, avendo i suoi dubbi sull'affidarsi completamente a uno sconosciuto. Ma che diamine.

«Frode» la voce di Cam portò tutti a voltarsi verso di lei, «Chi è lui?» gli intimò di risponderle, serrando la mascella e stringendo la manica della tazza con una forza tale da farle risaltare le nocche.

«Certo, scusate, colpa mia» provò, ponendo le mani davanti, «Lui è Gash, Gash credo che conosci già i miei fratelli».

«Ora è tutto chiaro Frode, grazie» replicò sarcasticamente suo fratello, appoggiandosi con forza allo schienale della sedia, mostrando il medio al "con mio sommo dispiacere" di Gash.

«Non credo a quello che sto per dire, ma Rix ha ragione» intervenne nuovamente sua sorella, mormorando un "ommioddio ha ragione" fra sé e sé, «E anche se in questo momento sono... Vorrei dire confusa, ma... La verità è che non so neanche se sia la parola giusta perché tutto quello che hai detto, mi sembra abbia senso, ma logicamente non ne ha, eppure lo ha, ma in ogni caso il punto non è quello. Il punto è che, passi Rix, ma questo chi diavolo è e perché lo hai invitato a casa mia?» chiese la proprietaria dell'appartamento, con una voce un'ottava più alta del suo tono normale. Nella sua testa quella conversazione era andata molto meglio. Decisamente.

«Sfortunatamente, è il suo ex. E grazie, ti voglio bene anche io».

«Zitto Rix» rispose d'istinto a suo fratello, dopodiché si rivolse a Gash, il quale si limitò ad alzare le spalle, «Va bene, ci provo. Dunque, partiamo dall'inizio, Gash non è il mio ex, e no, quello a cui hai insistito a partecipare non era un appuntamento, ma un incontro per... Discutere alcuni cose» iniziò, assicurandosi di avere l'attenzione di tutti i presenti prima di continuare, «Probabilmente alla fine di questa conversazione mi prenderete per pazzo, ma non importa, anche perché tu» indicò suo fratello, «Sei abbastanza intelligente da capire che i miei sogni non possono essere qualcosa di normale, essendo stato presente alla maggior parte dei miei risvegli, e tu» questa volta indicò sua sorella, «Tu sai già che qualcosa non torna. Quindi, da quello che ho capito da questo tizio, che professa di essere un immortale ed è apparso in alcuni miei sogni, più recenti però, noi abbiamo vissuto altre vite, no, non so come funzioni Cam, e no Rix, non sono in grado di reincarnarmi in un gatto, il punto è che in queste altre vite, in tutte queste altre vite, erano presenti sempre le stesse persone e, ogni volta, queste persone, i protagonisti dei miei sogni, morivano o qualcosa andava storto. Non so cosa, credo che i miei sogni evitino per qualche motivo quelle parti, so solo che ogni volta, come da copione, morivano. L'unica cosa che però non sapevo, era che anche voi due foste presenti e... Almeno del fatto di vedervi morire ogni notte, sono abbastanza grato» concluse la sua spiegazione, afferrando lo schienale di una sedia. Aspettando una qualche reazione. Camula si limitò a fissarlo, con una espressione confusa in volto, Gash aveva il mento appoggiato svogliatamente sul palmo della sua mano, mentre Samorix tamburellava le dita sulla superficie del tavolo, pensieroso. Fu quest'ultimo il primo a reagire.

«Quindi, tu credi che noi, i presenti intendo, e gli altri, Ojasvi, Eamonn, Lante... Siamo vissuti più volte? Fallendo ogni volta? Perché? A cosa serve l'essere intrappolati in questo continuo ciclo?» chiese, serio. Non si aspettava una domanda così diretta. Si era aspettato più una risata sarcastica, un applauso e un "dove sono le telecamere?" o un "è almeno buono questo LSD?".

«Non lo so, o meglio, credo che in qualche modo abbiamo stipulato un contratto che poi si è modificato, o meglio non noi, Lante, ma... e... No, non ho capito quella parte, Gash?» si voltò verso l'immortale alla sua destra, rendendosi conto di non saper spiegare quella parte. In fondo lo aveva invitato per un motivo.

«Lante stipulò un patto con me, in cui, nell'eventualità della sua morte, io non sarei rimasto solo. Poi un'altra persona ha deciso di aggiungersi e... Questo ha cambiato il patto in modo imprevedibile, probabilmente coinvolgendo anche voi» spiegò nuovamente l'immortale, rivolgendosi però a Camula, e non a chi aveva di fatto posto la domanda.

«Mi sembra inutilmente complicato» obiettò prontamente sua sorella, giocando con la cordicella della bustina della tisana.

«Inoltre, poteva Lante realmente fare una cosa del genere? Non sto dubitando, solo mi sembra... OOC» si intromise suo fratello, notando poi tre sguardi in cagnesco, uno in più rispetto al solito, si affrettò a spiegare, «Out Of Character».

«Non hai tutti i torti» gli concesse Frode, prima di notare cosa esattamente gli stonasse del comportamento di suo fratello, «E tu perché conosci così bene Lante?» inquisì, allo sguardo colpevole di suo fratello gettò le braccia al cielo, «Non posso credere che tu abbia letto i miei diari!» urlò. Erano privati, dannazione.

«Diari?» chiese Gash, per la prima volta sinceramente perplesso.

«Ho segnato tutto, per capire quali sogni fossero collegati e quali no, problemi? Ho segnato anche i progressi con il fuoco, se ti interessa. Si chiama metodo scientifico, osservare e confrontare i risultati, per formulare ipotesi e verificare tesi».

«So cosa è il metodo scientifico» intervenne l'immortale, «Trovo solo singolare che qualcuno lo applichi per la magia, ma questo lo trovo In Character» concluse, con espressione compiaciuta rivolta a Rix, il quale si limitò a roteare gli occhi.

«Tutto ciò è molto interessante» riportò l'attenzione su di sé Cam, «Ma come mi aiuterebbe?».

«Regina, non vedo in che cosa dovremmo aiutarti, sei una strega» le rispose Gash, con un tono da ovvietà.

«Lei è cosa?» chiese a quel punto Frode, «Perché non me lo hai detto?».

«Me lo hai forse chiesto?».

E con quella domanda, posta con un tono così saccente da far quasi perdere il controllo a Frode, ed era abbastanza sicuro che in tal caso Rix non avrebbe nemmeno fatto lo sforzo di fingere di fermarlo, la loro conversazione di concluse. O meglio, si tramutò in un confusionario chiacchiericcio pieno di frecciatine fra suo fratello e l'immortale, Camula che chiedeva esattamente che cosa il suo nuovo status da strega le avrebbe permesso di fare, quasi nulla a sentire Gash, e un Frode seduto al tavolo in silenzio mentre contemplava la sua vita e l'assurdità di tutto quel suo ultimo mese di vita.

Ma nonostante si fosse svegliato il giorno dopo con un mal di schiena da pessima postura, almeno il suo divano era comodo, e un cuscino fatto di foglie, quella serata era servita a qualcosa, a giudicare dal comportamento di sua sorella.

Cam infatti sembrava sollevata, forse per il fatto che non fosse sola o forse indossava solo una maschera di tranquillità davanti a lui. Nei giorni successivi doveva infatti confessare di esserle stato particolarmente addosso. Ma era preoccupato. Davvero. Solo perché per lui era stato abbastanza facile, se non naturale, l'accettare la situazione, non voleva certo dire che sarebbe stato lo stesso per lei.

«Sto bene, Frode. Sono solo una strega, dovrei essere felice più che altro, ora i miei piani per la conquista del mondo non sono così lontani e assurdi come credevo» rise la causa della maggior parte dei suoi capelli bianchi precoci, mentre si avvicinava il terzo boccale di birra della serata.

«Forse dovremmo iniziare a chiamare te LV» sospirò lui, osservando il suo ordine tristemente analcolico. Detestava essere l'autista della serata, ma ci teneva alla pelle e sue sorella dietro al volante era forse peggio di suo padre, con l'unica differenza che lei non si premurava di andare piano quando lo aveva come passeggero.

«Non lo considerare nemmeno, senza contare che io non mi farò battere da un ragazzino prodigio di chissà quanti anni più giovane di me e il naso lo ho ancora» ribatté, con tono fin troppo allegro. Erano mesi che non riusciva a passare una serata al Raptor, e ovviamente non appena ne aveva l'occasione ne approfittava qualcun altro. Scosse il capo, contemplando se chiedere al cameriere di portargli una cassa della loro birra d'asporto, quando un urlo maschile di protesta catturò la sua attenzione.

Essendo clienti abituali, almeno un tempo, lui e i suoi fratelli sapevano che i posti migliori dove poter passare una serata indisturbati erano quelli in fondo al locale. Consistevano in tre nicchie scavate nella parete, ognuna con un tavolo rettangolare, divise fra loro e nascoste agli occhi del resto del pub da una serie di paraventi in legno in stile mediorientale. A non conoscere il locale, sarebbe sembrata un'area privata. Il resto del pub invece era in legno, come se fosse uscito fuori direttamente da qualche racconto di bucanieri a Tortuga, con vari tavoli sparsi per il pavimento, e un bancone con troppe bottiglie e gingilli vari che dominava la quasi totalità della parete a destra dell'entrata.

A causa della loro scelta di posto, Frode fu costretto a piegarsi di lato per poter capire che cosa stessa accadendo nel locale, mentre sua sorella era costretta a girarsi sulla panca, mettendosi in ginocchio, appoggiata col petto allo schienale.

Due ragazze erano vicine al bancone, una che abbracciava l'altra di lato in modo protettivo, gesticolando animatamente verso un uomo, probabilmente ubriaco a giudicare da movimenti larghi e lenti, che le indicava ridendo, rivolto verso il resto del locale. Intuendo la situazione, Frode sospirò, facendo per alzarsi, quando un cameriere, o almeno credeva che lo fosse visto il grembiule, si avvicinò all'uomo. L'attaccabrighe non era particolarmente alto, ma la stazza per dare problemi in uno scontro fisico la possedeva. Fortunatamente il cameriere, che lo sovrastava almeno di una testa, sembrava essere uscito da una palestra, anche se poteva trattarsi di muscolatura da spiaggia. Non che non fosse uno spettacolo per gli occhi. Mentre Frode era ancora intento ad apprezzare la scena, l'uomo più basso scagliò un pugno verso il cameriere, il quale riuscì a bloccarlo e a portarglielo dietro alla schiena, impedendogli la libertà di movimento.

Mentre accompagnava l'uomo fuori, fra gli applausi generali del locale, sentì anche un fischio di apprezzamento. La cosa che lo stupì maggiormente fu il fatto che il suono non provenisse da se stesso, perché quel cameriere se lo meritava, ma da sua sorella.

«Cosa c'è? A mama piace» gli rispose, tranquillamente, tornando a sedersi.

«Ti prego di non utilizzare più espressioni del genere davanti al qui presente tuo fratello maggiore» commentò, scandalizzato. Non era un moralista, ma aveva visto la donna davanti a sé crescere, dannazione.

«Come se non stessi pensando la stessa cosa».

Prima che le potesse risponderle che non stava pensando la stessa cosa. Non in quei termini per lo meno, vide il cameriere rientrare e gelò sul posto. Lui conosceva quel volto. Eccome se lo conosceva.

«Dammi le foto» porse il palmo della mano a sua sorella. Lei si limitò a fissarlo, per poi alzare un dito in segno di pausa, intuendo a cosa si riferisse, e porgergli il cellulare.

Avendo i suoi fratelli nella squadra, ormai non più formata solo da lui e Gash, il problema di trovare gli altri protagonisti dei suoi sogni era diventato anche loro. E, incredibile ma vero, Rix aveva proposto un'idea geniale. Non avendo né lui, né Camula dei ricordi dei volti degli altri, aveva chiesto a Melvyn di ricrearne i volti, sotto descrizione di Frode e Gash, in modo che anche loro ne avessero una copia.

E quello davanti a lui, in questo caso più in forma rispetto ad altre sue versioni, era sicuro fosse Monn.

Non sapeva cosa esattamente gli desse quella certezza. Fra tutti, forse Monn era quello che aveva un aspetto diverso in ogni realtà. I lineamenti erano simili, così come i capelli neri come la pece e gli occhi forse ancora più scuri, la carnagione quasi cerea in perfetto contrasto. Ma a giudicare dai suoi sogni, la corporatura, o in generale lo stato del suo fisico, erano in continua modifica. Alcune volte era fin troppo magro, tanto da non riuscire nemmeno a sfruttare al massimo le sue capacità, altre volte era più robusto, altre ancora era pieno di cicatrici, che gli sfiguravano il volto o altre parti del corpo. La sua forma fisica era sempre dipesa da come era stato trattato prima di incontrarli e non in tutti i casi era stato fortunato. Lo stigma che si portava dietro era forse l'unica costante della sua persona, insieme alla sua voglia di aiutare il prossimo. Ma quando ti chiamano "il protettore", un motivo ci dovrà pur essere.

Il fatto però che avesse un innato istinto a proteggere gli altri, non implicava che non fosse una delle persone più sospettose e attente che avesse sognato. In numerose realtà gli davano la caccia, e non era il tipo di persona che si prestava a essere una facile preda. Frode non sapeva se anche in quella realtà esistessero dei cacciatori, o in qualunque modo si chiamassero, ma non era pronto a rischiare il collo per essersi approcciato in modo sbagliato. Per questo aveva lasciato andare avanti Cam. Ed essendo il senno di poi una scienza esatta, era abbastanza sicuro di fare pena come veggente, constatò massaggiandosi il fianco dolente. Non che lo avrebbe mai ammesso di fronte a Gash.

Il piano di sua sorella, almeno la parte che non aveva omesso, era abbastanza semplice: aspettare che chiudesse il locale, per poi attendere sul retro che Monn uscisse e quindi parlargli. La parte successiva era invece più complicata.

Appoggiato tranquillamente a un muro di un palazzo vicino, aveva osservato la figura di Cam che si muoveva sotto la luce di un lampione e si accostava a un Monn che stava portando fuori dei sacchi della spazzatura. Non era abbastanza vicino da udire che cosa si stessero dicendo, essendo rimasto volutamente nella penombra, ma il risultato fu un cameriere abbastanza incavolato che gli si avvicinava tirandosi su le maniche della maglietta.

«Non le dispiace se le rubo qualche minuto del suo tempo, vero?» gli chiese, incrociando le braccia al petto, rizzando la postura in modo da sfruttare la sua altezza.

Per tutta risposta, Frode spalancò gli occhi, cercando sua sorella con lo sguardo. L'unica risposta fu un sorriso sghembo e una alzata di spalle. Maledetta strega.

«Credo ci sia stato un fraintendimento, io...» cercò di difendersi, mettendo le mani avanti. Avrebbe voluto indietreggiare, ma era già spalle al muro.

«Davvero? Perché la ragazza mi si è avvicinata dicendo che aveva un piccolo problema, nello specifico un individuo che la stava inseguendo da almeno mezz'ora» continuò Monn, facendo scoccare la lingua sul palato, per niente convinto dell'innocenza di chi si trovava davanti.

«No, senti io... È tutto un fraintendimento, quella è mia sorella e ti assicuro che se le chiediamo-» cercò di fare un passo avanti, andando nella direzione della suddetta interessata, quando una mano sul petto lo bloccò, riportandolo forzatamente spalle al muro.

«Tu non le chiedi proprio niente. Hai due opzioni: te ne torni da dove sei venuto, oppure possiamo valutare insieme le tue capacità nella lotta per strada. A te la scelta».

«Davvero, io la conosco e lei conosce me, questo è solo un fraintendimento» riprovò, cercando di trasmettere tutta la sua sincerità con lo sguardo. O forse era solo preoccupazione. Qualunque cosa però capì Monn, non fu sufficiente a farlo desistere.

Il moro sospirò, stanco, per poi agguantarlo per il bavero della giacca e bloccarlo contro la superficie alle sue spalle. Agendo d'istinto, Frode si trovò a tirargli un calcio nell'interno coscia, per poi liberarsi dalla presa colpendo col braccio il collo dell'altro. Non appena Monn allentò la presa, più sorpreso dalla reazione che per il dolore, riuscì a buttarsi di lato, liberandosi dalla scomoda posizione in cui si era ritrovato, ma non fece in tempo a evitare di essere nuovamente afferrato, e gettato all'indietro, finendo inevitabilmente per terra. Rotolò velocemente di lato, evitando un calcio, e si rialzò correndo dalla parte opposta della strada, verso l'entrata sul retro del locale. Evidentemente anche Monn doveva avere dei buoni riflessi, perché un braccio si avvolse attorno al suo collo, costringendo il suo busto a indietreggiare. Mentre con una mano cercava di impedire che l'avambraccio del suo avversario premesse sulla gola, protese il braccio in avanti, quasi alla cieca, cercando di afferrare qualcosa che gli potesse essere utile. Riuscì a stringere la presa attorno al manico di una scopa, con la quale descrisse un arco sopra la sua figura per colpire la schiena dell'avversario. Un grugnito di protesta gli fece capire che stava centrando il bersaglio, per cui tirò una tallonata al piede destro di Monn, seguito da una gomitata con braccio con cui in precedenza stava cercando di evitare di soffocare. Per buona misura lanciò indietro il capo, cercando di colpirgli il naso, ottenendo l'effetto sperato, venendo finalmente liberato dalla presa. Si girò su sé stesso, impugnando la scopa, che ormai aveva perso la spatola, come una spada, per costringere una distanza fra sé e il suo avversario.

L'altro aveva indietreggiato, massaggiandosi il fianco con una mano, mentre con l'altra si toccava lo zigomo destro. Poi puntò lo sguardo fisso su di lui, alzando un angolo della bocca in un ghigno. Espressione che mutò in una di sorpresa quando afferrò la scopa che Frode gli aveva lanciato.

Non lo sapeva nemmeno Frode il perché di quel gesto, ma gli era sembrato naturale, sentendosi per un momento in un prato verde e con in mano una spada vera e non in una strada pedonale buia a combattere con delle scope da ripostiglio. Forse anche preso da quel sogno, no, ricordo, roteò la scopa con un gesto di mano, e si piegò su una gamba per parare il colpo dall'alto del suo avversario. Quest'ultimo non desistette, spostando la traiettoria del fendente dall'alto verso il basso a una laterale. Anche questa Frode riuscì a parare senza problemi, decidendo a quel punto di giocare sporco e sfruttare l'apertura datagli dall'altro per colpirlo con un calcio il pieno petto. Monn a quel punto afferrò la lama della spada, no, il bastone, e lo trascinò verso di sé, facendo perno sulla sua gamba sinistra e buttandolo a terra, finendogli sopra, urtandolo sul fianco destro con il suo bastone nel movimento. Frode strinse i denti, per sopportare il dolore, e iniziò a far collidere ripetutamente il suo gomito col collo dell'altro, riuscendo a levarselo di dosso. Dopodiché, prese il bastone e glielo punto al collo, ribaltando le posizioni, mentre a Monn non rimase altro che bloccare l'asta con entrambe la mani prima che collidesse con la sua gola, sfruttando le sue forze per andare contro la gravità, sdraiato sul pavimento come era in quel momento.

«E ora cosa hai intenzione di fare, lupetto?» lo canzonò Frode, prendendo rumorosamente fiato.

Monn all'ultima parola spalancò gli occhi, in un'espressione di paura, guardando prima lui, poi verso Cam, facendo ballare il pomo d'Adamo.

Prima che Frode potesse percepire il cambio dell'atmosfera, si ritrovò lanciato dall'altra parte della strada, una mano alla gola e due occhi neri che lo guardavano assetati.

«Cosa siete? Cacciatori?» gli chiese una voce talmente profonda da non poter appartenere a nessun essere umano, «Siete dei piccoli cacciatori in cerca di fortuna? Oggi è il vostro giorno sbagliato» continuò, ringhiando. Frode sentì il respiro mancargli, accorgendosi di non essere più nemmeno con i piedi per terra.

«Non siamo cacciatori, siamo amici» intervenne a quel punto Cam, mentre lo sguardo del lupo non accennava a togliersi dal volto di Frode, «Io sono una strega, lui è un veggente, siamo amici, lo giuro».

«Veggente?».

Frode annuì e Monn lo lasciò andare, facendolo quasi finire nuovamente a terra quando le ginocchia non ressero il suo peso, il corpo troppo preso da spasmi per recuperare fiato. L'altro ebbe la gentilezza di reggerlo in una posizione eretta e accompagnarlo a sedersi sul muretto di recinzione della passeggiata accanto al Tamigi, che si trovava a un paio di vie di distanza. Camula li aveva seguiti, spiegando nel frattempo chi erano e che non voleva realmente causare una rissa, ma non sapeva come approcciarlo senza destare troppi sospetti, essendo lei nuova a quel genere di cose.

Monn si sedette con loro, ascoltando le spiegazioni che non spiegavano nulla di Cam, mentre Frode si concentrava a riprendere fiato e a non piegarsi verso il lato offeso.

«Quindi, voi sapete della mia... Natura, perché lui è un veggente?» chiese, aspettando rispettosamente che la ragazza finisse. Cam annuì. «E ci sono altri oltre a voi, qui a Londra?» lei annuì nuovamente. «E loro stanno con voi?» chiese, indicando verso l'alto.

Frode seguì con lo sguardo la direzione del suo dito, scorgendo due figure sedute sul cornicione di un edificio. Due figure che li stavano fissando, sedute seminascoste nell'ombra fornita dalla notte.

«Non proprio» ridacchiò una delle due, «Diciamo che noi siamo ammiratori da lontano».

«Ed essendo grandi seguaci del vostro lavoro» continuò l'altra, «Ci stavamo chiedendo come stava il nostro caro veggente».









Ciambella198 parla a vanvera (ma oggi siamo in zona rossa, quindi mi ignora a distanza):

Gionborno! O buonasera, dipende da quando leggerete questo capitolo. Come state? Spero bene.

Ecco finalmente questo quinto capitolo. Ci ho messo un po', ma ho avuto anche molti impegni quindi... Al prossimo ci sto già lavorando, ma non prometto nulla per le tempistiche.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

Ringrazio in anticipo tutti i lettori silenziosi, chi commenterà e chi lascerà una stellina.

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