Dolci letali quanto frecce nella notte
«E che cosa dovremmo fare se venissimo attaccati da dei maghi di sangue?».
«Pregare» gli rispose Lante, mentre cercava di estrarre la punta di freccia dal braccio di Ojasvi con un coltello sottile, «Oppure correre e non aspettarmi» offrì in seguito, notando il silenzio che si era creato.
«I maghi di sangue? Che gli avete fatto per essere inseguiti da loro?» ridacchiò il ragazzo, passandosi nervosamente il pollice sul pettorale sinistro, «Brutta situazione, molto brutta. Mia madre ci diceva sempre di sperare di morire nello scontro e di non farci catturare. Lo so, donna molto empatica e materna» sospirò.
Nascosto dietro a un muro, Frode continuava a ripercorrere con la memoria quelle due conversazioni. Non aveva ricordi di eventuali incontri di persona con un mago di sangue, che nome orribile, eccetto quei due che lo avevano rapito, ma i racconti li aveva ben presenti. Spietati, efficienti e letali. Per quello si stava ancora domandando come mai non li avessero ancora attaccati, sapendo benissimo che il loro nascondiglio non fosse più segreto, sempre che lo fosse mai stato.
«Stanno aspettando una nostra mossa, abbiamo attirato la loro attenzione e ora vogliono dell'intrattenimento» sussurrò Monn, scrutando le strade e i tetti delle case che li circondavano. Non appena i due avevano annunciato la loro presenza, erano calati su di loro con una agilità degna dei migliori ginnasti, dando solo il tempo a Frode di spostare Camula dalla traiettoria e a Monn di intercettarne uno, spingendolo nelle acque gelide del Tamigi. L'altro, in perfetto equilibrio sul muretto dove erano seduti, si era fermato a guardarli con un ghigno, mentre Monn afferrava sia Frode che Cam e li trascinava via, inoltrandosi fra gli edifici.
«Gli piace giocare con la gente che reagisce» concordò il veggente, prendendo fiato. Il dolore al fianco sembrava deciso a farsi notare: inspirare gli provocava della continue fitte, ma, nonostante i loro assalitori avrebbero preferito il contrario, il suo respirare era sfortunatamente un requisito fondamentale per sopravvivere.
«Li avete già incontrati» non era una domanda. Nonostante notasse una certa sorpresa nel tono di Monn.
«Ne conoscevo una, tecnicamente la conoscevamo entrambi, ma tu non ricordi, quindi...» iniziò a spiegare, interrompendosi a metà frase a causa dei movimenti del moro.
«Che cosa stai facendo?» diede voce ai suoi pensieri Cam, guardando anche lei Monn che stava iniziando a spogliarsi, «Non che sia contraria, ma non mi sembra il momento» lo additò, muovendo circolarmente l'indice nella sua direzione.
«Non ho vestiti di ricambio, quindi a meno che voi ne abbiate» le rispose, gettando la felpa a terra, seguita dal grembiule che aveva ancora in vita.
Qualcosa finalmente cliccò nella sua mente, sbloccando il suo stato di attonimento.
«Ti vuoi trasformare» affermò Frode, sollevato. La paura non gli aveva annebbiato il cervello.
«Vuole che?» chiese Cam, alternando lo sguardo fra i due.
«Hai alternative?» gli chiese Monn, lanciando le scarpe nella stessa direzione degli altri indumenti.
«È un licantropo» spiegò a sua sorella, «E no, non ho davvero idee» si rivolse all'altro.
«Volete interrompere il loro gioco del gatto col topo buttandoci di messo un lupo?» domandò Cam, incrociando le braccia. Fronte corrugata come ogni volta che cercava di comprendere una situazione a lei oscura. Non la biasimava.
«Se la vuoi vedere in questo modo» sbuffò una risata Monn, afferrando i lembi della maglietta, per bloccarsi all'improvviso, girandosi verso la strada. «Qualcosa non va» disse poi, uscendo scalzo dal loro nascondiglio, «Sento odore di sangue».
«Potremmo usare le piante» propose Frode, ignorando l'altro ragazzo. L'idea lo aveva colto all'improvviso, facendolo voltare verso la ragazza.
«Certo, posso mandarle a confortarli, magari gli offriamo anche del tè» gli rispose sua sorella, appoggiandosi le mani sui fianchi. Era davvero necessario tutto quel sarcasmo?
«Era solo un'idea» si difese, «Rix mi avrebbe appoggiato».
«Rix pensava che usare un tubo di lacca per capelli e un accendino in un teatro quasi interamente di legno avrebbe dato un tocco più moderno al cerchio di fuoco in Sigfrido» obiettò Cam, colpendogli il naso con l'indice.
«Non voglio interrompere le imprese azzardate di questo Rix, ma credo sia meglio che veniate a vedere» li richiamò Monn, con un cenno del braccio, per poi sparire dalla loro visuale. I due fratelli si guardarono, per poi seguirlo, uscendo dalla stradina nella quale avevano deciso di rifugiarsi.
Con non poche difficoltà e più tempo di quanto avrebbe voluto, Frode si ritrovò davanti a una scena non comune. O molto comune nei suoi sogni. Il rosso del sangue si stava espandendo e scolorando velocemente, a causa dell'acqua del fiume che ancora bagnava il mago, sgorgando ancora copiosamente dal foro nello zigomo, provocato da una freccia, la cui punta era ricoperta da alcuni corti capelli castani e altri residui organici, che sperava non fossero parti di cervello, sbucando dall'osso parietale sinistro. La metà del volto non celata da contatto col pavimento era diafana e, come il resto del capo, sporca di sangue, mente la bocca era chiusa, al contrario degli occhi ancora spalancati.
Mentre lasciava scorrere il suo sguardo sul resto del corpo disteso supino a terra, sentì una presa tremante al braccio e dei rumori di conati. Prima che potesse anche solo riflettere sulle sue mosse, raccolse i capelli di sua sorella, accarezzandole distrattamente la schiena, senza tuttavia distogliere la sua attenzione dalla macabra scena che aveva davanti.
«Elfi» affermò Monn, chino a osservare la freccia, incurandosi di come il liquido rossastro gli stesse inzuppando le calze.
«Dov'è l'altro?» chiese invece Frode, scrutando i tetti.
«Sento dell'odore di altro sangue da quella parte» indicò un'altra strada che sbucava sulla passeggiata che costeggiava il Tamigi, «Probabilmente è scappato, ritirandosi strategicamente dai vostri protettori» si voltò per guardarlo negli occhi, «Avreste potuto dirmi di avere amicizie così particolari» sbuffò una risata acuta.
«Noi non-non abbiamo amicizie... Intendo, elfi?» cercò inutilmente di ordinare i suoi pensieri caotici.
«Di certo non hanno protetto me, ma per immischiarsi in questa faccenda... Tendenzialmente si tengono alla larga dalle città» rifletté l'irlandese, l'accento era quello almeno, sfiorando l'impiumaggio che rispecchiava la luce lunare, dando un tocco surreale all'intera scena.
«Troppo inquinamento?» perché sicuramente era quello il dettaglio importante, sussultò alla sua stessa uscita.
«Troppi umani, ma... Perché? Perché intromettersi? Mi avevano detto che incontrare voi sarebbe stato importante, ma... Non così» fortunatamente, l'altro era troppo concentrato ad analizzare la scena, per dar peso alle sue gaffe.
«Sono l'unica che vede un cadavere?» domandò incredula Cam, ripresasi dalla reazione del suo stomaco, mentre si puliva la bocca con un fazzoletto e indicava con braccio tremante il corpo.
«Forse dovremmo andarcene» si alzò di scatto il licantropo, facendo qualche passo indietro per allontanarsi dal morto.
«Prego?» l'obiezione era chiara nella voce di sua sorella.
«Non posso farmi trovare qui» spiegò, guardandosi attorno, in cerca di qualcuno.
«Anche se è una freccia? Non c'entri palesemente nulla» gli fece osservare, indicando con la mano la scena del crimine. Aveva avuto i suoi dubbi da quando li aveva creduti dei cacciatori, ma il comportamento dell'altro in quel momento stava confermando la sua teoria che anche in quella realtà ci fosse qualcuno pronto a punirlo, anche se non fosse necessario.
«Se la gente usasse la logica e si basasse sui fatti il mondo sarebbe un bel posto, ma non è sempre così. Credo che anche voi lo sappiate» si sfilò i calzini ormai contaminati dal liquido e avanzò, evitando con attenzione ulteriori macchie sul pavimento.
«Almeno dicci come contattarti» lo pregò, notando con la coda dell'occhio l'espressione soddisfatta di sua sorella. L'irrealtà della situazione fu l'unica cosa che lo trattenne dall'alzare gli occhi al cielo, nonostante trovasse le circostanze più familiari di quando volesse dare a vedere.
L'altro si tastò i pantaloni, per poi estrarre un piccolo taccuino e una penna, con i quali produsse un foglio a quadretti con indicato un numero di telefono. Sparì poi nella stradina da cui erano venuti qualche attimo dopo, non prima di averli però salutati con la mano.
Decisero di concedergli qualche minuto di tempo, prima di chiamare le autorità. Finsero di essere usciti da poco da un pub, tecnicamente la verità, e di aver trovato il corpo durante una passeggiata notturna per schiarirsi le idee, non così corrispondente al vero, ma credibile. L'agente si appuntò tutto, nonostante continuasse a spostare la sua attenzione dal suo ingrato compito di interrogare i passanti, a quello decisamente più unico ed emozionante di mettere in sicurezza l'area dove si trovava il cadavere. Finito il racconto, gli chiesero le generalità e gli comunicarono di rimanere a disposizione per ulteriori accertamenti.
Tornati finalmente in macchina, Camula si decretò troppo stressata per poter tornare da sola nel suo appartamento, invitandosi quindi nel suo. Non che potesse darle torto: nemmeno lui avrebbe voluto tornare in una casa piena di vegetali, pronti a consolarlo al minimo cenno di disagio.
Distesi entrambi sul suo letto, effettivamente abbastanza ampio da contenere tre persone adulte, anche quattro a stare stretti, non che avesse mai avuto il piacere di condividerlo con così tanti individui, la stessa stanchezza, che sembrava aver fatto sprofondare sua sorella in un sonno tutt'altro che leggero, non era in grado di bloccare i pensieri che gli affollavano la mente, tenendolo sveglio a contemplare il soffitto. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Nonostante le differenze, tutte le realtà presentavano un andamento di base comune, e il punto d'innesco, sempre che così si potesse definire, era l'arrivo di Monn. Non era lui la causa di ogni male in arrivo, ma da quando approdava in qualsiasi luogo si ritrovassero a vivere, gli eventi che portavano alla loro morte iniziavano a dispiegarsi.
Con un sospiro, rinunciò al sonno, non che due ore avrebbero fatto una reale differenza, constatò guardando l'orologio dal cellulare, e si alzò diretto verso la scrivania che aveva posizionato davanti alla finestra. Sostituì i vestiti sulla sedia con la sua persona e si fermò a contemplare, portandosi le ginocchia la petto, la collezione ordinata di taccuini che aveva disposto in fondo alla superficie, contro la parete. Il nuovo arrivato, un sottile quaderno dalla copertina azzurra, misurava i suoi progressi con il controllo del fuoco. Aveva deciso di non portarlo in ufficio, per evitare di cadere in tentazione. Saggia decisione.
Come ogni notte insonne, però, quello che catturò la sua attenzione fu quello verde.
Col tempo, aveva iniziato a dedicarsi al malsano passatempo di appuntarsi tutto quello che accadeva nei suoi sogni, all'incirca quando si era reso conto che si potesse essere un qualche tipo di collegamento. Vi erano molti punti ciechi, informazioni essenziali che sfuggivano alla sua memoria, ma tendenzialmente aveva imparato a riconoscere quali eventi appartenessero a quale universo. Prima li chiamava storie e ora avrebbe forse dovuto chiamarle vite, nonostante gli provocasse un certo disagio. La teoria degli universi paralleli lo aveva sempre affascinato, quindi, se nella sua mente li avesse definiti in quel modo, non avrebbe fatto del male a nessuno.
Nei momenti più solitari della sua vita, quando aveva davvero bisogno di un conforto che le braccia di sconosciuti e nemmeno la sua famiglia erano in grado di dargli, passava le ore a leggere e cercare di interpretare quelle situazioni. Anche le più dolorose, sembravano in qualche modo confortarlo.
Il quaderno verde era l'eccezione. Se era vero che in ogni realtà sbagliavano in qualcosa, in quella erano riusciti a fallire ogni singolo elemento.
Lasciò che le sue dita sfiorassero la copertina, per poi ritrarre la mano e afferrare invece il cellulare. Compose un messaggio di richiesta neutra, o almeno il suo cervello stanco supponeva fosse neutra, diretto al suo immortale imbronciato preferito e al suo nuovo amico, chiedendo un incontro per il pomeriggio seguente.
Ebbe appena il tempo di sfregarsi il volto con una mano, prima che due notifiche di messaggio apparvero sullo schermo. Non era l'unico nottambulo. Rispose a entrambi, inoltrando a Monn l'indirizzo proposto da Gash. Poi si alzò e si diresse verso il bagno a farsi una doccia.
Presentarsi in anticipo a lavoro lo avrebbe fatto sentire meno in colpa, per il permesso che si sarebbe preso quel pomeriggio. Fortunatamente avrebbe avuto davanti a sé una giornata lavorativamente poco impegnativa, come gli confermò il programma di Pattie, non del tutto entusiasta del suo pomeriggio libero. Se avesse potuto prevedere – sì, coglieva l'ironia – gli eventi che lo avrebbero atteso quel pomeriggio, forse avrebbe condiviso lo stesso sentimento della sua segretaria.
Frode non si sarebbe mai spacciato per un esperto in questioni riguardanti magia o creature a essa appartenenti, poco importava che tecnicamente anche lui appartenesse al secondo gruppo, ma in quanto a bevande e prodotti dolciari, nonostante si ritrovasse spesso e volentieri, a suo malgrado, a servirsi delle prime cose che riuscisse a ordinare fra un impegno e l'altro, il suo palato non era secondo a quello dei migliori esperti. L'essersi sorbito anni e anni di feste e tè, a case di gente che adorava dimostrare la sua ricchezza, lo aveva abituato fin troppo bene. Che Gash quindi si limitasse alle sue competenze nel campo di immortalità e stregonerie, perché tutti i suoi anni e tutta la sua esperienza non si traducevano, a loro malgrado, anche in buone scelte in fatto di posti dove trovare un caffè decente. E dalle smorfie di Monn, anche l'irlandese concordava sul suo parare da snob.
«Che gioventù viziata» si limitò a commentare l'immortale, in torto di fronte all'evidenza.
«Eppure non mi sembra tu abbia ordinato qualcosa» osservò Monn, rinunciando ad aggiustare il suo caffè con quella povera scusa di una dose decente di zucchero in bustina, in dotazione col tavolino e i tovaglioli di carta.
«Questo perché io non mi arrischio a provocare la mia acidità di stomaco in questo modo» guardò il muffin ordinato da Frode, arricciando il naso in disappunto.
«Non potevo trovare una lampada, con un genio pronto a ingannarmi, come tutti?» scosse il capo, allontanando ulteriormente il dolce incriminato da sé.
«Vengono chiamati Jinn, ne esistono di diverse tipologie e non apprezzerebbero il tuo commento, ma non siamo qui per questo» riportò l'attenzione sul foglio di giornale abbandonato sul tavolo, «L'ultima volta che qualcuno ha attaccato così apertamente i maghi di sangue non è finita bene, spero abbiate una spiegazione migliore di "Non siamo stati noi"» indicò entrambi, sporgendosi col busto verso di loro, e abbassando il tono, come se volesse confidare un segreto.
«Non siamo stati noi» risposero in coro, dopo un cenno di assenso fra loro.
«Vi odio» scosse il capo Gash, appoggiandosi allo schienale della sedia e afferrandosi la radice del naso con due dita.
«Seriamente, Gash, giusto? Siamo corsi via e... Poi lo abbiamo trovato così» cercò di giustificarsi Monn, aprendo e chiudendo i pugni, per poi guardare verso Frode in cerca di qualche sostegno.
«Comprendo che tu possa avere una bassa opinione di noi, forse addirittura più bassa della stima che io ho nutrito per te in passato» il licantropo alzò una sopracciglia scura, «Ma ti assicuro che non adoro improvvisarmi un Robin Hood, per dare la caccia a individui che hanno come passatempo lo sfilettare la gente» concluse, appoggiando i gomiti sulla superficie di metallo, intrecciando le mani per un comodo appoggio per il suo mento.
«Temo che in questa situazione il riferimento più appropriato sarebbe Legolas» ponderò Monn.
«Lo preferivo nei panni di Will Turner, mi spiace» si ritrovò a confessare il veggente, da tempo conscio della sua preferenza verso i capelli scuri. Con le dovute eccezioni, ovviamente.
«Era un libro» obiettò Monn, monòtono.
«Lo so, ma credi davvero che con i sogni che mi ritrovo a fare, il mio genere preferito possa essere il fantasy?».
«È il mio» si intromise Gash, coerente nella sua decisione di far finta che non esistessero, mentre leggeva il giornale.
«Esistevano altre forme di divertimento ai tuoi tempi?» lo schernì Frode, abbassando i fogli con una mano, allo scopo di ammirare l'espressione dell'altro.
«Ogni secondo che passa è un secondo in più in cui rimpiango l'aver pensato di trovarti sopportabile» non lo deluse l'immortale, assottigliando lo sguardo.
«Credo sia più appropriato pensare che ogni secondo che passa sia un secondo più vicino alla nostra violenta condanna a morte» lo corresse il terzo, cedendo alla sua fame e addentando uno dei suoi scones.
«Come sei catastrofico» lo criticò Gash.
«Se ti può consolare, hai raramente subito una morte violenta» gli confidò invece Frode, nonostante non fosse per niente sicuro che lo avrebbe consolato. Parlare della propria morte, anche se già avvenuta, non era nella classifica delle conversazioni più di successo per una ragione.
«Raramente non equivale a zero» corrugò le sopracciglia Monn.
«No» concordò.
«Il mio compito è proteggerti, immagino che avrei dovuto aspettarmelo» rivelò, rilassando le spalle. Accartocciò un tovagliolo, guardandosi attorno, per poi ritrarre il braccio, accorgendosi che non vi erano cestini in vista.
«Lui? Sul serio?» lo indicò col pollice l'immortale, in una risata strozzata.
«Così mi è stato detto, che avrei trovato il più grande veggente in questa città e che sarebbe stato mio compito proteggerlo e assicurarmi che compisse il suo destino».
«Trovo discutibile l'appellativo, ma immagino il resto abbia senso» commentò Gash, gentile e supportivo come al solito.
«Proteggere me salverà il mondo?» scelse d'ignorarlo Frode, lasciando vincere la sua curiosità. Non credeva di essere così importante. Non era nemmeno sicuro di volerla una tale responsabilità.
«Non credo che avrà delle ripercussioni in tal misura» il licantropo ponderò la sua risposta, nel probabile tentativo di recare la minima offesa possibile.
«Immagino di doverti ringraziare? E non offenderti, ma spero di non aver mai bisogno del tuo aiuto» gli confessò, dandogli dei colpetti alla spalla con il suo palmo.
«Credo ne avremo bisogno a breve» annunciò Gash, con un tono che non lasciava trapelare nessuna emozione, nonostante si potesse notare un certo nervosismo dalla postura irrigidita, gli occhi fissi verso l'entrata e il mordersi distrattamente le labbra.
Il locale, nonostante le pessime prestazioni di baristi e pasticceri, e la tuttavia eccellente pulizia - e Frode, da buon Rowe, si intendeva d'igiene -, era difficilmente definibile scarsamente affollato. I due piani riservati ai clienti contavano una ventina di tavolini, alcuni uniti fra loro, in un ambiente dallo stile minimalista, che favoriva colori come i classici bianco e nero, osando con un soppalco in legno, la cui ringhiera era tuttavia in metallo color bianco, dal quale si poteva tener d'occhio chiunque varcasse la soglia. Dal loro angolo in rilievo, avevano quindi potuto ammirare in tutta la loro annoiata grazia le tre figure che sfoggiavano lunghi, seppur leggeri, trench scuri, che richiamavano il colore dei loro capelli e dei loro occhi. Non fecero finta di essere lì per altro motivo, non soffermandosi al bancone e optando immediatamente per le scale, fissandoli per tutto il tragitto.
«Siamo in un luogo pubblico, non ci attaccheranno» sussurrò Monn, afferrando lo schienale della sua sedia per trascinarselo contro, nell'invano tentativo di toglierlo dalla traiettoria dei tre e rispettare il suo compito. Particolarmente ingrato, doveva ammettere.
«Se non sbaglio, l'ultima volta ti hanno rapito in un luogo affollato» gli fece notare l'immortale, scegliendo invece di non muoversi minimamente, forse rassegnato agli eventi.
«Dannazione» sbottò Frode, a denti stretti, ricordando quel particolare evento spiacevole, «Aspetta, e tu come lo sai?» realizzò, l'attimo dopo.
«Ho seguito tutti i tuoi passi dopo il nostro incontro» ammise Gash.
«Quindi avresti potuto salvarmi, prima che iniziassero a picchiarmi?» esclamò, a voce contenuta, scioccato.
«Avevo bisogno di sapere che cosa volessero» replicò, come se fosse stata una scelta ovvia.
«Rix fa bene a odiarti» fece in tempo a borbottare, in protesta, prima che i nuovi arrivati si posizionassero di fronte al loro tavolo. Il primo fece schioccare rumorosamente la lingua contro il palato, visibilmente scocciato, come se essere in quel posto fosse l'ultima cosa che avrebbe voluto fare in vita sua, prima di prendere parola e far segno agli altri due di prendere delle sedie, muovendo un due dita per mano, dai lati del suo corpo verso il loro obiettivo.
«Siamo pronti ad ammettere che tu ci abbia sorpreso non poco, veggente» iniziò, sedendosi sulla sedia offertagli come se volesse entrarci in contatto il meno possibile, «La sacerdotessa in persona si complimenta per la tua scelta di alleanze» lo complimentò, con un tono che mal celava tutto il suo reale disprezzo.
«Devo dedurre che mi avesse sottovalutato» osservò, risistemando i gomiti sul tavolino, come se si trovasse in una riunione di lavoro e non a un semplice bar, «Dovrei forse ritenermi offeso, per la sua poca considerazione sul mio conto?».
«La sacerdotessa non deve spiegazioni a nessuno, tanto meno a qualcuno di cui della magia è solo servo e non padrone» lo provocò, accennando un sorriso. Non era la prima volta che qualcuno si rivolgeva a lui, probabilmente facendo riferimento alle sue capacità, in tal modo. Non in quella vita forse, ma in altre era sicuro di averlo già sentito. Non era mai stato un complimento.
«Tengono dei corsi nel vostro covo per come esprimersi nel modo più offensivo e ovvio possibile?» intervenne la sua autoproclamata guardia del corpo. Dal cigolio della sedia, Frode immaginò che fosse indietreggiato spostando il peso sullo schienale, deciso com'era a non distogliere lo sguardo dai nuovi arrivati.
«Non lo so, quènes, tengono dei corsi sul come stare al proprio posto da dove vieni? Perché credo tu abbia saltato qualche lezione» il messaggero, probabilmente l'unico dei tre autorizzato a parlare, non si fece invece problemi a spostare lo sguardo dal suo interlocutore principale per ammonire Monn. Quènes: bestia, utilizzato solo nell'accezione più negativa possibile. Gli suggerì prontamente la voce di Lante, per giustificare il fatto che non fosse stata tecnicamente lei a iniziare una rissa, dalla quale avevano guadagnato solo lividi e ossa rotte.
Interruppe quel vortice di ricordi: non era il momento di distrarsi.
«Credevo foste venuti in pace» li ammonì.
«Oh, veggente, credimi se ti dico che non vi è nulla di pacifico in quello che siamo venuti a ottenere» mormorò, accennando un sorriso.
«Vi direi di vendicarvi pure, allora, ma immagino non vogliate correre il rischio di fare la fine del vostro amico».
«Bada a come parli, veggente, se sei vivo è solo perché in questo momento ci è utile così, ma potremmo cambiare idea» il mago di sangue cambiò lentamente espressione, attirando a sé il piattino con gli scones, trascinandolo con un dito.
«Fatelo allora, le ultime volte in fondo siete stati così bravi» lo guardò guastarsi il dolce, come se avesse avuto bisogno della conferma che fossero tutto, fuorché normali esseri umani, «Nel venire sterminati dal primo all'ultimo» lanciò la provocazione, sperando di provocare qualche onda in quello specchio calmo e composto che continuava a essere l'espressione dell'altro.
«Non bluffare, veggente» sibilò, premendo fra loro le labbra sottili, in un probabile tentativo di contenere ciò che avrebbe realmente voluto dirgli. O per evitare di aggredirlo in quel preciso momento.
Socchiuse gli occhi, espirando rumorosamente. Percepiva una strana energia pizzicarlo sottopelle, lo stesso che lo aveva guidato nel suo combattimento con Monn. Una sensazione di familiarità e di moto di agire, di giocare al massimo tutte le sue carte in tavola e lavorare al massimo delle sue capacità per salvare la sua vita, quella dei suoi cari e di chiunque dipendesse da quell'incontro. Ma non solo nei suoi ricordi, quante volte i suoi superiori si erano stupiti della sua innata e inaspettata capacità di risolvere delle situazioni complicate e sfavorite in partenza? Quante volte si era ritrovato a essere l'unico punto calmo in un cielo in tempesta? Forse il suo alter ego non gli era così dissimile, dopotutto.
Riaprì le palpebre e compose il volto nell'espressione più neutra del suo repertorio.
«Immagino che quindi mi ricordi male, di come il mostro privasse la vostra amata e potente sacerdotessa di tutto quello che aveva, rendendovi così vulnerabili dal dover cercare rifugio invano confondendovi tra noi inferiori» scandì bene ogni singola parola, conscio di avere in quel momento il controllo della conversazione.
I tre sussultarono impercettibilmente, ben addestrati a rivelare il minimo dal loro comportamento verbale e non, ma sentiva come il loro respiro si fosse fatto più veloce e tremulo.
«Viviamo una vita già vissuta, miei cari, credo sia il momento di ricordarvelo» continuò, lapidario.
«Allora saprai anche che conviene anche a te cambiare il corso delle cose, a meno che tu non voglia veder nuovamente tutti quelli che ami morire» rispose di getto il mago, sbattendo le mani abbronzate sul tavolino, «Anche se forse ci sei abituato» insinuò, piegando il capo di lato.
«E consegnarvi la profezia cambierebbe la nostra sorte?» domandò, con finta innocenza. Non era sicuro del perché volessero venire a conoscenza della profezia con così tanta insistenza, ma la sua esperienza gli aveva insegnato che più qualcuno cercasse di convincerlo che gli convenisse fare una determinata cosa, arrivando alle minacce fisiche, più fosse vero il contrario.
«Potrebbe cambiare la sorte che abbiamo deciso per i tuoi fratelli, ti svegli ancora mentre ti implorano di salvarli?» si avvicinò al suo volto, muovendo sinuosamente il volto verso l'alto, abbassando di conseguenza il petto.
«Può darsi, ma sono sicuro che se aveste potuto fargli qualcosa, lo avreste già fatto» mosse la mano destra verso il messaggero, per allontanarlo dal suo spazio personale.
«Sai di cosa siamo capaci, le scarse abilità di tua sorella non sono in grado di fermarci» indietreggiò con una smorfia, se dovuta al suo allontanamento o alla menzione di Camula era una domanda a cui Frode non aveva risposta.
«Però sapete anche che andare contro di lei apertamente provocherebbe non poche ripercussioni su di voi, prima fra tutte la vendetta del mostro» gli fece notare, sentendosi addosso gli occhi di Gash.
«Del mostro ce ne siamo già occupati, non è più una minaccia per noi» si intromise l'individuo alla destra del messaggero, il più altro dei tre e l'unico con un taglio corto.
«Dovrei quindi realmente credere che voi siate stati in grado di uccidere Lante? Perdonate la mia incredulità» rise, d'istinto. La mano di Monn gli si poggiò sulla spalla, stringendola in segno di avvertimento.
«La morte è una condanna troppo leggera per il mostro, pensavamo ne fossi a conoscenza» ghignò il suo interlocutore principale, dopo essersi girato a squadrare il suo alleato. Non era sicuro di poterli definire amici. Forse parenti: l'anatomia era simile.
Conie dast ter. La morte è una benedizione. Si ricordava bene quelle parole e allo stesso modo si ricordava cosa avrebbe smosso i tre.
«Il mondo sta per cambiare, la regina prenderà il suo posto. Il resto di noi sono solo inutili pedine, che ci eliminiate o meno non sarete in grado di cambiare il fatto che per voi, alla fine di tutto, la magia stessa non avrà alcun ruolo» capì di essere riuscito nel suo intento, quando delle venature di rosso si insinuarono nelle iridi del messaggero.
«Questo è l'ultimo avvertimento che siamo disposti a concederti, veggente» intimò, rinunciando al celare tutto il suo sprezzo nei loro confronti.
«Non abbiamo altro da dirci, allora» concluse il loro incontro, tenendo lo sguardo fisso sul gruppo, per tutto il suo percorso, fino all'uscita del locale. Solo quando si assicurò che li avessero davvero lasciati soli, si concesse un respiro di sollievo, lasciando che la sua postura rigida si abbandonasse sulla sedia, come un burattino al quale fossero stati tagliati i fili.
«Che cos'era quello?» chiese dopo qualche attimo il licantropo, seguendo una breve risata isterica tremolante.
«Lascia che ti introduca alla fine arte del sparare stronzate per tirarti fuori da spiacevoli situazioni» gli rispose, il corpo preso da spasmi dovuti a una ilarità liberatoria. Si premette un palmo contro la bocca per non lanciare un urlo.
«Quello non era sparare stronzate, quello era...» Monn mosse casualmente le mani davanti a sé, dondolandosi con la sedia. Non era l'unico a corto di parole.
«Sono la persona che tratta con i clienti più rognosi della compagnia per un motivo, ora datemi qualche secondo per riprendermi da quello che ho appena fatto e accasciarmi sul tavolo» spiegò, aggrappandosi alla tazza fredda del suo caffè abbandonato, nel tentativo d'incanalare tutta la sua ansia in quella maledetta bevanda. Non ebbe molto successo.
«Sono colpito, forse non sei così indegno della mia stima, dopotutto» riaprì finalmente bocca l'immortale, annuendo leggermente col capo, in segno di approvazione. Forse l'unico mai ricevuto, da quando lo aveva conosciuto.
«Sei stato fenomenale» fu invece più espansivo Monn, mal contenendo un sorriso. Frode non si sentiva però di condividere il loro entusiasmo.
Con Lante al suo fianco, i maghi di sangue erano sempre sembrati una minaccia minore, una sfida complessa, ma superabile. Per quel che sapeva però, Lante sarebbe potuta benissimo essere dall'altro capo del mondo o nelle mani dei loro stessi nemici. Provocarli in tal modo non era stata una buona idea, in particolar modo se la loro unica speranza consisteva nella remota possibilità che l'arciere della notte tornasse a salvarli.
«No, ho solo imboccato la strada che porterà alla nostra morte» annunciò, non volendo incrociare il loro sguardo, «Di nuovo» ammise, infine.
Ciambella198 parla a vanvera (che le sta tirando addosso gli scones):
Gionborno, ecco finalmente il tanto sofferto, per me e per i personaggi, sesto capitolo. Forse per i personaggi non tanto, ma recupereranno nei prossimi (muahahahhahaha).
Sadismo da autore a parte, ho deciso di spostare il rating a "mature" in quanto arriveranno scene di violenza, come morti e tortura, seppur non così accuratamente dettagliate, tuttavia ho riletto nuovamente il regolamento di Wattpad e voglio andare sul sicuro.
Vi ringrazio per le letture e le stelline lasciate fino ad ora.
Sto riflettendo sulla questione della lunghezza dei capitoli, ovvero il dividerli per renderli più corti. Al momento propenderei per un "no", in quanto i capitoli sono stati concepiti in questa lunghezza (non così fissa) e dividerli ulteriormente non sarebbe per me così semplice. Ci sto ancora pensando.
Chiudo dicendo che se avete qualsiasi riflessione o questione sapete come e dove contattarmi, sia qui su Wattpad (messaggi privati o commenti nella storia) che su instagram (link in bio). Chi mi conosce sa che i consigli e le correzioni sono sempre ben accette, anche le critiche ovviamente, purchè sensate.
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