I WANT TO FIX (PARTE TRE)


"E se fosse esattamente quello che vorrei fare?" domandò la più piccola con un sorriso furbo sulle labbra; s'inginocchiò sulle mattonelle verdi della doccia ed iniziò a sbottonare i pantaloni di Bucky, abbassandoli fino alle ginocchia, lo guardò per qualche momento negli occhi e poi gli passò la lingua nei boxer di stoffa nera, in corrispondenza dell'erezione.

"Cazzo..." imprecò Bucky, gettando la testa all'indietro, ignorando il dolore provocato dall'urto contro la parete, si morse con forza il labbro inferiore, pregandola di abbassargli anche quel indumento che ormai era diventato solo d'intralcio; Charlotte lo accontentò e tornò ad occuparsi del suo membro coprendolo con la bocca.

Il giovane uomo si lasciò scappare una serie di gemiti tra i denti serrati con forza, le passò la mano sinistra tra i capelli castani, facendole capire quale ritmo doveva seguire; allontanò Charlie dopo qualche minuto, facendole sollevare il viso confusa, temendo di aver fatto qualcosa di sbagliato.

"Che cosa ho sbagliato?" domandò, infatti, con una punta di preoccupazione nella voce.

"Nulla, piccola. È solo che voglio che tutto duri il più a lungo possibile e poi... Stiamo sprecando acqua" rispose l'ex Soldato D'Inverno, girando la manopola in modo da fermare il getto; la risposta divertì così tanto l'altra che scoppiò in una risata allegra.

"Davvero t'importa della bolletta?"

"No, ma preferirei spostarmi in un luogo più comodo".

La prese in braccio senza la minima difficoltà, come se fosse una bambola di pezza, la riportò in camera, facendola sdraiare con delicatezza sul materasso, poi si tolse definitivamente i pantaloni, i boxer e la maglietta che indossava; Charlotte rimase ad osservarlo in silenzio, trovandolo bello come la prima volta che avevano fatto l'amore, un singhiozzo le scappò dalle labbra carnose e si coprì il volto con le mani.

"Charlotte? Charlie... Piccola, stai bene?" Barnes prese posto affianco a lei sul materasso, le scostò con delicatezza le mani "stai bene? Che cosa succede? Sono così brutto?"

"No, non lo sei. È solo che... Ho pensato di perderti per davvero. Lo sai a che cosa mi riferisco" mormorò lei, girando il volto da un'altra parte; Bucky serrò la mascella, poi la invitò a voltarsi con dolcezza.

"Io sono qui e sono vivo. Questa è la cosa più importante. Adesso smettiamo di parlare del passato, va bene? Non si vive nel passato, si vive nel presente e nel futuro"

"Si, nel presente e nel futuro" rispose Charlie, sforzandosi di non scoppiare una seconda volta in lacrime per quelle due parole; il giovane uomo avvicinò il viso e la baciò lentamente, a fondo, per consolarla.

Le accarezzò la guancia destra, scendendo poi con la mano sul petto, concentrando le sue attenzioni sul seno, strappandole un sospiro di desiderio; le sfilò la maglietta bianca, slacciandole poi il reggiseno non senza qualche difficoltà, chiedendosi come potesse essere così difficile togliere un indumento così piccolo, lo gettò al di là del bordo del letto e riservò la stessa fine anche ai jeans.

"Ricordi che cosa ho fatto quella notte?" domandò con un sorriso simile ad un ghigno famelico, non lasciò alla ragazza il tempo di rispondere e si chinò, sfilandole gli slip con i denti.

"Sei tremendo" si lamentò lei, con un finto broncio.

"Lo so, è per questo che mi ami"

"Ripeto: sei tremendo".

Fu completamente diverso dalla loro prima volta e dalle quattro settimane in cui avevano vissuto ogni singolo istante della loro storia come una coppia qualunque; allora si erano sempre lasciati trasportare dalla passione e dalla foga del momento, dalla paura che tutto potesse finire in qualunque istante, che la polizia facesse irruzione nell'appartamento e riportasse entrambi alla realtà delle cose.

Ora si rivelò essere tutto dolce e lento.

Sia Charlotte che Bucky sapevano che quella notte non poteva durare per sempre, potevano solo evitare di sprecarla con parole che potevano essere dette anche in un secondo momento, perfino quelle più dolci potevano attendere.

La ragazza avvolse le braccia attorno alle spalle del suo uomo quando raggiunse l'orgasmo, lasciandogli dei graffi che si aggiunsero alle tante cicatrici che aveva accumulato nel corso di settant'anni, con la sola eccezione che quelle le avrebbe portate senza alcun rimorso nella coscienza.

"Ti amo, piccola" le disse con voce strozzata, stringendola a sua volta.

"Ti amo anche io, James" rispose lei, chiamandolo con il suo vero nome, lo stesso che aveva dato al loro unico figlio.

Barnes si sdraiò nel materasso, allargò le braccia e Charlie si accoccolò contro il suo petto, sentendo poi un braccio circondarle il fianco destro; rimase in silenzio per diversi minuti, ascoltando il rumore dei loro respiri che si fondevano in uno solo, provò a chiamarlo ma non ricevette alcuna risposta, sollevò il viso e si accorse che aveva le palpebre abbassate e la bocca socchiusa.

Si era addormentato.

La giovane sorrise, soffermandosi a guardare i tratti perfetti di quel volto.

Avvertì un'improvvisa stretta al cuore che scacciò via con violenza.

Il sacrificio che aveva compiuto per salvare la vita a Bucky era stato grande, forse troppo grande, ma se il risultato era stato quello, pensò, allora ne era salva davvero la pena.



James nutriva dubbi su molti argomenti, ma su una cosa era fermamente sicuro: non stava bene, né a livello fisico né a livello mentale.

Non sapeva dirsi con esattezza se era dovuto ancora a quello che l'Hydra gli aveva fatto, ma durante la notte, mentre giaceva affianco a Nadja, non riusciva ad addormentarsi, aveva sempre il mal di testa e le mani gli tremavano così tanto che a volte non riusciva neppure a reggere un bicchiere od una posata.

Aveva provato a parlarne una sola volta con Rhodey, ma lui aveva liquidato subito la faccenda con poche parole.

"Sarà sicuramente lo stress, non ti devi preoccupare".

All'inizio anche lo stesso ragazzo aveva avuto quel pensiero, ma lo aveva accantonato con il passare del tempo, non notando alcun miglioramento.

Il malessere generale si mischiava alla diffidenza che aveva iniziato a nutrire verso gli altri membri della squadra: Rhodey gli appariva indifferente, Nicholaj gli suscitava solo l'impulso di prenderlo a pugni e Peter, il suo migliore ed unico amico, sembrava nascondergli qualcosa.

Nadja era l'unica a costituire un'eccezione, ma a volte pensava che fosse troppo dalla parte del fratello gemello.

"Tu da che parte stai?" le domandò, infatti, con un tono più duro di quello che avrebbe voluto usare, tanto che la ragazza l'osservò con uno sguardo confuso.

"Che cosa significa? Quale parte dovrei scegliere?"

"Tu stai dalla mia parte o da quella di tuo fratello?"

"Che cosa? Qui dentro non esistono frazioni, non esiste una parte da scegliere. Noi quattro siamo una squadra e dobbiamo cercare di stare uniti, sono sicura che tu e Nicholaj troverete un modo per andare d'accordo" la rossa si avvicinò al giovane ed inconsapevolmente pronunciò le stesse parole che Natasha aveva detto a Steve, al termine del funerale di Peggy "stare insieme è più importante di come stiamo insieme"

"Siamo solo un gruppo di ragazzini senza alcun scopo, non siamo una squadra e non vedremo mai una missione con i nostri occhi. Non lo hai ancora capito, Nad? A Fury non interessa prepararci come i nuovi Avengers, ci tiene reclusi qui dentro solo per poterci controllare, perché siamo pericolosi ed un problema per la società. Siamo degli animali da circo chiusi dentro una gabbia dalle fattezze di una Villa. Gli allenamenti che facciamo sono solo un piccolo accontentino, un modo per non farci sospettare la realtà delle cose"

"James, adesso stai esagerando" mormorò lei, con gli occhi spalancati "inizi a farmi paura"

"Quindi sei dalla sua parte"

"Io non sono dalla parte di nessuno"

"D'accordo, allora scegli".

Gli occhi verdi di Nadja si spalancarono ancora di più, credeva di trovarsi in uno strano sogno perché quella situazione stava diventando troppo assurda per essere vera.

"Mi stai davvero chiedendo di scegliere tra Nicholaj e te?"

"Si, non sono abbastanza serio?"

"No, lo sei fin troppo"

"La tua risposta?"

"Perché mi stai chiedendo questo?"

"Ti ho chiesto una risposta"

"Non puoi chiedermi di scegliere tra te e mio fratello. Lui è tutto quello che resta della mia famiglia e tu sei il ragazzo con cui voglio stare. Siete entrambi importanti per me, proprio per questo ti sto dicendo che dovete trovare una soluzione. Voi due non avete mai provato a conoscervi davvero, non vi siete mai dati una possibilità"

"Sei patetica" sentenziò il giovane serrando la mascella, si alzò di scatto dalla sedia e per poco non fece cadere il mobile; l'altra rimase per qualche istante a bocca aperta, poi si precipitò ad inseguirlo perché per lei la questione non era conclusa.

"Patetica? Io sarei patetica? Sei tu quello che continua a dire cose senza senso! Dove stai andando?"

"Via"

"Non puoi andartene mentre stiamo discutendo"

"Ho bisogno di uscire. Non mi cercare, nessuno di voi lo deve fare. Voglio rimanere da solo dato che vi siete coalizzati tutti contro di me" ribatté Jamie, prendendo in mano la giacca in pelle nera.

"Tu non vai da nessuna parte!" gridò Nadja, provò a fermarlo afferrandolo per la giacca ma lui si liberò con uno strattone, rivolgendole uno sguardo poco amichevole; si ritrovò da sola sulla soglia della Villa, con le mani strette attorno allo stipite ed un'espressione sconcertata stampata sul volto.

"Io non lo seguirò, di questo non si deve preoccupare" commentò Nicholaj, che se ne stava da qualche minuto appoggiato ad una parete, rivolse un mezzo sorriso alla sorella ma quest'ultima non lo badò, limitandosi a scuotere la chioma rossa, ritirandosi poi al piano superiore.



Zemo continuava a tamburellare la punta di una matita contro l'agenda appoggiata sopra la scrivania.

Era nervoso ed avvertiva una spiacevole sensazione di nausea che gli aggrediva lo stomaco e la gola, tutto quanto per un semplice motivo: aveva fatto il passo più lungo della gamba.

Aveva promesso a Rumlow di portargli James e di farlo dopo avergli fatto commettere il suo primo omicidio, il più grande aveva risposto con un ghigno e gli aveva procurato una lista in cui c'erano scritti, nero su bianco, i nomi delle persone che dovevano essere eliminate.

Quel giorno Zemo aveva parlato con sicurezza e senza la minima traccia di tremore od esitazione nella voce, ma in realtà non aveva la più pallida idea di come fare.

'Ti sei fregato, Helmut, ma non lo hai fatto quando hai detto a Rumlow che gli avresti portato il ragazzo già trasformato in un Killer provetto, no. Ti sei fregato quando hai deciso di aiutarlo nella sua causa. Avresti dovuto rifiutare e farti uccidere, così tutti i problemi se ne sarebbero andati. Così a quest'ora saresti di nuovo con loro, invece no... Ti trovi in questo casino e la colpa è solo tua'.

Si passò la mano destra sulla fronte, fermandosi a metà, seccato perché aveva il palmo completamente sudato; brividi di freddo continuavano a percorrergli la schiena e quello non era un buon segno, s'impose di riprendere il controllo di sé stesso o non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione.

Per prima cosa doveva pensare a rendere James innocuo, in modo da portarlo alla Base.

"Buongiorno, James" disse in tono calmo e gentile appena lo vide aprire la porta ed entrare nel piccolo Studio che non aveva mai arredato del tutto "ti vedo un po' pensieroso"

"Oggi è una pessima giornata" si limitò a commentare laconico il ragazzo, sdraiandosi sulla poltrona per i pazienti, intrecciò le dita, coperte dai guanti, all'altezza del petto e sospirò "e poi... Non riesco a dormire"

"Soffri d'insonnia?"

"Si"

"E da cosa pensi che sia dovuto?"

"Non lo so, me lo sono chiesto anche io".

Il più grande chiuse l'agenda su cui faceva finta di scrivere da mesi, guardò James con le labbra serrate ed in quel momento capì esattamente che cosa doveva fare.

"Ti andrebbe di provare una nuova tecnica?".

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