LIKE A NORMAL FAMILY (PARTE TRE)
Peter era ancora a carponi, con le braccia avvolte attorno allo stomaco, quando nel proprio campo visivo apparve una figura imponente e massiccia; strizzò le palpebre più volte prima di riuscire a distinguere con chiarezza l'uomo che lo stava osservando con un'espressione corrucciata, sconcertata.
"Salve, signor padre di James" mormorò il ragazzo con un filo di voce; Bucky si sarebbe lasciato scappare un sorriso per quel buffo appellativo se la situazione non fosse stata così seria; allungò il braccio sinistro ed aiutò Peter ad alzarsi, non senza gemiti e smorfie di dolore.
A poca distanza dai due Charlotte osservava la scena in silenzio, con le braccia incrociate sotto il seno, chiedendosi a sua volta che cosa fosse accaduto.
"Salve, Peter, che cosa ci facevi a terra dolorante?"
"Ohh... Nulla, io..." prese a balbettare, pensando velocemente ad una scusa, mentre gli occhi chiari del più grande continuavano a scrutarlo "mi stavo allenando e sono caduto"
"Ti stavi allenando e sei caduto?"
"Si, sono molto distratto..." disse il ragazzo con una risatina nervosa, cambiò subito argomento per evitare altre domande "siete venuti qui per James? Sono sicuro che sarà molto contento di vedervi insieme... Voi due..."
"No, Peter" rispose Charlie, intuendo la sua domanda "ma dato che è il compleanno di Bucky siamo venuti entrambi a trovare nostro figlio"
"Ohh! Tanti... Tanti auguri. Volete che..."
"Si, chiamalo pure".
Quando Peter scomparve in cima alle scale i due si guardarono negli occhi e Charlotte espresse i propri dubbi al suo ex compagno.
"No, non credo che sia stato James a picchiarlo, però credo che sia meglio farne cenno a Rhodey più tardi. Sono sicuro che lui non dirà nulla per non creare problemi. È sempre la stessa storia. Anche Steve era così da ragazzo: tentava sempre di nascondere i lividi, come se bastasse fare quello per risolvere tutto"
"Anche io ero vittima dei bulli quando andavo a scuola. Mi sembrano passati secoli" commentò la più piccola, ricordando il giorno in cui la sua vita era cambiata per sempre: aveva scoperto i propri poteri tramite l'omicidio di alcuni ragazzi e non sapeva ancora se pagare quel prezzo aveva portato a qualcosa di veramente buono "non credo di avertelo mai detto, ma quando avevo sedici anni ho scoperto di non essere come tutti gli altri giovani della mia età. Ho sempre saputo di essere diversa, ma non credevo così tanto. Ho ucciso dei miei compagni di scuola e poi sono scappata. Non l'ho fatto apposta, non volevo, ma ho ucciso tutti loro. Li ho trafitti con delle stalagmiti di ghiaccio e le loro famiglie non hanno ancora un nome a cui addossare la colpa delle loro perdite"
"Non devi essere dura con te stessa per questo. Lo hai detto poco fa: non lo hai fatto apposta"
"Ma ho commesso una strage a sedici anni"
"E come vorresti rimediare, allora?"
"Non lo so..."
"Appunto. Ti stai tormentando inutilmente e questo non va bene. Hai avuto l'opportunità di entrare in una squadra di persone straordinarie che fanno cose straordinarie... Non credi che sia stata questa la migliore espiazione?".
Charlie sentì la mano sinistra di Bucky accarezzarle la schiena, fu un gesto lento, che partì dai fianchi per terminare vicino alle scapole; quando non sentì più quel contatto si trattenne dal protestare per avere altre carezze.
Si domandò subito perché lo avesse fatto, che cosa lo avesse spinto a fare quel gesto dolce, rispondendosi da sola dopo qualche secondo: voleva darle un piccolo supporto dopo la confessione che gli aveva fatto.
Nulla di più.
Erano sempre quelle tre parole che ergevano un muro insormontabile tra loro: nulla di più.
Tutto quello che facevano non nascondeva mai nulla di più del gesto in sé, non c'era mai nulla che potesse costituire uno spiraglio per sperare in un futuro insieme.
La ragazza sorrise con amarezza, passandosi una mano nei capelli castani: futuro? Come poteva anche solo pensare a quella parola sapendo che le restava poco, anzi pochissimo, tempo a disposizione?
L'arrivo di James distolse Charlie da quella nuvola opprimente di pensieri, esattamente nello stesso istante in cui stava per pronunciare il nome del suo ex compagno, per confessargli quello che era riuscita a dire solo a Tony.
"Credevo che Peter scherzasse..." mormorò il nuovo Soldato D'Inverno, palesemente sorpreso di trovare entrambi i genitori nella stessa stanza: già se li immaginava discutere e gridare per tutto il tragitto da New York a Malibu.
"Non sei contento di vederci?"
"Si, ma non capisco per quale occasione"
"Jamie!" esclamò la ragazza, sorpresa, non capendo se il figlio si fosse dimenticato del compleanno o se lo dicesse apposta "è il compleanno di tuo padre. Siamo venuti qui per festeggiarlo con te, non sei contento?"
"Perché mi devi fare la stessa domanda due volte? Te l'ho detto che sono contento, avevo solo scordato il suo compleanno. Auguri" rispose, rivolgendo lo sguardo al padre, osservandolo in silenzio aspettando che parlasse.
"Grazie" disse il più grande, senza aggiungere altro.
"Andiamo a mangiare qualcosa?" chiese, allora, Charlie avvertendo l'atmosfera improvvisamente tesa che si era creata.
Era da diverso tempo che James non aveva più fame, ormai mangiava pochissimo e la maggior parte delle volte lo faceva perché costretto da Nadja o da Rhodey; quando la cameriera arrivò con il suo piatto di spaghetti alle polpette, prese in mano la forchetta e rimase a fissare il cibo, stuzzicandolo qua e là con la posata, senza provare il minimo impulso di assaggiare il sugo o la carne.
"Jamie, lo sai che non si gioca con il cibo" disse Charlotte, sorridendo, usando le stesse parole che ripeteva spesso quando lui era solo un bambino.
"Non ho fame"
"Se non hai fame, perché hai ordinato quell'enorme piatto di pasta?" lo rimproverò subito Bucky, attirandosi un'occhiataccia da parte del figlio.
"Nel menù non c'era scritto quanto grande sarebbe stato"
"Ma se già sapevi di non avere appetito potevi chiedere qualcosa di molto più leggero"
"Credo che un piatto di pasta intatto sia molto meno grave di un genitore che presenta la propria compagna al figlio dopo un solo giorno che la conosce, non pensi?"
"Mi stai lanciando una frecciatina?"
"Non lo so, a me sembra di essere stato molto chiaro, Bucky"
"Sono tuo padre" rispose il giovane uomo, alzando leggermente il tono di voce "non mi parli in questo modo. Credi di essere tanto superiore a me, ma non ti accorgi di quello che succede alle persone che ti circondano"
"Che cosa intendi dire?"
"Ragazzi, smettetela per favore, non voglio dare spettacolo"
"No, voglio che mi parli chiaramente" ribatté James, senza distogliere lo sguardo da quello del genitore, aspettando chiarimenti; teneva ancora la forchetta stretta nel pugno destro, rischiando di spezzarla.
"Quando io e tua madre siamo arrivati abbiamo trovato Peter in palestra. Qualcuno lo aveva picchiato, lui non ha voluto dirci nulla, ma era evidente che cosa gli fosse successo. Tu lo sapevi?"
"No" boccheggiò il più piccolo, appoggiandosi allo schienale della sedia: era stato Peter a chiamarlo, per avvertirlo che i suoi genitori erano arrivati, ma non aveva notato alcun livido sospetto sul suo volto "stai mentendo"
"Domandalo a lui, allora"
"Ragazzi, per favore!" esclamò Charlie, seccata, arrabbiata con entrambi per il loro comportamento infantile; anziché andare d'accordo come padre e figlio sembravano approfittare di ogni occasione per litigare, colpendosi nei punti più vulnerabili, stracciando pezzo dopo pezzo quel debole legame che ancora li univa: iniziava a temere che quando non ci sarebbe più stata, quel legame si sarebbe spezzato del tutto.
Qualche ora più tardi, mentre stava rientrando a New York, rimproverò Bucky per il comportamento infantile che aveva avuto.
"Io ci provo con James, ma non so che cosa fare con lui"
"Sei sicuro di averci provato davvero? Io ho visto che lo hai provocato"
"Ha iniziato lui il giochetto"
"E tu dovevi continuare? Non potevi comportarti da adulto e tentare di avere una conversazione normale? Vuoi bene a nostro figlio?"
"Si"
"Allora dovresti smetterla di comportarti in questo modo così egoista" rispose lei in tono acido, chiudendo gli occhi ed appoggiando la mano destra sulla fronte; era così stressata, così stanca, che sentiva le lacrime premere per scendere lungo le guance.
Chiuse gli occhi nel tentativo di controllare quell'impulso e finì per addormentarsi, risvegliandosi solo diverse ore più tardi, con il suo ex compagno che la scuoteva per la spalla destra.
"Charlotte, svegliati, siamo arrivati"
"Davvero?" domandò Charlie, sbattendo le palpebre, guardandosi attorno "siamo davvero arrivati?"
"Si"
"Per quanto tempo ho dormito?"
"Parecchio" rispose il più grande, incurvando leggermente l'angolo destro della bocca; lasciarono la macchina nel giardino e rientrarono nella Villa, totalmente immersa nel buio e nel silenzio.
"Bucky" sussurrò, allora, Charlotte, attirando la sua attenzione: non poteva parlare più forte per timore di svegliare Sam e Sharon.
"Si?"
"Verresti un momento con me in garage?"
"Va bene" rispose l'ex Soldato D'Inverno, senza fare altre domande, Charlie fu grata di quel comportamento per nulla sospettoso, così cercò la sua mano sinistra, la strinse nell'oscurità e lo condusse nella costruzione posta vicino al fianco destro della Villa.
"So già che cosa dirai, quindi non voglio sentire una sola protesta uscire dalle tue labbra. Questo è un regalo per te, buon compleanno" sfiorò con le dita della mano destra un oggetto coperto da un telone bianco, invitando Barnes a scoprirlo, sperando che fosse di suo gusto; quest'ultimo rimase per qualche istante immobile, sorpreso, perché non si aspettava un gesto simile da parte della sua ex compagna.
Non era mai stato bravo a decifrare le donne; Charlie, poi, rimaneva ancora un mistero per lui.
Esitò ancora qualche istante, poi afferrò il telone e lo tolse con un unico, veloce, gesto, rivelando una bellissima moto, simile a quella che tempo prima Tony aveva regalato a James.
Venne colto da un improvviso senso di nausea al ricordo di un modello simile, ma più vecchio, che aveva usato per uccidere i coniugi Stark: erano bastati solo due pugni per stendere Howard, poi si era avvicinato alla vettura, aveva raggiunto Maria ancora seduta sul sedile anteriore del passeggero e le aveva stretto la mano destra attorno la gola, con facilità disarmante, anche quello aveva richiesto pochissimi secondi.
Il giovane uomo ritornò alla realtà grazie alla voce di Charlotte che continuava a ripetere il suo nome, che gli stava chiedendo se stesse bene dato che era pallido e continuava a massaggiarsi la gola.
"Si, sto bene" rispose lui, solo quando riuscì a ritrovare il pieno possesso delle proprie azioni e del proprio corpo, poi sorprese l'altra con una richiesta che non si aspettava "vuoi farci un giro con me?".
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