CAPITOLO I


Taranto (Marina di Leporano), sabato 5 luglio 2023, ore 3.00

Mi rigirai nel letto e avvertii una strana sensazione: ero stordita come se qualcuno mi avesse colpita con una mazza da baseball. Immediatamente la testa prese a picchiarmi forte all'altezza delle tempie. Sentivo le palpebre pesanti come macigni e lo stomaco sotto sopra. Inspirai profondamente e da lontano udii il cicaleccio sommesso di grilli così, gemendo per il fastidio, presi i lati del cuscino per tapparmi le orecchie. La testa però continuava a pulsarmi dolorosamente e non avevo abbastanza forza nelle braccia per continuare a tenere il cuscino schiacciato sulla faccia. Mollai la presa e allargai le braccia sbattendo il dorso della mano sinistra contro qualcosa. Senza riuscire ancora ad aprire gli occhi iniziai a muovere la mano per capire col tatto cosa avessi colpito.

Un gemito mi fece saltare, facendomi spalancare gli occhi di colpo. Lentamente, continuai a muovere le dita della mano, col cuore che mi galappova nel petto.

Ma dove mi trovo? Questa non è la mia stanza! Merda! Questi sono capelli. No, no, no! Ti prego fa che sia solo un dannato incubo.

«Cazzo Ari, dormi!» disse con la voce roca.

Signore, so di non essere una brava cristiana, ho smesso di frequentare la Chiesa dopo la Cresima, ma ti supplico, fa che io adesso mi svegli e mi ritrovi nella mia stanza e soprattutto da sola.

Strizzai forte gli occhi e iniziai a respirare con forza finché il suo braccio non mi avvolse i fianchi per trascinarmi a sé.

No!

Riaprii gli occhi di nuovo quando mi ritrovai di testa nel suo petto e la sua gamba sul mio fianco.

Maledetto, fa sempre così, gli devo regalare un peluche come il mio Winnie, così la smette.

Restai qualche istante senza respirare, poi sollevai lentamente la testa per farmi del male ancora di più.

Voglio morire adesso, magari scomparire, magari potrei...

Vidi il suo mento, la bocca, il naso e quella cascata di riccioli scomposti che gli copriva gli occhi e che si mescolavano alle lunghe ciglia brune. Aveva il collo in bella mostra e il tatuaggio dietro l'orecchio ritornò a pungere la mia curiosità.

Un flash mi attraversò la testa pulsante: le mie dita e poi la lingua su quel pezzo di pelle. La sua mano riprese a sfiorare la mia pelle, scivolando lungo la schiena, delicata, ma decisa. Rabbrividii e cercai di fare finta di niente, poi intravidi la farfallina del suo orecchino a forma di delfino e sorrisi compiaciuta perché da quando glielo avevo regalato, non lo aveva più tolto. Abbassai di nuovo il mento e schiacciai la guancia sul suo petto. Il battito era regolare e lento a differenza del mio che diventava via via dolorosamente veloce. Mi strinsi al suo torace.

Mi veniva da piangere per la vergogna, ma quella volta non sarei potuta scappare dal mio migliore amico per farmi consolare o consigliare.

Ok, non è mica la fine del mondo. Cioè quante volte avete dormito nello stesso letto? Mica ti devi ammazzare per una cosa del genere. Devi solo capire dove vi trovate, quindi mantieni la calma e raccogli indizi.

Ma mentre cercavo di cacciare le lacrime e riflettere, nonostante il mal di testa, mi strinse più forte e il mio bacino si schiacciò al suo facendomi saltare. In quel momento compresi che era davvero la fine del mondo. Potei sentire attraverso la pelle ogni centimetro della sua e anche tanto altro e lì il panico mi chiuse la gola. Sfilai una mano e sollevai il lenzuolo che ci ricopriva entrambi. Ma compresi che era una constatazione inutile come il cercare di dare a tutta quella storia un significato differente da quello spudoratamente palese.

Restai qualche istante con la testa completamente priva di pensieri, come se fosse entrata in pausa. Era terrore, fottuto terrore. Iniziò a strofinarsi contro di me.

Dio, rendimi un pezzo di marmo insensibile, ti supplico. No, non fare così, ti prego, non ce la faccio.

Ma che accidenti abbiamo fatto?

Inutile porsi altre domande, ero fottuta in tutti i sensi. In un attimo mi fece scivolare sotto di lui e ricominciò la nostra danza, mentre la mia ragione si annichiliva, spegnendosi completamente.

Marzo 2010

«Tesoro, forza, andiamo, zia Aida ci sta aspettando.» mi richiamò mio padre, mentre trafelato spingeva il mio trolley verso la porta.

«Papi, quando torni mi porti un bel regalo!» dissi trascinandomi il mio peluche con una mano e stringendo l'album da disegno nell'altra.

Sorrise e si piegò sulle ginocchia per essere alla mia altezza. «E cosa vorrebbe la mia principessa?» chiese sfilandomi una treccia dalla spallina del mio zainetto.

«Un album e dei colori!» risposi.

«Uhm e non è hai già abbastanza?» replicò indicando quelli che avevo sotto il braccio.

«Ma dove andrai ce ne sono di sicuro più belli!»

«Ok, tu però promettimi che farai la brava e non farai disperare la zia come l'ultima volta, intesi?»

Sogghignai divertita e vedendo la porta di casa spalancata scappai sul pianerottolo.

«Aspetta Ari!» urlò mio padre dopo aver tirato fuori le ultime valigie mentre chiudeva la porta di casa.

In quel momento le porte dell'ascensore si aprirono alle mie spalle.

«Ari!» urlò ancora tirandomi indietro e stringendo saldamente la mia mano.

Mi voltai e i nostri sguardi s'incrociarono solo un istante quella volta. Lui uscì sul pianerottolo dietro la madre e mi passò accanto come se fossi invisibile.

«Ciao!» dissi ma lui non si voltò ed entrò in casa sua.

La donna invece mi guardò e si chinò per salutarmi. «Buongiorno piccolina, come ti chiami?» chiese regalandomi un sorriso luminoso.

Mio padre intervenne. «Piacere, sono il dottor Valenti e lei è mia figlia Arianna. Siete i nuovi vicini, vero?»

La donna si risollevò e allungò la mano per stringere quella di mio padre. «Piacere io sono Ludovica Lucchesi, questo è mio marito Edoardo e quello... beh è nostro figlio Enea. Lo perdoni, è un po' contrariato.» Si presentò e poi anche il marito strinse la mano di mio padre. Io restai per qualche istante ferma accanto a loro, poi, mentre loro parlavano, m'incamminai verso quella porta aperta, curiosa. Una volta dentro la casa che ancora puzzava di pittura fresca, iniziai a guardarmi intorno. Tutto il salone open space simile al nostro era pieno di scatoloni e io dovetti zigzagare stringendo il mio Winnie al fianco per farmi strada. Attraversai il lungo corridoio sbirciando in tutte le stanze.

«Ehi, dove ti sei nascosto?» dissi con tono alto.

Poi finalmente aprii l'unica porta chiusa e lo trovai. Era nel bagno, seduto nella vasca, con le gambe tirate fino a petto, e piangeva.

«Ciao!» dissi in un soffio questa volta.

Lui si voltò di scatto asciugandosi in fretta le lacrime e mi rivolse uno sguardo ferino. «Che vuoi?» ringhiò.

Sobbalzai, poi mi schiarii la voce e avanzai facendomi coraggio. «Sono Arianna!» dissi tendendo la mia mano verso di lui.

Mi scrutò per qualche istante poi i suoi occhi rimbalzarono da me a Winnie.

Sorrisi. «Oh, lui e Winnie! Sei il mio nuovo vicino di casa? Sei felice? Io tantissimo.» avanzai ancora fino a toccare con la pancia il bordo della vasca.

Lui allungò la sua mano e prese la mia. «Io sono Enea.» ma dopo aver detto così mi trascinò più vicina e mi abbracciò scoppiando a piangere di nuovo. «Non ci voglio stare qua, voglio tornare a casa!» confessò con la voce rotta stringendosi a me e lasciandomi senza parole.

Mollai il mio peluche e l'album e lo strinsi a mia volta.

«Non andartene. È bello stare qui. In questo palazzo ci sono tante persone simpatiche, sai?» dissi staccandomi un po' da lui.

«Davvero?»

Lui si mise in ascolto e io mi sedetti sul coperchio del water.

«Se vai sul tetto puoi vedere il mare. Poi c'è la signora Lucia, del primo piano, che cucina sempre dei dolci buonissimi. Sai mi sta insegnando a prepararli per papà, così lui sorride. Poi vediamo, ah sì, c'è il signor Tonino, il portiere che se tu hai un problema, non so, ti si rompe qualcosa in casa, ma anche fuori, lui arriva e aggiusta proprio tutto. Pensa che qualche giorno fa, al mio papà non partiva più la macchina, lui è arrivato e ha fatto una delle sue magie. Mi piacerebbe saper riparare le cose come lui. Ah, aspetta, poi di fronte c'è la signora Marisa che ha un solo figlio. Luigi.» sospirai un attimo. «È il mio principe azzurro! Però lui è tanto più grande di me, ma certe volte, quando esco con papà e lo incontriamo lui mi sorride e mi dà un bacino sulla guancia e a me vengono i gorgosprizzi nella pancia.»

«Che cosa?» squittì.

Scoppiai a ridere. «Sì, mia zia Aida dice che se quando vedi qualcuno ti viene mal di pancia allora ti piace tanto.» spiegai.

«A me viene il mal di pancia solo quando mangio troppa cioccolata.»

Lo fissai. «Allora significa che ti piace tanto!»

Enea scoppiò a ridere. «No Ari, è indigestione, solo indigestione!» spiegò.

Chinai il capo da un lato osservandolo e mentre lui rideva io mi sentivo il cuore gonfiarsi di felicità.

«È bello il tuo sorriso è come quello della tua mamma!» dissi.

Lui si fece serio. «A me piace ascoltarti.» replicò.

«Allora resta qui, resta per me!»

Si fece di colpo triste e vidi i suoi occhi riempirsi nuovamente di lacrime. Poi udii la voce di mio padre e della madre di Enea ed ebbi un sussulto.

Lui si asciugò in fretta le lacrime e uscì dalla vasca. Tremava ancora, così gli afferrai il mignolo intrecciandolo al mio. «Io me ne devo andare, ti lascio Winnie però, serve più a te che a me ora, mi raccomando trattalo bene. Quando torno me lo restituisci, ok?»

Enea strinse il mio mignolo più forte e poi mi guardò. «Ma quando torni?» chiese preoccupato.

«Oggi che giorno è?»

Ci pensò un istante. «Giovedì.»

Contai sulle dita. «Giovedì, mercoledì»

«Venerdì!» si affrettò a correggermi.

«Sì! Poi c'è sabato, domenica. Lunedì torna papà!»

Enea continuò a fissarmi.

«Promettimi di non piangere più. Siamo amici ora! Mi raccomando al mio Winnie, sai lui non è abituato con gli estranei, ma ora che sa che siamo amici...»

Ludovica entrò nel bagno e chiamò anche mio padre. «Sono qui!» urlò sollevata.

Mio padre mi prese in braccio e io salutai il mio nuovo amico. «Ciao, ciao Enea!»

«Tesoro, il tuo peluche.» disse mio padre.

«No, no, lascialo a Enea. Ora è triste e ha bisogno di un amico e io non ci sono.» spiegai.

Ludovica guardò mio padre e io sorrisi guardando il mio amico.

«Mi dispiace per mia figlia, è così curiosa, troppo curiosa.» si giustificò.

Ludovica sorrise accarezzandomi la testa. «Non si preoccupi dottor Valenti. È una bambina molto sveglia e sono davvero felice che abbia fatto amicizia con mio figlio Enea. Gli sarà molto utile per superare l'impatto della nuova casa. Quindi, da questo momento, Arianna sarà la benvenuta da noi!»

Mio padre sorrise. «Grazie mille, ovviamente lo stesso sarà per Enea, solo che io sono spesso a lavoro ed è mia madre che viene a farle compagnia.»

«Capisco, quindi anche sua moglie lavora tutto il giorno?» chiese la signora Lucchesi.

Vidi il volto di mio padre rabbuiarsi come tutte le volte che qualcuno parlava di lei. «Sono vedovo. La mamma di Ari è morta quando lei aveva pochi mesi.»

Mi strinsi di più al suo collo. «Papi, ci sono io con te.» gli sussurrai nell'orecchio.

«Oh, sono mortificata, non immaginavo.» disse Ludovica.

«Si figuri. Ora però dobbiamo proprio andare, la zia di Arianna la sta aspettando e io ho un volo per Dubai tra due ore.»

Ludovica fece un sorriso di circostanza e poi ci fece strada.

Mentre mio padre mi portava via, intercettai lo sguardo di Enea e lo salutai con la mano e lui mi sorrise.

Salì in macchina con mia zia Aida e aprì subito il mio album da disegno cercando di ricordarmi il volto del mio nuovo amico. Ero felice perché non ero più sola.

Al ritorno del suo viaggio mio padre mi portò un enorme unicorno colorato e io decisi di lasciare il mio Winnie ancora qualche giorno a casa di Enea.


Giugno 2010

Presto arrivò l'estate ed ero felicissima perché in quei mesi, per via della scuola, io ed Enea non avevamo avuto la possibilità di stare molto insieme. Così, un pomeriggio, mentre la nonna mi preparava la merenda, io uscii sul balcone che dava sul cortile interno e lo vidi.

Enea se ne stava con il costume da bagno, gli occhialini e la cuffia, in piedi su una pila di bacinelle, mentre davanti a lui c'era una piscina gonfiabile per bambini. Restai qualche secondo a osservarlo incuriosita poi, la voce di sua madre mi spaventò e mi nascosi dietro la lavatrice.

«Tesoro, non ti vorrai mica tuffare sul serio? Non è la piscina, ricordalo!» disse Ludovica uscendo qualche secondo sul balcone.

«Sì mamma!» rispose.

«A proposito, ho preparato la crostata alla frutta, perché non chiedi ad Arianna se vuole venire da noi a fare merenda?» chiese e mi sembrò che guardasse di sottecchi verso di me.

Il cuore prese a battermi forte nel petto e restai in attesa, nascosta, ma in quel momento anche mia nonna uscì sul balcone chiamandomi e io entrai nel panico.

«Arianna! Ma dove ti sei nascosta?Ah, eccoti. Benedetta bambina! Mi hai fatto prendere un infarto. Vieni fuori da lì che la merenda è pronta.» disse.

A quel punto lasciai il mio nascondiglio e lanciai uno sguardo imbarazzato al balcone di Enea. Sia lui che Ludovica mi stavano osservando.

Mi sistemai il vestitino e gonfiai il petto. «Vado da Enea a fare merenda. La sua mamma ha preparato la crostata alla frutta e a me piace tanto.» affermai determinata.

Sul volto di mia nonna lessi il disappunto. «Ma non puoi andare a casa delle persone senza invito!» replicò mia nonna.

«Certo che mi hanno invitata. La signora Ludovica lo ha appena detto a Enea! É vero? Io l'ho sentito!» dissi spostando il mio sguardo nuovamente a loro due.

Enea scese dalle bacinelle e si tolse occhialini e cuffia, lasciando libera una cascata di ricci scuri. «Mi stavi spiando?» disse avvicinandosi alla ringhiera del suo balcone e rivolgendosi a me, con gli occhi a fessura.

A quella domanda il cuore mi saltò in gola, ma con aria di sfida, mi avvicinai anche io alla ringhiera. «Beh, che ho fatto di male? Posso fare quello che mi pare.» chiesi.

«Mi stavi spiando!» ripetè e sulle sue labbra si dipinse un ghigno divertito.

«Ti ho detto che posso fare quello che voglio!» lo sfidai.

«Sei una spiona!» continuò sogghignando e portando avanti quel gioco appena inventato.

Ludovica ci fermò. «Ok, ok, time out, voi due. Ari se la nonna è d'accordo puoi venire da noi, anzi, potete venire entrambe.»

Subito mi voltai verso la nonna e le feci uno sguardo supplice.

Mia nonna mi guardò contrariata. «Non mi piace proprio questo tuo piglio indisponente, ne parlerò con tuo padre. Sembra che nessuno ti abbia insegnato l'educazione. Se mi permettesse di starti più dietro vedrebbe sicuramente dei risultati migliori. Invece preferisce lasciarti con quella ragazzina di tua zia, solo per farti stare con quei selvaggi dei figli.» sbraitò.

Io chinai il capo e fu Enea questa volta a prendere la parola. «Allora può venire Ari?» chiese.

Mia nonna sospirò e accettò di buon grado.

Dopo aver mangiato la mia torta, mentre la nonna parlava di ricette con la signora Lucchesi, Enea mi prese per mano e mi portò nella sua stanza.

Appena entrata restai estasiata. Era tutta blu e azzurra e sulle pareti erano disegnati dei delfini. «Ti piacciono i delfini?» chiesi piena di stupore, mentre giravo su me stessa per cogliere ogni particolare.

«Sì, sono dei pesci molto intelligenti. Non amo tantissimo il mare ma amo l'acqua e i delfini.»

«Che bello!» Poi il mio sguardo si posò sul suo letto dove era sistemato il mio peluche. «Winnie!» esclamai correndo ad abbracciarlo.

«Ari, puoi riprenderlo se vuoi. Io non ne ho più bisogno.» disse.

«Davvero posso?» chiesi piena di felicità.

«È il tuo!»

«E non ti sentirai solo quando non ci sarà più?»

Scosse la testa. «Ora non più.» sorrise.

Feci una piroetta e caddi all'indietro sul suo letto, continuando a stringere il mio peluche. «Questo blu è rilassante!»

«Vero!» disse sistemandosi accanto a me.

«Papà mi ha portato a vedere i delfini sulla barca.»

«Bello! Sai, Ari, quando scelgono i propri amici questi lo sono per tutta la vita!» disse.

Saltai sul letto. «Allora siamo due delfini!» affermai felice.

Enea mi guardò. «Non lo so, a te va di essere la mia amica per sempre?» chiese.

Annuii energicamente, poi gli offrii il mio mignolo. «È un patto tra delfini!»

Sorrise e intrecciò il suo dito al mio.

Poi la curiosità tornò a pungermi. «Perché eri vestito così strano prima?»

Enea si alzò di scatto e corse a prendere un grande libro, simile a un'enciclopedia, io lo seguii con lo sguardo. Subito ritornò da me e mi mostrò la foto di un uomo che era vestito come lui poco prima. «Lui è Michael Phelps, il più grande nuotatore di tutti i tempi, secondo me. Ecco, io voglio diventare come lui, lo squalo di Baltimora.» dichiarò col petto gonfio di orgoglio.

«Ma è un uomo o è uno squalo?» chiesi perplessa.

«È un soprannome, Ari. Lui nuota velocissimo e un giorno io sarò più veloce di lui.»

«E come si fa?»

«Credendoci e impegnandosi tantissimo. Lo sai, mia madre mi racconta sempre che a un anno e mezzo, mentre eravamo in crociera, mio padre mi teneva nel canottino all'interno della piscina più grande che c'era sulla nave. Insomma, lui si distrasse un attimo e io mi lanciai dal canotto perché affascinato dal fondo blu. Per fartela breve, quando si voltò mi trovò che nuotavo come se lo avessi sempre fatto.»

Mi portai le mani alla bocca. «Potevi morire.»

«E invece sono qui. Non ho mai avuto paura dell'acqua.»


Agosto 2016

«Mi fa male la pancia!» dissi mentre ce ne stavamo sdraiati al sole.

Enea si sollevò appena. «Hai mangiato troppa cioccolata, te lo avevo detto di non esagerare.» proferì tornando a sdraiarsi.

Mi sedetti sul lettino e iniziai a guardarmi in giro.

«Devo andare in bagno, non la trattengo più. Mi accompagni?»

«Non ci tengo a sentire la tua puzza!»

«Sei uno scemo, se mi sento male mi avrai sulla coscienza.» dissi sollevandomi.

Mi sentivo strana, il caldo era diventato di colpo opprimente e barcollavo. Mi faceva male tutto come se avessi la febbre. Arrancai verso i bagni, mi sentivo svenire. Quando finalmente arrivai, Enea mi sorprese alle spalle.

«Boohoo!» fece per spaventarmi.

Saltai. «Ma sei scemo veramente!» esalai.

Enea mi fissò poi vidi i suoi occhi cadere sulle mie gambe. «Ma che hai? Ti sta scolando qualcosa lì. Ti stai facendo la pipì sotto?» si chinò per guardare meglio. «Che accidenti è?»

«Cosa? Che cos'è?» balbettai.

Enea sollevò di scatto la testa e nei suoi occhi vidi un terrore maggiore del mio. «Ari, dove ti sei fatta male?»

«Che? Non lo so.» mi piegai in avanti per vedere meglio. «Oh Madonna, è sangue!»

Guardai Enea che saltò in piedi. «Ok, calmati, anzi, calmiamoci tutti e due, ci deve essere una spiegazione. Tu dici di non esserti fatta male eppure perdi sangue, ma non riesco a capire da dove, fammi vedere meglio. Voltati!»

Feci come mi aveva detto e lui si piegò in avanti per analizzarmi meglio. «Non capisco.»

«Sei uno stupido! Non capisci niente. Possibile che non riesci a vedere dove sta la ferita? Mi sto dissanguando, maledizione!»

Enea si rimise dritto, ma sul suo volto lessi una certa apprensione. «Forse devo chiamare la mamma.» disse.

«A me continua a fare male la pancia però.»

«Allora, facciamo una cosa, vieni con me, ora ti ficchi sotto la doccia, ti lavi via tutto quel sangue e così magari ci capiamo qualcosa, perché io non riesco a vedere tagli.»

«Va bene.» dissi.

Mi prese per mano e mi portò davanti alle docce e aprì l'acqua. Il getto freddo mi fece rabbrividire.

«Ok, tu resta qua, lavati bene, nel frattempo chiamo mia madre, chiaro?» disse.

«Ma devo restare sotto l'acqua tutto il tempo?» chiesi.

«Sì, così sarai tutta pulita e vedremo dove ti sei fatta male. Torno subito. Non ti muovere.»

Annuii, ma il freddo mi faceva aumentare i dolori e iniziava a girarmi la testa.

Enea tornò correndo e dietro di lui, Ludovica, agitata, mi urlò di togliermi da sotto il getto dell'acqua.

In un attimo, mi sentii afferrare dalla madre di Enea e coprire con un grande telo da mare. «Piccola, come ti senti?» mi disse tenendomi tra le braccia.

«Non troppo bene.» dissi con un filo di voce.

Ludovica si voltò verso Enea. «Perché le hai detto di mettersi sotto l'acqua fredda?»

«Per fermare il sangue, me lo hai detto tu.» rispose confuso.

«Amore, non sempre l'acqua fredda è utile. Ora torna in spiaggia da papà e avvisalo che io sono in cabina con Ari.»

«Posso venire anche io?» chiese.

Ludovica scosse la testa. «No, tesoro, è meglio di no al momento.»

«Ma perché?»

«Vai da papà, ti dico.» insistè.

Guardai Ludovica e tremando per il freddo le dissi: «La prego, faccia restare Enea con me, ho paura.»

«Piccola, ma...» Vidi Ludovica piegarsi sulle ginocchia davanti a me. «Ari, non ti sei fatta male.»

Sgranai gli occhi. «Ma sto perdendo sangue.» dissi.

Enea intervenne. «Mamma, bisogna medicarla.»

Ludovica sorrise e poi prese la mano di Enea, continuando a stringere anche la mia.

«Tesoro, Ari è diventata una piccola donna, non è ferita. È tutto naturale.» spiegò.

Enea chinò la testa da un lato e poi guardò me che ero turbata. «Che significa? »

«Già, che vuol dire?» intervenni.

«Ok, andiamo in cabina che vi spiego, anche perché devo far cambiare Ari.»

«E poi possiamo tornare a mare?» chiesi.

«No tesoro, per qualche giorno non è possibile.» replicò Ludovica mentre ci portava verso la cabina.

Quando finalmente arrivammo davanti alla porta io e Ludovica entrammo per prime. «Enea, aspetta fuori solo un istante.» disse la madre.

Enea sospirò e si mise a braccia incrociate a fissare il mare.

Ludovica chiuse la porta e iniziò a trafficare nella sua borsa. «Che succede ora?» chiesi.

«Ora ti dò un assorbente e ne parliamo. Hai un costume di ricambio?» chiese.

«Sì, ne ho due.» risposi.

Ludovica prese una bustina sottile, quadrata e di color viola e poi cercò il costume pulito nel mio zaino. «Ecco fatto. Ok, ora togliti quello che hai, così ci cambiamo.» disse.

Mi sfilai lo slip e mi resi conto con disgusto, misto a orrore, che era completamente fradicio di sangue. Il primo istinto fu di urlare, ma questo mise in allarme Enea che spalancò la porta all'improvviso.

Ludovica si precipitò a coprirmi con un asciugamano e poi inveì contro il figlio. «Enea, esci immediatamente!» gli ordinò.

Lui ingoiò guardandomi terrorizzato. «Mamma, perché Ari ha urlato?»

«Tesoro, è solo spaventata, tutto qui, ora esci e aspetta che sia io a chiamarti.» disse.

Enea uscì malvolentieri.

Ludovica tornò a me. «Ok, piccola, dobbiamo farci un'altra doccia veloce, ma stavolta calda, possibilmente.»

Il sangue continuava a colare lungo le mie gambe e per terra, mentre io tremavo.

«Non devi aver paura. Sai, è una cosa bella, in fondo. Questo ti permetterà di avere dei bambini, lo sai? Dovrai avere solo pazienza.»

«Che significa?» chiesi con la voce spezzata mentre le lacrime iniziavano a rigarmi le guance.

«Significa che una volta al mese avrai questo problema

«Che? Ogni mese? E quanto dura?» squittii.

«Eh, dai cinque ai sette giorni in media.»

«Ma è orribile!» dissi.

«Lo so, che ci vuoi fare. Su vieni fuori da lì, così ti asciugo e ti mostro come mettere l'assorbente.»

«A che serve?» chiesi indicando la bustina viola.

«Serve a non farti sporcare i vestiti soprattutto. Dovrai cambiarlo almeno ogni ora, a seconda del flusso. Esistono anche quelli interni, ma io non li trovo comodi e comunque tu sei ancora piccina ed è meglio che usi questi. Appena torniamo a casa, te ne do un po' dai miei e domattina te li prendo al supermercato, d'accordo?» disse aiutandomi.

Quando avemmo finito, Ludovica fece entrare Enea che corse immediatamente ad abbracciarmi. «Come ti senti?» chiese.

Sospirai. «Insomma, non è che sia strafelice di dover sanguinare ogni mese per il resto della mia vita, e non potermi fare il bagno. Ma nel complesso, a parte il mal di pancia, sto bene.»

«Ma che è successo?» chiese staccandosi da me.

Ludovica si rivolse a lui e cercò di fornirgli le stesse risposte che aveva dato a me. Tuttavia Enea era agitato. «Quindi adesso sanguinerò anche io?» chiese.

«No, tesoro, tu subirai altri cambiamenti.»

Io scoppiai a ridere. «Magari inizi a crescere visto che al momento sembri uno gnomo con i piedi di un bigfoot.»

Enea mi rifilò uno sguardo truce. «Smettila, non è colpa mia. Il dottore ha detto che non ho ancora iniziato la fase di sviluppo. Mamma diglielo dici anche tu!» disse tornando a fissare Ludovica.

«Speriamo ti cresca anche il cervello!» continuai, sghignazzando.

«E a te speriamo crescano... crescano... non lo so che ti deve crescere ancora, comunque solo perché sei più alta di me e hai quello che hai, non significa che devi fare la prepotente con me. Io sono più grande in ogni caso!» abbaiò.

«Ok, ok, finitela e torniamo in spiaggia, avanti.» ci interruppe Ludovica facendoci uscire dalla cabina.

«Se ci mettiamo a confronto, io sono più alta e più intelligente di te, inoltre, a differenza tua, io lo sviluppo lo sto già dando, guarda Delfino, adesso porto anche il reggiseno come le ragazze, tu invece sei uno gnomo!» lo canzonai.

Lo vidi stringere i pugni e serrare la mandibola. «Smettila di chiamarmi così! Devo solo avere pazienza e ti giuro, Arianna Valenti, ti farò rimangiare ogni singola cattiveria che mi stai dicendo oggi!»

Mi avvicinai a lui e sollevai le sopracciglie con aria sprezzante. «Sei uno gnomo!» dissi.

Enea caricò verso di me come una furia e io mi misi a correre con quanta forza avevo nelle gambe, ma erano terribilmente pesanti e lui veloce come una scheggia.

*********************************************************************************************

Buon pomeriggio cupcake, forse alcuni di voi hanno letto la prima versione e io nel frattempo sono arrivata alla quinta bozza. Questa storia sarebbe dovuta essere un'esercitazione, poche pagine, ma poi qualcosa è cambiato e sono ritornati vecchi fantasmi del passato. Una storia scritta moltissimi anni fa a questa poi si sono mescolati ricordi. Insomma, la verità è che non volevo scrivere la solita storia scontata, uno youngadult pieno di cliché, così mi sono persa tra i subplot e ora, dietro consiglio della mia amica editor, sto seguendo una nuova linea narrativa. Spero di non confondervi troppo. Grazie come sempre a chi vorrà lasciare un commento e un consiglio su come rendere la storia migliore.

La vostra B.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top