A Frode non piace il karma

Affermare che Frode non avesse passato tutto il viaggio verso casa pensando allo sconosciuto sarebbe stata una menzogna a cui nessuno avrebbe creduto. Nessuno che lo conoscesse bene perlomeno. Nonostante ciò, Frode cercò di convincersi del contrario. Dopotutto il segreto di ogni buona finzione era l'auto convincimento. O almeno così sosteneva la sua matrigna.

Quando finalmente aprì la porta di casa, era quasi del tutto certo di aver archiviato l'accaduto. E con ciò, intendeva che non pensare all'elefante rosa fosse un gioco a cui aveva sempre odiato partecipare. Dannata psicologia inversa.

Con un sospiro dovuto solo in parte alla confusione di pensieri che gli occupavano la mente, ma principalmente alla reale confusione che regnava nel suo appartamento, buttò la borsa e la giacca sul divano e si recò verso l'angolo della cucina, per iniziare a dare una parvenza di ordine. Se esisteva una cosa comune ai tre fratelli Rowe, oltre alla passione segreta per le soap opera in stile Beautiful, era il dover mettere a posto. Rix e Frode avrebbero tranquillamente vissuto nel più totale caos, il primo per pigrizia e il secondo per totale noncuranza, ma Camula odiava con una passione estrema il disordine, almeno quello in vista. Se le avesse fatto trovare l'appartamento in quelle condizioni, avrebbe concluso la serata con un mal di testa ancora peggiore di quello che stava esercitandosi alla batteria sulle sue tempie.

Un semplice "Cinque minuti e sono lì, spero che tu abbia ordinato sushi :)" servì da semplice ma efficace motivazione per sistemare velocemente tutti i contenuti del lavandino nella lavapiatti, correre a prendere borsa, coperta e giacca per lanciarli sul letto, chiudersi la porta alle spalle e impilare tutti i libri sparsi per il soggiorno su quel miserabile pretesto di libreria che consisteva in uno scaffale appeso accanto al televisore. Si guardò attorno passandosi una mano fra i capelli. Il resto della stanza non era troppo in disordine, era passabile insomma.

Mentre considerava se avrebbe dovuto cambiarsi e indossare qualcosa di più comodo, la porta di casa si aprì, annunciando l'entrata di sua sorella. Forse Rix aveva ragione, la sicurezza di casa sua andava decisamente migliorata.

«Buonasera» lo salutò Camula, levandosi le scarpe e lasciandole accanto all'entrata. Si sfilò il cappotto, appendendolo all'inutilizzato appendiabiti con la borsa.

«Buonasera, quanti bambini hai fatto piangere oggi?» le chiese, nascondendo col piede una pantofola solitaria sotto al divano.

«Più di ieri, meno di domani» ridacchiò Cam, legandosi i ricci in una coda disordinata, «Nonostante Rix sia quasi riuscito a essere uno di loro» gli confessò, sbuffando. Sin da quando aveva iniziato ad abitare con loro, Frode e Rix erano quelli che generalmente partecipavano alle risse, cercando di lasciare più lividi di quanti ne ricevevano. Camula invece detestava la violenza fisica, però era quella che faceva correre i suoi avversari dalle mamme a piangere.

«Ha tempestato anche te di stupidi messaggi sul fatto che stiamo creando un club esclusivo senza di lui?» esclamò, allargando le braccia.

«Dobbiamo trovargli un hobby, è imbarazzante che alla sua età passi solo il tempo con i suoi fratelli» commentò sua sorella, dirigendosi verso la cucina. Notando come fosse vuota, si girò a guardarlo alzando un sopracciglio.

«Già, lui è imbarazzante...» tentò, sorvolando sul fatto che fossero due buoi che davano del cornuto all'asino, «Comunque, il cibo è in arrivo» si giustificò, mostrandole il cellulare. Fortunatamente aveva azzeccato l'ordine.

«Credo che allora attenderò sul divano» gli restituì il cellulare, come una maestra che consegna al bambino un compito fatto bene. Si sedette poi sul divano, cercando il telecomando fra i cuscini. Prima che la potesse fermare, ricevette la notifica dall'applicazione e scese a prendere il cibo.

Si maledisse di non aver sistemato meglio il soggiorno quando venne accolto nel suo appartamento da un paio di slip rosa e una sorella decisamente contrariata. Dannazione Rix.

Messo da parte l'incidente, anche se sapeva sarebbe stata una pace momentanea, misero "The Windsors" e si avventarono sul cibo come se non avessero mangiato da più di una settimana. Quando Camula iniziò a lanciare palline di alluminio verso lo schermo ogni volta che un personaggio prendeva una decisione stupida, Frode concluse che era il momento di comportarsi da buon... Decente padrone di casa e disfarsi dei contenitori. Tornando a sedersi, passò da dietro al bancone da bar, unico mobile che aveva effettivamente scelto lui oltre al divano, e prese due birre. Personalmente preferiva quella al boccale dell'Overseas' Raptor, ma sua sorella adorava quella marca, quindi ne aveva sempre una scorta in caso di visite improvvise, come quella sera.

«Grazie» disse Cam, accettando una bottiglia, «Normalmente rifiuterei, ma oggi è stata...» emise un suono di totale disgusto e disapprovazione, «Dovrei decisamente prendermi una vacanza» espirò, drammaticamente.

«Per lavorare il doppio di prima, solo in una spiaggia tropicale al posto di un ufficio?» la prese in giro, sapendo perfettamente quanto tempo riuscisse a stare senza lavorare. Doveva decisamente trovarsi un hobby. Se lo sarebbe trovato anche lui, ma fra il dormire poco e l'essere un disastro ambulante, non ne aveva davvero le energie.

«Sei peggio di papà» commentò Camula, tirandogli un cuscino, che per le cronache future evitò agilmente e senza versare un goccio di birra. Le altre versioni erano pure e semplici calunnie.

«Sei arrabbiata con la verità, non con me e lo sai» osservò, asciugando il liquido che si era rovesciato sul pavimento. Quando ebbe finito di tamponare, con quello che sperava con tutte le sue forze fosse un fazzoletto, sentì una mano appoggiarsi sulla sua guancia. Incrociò gli occhi ambrati di sua sorella mentre gli strofinava il pollice sotto l'occhio. Poi ritrasse la mano, guardando la macchia chiara che le si era formata sul polpastrello.

«Ancora incubi?» gli chiese, preoccupata, pulendosi dal fondotinta.

«Al solito» sospirò Frode, bevendo un sorso. Era toccante come i suoi familiari si preoccupassero, ma davvero non adorava parlarne. Una delle cose positive di Rix era come testasse sempre il territorio, capendo quando e se fosse il caso d'intavolare una discussione. Camula non gli riservava lo stesso trattamento. Andava direttamente al problema, senza troppi giri di parole.

«So che non li adoravi, ma...» tentò, ma la interruppe subito.

«Non prenderò i sonniferi, Cam. Per prima cosa, non hanno un buon effetto su di me. E poi danno assuefazione e smettono di fare effetto dopo un po' di tempo» le ricordò, elencando le motivazioni che entrambi conoscevano ormai a memoria. Scuse, se doveva essere sincero. E lo sapevano entrambi.

La verità era che nei mesi in cui gli avevano prescritto i sonniferi, aveva passato un periodo, forse il periodo più lungo della sua intera vita, senza alcun tipo di incubo. Dormiva almeno sette ore tutte le notti. Si svegliava riposato. Era produttivo, in salute e per la prima volta anche il suo fisico lo dimostrava senza dover ricorrere a trucchi.

Ma come faceva a spiegare a sua sorella che se da un lato la sua vita sembrava essere diventata più facile da sopportare, dall'altro si sentiva come se avesse perso un qualsiasi tipo di meta o radice? Più migliorava nella sua vita vera, più si sentiva perso e solo. Per quanto i suoi incubi fossero dolorosi, li sentiva parte della sua vita. Per quanto quelle persone e quelle storie fossero solo frutto della sua mente, le sentiva vicine, come se fossero sue. Si sentiva come se li avesse fisicamente persi, questa volta per sempre. Come il se stesso dei suoi sogni. E non riusciva a sopportarlo.

Avrebbe preferito svegliarsi ogni notte urlando, piangendo la morte di sconosciuti che però era certo che avrebbe rincontrato nelle notti successive, che perderli per sempre.

Forse stava davvero impazzendo.

«Va bene, ma pensaci» lo pregò, accarezzandogli il capo. Le sorrise, per poi chiudere gli occhi e abbandonarsi alla sensazione. Rilassò i muscoli che non si era reso conto di aver irrigidito e si appoggiò allo schienale del divano.

Senza rendersi realmente conto di aver ceduto alla stanchezza, si svegliò sdraiato sul divano, coperto dal plaid che aveva precedentemente lanciato sul suo letto. Di Camula nessuna traccia, anche se la sua giacca era ancora appesa. Probabilmente si era appropriata del suo letto.

Cercò a tentoni il suo cellulare, notando che era da poco passata la mezzanotte. Stava decisamente invecchiando. Passandosi una mano sul volto, si girò dall'altro lato e riprese a dormire, non avendo di meglio da fare.

La scena che si presentò quella notte era, fortunatamente, una delle meno tragiche del suo repertorio. Si trovava in una taverna, o almeno, così l'avrebbe chiamata, una di quelle che una persona con un minimo di buon senso avrebbe evitato. Era sera, o tardo pomeriggio, e la maggior parte della clientela seduta ai tavoli era avvolta da dei mantelli scuri, se per il freddo o per celare la propria identità, era una scommessa che non si sentiva di fare. La poca luce presente nel locale arrivava da delle candele strategicamente posizionate ai muri della stanza e sui tavoli.

Cosa ci facesse lui in un posto del genere, era una domanda che si stava ponendo anche il suo alter ego. Improvvisamente un boccale pieno comparì davanti al suo volto, venendo sbattuto sul ripiano in legno. Dalla parte opposta del suo tavolo si sedette Lante, sgranchendosi un braccio.

Era più giovane dell'ultima volta che l'aveva vista, ovvero morta fra le sue braccia, ma aveva un tatuaggio scuro che le partiva da dietro l'orecchio e una piccola cicatrice sotto l'occhio. Le mani erano piene di anelli dalle varie forme e gli occhi erano più stanchi, anche se comunque accesi da una strana luce, quasi speranzosa. I capelli scuri erano sempre legati in una treccia e aveva uno strano pendaglio al collo, che non si preoccupava di nascondere, come in altre sue versioni.

«Da non credere quanta gente scontrosa c'è a questo mondo» ridacchiò, mentre faceva collidere i loro bicchieri in un brindisi.

«Curioso come il comune denominatore di tutte le situazioni "scontrose" in cui tu ti sia trovata sia... Te» affermò il Frode del sogno, avvicinandosi la bevanda alle labbra. Era qualcosa di caldo e dolciastro, non il suo gusto preferito, ma la sensazione dell'alcol che scendeva in gola sembrava essere proprio quello di cui aveva bisogno.

«Vero. Ma se non fossi così... Scontrosa, in questo momento saresti in qualche vicolo dimenticato con la testa spaccata» gli ricordò Lante, appoggiando i gomiti sul tavolo.

«E per questo, ti ringrazio» le disse, piegando la testa di lato. La ragazza si limitò a fissarlo.

«Allora?» gli chiese dopo una pausa, appoggiando il mento sul palmo della mano.

«Allora cosa?» finse di non capire.

«Allora cosa ci facevi nel mezzo di un assalto da parte di dei briganti a un povero villaggio di un regno non tuo?» sbuffò, con finta esasperazione.

«Potrebbero... Esserci stati dei problemi a casa» confessò, misurando bene le parole.

«Che tipo di problemi?».

«Il tipo per il quale mia sorella è scappata dopo aver confessato di essere una strega, ma questo già lo sai, immagino» fece una pausa, contorcendo la bocca in una smorfia mal contenta, «Grazie per avermi avvisato» commentò ironico, sapendo bene che se si fosse anche solo avvicinata ai loro confini sarebbe stata uccisa all'istante, non che questo l'avesse mai fermata, «E... Ci potrebbe essere stato un colpo di stato in seguito al quale sono dovuto scappare» concluse, con un po' di amarezza. Non erano state settimane facili.

«Così ho sentito, ma... Non credevo che fosse realmente possibile espugnare... Intendo, le vostre mura sono resistenti» osservò Lante, alzando le spalle.

«I grandi imperi non cadono a causa delle forze esterne, ma quando le loro stesse radici cedono» ripeté quello che il suo maestro spesso gli ripeteva da ragazzino. Credeva fosse una di quelle frasi che gli diceva tanto per riempire i silenzi durante le loro passeggiate. E invece.

«Non vorrei infierire più del dovuto, ma...».

«Me lo avevi detto? Sì, lo so. Me lo avevano detto anche i miei sogni di non... Fidarmi, ma sai com'era mio padre, si fidava troppo dei suoi consiglieri per accorgersi di come in realtà tramassero per rovesciarlo» le raccontò, ricordando quanto si fosse sentito impotente nell'essere un forzato spettatore di eventi che non sapeva come poter fermare.

«E ora sei qua».

«E ora mi trovo in questo posto, sì» confermò, valutando quanto quella bevanda fosse realmente consolatoria, o se la sensazione dipendesse dal vedere una faccia familiare e amica dopo troppo tempo.

Lante gli sorrise, e stava per dire qualcosa, ma una strana scossa sconvolse la scena, facendogliela perdere. Le scosse continuarono, costringendolo ad aprire gli occhi. Con un mugolo di protesta si rivolse alla causa del suo non voluto risveglio.

«Lo sai che ore sono?» smise di scuoterlo Camula, indicando un orologio mancante sul suo polso. Frode cercò di metterla meglio a fuoco, sbattendo un paio di volte le palpebre. Probabilmente la sua espressione non era la risposta che sua sorella voleva, perché alzò le braccia al cielo, borbottando fra sé dell'incompetenza del genere umano.

Con un grugnito Frode si buttò nuovamente su divano, non volendo minimamente affrontare la giornata.

And there we were

Lookin' for a chance

Running from wolves

And responsabilities

Where are we now

Full of glory and fame

Slaying dragons and running still

But not free

And I

I still miss where were we

I still miss that fragility

But back we can't turn

So promise me

That you'll be there

Holding me, when I'll fall

Apart, like our reality

«Va bene, va bene mi alzo! Spegni quella roba!» urlò Frode, affrettandosi a drizzarsi, allargando le braccia per far vedere a sua sorella che era ormai in piedi.

«Il tuo disprezzo per le loro canzoni è qualcosa che non ho mai capito» commentò Camula, mentre sistemava dei vestiti nella sua borsa appoggiata sul tavolo della cucina.

«La tua passione per le loro canzoni è qualcosa che non ho mai capito» le fece il verso, riversando tutta la sua disapprovazione per quel brusco risveglio.

«Mi portano lontano, Frode» gli rispose, sorridendo al suo stato. Probabilmente non doveva essere al massimo. Da levare il probabilmente. Indossava gli stessi vestiti della sera prima, ormai tutti stropicciati, e non gli serviva uno specchio per sapere lo stato dei suoi capelli. Li teneva abbastanza corti, ma avevano una capacità tutta loro di trasformarsi in un nido abbandonato non appena entravano in contatto con un cuscino.

«Vuoi fare colazione?» le chiese, cambiando argomento.

«No, la faccio fuori. Muoviti, ci vediamo in ufficio» lo salutò con un bacio sulla guancia, lasciandogli il segno di quell'odioso lucidalabbra alla fragola, andando verso l'entrata per indossare il cappotto prima di uscire.

«A dopo, allora» sbadigliò, più che parlare. Guardò l'orologio attaccato alla parete e si rese conto che effettivamente era abbastanza tardi. Corse in bagno a farsi una doccia, passando poi dalla camera per vestirsi. Prese la borsa e il cellulare, notando solo in quel momento che fosse scarico. Probabilmente per quello non era suonata la sveglia. Lo intascò di fretta e poi si fiondò fuori dalla porta. Lo avrebbe ricaricato in ufficio.

Mentre cercava mentalmente di ricordarsi quale caffè fosse più vicino all'ufficio, un uomo lo fermò per strada.

«Amico, scusa» iniziò, «non è che potresti indicarmi la fermata della metro più vicina?» gli chiese. Frode guardò davanti a sé, dove appunto si trovava una fermata, e si trattenne dal chiedere allo sconosciuto se avesse per caso bisogno di una visita oculistica.

Con un sospiro, alzò il braccio per indicargliela, quando sentì qualcosa di pesante colpirlo alla testa, facendogli perdere i sensi.

Nelle ore successive, alternò stati di totale incoscienza con brevi periodi di quasi coscienza, in cui si sentiva come quando, nell'estate dei suoi vent'anni, si era ritrovato in crociera con un mare particolarmente mosso. Non era riuscito ad alzarsi dalla brandina se non per ficcare la testa in un secchio. Uno dei peggiori viaggi della sua vita, senza dubbio.

Con la stessa sensazione di nausea e disorientamento, Frode aprì gli occhi, riuscendo a mettere a fuoco i suoi dintorni solo dopo qualche tentativo. Era in un'ampia stanza, non molto illuminata, probabilmente un magazzino. Dalle finestre capì che doveva essere tardo pomeriggio, o forse sera. Cercò di alzarsi, ma qualcosa lo trattenne.

Il fatto che si rendesse conto di avere le mani legate dietro alla schiena a una sedia solo in quel momento, non era probabilmente un buon segnale.

«Il nostro caro veggente si è finalmente svegliato» esclamò qualcuno. Frode alzò la testa di scatto, provocandosi un altro giramento di testa. Inquadrò due figure solo quando si erano ormai posizionate davanti a lui. Uno di loro, quello alla sua destra, era il rimbambito che gli aveva chiesto indicazioni per la fermata della metro. Anche se, essendo probabilmente il fautore di quel bizzarro rapimento, tanto rimbambito non era.

Abbassò il capo, strizzando gli occhi. Non si trovava in una bella situazione.

Una mano gli afferrò il viso, alzandolo e portandolo a faccia a faccia con il tizio a sinistra. Sostenere lo sguardo non era facile nelle sue condizioni, ma gli occhi scuri di quello gli ricordavano qualcosa. Un ricordo molto lontano che però non riusciva ad afferrare.

«Ora farai il bravo e risponderai alle nostre domande, non è vero?» gli chiese, con un tono fintamente zuccherato. Il sorriso che lo accompagnava sembrava appartenere a un assassino di un film dell'orrore, provocandogli un brivido freddo lungo la schiena.

«E se» iniziò, con una voce come se fosse sopravvissuto a una escursione di giorni nel deserto senza acqua, «Se non lo facessi?» tentò, sapendo bene che non si sarebbero semplicemente scusati lasciandolo andare. Magari dandogli anche un passaggio a casa. Dannazione, quei tipi sapevano dove abitava.

Il tipo alla sua destra rise. Frode si sarebbe girato per lanciargli un'occhiataccia, ovviamente peggiorando la situazione, ma fortunatamente chi lo teneva aveva una presa salda.

«Adoro quando pensano di avere una scelta» confessò, stringendo la presa in una morsa dolorosa.

«In tal caso, ci divertiremo un pochino» continuò l'altro, rispondendo alla sua domanda. Dopo un'ultima stretta, il suo viso venne mollato. «Quello che voglio sapere è una sola e semplice cosa» il tizio alla sua destra fece una pausa per assicurarsi che lo stesse seguendo, ci stava provando, nonostante il mondo non sembrasse collaborare continuando a girare e ronzare, «O meglio, due. Ma una è meno importante».

«Non credo lo sia» intervenne il figuro alla sua sinistra.

«Non mi interessa, non sono io quello destinato a morire per sua mano» replicò l'altro, per poi continuare con le sue richieste, «Quindi, oh mio caro veggente, narrami della profezia e di come fermare tutto questo» concluse, incrociando le braccia. Non sembrava particolarmente minaccioso, magro e abbastanza basso, innocuo, ma i suoi occhi di ghiaccio lasciavano trasparire un altro tipo di messaggio.

«Veggente?» obiettò, molto intelligentemente Frode. Ovviamente anche se mezza frastornata la sua mente gli suggeriva le cose più inappropriate su cui concentrarsi.

«Smettila» lo rimproverò quello a sinistra, «Sappiamo chi sei e ti assicuro che ti conviene collaborare, a meno che tu non voglia avere un assaggio di quello per cui siamo famosi» gli intimò, guardandolo dall'alto. Ecco, quello sembrava minaccioso. Taglio militare, cicatrice sulla guancia, alto e muscoloso.

Non ne sarebbe uscito vivo da lì.

«Non so di cosa stiate parlando, avete preso la persona sbagliata» prese dei respiri profondi, cercando di non distogliere lo sguardo. L'altro sorrise.

A essere sincero, lo schiaffo se lo aspettava da quello a sinistra. Non da quello alla sua destra, che per la sua statura aveva molta forza. O forse era solo il suo stato che lo rendeva ancora più debole.

«Sbattere i tuoi begli occhioni verdi non funziona con noi. Parla, o ci saranno conseguenze» lo minacciò, «E tu non sei in fondo così indispensabile» aggiunse, tirando fuori un coltellino dalla tasca.

«Conie dast ter» si ritrovò a dire, prima di poter pensare a cosa stesse dicendo. E quello da dove gli era uscito fuori?

«Se la metti così» sbuffò lo sfregiato.

Non fosse stato per le mani legate al resto della sedia, probabilmente sarebbe caduto per terra. Essersi aspettato che il pugno lo colpisse non era bastato a diminuire minimamente il suo effetto. Cavoli, persino cercare di recuperare il respiro gli stava dando problemi. Doveva andarsene da quel posto. Non sapeva come, ma se non lo avesse fatto e in fretta non sarebbe affatto finita bene.

Sentì una presa sui suoi capelli che lo tirò violentemente in una posizione eretta. Dopo qualche attimo di nausea e disorientamento riuscì a mettere a fuoco il tipo che lo aveva colpito, il quale sorrideva di gusto. Si avvicinò al suo orecchio.

«Ora il nostro caro veggente ha recuperato la memoria? Perché ho altri trucchetti piuttosto efficaci in serbo» gli sussurrò.

Avrebbe tanto voluto rispondergli dove avrebbe potuto metterseli quei trucchetti, ma prima che potesse anche solo recuperare abbastanza forze e convincere la sua bocca a collaborare, una terza voce intervenne.

«Buongiorno Frode» lo salutò una figura nella penombra, «Signori» continuò, riferendosi ai suoi due rapitori. Un altro passo e la fioca luce lo illuminò. Dannazione, era lo sconosciuto del giorno prima.

«Capisco il karma, ma tutto ciò mi sembra eccessivo per averti ignorato in metro» si ritrovò a dire Frode, prima di riflettere sulle sue parole. Si doveva aspettare che la sua testa sarebbe stata lanciata verso il basso dal tipo che lo stava trattenendo. Insultare il capo non era mai una idea geniale.

«E tu chi sei? Che vuoi?» chiese subito dopo tale individuo. Forse non erano dalla stessa parte, o quei due erano talmente in basso nella catena alimentare da non sapere nemmeno che faccia avesse il loro capo.

Per tutta risposta lo sconosciuto sospirò. O forse sbuffò. Le capacità percettive di Frode non erano esattamente al loro massimo in quel momento.

«Sinceramente, vorrei che qualcuno mi ascoltasse, una volta tanto. Ma visto che ciò non è possibile» commentò lo sconosciuto della metro, forse avrebbe dovuto trovargli un nome, sempre che ne avesse avuto il tempo prima di fare una brutta fine ovviamente.

«Non abbiamo tempo da perdere, smamma e forse non ci saranno gravi conseguenze per la tua salute» gli intimò l'altro rapitore. Doveva decisamente dargli almeno dei soprannomi.

«Io invece credo che sia meglio che mi consegnate il veggente e forse per voi non ci saranno conseguenze» replicò lo sconosciuto, con tono fin troppo calmo per una persona in quella situazione. Non vedeva come lo avevano ridotto?

«Forse hai bisogno di degli occhiali, amico. Noi siamo in due, non che serva più di uno solo di noi per te, e siamo degli esperti torturatori e assassini».

«E voi chiamate questo» lo sconosciuto li indicò, «Torturare?» li schernì, con tono scettico, «Persino gli elfi saprebbero fare di meglio, io saprei fare di meglio» affermò, incrociando le braccia al petto. Cosa era, una sfida?

«Se è lo stesso per voi, io rimarrei nelle mani di quelli che non sanno torturare» cercò di dire Frode, in quello che era praticamente un sussurro a voce spezzata. Dannazione, due colpi ed era già a terra. Aveva bisogno di un ospedale, e in fretta.

«Tu non sai chi siamo noi» lo ignorò uno dei suoi due rapitori. Il picchiatore si era allontanato da lui, per avvicinarsi allo sconosciuto. Forse avrebbe potuto sfruttare quella distrazione, ma non appena provò anche solo a muoversi, sentì il mondo girare così forte che finì per terra. Sedia compresa. Almeno il pavimento era freddo, piccola consolazione per la sua dolente spalla, vittima dell'urto col suolo.

Quali erano le linee guida in quei casi? Rimanere cosciente? Non se lo ricordava. Faceva tutto troppo male. Qualcuno stava urlando. Forse era lui. Aprì a fatica gli occhi, ma ora la stanza era avvolta da una luce accecante, costringendolo a richiuderli all'istante.

Il pavimento stava vibrando, o forse era la concussione che stava facendo effetto. Stava cedendo e perdendo coscienza? Forse sì. Era un male o un bene? Non se lo ricordava. Non ne aveva le forze.

«Che cavolo Frode, per così poco? Sul serio?» sentì una voce, seguita da dei colpi sul viso. Non voleva svegliarsi. Stava bene lì. Ovunque lì fosse.

Poi un dolore intenso alla spalla lo riportò velocemente alla realtà. Gridò, sedendosi, per poi tornare subito in posizione sdraiata a causa di una forte fitta agli addominali. Gli mancava il fiato. Dove diavolo era? No, prima. Cosa diavolo era successo?

Si guardò attorno. Era nella stessa stanza buia di prima. Ma i due rapitori erano spariti. Ora che ci pensava bene, non era più legato. Anche la sedia era sparita. Erano solo lui e lo sconosciuto della metro, che lo stava guardando fra il preoccupato e lo scocciato.

«Non pensarci neanche» gli intimò, per poi appoggiargli la mano sullo stomaco. Lo stesso dolore della spalla si fece strada sulla sua pancia, facendolo piegare dal dolore d'istinto, prima di accorgersi che come tale dolore era arrivato, ora era sparito. Prese un respiro profondo, voltandosi verso lo sconosciuto.

«Chi... Chi diavolo sei?».

«Finalmente una domanda sensata» rispose lo sconosciuto, senza però di fatto avergli risposto. Ma forse in quel momento era il problema minore.

«Cosa mi hai fatto? No, aspetta, che cosa è successo? Dove sono i due...» mosse disordinatamente la mano, cercando un termine appropriato, non trovandolo.

«Ti ho salvato e alleviato momentaneamente gli effetti dei colpi peggiori» gli fece notare, indicandogli la spalla con un cenno del capo, «Farei qualcosa anche per la testa, ma temo di fare più danni che altro» continuò, come stesse portando avanti una normale conversazione, «Riguardo ai tuoi rapitori... Per ora non ti daranno più fastidio. Spero» aggiunse infine, non rassicurandolo neanche per sbaglio.

«Grazie...?».

«Davvero non hai la minima idea di chi io sia?» gli chiese, incredulo, «Intendo, con la nostra interazione di ieri lo avevo ipotizzato, però generalmente hai almeno un vago ricordo di me. Non so se dovrei essere offeso o meno».

«Perché dovrei ricordarmi di te?» non sapeva di che cosa lo sconosciuto stesse parlando. Se si fossero incontrati in precedenza, e con in precedenza intendeva prima del loro incontro in metro, non avrebbe avuto problemi ad ammetterlo.

«Sono Gashl'gwar».

«Chi?».

«Puoi chiamarmi Gash» continuò lo sconosc- Gash, ignorandolo. Non che qualcuno gli avesse dato un minimo di attenzione nelle ultime ore se non per picchiarlo, insultarlo o meravigliarsi delle lacune di memorie che non sapeva nemmeno di dover avere. Era stata una lunga giornata.

«Va bene Gash, e perché dovrei ricordarmi di te?» domandò Frode, stanco.

«Se non ti ricordi di me, ti ricorderai presto» gli assicurò, alzandosi in piedi e porgendogli una mano. Frode la accettò.

«In che senso?» chiese, sorreggendosi all'altro. Il suo senso di equilibrio non era ancora operativo, a quanto pareva.

«I tuoi sogni» spiegò Gash, di fatto non spiegando niente. Era un'abitudine che aveva intenzione di mollare? Perché altrimenti Frode sarebbe impazzito. E già era convinto di non essere del tutto sano di mente di suo, botta in testa a parte.

«E tu sai dei miei sogni perché?» sospirò, se rassegnato o esasperato, non lo sapeva. Una buona percentuale di entrambi.

«Perché è come tu normalmente ti ricordi» era sicuro che nemmeno Ciuchino che chiedeva se fossero arrivati nel secondo di Shrek fosse così irritante.

«Ti prego, sono pronto a supplicarti, dammi una risposta sensata» si sarebbe messo in ginocchio, magari versando anche qualche lacrima, ma al momento non era un'impresa facile neanche lo stare semplicemente in piedi.

«Non ne avrai bisogno, e quando ti ricorderai, verrò a cercarti».

«Nient'altro?» ironizzò Frode, fissandolo negli occhi, «Vieni qui, mi salvi e quando farò un sogno su di te, cosa che potrebbe accadere semplicemente perché ora ho il tuo volto in memoria e quindi il mio cervello può costruire delle immagini con esso, tu tornerai, sapendolo per magia, e? Cosa accadrà?».

«Mi aiuterai» affermò Gash, tranquillo.

«Io non credo» obiettò, mentre l'altro lo aiutava a dirigersi verso l'uscita di quel magazzino.

«Non avrai molte altre scelte» rispose Gash, quando l'aria fredda della sera lo colpì. Erano in una azienda, o una struttura del genere, probabilmente agricola a giudicare dai container ai lati del magazzino dove era stato portato e dal verde dell'area. Scorgeva anche degli specchi d'acqua e la zona era circondata da una siepe. No, non aveva la minima idea di dove fosse.

«Comunque non vedo perché dovrei aiutarti» si rivolse al suo soccorritore.

«Sei una creatura della magia Frode, io ti ho salvato oggi. So che onorerai il tuo debito» continuò a blaterare cose senza senso Gash, trascinandoselo fino al cancello della struttura.

«Sicuro di non essere scappato da qualche manicomio?» chiese, almeno per avere una conferma di qualche tipo che tutto ciò non avesse il minimo di senso.

«Abbastanza, ora vai. I tuoi amici dovrebbero essere arrivati» aprì il cancello Gash, mostrando la strada che si stava illuminando di fari delle auto.

Contrariamente al giorno prima, quando Frode si voltò a cercarlo nuovamente, Gash era sparito.










Ciambella198 parla a vanvera:

Buongiorno e buonsalve donzelle e messeri.
In questo capitolo potete salutare la nostra guest star, ovvero la prima della tante sfighe di Frode.
Vi ringrazio in anticipo per eventuali letture o stelline o commenti.
Ci tengo a ringraziare chi mi ha aiutato con la revisione e con la grafica delle immagini.
Qui sotto la copertina scartata
Che come al solito la mia esperta mi ha fatto escludere perché troppo trash.

Passate una buona giornata o serata o nottata, e se è tardi, come al solito vi consiglio di chiudere Wattpad ed andare a dormire.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top