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Oct 1937 | London
Fumo nero si alzava nel cielo, ad ampie volute. Lo sferragliare delle rotaie, lo stridere dei freni. Le urla assordanti dei treni.
James era sceso dal vagone con la piccola valigia e la custodia del violino tenuta nell'altra mano. Un mazzo di rose rosse gli svettava tra le braccia.
Aveva ricevuto una lettera di Emily, una lettera che non presagiva nulla di buono.
Il demone aveva attraversato la grande piazza della stazione, nel suo impermeabile beige, si era calcato sulla testa il cappello a falda larga e aveva accelerato il passo sotto la pioggia.
Pioveva a dirotto, fuori dalla stazione, e tutto era grigio. Il cielo riversava lacrime di funesti presagi. La lettera di Emily era premuta a forza in una tasca, sgualcita.
Non c'era più tempo, gli avevano scritto.
Non c'era cura.
Non c'era modo.
Non c'era più nulla da fare.
Una serie di negazioni che per la prima volta avevano trascinato l'animo di quel demone dell'accidia nell'abisso più nero.
I colori della sua esistenza sbiadivano nell'anonimo grigio di quella serata, nello sbavato inchiostro di quella lettera, nel chiasso di quella strada londinese puntellata da auto d'epoca. Il mondo continuava a girare, ma per lui, quel giorno, il mondo minacciava una rovinosa battuta d'arresto.
James aveva fermato un taxi, quasi finendoci investito. Vi si era gettato dentro, aveva dato ordine di partire.
Aveva superato il Waterloo bridge a bordo del Taxi. Dall'abitacolo aveva potuto scorgere l'insegna ormai sfiorita dell'Arabesque, e infine, troppo tardi per il suo animo inquieto, era sopraggiunto all'edificio preindicato.
"James". Emily gli era corsa incontro, gli occhi lucidi e lo sguardo provato.
"Dicono che è peggiorata. Va così da giorni ormai..."
Il demone aveva smesso di ascoltare. Aveva oltrepassato l'ingresso di quel vecchio edificio dalle alte finestre e si era ritrovato a salire le scale saltandole a due a due.
La stanza di Daisy, disadorna e semibuia, lo accolse.
Un letto tra tanti altri vuoti, posto vicino alla finestra, accoglieva una gracile ospite.
James si avvicinò, cercando di placare il respiro, di non infrangere quel silenzio ospedaliero e ovattato col proprio affanno.
"Desdemona", mormorò sotto voce. Non era certo che lei dormisse, ma la prima cosa che fece fu poggiare la propria valigia all'entrata e presentarsi a lei col consueto mazzo di rose. Il mazzo di rose che lei pretendeva alle sue prime.
Gli occhi verdi di Daisy si illuminarono al suo arrivo. Le piccole labbra pallide si incresparono.
"Ci hai messo un po'", mormorò Daisy, spostando lo sguardo stanco su di lui.
James le sorrise, poggiando il mazzo di rose sul comodino per sedere sul bordo del letto, proprio accanto a lei.
"Non ho ballato, a che pro quel mazzo di rose?"
Aveva concluso lei stancamente in un sorriso.
"È il nostro piccolo rito", spiegò James, provando a ricambiarla con indecisione.
Desdemona tacque, per qualche minuto, poi si issò a sedere all'improvviso.
"James" lo chiamò, "non voglio..."
Una tosse improvvisa arrestò le sue parole febbrili. Sangue scarlatto macchiò quelle mani bianche. Daisy chiuse il pugno, quasi mortificata, sgualcendo le lenzuola nel punto in cui una macchia purpurea era fiorita.
"Shhh. Non affaticarti". Sussurrò James chinandosi al suo fianco.
Daisy allora aveva respirato a fatica, si era riadagiata tra i cuscini, con le palpebre calate e il respiro più lento.
Passarono lunghi, interminabili secondi in cui il demone si ritrovò a fissare il mazzo di rose, assorto. A vagare con i ricordi per gli ultimi cinque anni trascorsi. Al maledire se stesso, per non essere stato in grado di proteggerla, di non essere in grado, in quel momento che era a un passo dalla morte, di salvarla.
Avrebbe voluto renderla più forte. Avrebbe voluto strapparla alla logorante malattia. Tubercolosi, l'avevano chiamata.
Se solo fosse stato un vampiro...
"James" la voce affaticata di Daisy lo ridestò da quei pensieri.
Il demone aveva stretto una di quelle fragili mani tra le sue, rivolgendo a lei uno sguardo colmo di attenzioni.
"Dimmi che ce l'hai con te, James" rantolò Daisy, con estrema fatica.
James annuì e a quell'assenso Daisy strinse maggiormente la sua mano con la propria, piccola e gelida.
"Suona per me, James", pregò. Gli occhi verdi colmi d'aspettativa.
"Suona un'ultima volta per me. Ti prego".
Ogni piccola speranza di James si infranse a quell'ultima preghiera. Eppure James lo fece. Trasse il violino dalla custodia, scorse la pece sull'archetto, frettoloso, e andò a sedere nuovamente ai piedi del letto di Daisy, che stirò le piccole labbra scarne in un nuovo e partecipe sorriso.
"Dying Swan", espresse soltanto, in una carezza della voce.
James avrebbe voluto rifiutare. Timoroso di gettare nel baratro se stesso e Daisy, che piccola e fragile, però, aveva chiuso gli occhi nell'attesa della prima triste e malinconica nota.
A quel suo gesto il demone aveva proseguito, noncurante delle lamentele degli infermieri che avrebbe potuto suscitare, deciso a regalare a Daisy un altro piccolo frammento della sua musica. Della loro musica.
Poteva quasi percepire i pensieri di Daisy, mentre ripensava al dolore delle punte dei piedi, ai muscoli tesi fino alla spasmo, ad ogni passo fatto calcando il palcoscenico di un teatro nel suo candido tutù dal morbido bustino, finemente rifinito da piume bianche.
Tutto ciò mentre le piccole membra di Daisy perdevano tensione, e il suo flebile respiro rallentava, si infragiliva fino a scomparire, i suoi pugni pallidi e minuti si allentavano.
James terminò il brano in un discreto sussurro, ma quando cercò nuovamente quegli occhi verdi, Daisy non tornò a riaprirli. Rimasero chiusi.
Come una bambola di porcellana dormiente.
La sua Desdemona aveva scelto di andarsene all'improvviso. Irriverente come sempre era stata. Senza dargli altro avviso, senza un respiro di troppo.
Aveva scelto il suono del suo violino. Aveva chiesto di rivedere un passato breve ma intenso, fatto d'arte e d'amore, con la musica di James.
E il demone si disse che forse non avrebbe dovuto farlo. Non avrebbe dovuto concederle quella musica.
Se non l'avesse fatto, forse, avrebbe potuto tenerla con sé ancora un po'.
La parte umana. La parte meno controllata, meno addomesticata, gli lacerò il petto, il cuore umano e pulsante ruggì di furore.
Avrebbe potuto cambiare corpo, farla finita, non essere più James.
Ma dimenticare no, quello non sarebbe stato possibile, per l'eternità.
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