TRAITOR (PARTE UNO)


"Ehi!".

Un'esclamazione improvvisa strappò Zemo dai suoi pensieri, si voltò un momento, giusto il tempo per vedere due uomini armati correre verso di lui, per poi riprendere la sua fuga disperata; sapeva di avere pochissime speranze di abbandonare la struttura, ma solo uno stupido si sarebbe arreso senza tentare il tutto per tutto.

Imboccò un corridoio secondario, nascondendosi dentro un piccolo ripostiglio, ascoltò in silenzio i passi allontanarsi prima di uscire e dirigersi verso un'altra ala della Base; passò davanti a quella che era la stanza di Rumlow, la porta era socchiusa e sentì delle voci provenire da lì.

Era un rischio inutile, ma decise ugualmente di fermarsi per origliare.

"Non toccatelo. Andate a prelevarlo dalla stanza e portatelo a me, i traditori come lui meritano la giusta punizione"

"Si, signore"

"Ricorda, non toccarlo. Portalo qui e poi prepara il ragazzino per una seduta con la strega".

Delle gocce di sudore si formarono nella fronte del giovane uomo, intuendo benissimo quello che sarebbe accaduto da lì a poco, riprese a correre, in direzione dell'ascensore che lo avrebbe portato verso la salvezza; lo aveva quasi raggiunto quando si sentì afferrare per le caviglie, lanciò un grido di sorpresa e sbatté la faccia contro le piastrelle del pavimento, macchiandole di sangue.

Si voltò appena in tempo per evitare un pugno da parte di uno dei due uomini che prima lo avevano inseguito; rotolò di lato e lo colpì con un calcio in pieno petto: non possedeva né poteri né una forza sovrannaturale, la sua abilità era dovuta solo dall'adrenalina che gli scorreva nel corpo in quel momento.

Afferrò la pistola che era caduta al soldato, sparò a lui ed al suo compagno, non prima di ricevere un proiettile che lo prese di striscio sul fianco sinistro; Helmut abbassò lo sguardo sulla macchia scarlatta che continuava ad espandersi sul tessuto grigio della maglietta che indossava, non poteva permettersi di sprecare tempo e così lasciò perdere la ferita ed iniziò a premere in modo convulso il pulsante che serviva a richiamare l'ascensore.

"Avanti. Avanti. Avanti" iniziò a ripetere, continuando a lanciare occhiate alle proprie spalle, sicuro che era solo questione di attimi prima di vedere altri uomini sbucare dal corridoio; fortunatamente le porte metalliche si aprirono e lui entrò nel piccolo abitacolo, premendo il pulsante che lo avrebbe portato al piano superiore.

Quando le porte si richiusero si lasciò scappare un lungo sospiro di sollievo, non era finita ma era sopravvissuto alla prima parte del suo piano azzardato.

Dopo appena una trentina di secondi si ritrovò in un ampio capannone disabitato, che fungeva da copertura; si avvicinò ad uno scaffale, lo spostò stringendo con forza i denti e scivolò in una stanza attigua dotata di due finestre e di una porta che, finalmente, lo avrebbe portato all'esterno.

Le labbra di Zemo si distesero in un sorriso, probabilmente avrebbe pianto di sollievo se sotto di sé non avesse sentito rumori concitati, seguiti da un suono proveniente dall'ascensore: qualcuno aveva premuto un pulsante per richiamarlo.

Iniziò a correre, inciampò su un oggetto di metallo e cadde a terra, con tutto il peso del corpo che si riversò sulla ferita che rischiava d'infettarsi; rimase per qualche secondo semi svenuto, intontito dal dolore, poi trovò la forza di rialzarsi e di raggiungere la porta.

Appoggiò la mano destra sulla maniglia, venne colto dall'improvviso terrore che potesse essere chiusa a chiave, ma un rivolo d'aria fresca lo rassicurò.



Rumlow aveva congedato il suo sottoposto ed era rimasto da solo nella propria stanza; non si toglieva mai il casco in presenza di qualcuno, lo faceva solo quando era sicuro di non avere nessuno attorno a sé.

Le uniche occasioni in cui aveva fatto un'eccezione erano state in presenza di James, perché voleva godere dell'espressione di paura che si sarebbe stampata nel suo volto, ma il ragazzo non gli aveva mai dato quella soddisfazione.

Respirò a pieni polmoni, con gli occhi chiusi, sfiorandosi la pelle cicatrizzata del viso: non sarebbe più tornato ad essere l'uomo di un tempo, ma non gl'importava, per il lavoro che svolgeva l'aspetto fisico non era una prerogativa.

"Signore!" esclamò uno dei suoi uomini, entrando senza bussare e senza chiedere il permesso, commettendo un passo falso.

"Perché non hai bussato? Lo sai che odio le persone maleducate, quelle a cui bisogna spiegare le cose più di una volta" rispose il più grande, senza voltarsi.

"Mi dispiace, Capo... Ma c'è un'emergenza. Il prigioniero sta scappando"

"Quale prigioniero? Il ragazzo?"

"No, signore. Zemo"

"Zemo? Vi state lasciando scappare quell'idiota?" domandò, lasciandosi scappare una nota d'incredulità, perché non lo riteneva così furbo e capace.

"Ha sparato a due uomini"

"Fatti da parte idiota" rispose Rumlow, prese in mano il casco a visiera, indossandolo di nuovo, preoccupandosi di strattonare il suo sottoposto; raggiunse il piano superiore tramite una scala a pioli ed arrivò alla porta giusto in tempo per vedere il suo ex alleato che si allontanava correndo, visibilmente in difficoltà per la ferita al fianco.

Il mercenario prese la pistola che portava nella cinghia stretta attorno al ginocchio destro, prese la mira ed esitò apposta: voleva lasciare a quello stolto la falsa illusione di essere riuscito a scappare veramente; poi svuotò l'intero caricatore, senza colpire alcun organo vitale.

Due proiettili al fianco destro. Uno nella gamba destra. Uno nella gamba sinistra. Uno nel fianco sinistro e uno nella scapola destra.

Sei proiettili in tutto.

Lo vide cadere a terra, come una bambola di pezza, senza più alzarsi.

"Capo, che cosa dobbiamo fare? Lo andiamo a recuperare?"

"No, lasciatelo lì, la sua fine deve essere lenta e dolorosa" rispose quello, distogliendo lo sguardo, ritornando dentro la struttura.



Zemo iniziò a piangere ed a urlare, il dolore era talmente forte che non poteva muovere un solo muscolo del corpo senza sentire fitte lancinanti arrivargli fino al cervello; aveva sentito il rumore degli spari, li aveva sentiti trapassargli il corpo, ma il dolore non era arrivato subito.

Era subentrato dopo qualche minuto, ad ondate, partendo come un lieve fastidio e finendo per diventare un fuoco che ardeva da dentro il suo corpo, bruciandolo fino alle ossa.

'Non puoi rimanere qui' sussurrò una voce nella sua testa dopo una decina di minuti 'se lo farai non sopravviverai. O peggio. Rumlow manderà i suoi uomini a cercarti e poi ti finirà personalmente. E quello che senti ora non sarà nulla in confronto'.

Quella terribile prospettiva aiutò il giovane uomo a trovare la forza, disperata, di alzarsi per trovare un riparo sicuro per la notte.

Un riparo e delle cure mediche.



Nonostante tutto Charlotte si sentiva felice come era accaduto pochissime volte in vita sua.

Da una certa prospettiva era buffa come situazione, dato che non le rimanevano molti giorni davanti a sé, ma quello era passato in secondo piano dopo la nuova relazione che aveva intrapreso con Bucky, a partire dal giorno seguente alla notte in cui avevano fatto pace facendo l'amore.

Avevano deciso di tacere quella storia a Sharon e Sam: un po' perché non era il momento migliore per rivelare certe cose, ed un po' perché quel gioco era eccitante.

Più di una volta si erano separati pochi secondi prima che i due entrassero nella stanza in cui si trovavano; una sera, addirittura, si erano spinti a fare sesso sul divano del salotto, mentre i loro compagni di squadra si erano appena ritirati nelle loro camere da letto.

A Charlie dispiaceva per Sam, ormai non era più un segreto per nessuno quello che provava per Sharon, ma allo stesso tempo voleva godersi tutto quello che aveva perso con il suo ex compagno.

Sentì le dita in vibranio del giovane uomo sfiorarle la pelle della mano destra, l'afferrò con delicatezza e continuò a mangiare la propria cena, conscia del fatto che agli altri due bastava alzarsi dalla sedia per notare quel contatto intimo.

"Così stiamo rischiando" disse lei, qualche ora più tardi, mentre era accoccolata contro il suo petto, distogliendo lo sguardo dalla TV accesa "se vogliamo tenere la nostra storia solo per noi due non possiamo rischiare così tanto"

"Anche se lo scoprissero cambierebbe qualcosa? Stai tranquilla, non hai nulla da temere, ma non possiamo stare nascosti per sempre. Non stiamo facendo nulla di sbagliato"

"Lo so, ma sai come sono fatti... Non voglio perdere un solo istante con te"

"Anche io, piccola" Bucky le cinse la vita con il braccio destro, piegò la testa di lato e la baciò sulle labbra; si separarono solo quando la giovane sentì uno strano rumore.

"Hai sentito?"

"No, cosa?"

"Qualcuno ha bussato alla porta d'ingresso"

"Non è possibile, sarà stato il vento. Possiamo riprendere da dove eravamo rimasti?" avvicinò nuovamente il volto, ma incontrò solo la mano sinistra della sua compagna, che gl'intimava di stare in silenzio.

"L'ho sentito di nuovo. Io vado a controllare"

"Come preferisci".

L'ex Soldato D'Inverno tornò a guardare la TV, sistemando con più cura la coperta che gli copriva le lunghe gambe; adorava quelle sere passate nella più completa tranquillità con Charlotte perché gli avevano fatto capire che perfino per uno come lui, forse, non era troppo tardi.

"Bucky! Bucky! James!".

Scattò subito in piedi quando sentì la voce allarmata della ragazza che amava, corse nell'ingresso, mentre qualcuno accendeva la luce al piano superiore; la trovò con il volto pallido, le labbra socchiuse e con la canottiera sporca di sangue.

Fissava, senza dire una sola parola, un giovane uomo che giaceva privo di sensi ai suoi piedi.

"Piccola, stai bene? È tuo il sangue?"

"No... No..." mormorò lei, s'inginocchiò a terra e girò con delicatezza il corpo, rimanendo senza fiato quando riconobbe Zemo; il più grande, invece, irrigidì i muscoli della schiena e del viso, muovendo in automatico un passo indietro.

"Che cosa ci fa lui qui?"

"Non lo so" rispose Charlie, scuotendo la testa, incredula almeno quanto lui.

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