"Come pioggia d'estate" - Viviamo fino alla fine. (capitolo 4/ parte 2)

𝘊𝘖𝘔𝘌 𝘗𝘐𝘖𝘎𝘎𝘐𝘈 𝘋'𝘌𝘚𝘛𝘈𝘛𝘌

Starring

• 𝙇𝙪𝙘𝙖𝙨 𝙅. 𝙕𝙪𝙢𝙖𝙣𝙣 •
• 𝘼𝙢𝙮𝙗𝙚𝙩𝙝 𝙈𝙘𝙉𝙪𝙡𝙩𝙮 •

L'amore 𝘦𝘵𝘦𝘳𝘯𝘰
tra due persone
resiste a tutto.

Avvertenze*:
non adatto ai sensibili.
Ai cuori sensibili.

"Dire a qualcuno
io ti amo, equivale a dire:
tu dovresti vivere per sempre."
- Madaleine L'Engle.


"Perché?"

Quel trillo oltrepassava le pareti raggiungendo le mie orecchie e facendomi annaspare nell'incertezza.
Solo rantoli scivolavano dalle labbra e avevo l'impressione di barcollare nel buio. Osservavo i miei guanti serrando il pugno fino a far sbiancare le nocche e una ruga sempre più marcata affiorava dalla fronte.

L'attesa mi stava facendo ammattire, da quando ero sfrecciato nel corridoio lasciando Dalmar a gestire quella crisi.
Tutto era stato avvolto dal ghiaccio.

Non sapevo cosa fosse successo, ma speravo ancora, con tutto me stesso, di poterla abbracciare.

Rialzai la testa puntando gli occhi vitrei contro quelle maledette porte.

La mia mente era stata travolta, troppe emozioni esplose all'improvviso nel vedere quella linea orizzontale, l'allarme scattato, l'equipé agitata schizzare da una parte all'altra... e io lasciato da parte come uno spettatore.
Non avevo fatto nulla e provavo così tanta stizza che avrei voluto spaccare qualsiasi oggetto fra le mani.

Feci un altro respiro profondo e affondai le mani fra i ricci tirandoli un po', prima di scrutare sotto le ciglia la porta che si apriva.

Ma stetti lì per terra a guardare i suoi calzari e non l'espressione di pena che avrebbe sfoggiato. Dopo aver sentito scorrere l'acqua dai rubinetti, poggiai il mento sulle ginocchia portando le gambe avvinghiate al busto.

"E se lei? No." mi dissi a bassa voce. "È finito."

"Lucas."

"Avevi ragione tu. Non sono Dio e non posso fare miracoli. Ma avrei fatto l'impossibile per salvarla... Tutto ciò ch'era in mio potere."

"Non è colpa tua. So bene che sei andato contro il parere altrui non per egoismo, ma per amore... Non puoi tollerare di vivere un giorno senza di lei e... ti chiedo scusa per le cattiverie che ti ho detto."

"Non voglio che m'indori la pillola come se fossi un bambino Dalmar. Devo saperlo..." Mi si mozzò il respiro, ma dovevo pronunciarlo. "Lei è..."

"No, per fortuna... è viva."

Le tenebre furono scacciate improvvisamente dai miei pensieri, il tempo era tornato a scorrere, e la serenità finalmente si fece largo in me.
Diedi libero sfogo alle lacrime e la vista si offuscò. Saltai in piedi e l'abbracciai per dimostrargli la mia gratitudine.

"Vuoi dire che sta bene! Ti sarò riconoscente per sempre."

"Però è presto per gioire. Siamo riusciti a stabilizzarla, è vero, e il massaggio cardiaco ha fatto ripartire il cuore... ma lei continua ad essere incosciente."

"Dov'è?" Chiesi a bruciapelo prendendolo per le spalle.

"L'abbiamo spostata nell'unità intensiva. Dev'essere tenuta sotto controllo per almeno le prossime ventiquattro ore. Bisogna anche informare i parenti."

"Certo." Risposi strofinando la mano sulla faccia con aria stanca.

"Qualsiasi danno abbia provocato quell'emorraggia, spero che non sia permanente"

"Che vuol dire?" Ribattei con voce malferma. "Il suo... cervello è?"

"Al momento non c'è attività e ho chiesto al dottor Sebastian di farle un elettroncefalogramma per vederci chiaro."

"Si riprenderà, ne sono certo! E quando lo farà, giuro sulla mia vita che non la lascerò mai più."

"Dobbiamo aspettare." Consigliò strappandomi uno sbuffo.

"Cosa credi che debba aspettare? Che vada via? Cosa, secondo te? Ho portato a termine interventi più impegnativi di questo! Non è possibile..."

"Vorrei poter rispondere a questo dilemma ragazzo mio, ma non esiste una spiegazione a quello che può succederci durante il percorso."

"Ma lei non lo meritava, capisci? Non sono stato in grado di compiere quel miracolo."

"Ora è inutile addossarsi delle colpe. L'intervento era invasivo e pericoloso, lo sai, e se non fosse stato per l'emorragia probabilmente l'avresti rimosso con successo. Nessun chirurgo è arrivato fino a quel punto."

"Sta di fatto che ho fallito..." sussurrai passeggiando avanti e indietro per il corridoio. "Non so come potrò guardare in faccia quelle ragazze e comunicare questa terribile verità."

"Preferisci che glielo dica io? Posso capire che non sarà semplice."

"Grazie Dalmar, ma devo farlo io. È il dovere di un dottore."

Annuì e mi fissò per qualche secondo capendo quanto stessi soffrendo, nonostante volessi mantenere la compostezza. Allungò le braccia allacciandole attorno alla mia schiena, mentre appoggiavo la testa sulla spalla.

"Doc, vedrai questo brutto periodo passerà... e l'arcobaleno tornerà." Lo strinsi più forte, avevo bisogno di una presenza amica più che mai, per superare quel momento devastante.

Appena oltrepassai le porte per raggiungere la sala d'attesa, due persone scattarono in piedi.

Il volto della biondina era segnato da un'evidente preoccupazione, culminata in occhiate violacee e occhi rossi come  lava. Mentre mi avvicinavo percepivo la stanchezza e una terribile emicrania, pulsante al livello delle tempie.

"Come sta mia sorella?" Domandò subito in preda all'ansia.

"È in terapia intensiva, dobbiamo aspettare che si svegli."

Prese un respiro e s'intrecciò le dita, mormorando. "E... il tumore?"

"È in punto inaccessibile..." La voce si ruppe in un singhiozzo.

"Tu... tu mi avevi giurato che avresti fatto l'impossibile!"

"So bene quello che ho detto, ma-"

"Ma cosa? Cosa!" Urlò con il viso rigato dalle lacrime e la mora che le accarezzava affettuosamente un braccio pur di calmarla. "Ti sei arreso! La lascerai morire così? È questo l'amore che provi?!" Quelle parole furono pugnalate a tradimento e chinai la testa fissandomi i calzari. "Non è giusto, non può essere..."

"Possiamo vederla?"

"Per il momento, il quadro clinico della paziente è compromesso. Finché non esce dalla terapia intensiva, non può ricevere visite." Prese parola Dalmar.

"Quanto... grave?" Chiese in un sussurro la biondina tirando su con il naso. Guardai a mia volta l'anestesista rimproverandolo del poco tatto. "Rispondete! E voglio la verità."

"La paziente è debole e dev'essere monitorata constatemente. Purtroppo durante l'operazione ha avuto un'emoraggia e poco dopo un arresto cardiaco. Non possiamo ancora stabilire quanti danni abbia causato questa mancanza d'ossigeno."

"Danni?" Ripeté la ragazzina con un filo di voce, coprendosi la bocca.

A quel punto, m'inginocchiai ai suoi piedi stringendole una mano incrociando i suoi occhi lucidi.

"La funzione celebrale si è ridotta del meno dieci per cento. Se questa situazione si protrae, significa che il cervello non riceve più impulsi." Continuò Dalmar.

"Che vuol dire?"

"Vorrebbe dire: morte celebrale. L'arresto cardiaco è una delle principali cause di anossia* e si verifica quando c'è una grave carenza d'ossigeno."

"Lo sapevo! Sapevo dall'inizio che sottoporla a quest'intervento era troppo pericoloso e ora mia sorella sta pagando il prezzo più alto. Mentre noi siamo qui a parlare, lei lotta per la sua vita!" Ringhiò a denti stretti puntando l'indice alle spalle dell'altro.

"Kyla..." Cercò di tranquillizzarla l'altra, ma senza risultati soddisfacenti. La sua rabbia era comprensibile, anch'io mi odiavo per aver sbagliato i calcoli.

"AB è tutta la mia vita! Non può morire! E mi avevi assicurato che l'avresti salvata. Perché non hai rispettato quella promessa?"

"Signorina, comprendiamo il suo dolore e la collera, ma il professor Zumann ha davvero fatto del suo meglio per riuscirci. Se non fosse stato per la sua bravura, la paziente a quest'ora sarebbe morta dissanguata."

"Kyla... mi vergogno per questo. Non accetterò mai come le cose siano andate. L'unica cosa che desideravo davvero era passare il resto della vita al fianco di Beth e invece quel farabutto-"

Scoppiai a piangere sopraffatto dalle emozioni, spogliandomi di quel camice e mostrando l'essere fragile che in quel corridoio si era accasciato al suolo senza forze. Il suo gesto mi lasciò sorpreso quando mi attirò a sé e iniziò ad accarezzarmi la schiena, donandomi calore e sollievo. Strinsi nel pugno un lembo della camicetta e piansi.

Rimasi incollato al suo corpo, cullato dalle sue braccia per un po', prima di far scontrare di nuovo i nostri occhi lucidi. Tirai su con il naso e afferrai le sue mani minute.

"Non ho mai pensato di provare un sentimento così forte per nessuna donna... ma tua sorella ha conquistato ogni parte di me. Desidero che sia felice e m'impegnerò per assaporare ogni istante, come se fosse l'ultimo." Lei m'incitò a continuare. "Anche per ore o pochissimi minuti... li passerei dimostrandole il mio amore. Perché io... amo Beth e nessuna distanza cambierebbe ciò che sento."

Sorrise. "So quanto vi amate. È così palese. Non c'è nessuno che potrebbe renderla felice più di te. Ci sono persone scelte dal destino e voi siete quelle."

"Allora..." schiarii la voce. "Mi concedi quest'onore?"

Il suo sguardo s'illuminò immediatamente e scosse la testa. "Certo, ma spetta comunque a mia sorella rispondere a questa domanda."

"Ti prometto che mi prenderò cura di lei e non le farò mancare nulla."

"Non ho dubbi. Sarà in buone mani." Rispose abbozzando un sorriso.

"Allora?" Chiesi al chirurgo, che stava osservando meticolosamente i valori indicati dalla macchina.

"Stabile... ma il PSI sta calando. Effettueremo al più presto un esame approfondito per capire meglio quanto è grave il danno riportato." Annuii, dando un'occhiata al lettino, dove il suo corpo giaceva immobile. "Immagino che sia lei il caso complesso che il consiglio aveva scartato, giusto? Ma hai voluto sottoporla lo stesso all'operazione."

"Ho studiato un piano per settimane, cercando di trovare un accesso dove poter allargare la craniotomia per raggiungere facilmente l'angioma."

"Di certo, se non avesse avuto quell'emorraggia il tumore sarebbe stato asportato." Sospirò gettando un'occhiata alla risonanza. Si voltò e poggiò la mano sulla mia spalla. "Ci vuole coraggio per infrangere le regole del consiglio e della direttrice Sullivan. Indipendentemente dall'esito la causa è più che apprezzabile. Sta calmo, la tua ragazza ha buone probabilità di riprendersi."

Entrò nella sala adiacente, divisa dall'altra da uno spesso vetro e si accomodò sulla sedia girevole. Gli andai dietro e lo raggiunsi alla scrivania immersa nella semi-oscurità.

"Nei pazienti con lo stesso quadro clinico a volte è utile fornire degli stimoli esterni. Potrei tentare di dialogare e da qui controlleresti se effettivamente sta reagendo."

Ci pensò su, picchiettando il tappo della biro sulla scrivania.

"Potrebbe essere una soluzione. Non vedo dove sia il problema" approvò raddrizzando lo schienale, per mettere mano sulla tastiera.

"Grazie, professore Walker."

Gli rivolsi un sorriso riconoscente prima d'introdurmi nella sala perfettamente sterilizzata, munito di tutti gli accessori di protezione. Osservai il suo corpo disteso, totalmente privo di camice e coperto da un semplicissimo lenzuolo verde, con le mani adagiate ai lati dei fianchi. Sembrava dormire pacificamente senza fare caso a ciò che la stava circondando. Le bende bianche erano avvolte attorno al suo capo ed era collegata a un macchinario che emetteva "bip" continui.

Mi avvicinai cautamente al suo capezzale e contemplai il suo volto pallido, immaginando che mi sarebbe scoppiata a ridere in faccia da un momento all'altro, come se quello fosse uno stupido scherzo.

Accarezzai la spalla fino a scendere al polso, tracciando una linea invisibile sulle vene che spuntavano dalle pelle. Poi presi la sua mano fredda e la strinsi nelle mie per riscaldarla, schioccando un bacio leggero sul dorso.

Il suo petto intanto si alzava e abbassava a ritmo cadenzato.

Non sapevo da dove iniziare, non ero ferrato con i discorsi romantici.

"Beth... Mia amata Beth..." sussurrai accarezzandole una guancia per farle percepire la mia presenza. "Perché sei così silenziosa oggi? Che cos'hai? Ora non mi dici più che dovrei riposare più spesso e non pensare al lavoro? Beh, mi aspetto che tu me lo ripeta ogni volta." Lei stava sempre lì con occhi chiusi e la bocca istruita dalla mascherina. "Mi sono sentito morire quando ti ho visto collassare in sala operatoria, in quel momento ho continuato a pensare che fosse colpa mia... se tu adesso sei qui. Forse, è vero... Ti ho quasi uccisa per salvarti, ti ho tolto tutte le possibilità che avevi ancora riducendo quella soglia di sopravvivenza più di quanto non lo fosse... Ho sprecato gli ultimi giorni che ci restano... E sono qui in ginocchio ad implorare il tuo perdono, Beth." Le lacrime mi rigarono senza sosta le guance e strinsi più forte. "Non potrà mai esserci un mondo senza te, è per questo che tutti aspettano che tu apra gli occhi. Ti prego, svegliati. Torna da me..." Il mio sguardo afflitto slittò automaticamente sulla macchina, che emetteva lo stesso suono di prima. Ma decisi di proseguire lo stesso quella specie di conversazione, sperando di riportarla in vita. "Ti ricordi quando siamo saliti sulla scarpata? Eravamo seduti in quel caffè... e mi hai detto di voler vivere in quella casetta sopra quella montagna? Ho stipulato il contratto e l'ho acquistata... La rimetteremo a nuovo e sceglieremo insieme tutti i dettagli: il colore delle pareti, i mobili e potrai piantare tutti i fiori che vorrai nel giardino... Sarà un vero e proprio angolo di paradiso."
Non m'importava che Sebastian stesse ascoltando per filo e per segno ogni parola che stava uscendo dalle mie labbra tremanti, ormai non mi sarei più nascosto. "Non ci mancherà niente. Vivremo fino alla fine e tu sarai..." Presi un respiro. "Tu sarai mia moglie, l'unica e sola che amerò per sempre."

Abbassai lo sguardo rialzandomi e mi girai per uscire da quella sala, dove avrei potuto sfogarmi e preparare poi i fogli per la dimissione.

Avevo deciso di tagliare i ponti con l'ospedale, prima che la direttrice facesse irruzione nel mio ufficio per dirmi che sarei stato giudicato per la mia condotta disciplinare.

Ma prima che potessi muovere un solo passo fuori di lì, l'uomo urlò.

"Professore, la funzione celebrale sta aumentando! Continui a parlare!"

Incredulo, fissai il suo corpo nella stessa posizione, e mi piegai.

"Amybeth, puoi sentirmi? Beth?" La incitai prendendole la mano. "Dai, coraggio, sforzati... Ti prego." Improvvisamente sentii stringermi la mano.

"Il suo cervello sta rispondendo agli stimoli tattili!" Esclamò Sebastian dal microfono e dalla parte opposta.

Un'ondata di felicità mi travolse. L'arcobaleno tornò a invadere il cielo.
"Beth, tesoro. Sono io." mormorai e questa volta mosse anche la testa, come in procinto di svegliarsi da un lungo sonno. Quando aprì a fatica le palpebre mi liberai di un macigno e sorrisi così ampiamente che per poco mi fece male la mascella. "Beth." Mi guardò solamente, impossibilitata a parlare e a muoversi essendo ancora deboli. I suoi occhi però erano alla ricerca di risposte e ovviamente non sapeva niente dell'intervento. Portai la mano sulla sua guancia prima di chinarmi e lasciarle un bacio sulla fronte. "Mi dispiace di non poterti dire ch'é la fine dell'incubo perché lui è ancora lì. Non so ancora quanto tempo avremo, ma ti prometto che renderò ogni giorno felice e indimenticabile, come volevi tu." Potevo notare quell'entusiasmo farle brillare gli occhi come stelle luminose. Allungò la mano accarezzandomi una guancia e me l'accostai alle labbra per baciarle il palmo. "Vuoi concedermi l'onore? Accettaresti questo povero dottore come tuo marito oltre... l'eternità?"

Mi fissò dritto negli occhi, sollevando nel mio stomaco uno sciame di farfalle impazzite e con una lacrima che le scivolava giù per il collo, scosse la testa per rispondere sì.

Qualsiasi dolore era stato soppiantato dalla felicità e non avrebbe turbato più il futuro roseo che ci aspettava sull'isola, quando avremo varcato l'uscita dell'ospedale.

Non era più la mia governante, né io il dottore per cui lavorava.

Ormai quei tempi erano finiti e stavamo per voltare pagina.

Nessuna tristezza. O referti. Oppure quel mostro ci avrebbe rubato il domani.

"3 𝘔𝘌𝘚𝘐 𝘋𝘖𝘗𝘖"

"𝘚𝘦𝘨𝘶𝘪𝘳ò 𝘤𝘪ò 𝘤𝘩𝘦 𝘮𝘪 𝘩𝘢 𝘪𝘯𝘴𝘦𝘨𝘯𝘢𝘵𝘰. 𝘝𝘪𝘷𝘳ò 𝘰𝘨𝘯𝘪 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘰 𝘤𝘰𝘯 𝘭𝘦𝘪, 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘴𝘦 𝘧𝘰𝘴𝘴𝘦 𝘭'𝘶𝘭𝘵𝘪𝘮𝘰. 𝘚𝘧𝘰𝘨𝘭𝘪𝘦𝘳𝘦𝘮𝘰 𝘪𝘯𝘴𝘪𝘦𝘮𝘦 𝘲𝘶𝘦𝘭 𝘭𝘪𝘣𝘳𝘰 𝘮𝘢𝘨𝘪𝘤𝘰 𝘥𝘰𝘷𝘦 𝘭𝘦 𝘯𝘰𝘴𝘵𝘳𝘦 𝘴𝘵𝘳𝘢𝘥𝘦 𝘴𝘪 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘪𝘯𝘤𝘳𝘰𝘤𝘪𝘢𝘵𝘦."

Fino a quando
non arriverà...
la fine.

Il sole splendeva su tutta l'isola e un leggero venticello muoveva dolcemente le foglie giallastre, anche se eravamo a settembre. Mi sporsi a guardare il cielo dalla finestra mentre mi destreggiavo  per preparare una squisita colazione. Direi che dopo parecchi tentativi potevo ritenermi soddisfatto e aspirare al titolo di "chef provetto", grazie all'aiuto della mia severissima giudice.

"Cara, Kyla ti ha fatto sapere a che ora arriverà? Devo andare in clinica quest'oggi, ci sono pazienti particolarmente esigenti. Stasera non fare nulla, penserò io a tutto. Tra poco scendo al mercato. Mi servirebbe solo che tu mi faccia una lista, così non dimentico gli ingredienti fondamentali. Okay?" Posai la macchinetta sul ripiano e afferrai il cestino del pane fissando le vetrate con una smorfia di preoccupazione. "Beth?"

Andai verso la porta che affacciava sul cortile e mi bloccai alla soglia, traendo un sospiro per far scivolare via quello sgradevole presentimento. Il mio sguardo venne catturato da lei che stava danzando, volteggiando sulle punte e ruotando il busto con un sorriso smagliante stampato sul viso mentre con le dita accarezzava l'aria.

Rimasi a contemplarla come ogni mattina quando spalancava le sue iridi azzurre e mi donava un bacio a fior di labbra, facendomi sentire l'uomo più felice di tutta Newfoundland.

Mi riscossi da quella trance con molta fatica e appoggiai il vassoio sul tavolo, prima di avvicinarmi e osservarla senza che se ne fosse resa conto.

Sarei rimasto tutta la vita se il tempo si fosse fermato, profondamente ammaliato dai suoi gesti spontanei.

Era così bella, leggera quanto poteva essere una piuma bianca, e inestimabile come quei fiorellini rosa, ormai giunti alla piena fioritura.

"Nelle ultime due ore ho parlato da solo, a quanto pare."

Si bloccò dopo l'ennesima piroetta colta di sorpresa e prese fiato.

Accennai un sorriso e allungai una mano che afferrò prontamente, scendendo dal muretto.

Quando i nostri palmi si sfiorarono i brividi si fecero spazio lungo la spina dorsale.

"Perdonami, amore. Non ti avevo sentito... Sei arrabbiato con me?"

Finsi un'aria seccata.

"No." Portai le mani sui suoi fianchi attirandola vicino al mio corpo per darle un bacio sulle labbra. "Solo se mi chiamerai sempre in quel modo, anche se io preferisco di più... 'marito'. Non credi che suoni meglio?"

Sorrise. "Decisamente, dottore." Mi accarezzò il petto da sopra la maglietta e guardò poi la tavola. "Oh... è diventato un ottimo cuoco, dottore. Perché ci ha tenuto nascosto per molto tempo questa dote?"

"Ho avuto un'eccellente insegnante. Non è stato difficile friggere un uovo." Spostai la sedia come un gentiluomo per farla accomodare e presi posto dall'altra parte del tavolo. "Stavo pensando di occuparmi del menù visto che tua sorella viene a trovarci e voglio accoglierla come si deve. Che ne pensi?"

"È un'idea meravigliosa. Aspetta, prendo carta a penna così ti faccio una lista di ciò che manca."

Si alzò e sfrecciò dentro mentre con un sospiro mi lasciavo andare contro lo schienale della sedia.

"Beth, siediti un attimo. Non ti fermi mai." La rimproverai preoccupato.

"Non preoccuparti per me... Un po' di moto mi fa bene." ribatté rimettendosi seduta e cominciò a scrivere.

Allungai il braccio e glielo confiscai sotto il suo sguardo sbalordito.

"Ora facciamo colazione. Non è una richiesta, è un ordine. E mentre ti rilassi sull'amaca, io andrò al mercato." La guardai negli occhi giungendo le mani. "Okay, amore mio?"

"Se sono ordini del mio dottore... Va' bene!" Nei suoi occhi brillò una scintilla di divertimento. "Seguirò la prescrizione e non farò i capricci. Promesso."

"Bene. Le uova si raffreddano."
Ne afferrò una dal vassoio e la spostò nel suo piatto cominciando a gustarla mentre prendevo una fetta di pane. "C'è anche la marmellata alla fragola, l'hai assaggiata?" Chiesi a lei, che aveva gli occhi rivolti al mare su cui la nostra piccola casetta dei sogni affacciava.

Era un vero regno incantato situato sopra una parete rocciosa.

Un rudere che avevamo restaurato due mesi prima, dove in ogni angolo si respirava l'amore e l'armonia di due freschi sposini. Lasciato l'ospedale e la caotica città, mi ero adattato alla vita placida dell'isola e ormai dovunque mi girassi c'era chi chiedeva consulto sul disturbo di cui soffriva.

Una volta finito di mangiare raggiunsi il mercato, lasciandola a dondolarsi sull'amaca con fra le mani un libro a cui mancavano solo tre pagine per essere concluso.

Ero fermo ad una delle bancarelle e mi guardai attorno immerso nei miei pensieri.

"Ecco a lei, dottore." L'uomo mi svegliò di soprassalto appoggiando sul bancone una busta e né infilò un'altra più piccola, che non sapevo cosa contenesse. "Tenga anche questa confezione di more... a sua moglie piaceranno tanto."

"Grazie, ma non doveva disturbarsi."

Tirai fuori il partafoglio dalla tasca del pantalone per pagare.

"Non serve, è un omaggio dalla casa. È il minimo per quello che ha fatto, da quando è arrivato. Quest'isola aveva proprio bisogno di un medico."

"Non trascuri la visita di controllo della prossima settimana. È importante."

"Arrivederci, dottor Zumann. E mi saluti sua moglie." Rispose sventolando la mano.

Il tempo può cambiare facilmente su un isola, pensai, quando delle nuvole scure e minacciose si ammassarono in quel cielo limpido.

Un boato mi fece accelerare il passo e spaventò gli uccelli che gracchiarono svolazzando in alto. Piccole gocce di pioggia caddero sul selciato, prima lentamente poi man mano s'infittirono diventando un vero e proprio diluvio.
Come se qualcuno da lassù stesse piangendo. I tuoni rimbombavano, spezzando la calma dell'isola paralizzando quel sentiero.

Ormai camminavo incurante che fossi fradicio, con la camicia che s'incollava alla mia pelle, perché l'unica preoccupazione... era raggiungere la casetta ed essere accolto dal calore delle sue braccia e del suo sorriso di cui ero innamorato.

Tenevo la busta stretta nelle mani, percorrendo quel sentiero dall'aria familiare, quando un profumo riconoscibile e meraviglioso aleggiò nell'aria. Quella del terreno bagnato sotto i piedi e presi un bel respiro per riempirmi i polmoni, come avevo fatto l'ultima volta in sua compagnia.

Chiusi gli occhi inspirando ancora e ancora, e allargai le braccia, gettando la testa all'indietro per ruotare come una trottola, investito dall'acqua. Abbracciato da un corpo invisibile.
Mentre ridevo, la mente cominciò a viaggiare attraverso quei ricordi.

Ognuno aveva un segno di lei, della sua intensa vita vissuta con amore e fiducia verso il prossimo.

Una luce debole che divide le tenebre.

Ali che svolazzano libere in una tempesta...

Una farfalla che non ha paura di bagnarsi.

La pioggia che sta bagnando anche lei rannicchiata sull'amaca, con le braccia stese, e l'amaca che si ferma del tutto.

Ricordo ancora quando si avvicinò alla festa, totalmente brilla, e si scusò con i miei colleghi con cui stavo scambiando delle chiacchiere di lavoro perché dovevo seguirla sulla pista. Avevo qualche reticenza, non ero un bravo ballerino, ma lei mi strattonò per il braccio e fui costretto ad assecondarla.
Continuò a muoversi sotto il mio sguardo imbarazzato e timido, mentre mi muovevo come ingessato, e rise.

Rise smuovendomi qualcosa dentro, come se prima di allora la mia vita fosse stata totalmente dimenticata e con essa tutto quanto.

Come una nave di carta
nell'oceano gelido.

Come un bocciolo efflorescente
che non aspettava la primavera,
per essere baciato dal sole.

Come un bambino
che ama per la prima volta.

I miei occhi erano fissi sulle lastre di un paziente, quando furono coperti, e percepii la sua risata inconfondibile alle mie orecchie che mi fece capire subito di chi fossero quelle mani.

Ho pensato che si spegne
quando ti abbraccio.

Pensavo che finisse
quando ti credo.

Pensavo che l'incubo finisse.

Pensavo di non cadere
stretto al tuo corpo.
Pensavo di restare in equilibrio.

Mi condusse per mano nel giardino dell'ospedale, dicendo di dovermi fare una sorpresa e mi presentò una tovaglia stesa sul terreno con un thermos e un cesto per un picnic. Sorrideva mettendo la playlist di una canzone romantica e mi mostrò un pompelmo verde.


Quando mangiammo su quell'isola e raccontò quegli aneddoti, mi sembrò di essere sospeso in un universo perfetto.

Cercai di trascinarla con me in acqua, fino a immergere perfino le ginocchia, ma lei mi fece desistere spingendomi sulla riva. Credo che finché vivrò non dimenticherò mai la sensazione del suo corpo contro il mio, i piedi sulla sabbia, e il sole che calava all'orizzonte.

Quello sarebbe stato il mio ultimo e meraviglioso ricordo di lei, mentre l'oscurità si mescolava inesorabilmente all'acqua e alle lacrime.

Ma ora sono spezzato,
la mia metà non c'è più
e il mio cuore è di nuovo incrinato.

F.I.N.E


Siamo alla fine di un lungo viaggio insieme e dire che sono in lacrime non è il termine esatto...

Purtroppo ciò è accaduto inesorabilmente: l'ultima volta che Lucas ha visto sua moglie in vita è stato a colazione e tornando a casa l'ha trovata sull'amaca ormai... deceduta? Nel mentre però che lei andava via nel sonno, ha cominciato a ricordare tutta la storia... e beh, ho evitato di mostrarvi quella parte per non disperare i cuori sensibili.

Potrete mai avere pietà di me?

Abbandonando il dramma di "Come pioggia d'estate" da domani entriamo nello spirito natalizio... quindi tenetevi pronti! E a febbraio tornerà il dramma - ora mi devo riprendere - e ci sarà una nuova storia "Lieto infinito" di cui pubblicherò anche una piccola anteprima.

Nel frattempo godetevi il finale 💔

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