"Come pioggia d'estate" - L'accordo. (1 capitolo)

Starring

Amybeth Mcnulty
Lucas J. Zumann

L'amore eterno
tra due persone
resiste a tutto.

LONDRA

Un boato di applausi risuonò per tutta la sala quando mi alzai in piedi e con una mossa abitudinaria stirai le pieghe della giacca e chiusi i bottoni.

La mia faccia non si scompose, nonostante l'emozione e il nodo che mi stringeva la gola.

Salii sul palco e diedi la mano a un uomo di statura bassa, la barba folta e gli occhiali tondi, che con un gesto della mano m'invitò a prendere posizione.

Non appena il mio sguardo si puntò sulla platea, pian piano il brusio diventò religioso silenzio. Alle mie spalle c'era una lime luminosa che decretava il motivo per cui ero lì.

"Come uno dei membri più giovani è un grande onore e privilegio per me essere selezionato come leader del congresso internazionale dell'organizzazione di neurochirurgia. Vorrei assicurarvi che voglio... Anzi, farò del mio meglio con i miei colleghi per riconoscere le sue profonde responsabilità. Grazie."

Un'altra pioggia di applausi si levò in alto tanto da coprire perfino i battiti del mio cuore.

Era sfiancante non sapere in quale parte del mondo sarei partito.

Una volta smesso di lavorare mi rifugiavo in qualche pub a scaricare la tensione accumulata e concludevo in un letto matrimoniale con ragazze carine, a cui lasciavo delle note prima di andar via.

Il giorno seguente il primo volo mi riportava nella mia città, Dublino, un diamante incastonato in un pezzo di terra.

A bordo di un Uber, stavo inviando un messaggio sulla posta con gli occhi incollati al tablet.

"Negli ultimi giorni ha piovuto constamentemente. È fortunato che oggi il tempo si sia schiarito. Dev'esserle stato utile. È arrivato dall'estero, vero?"

Diedi un'occhiata al finestrino ignorando la domanda, prima di riportare gli occhi sullo schermo e accettare una videochiamata.

"Ti ascolto."

"Mi scusi se la disturbo, professore. S'è libero, ho chiamato per via del signor Walker. Il paziente che ha un tumore gengivale. Volevo informarla che le sue condizioni erano stabili fino ad oggi. Stamattina ha avuto un infarto. Dovremmo fare una TAC?"

"Va bene, Peter. Porta il paziente nella sala TAC. Io sono appena atterrato, sono a Dublino. Informami il prima possibile sui risultati. Avvisa anche il reparto di terapia intensiva, così non si spaventeranno." Dichiarai con atteggiamento professionale senza distogliere l'attenzione dal suo volto sciupato per le troppe ore in corsia.

"Va bene, professore."

La chiamata terminò e rivolsi lo sguardo al finestrino e poi all'autista.

"Ha piovuto molto?"

La serratura scattò e trascinai all'interno la valigia sbattendo la porta, anche se non ci sarei rimasto per troppo tempo; lanciai le chiavi in un recipiente di vetro con delle pietre chiare sul fondo, e mi diressi verso il corridoio. Dopo aver fatto una doccia veloce, entrai nella cabina trovandomi di fronte a una barriera di camice, giacche e cravatte di tonalità diverse.

Scelsi un completo a caso e una volta pronto mi diressi verso l'ascensore.

Il pulsante erano stato premuto da qualcun altro, così presi le scale per non arrivare in ritardo.


Mi tirai a sedere nella mia camera, con le tende chiuse e i rumori della città che filtravano attraverso la maschiatura della finestra.

Mi alzai e camminai a piedi scalzi fino a un baule dall'aspetto antico e sollevai il centrino ricamato. Non c'era il corredo né era un posticino per i risparmi, ma in un monolocale come il mio un armadio era un mobilio dispendioso; così avevo riposto lì i miei vestiti, riciclando il baule della nonna, e ogni mattina sceglievo con cura quelli da indossare, oppure li cucivo.

Poi aspettavo la fermata e per un'ora viaggiavo in un autobus gremito di persone; il mio posto preferito era sempre quello accanto al finestrino, dove potevo contemplare il panorama diurno della città.

Salii al sesto piano e fuori dall'ascensore frugai nella borsa per cercare le chiavi. L'ambiente era saturo: pareti bianche, mobili rigorosamente neri e un gusto talmente geometrico da farmi immaginare quell'uomo come un robot piuttosto che... un essere umano.

Mi cambiai subito e presi l'aspirapolvere. Nel rialzarmi mi accorsi di un foglietto attaccato su una cornice.

Lo staccai e lessi.

"Tre giorni." Arricciai la fronte socchiudendo gli occhi a causa della calligrafia illegibile che somigliava a confusi scarabocchi. "Pae-... Che cos'è questo? Fuori... Sarò fuori dal paese." Mi sfuggì una risatina. "Wow, come se stesse scrivendo una ricetta medica." Poi ripresi. "Ho preso un altro bagaglio. Svuota quello che ho lasciato a casa." Distolsi il viso e dissi tra me. "L'ho già fatto. Lava quello che c'è dentro." Sospirai. "Sono già in lavatrice." Poggiai il biglietto da qualche parte e la mia attenzione fu catturata da dei fiorellini, che stavano rinsecchendo. Mi piegai per osservarli mentre mi spuntava un sorriso: "Avevo quasi perso la speranza, hai riso per me?" Avvicinai la mano e toccai uno dei boccioli. "Che bellezza! Siete i benvenuti!"












"Se entriamo in questa cavità dalla fronte, la nostra possibilità di raggiungere il tumore senza causare danni fisici aumentarebbe in maniera esponenziale." Spiegai con alle spalle le lastre di un cervello. Poi aggiunsi con disarmante determinazione. "Sto anche pensando di rimuovere il secondo tumore da qui." Premetti un pulsante e la luce inondò la stanza e i volti attenti dei miei interlocutori seduti vicino a un tavolo ovale. "È un po' diverso dalle tecniche classiche. Ma abbiamo ricevuto segnalazioni da molte istituzioni. Certo, il campo di fiori non ha spine. La tecnica sarà pericolosa. Ecco perché bisogna prendere questa decisione insieme. Così il mio gruppo non sarà l'unico ad essere incolpato in seguito."

"Sembra che la condizione del paziente sia in grado di gestire gli anestetici durante questo periodo di tempo. Penso che non ci siano problemi." Concordò uno con fra le mani il referto.

"È pericoloso, professore. La probabilità che il paziente rimanga in vita è davvero bassa. È utile provare." Ribatté l'altro, alla mia destra.

"Stiamo decidendo la sorte di un paziente e dei suoi parenti." Aggiunse la dottoressa guardandomi con l'orgoglio che trasudava da ogni poro. "Sapendo che si fidano del professore, non credo che si opporranno. Ma nonostante questo ne discuteremo con calma. Prepariamo intanto il necessario per l'operazione del professore Zumann." Accennai un leggero inchino come segno di ringraziamento per la fiducia riposta, e lei continuò a parlare: "Passiamo adesso al prossimo."

Mi rivolse uno sguardo malizioso prima che mi congedassi.




Scostai la tenda per spalancare la finestra e far arieggiare la casa.

Sentivo il sole riscaldarmi la pelle mentre si faceva strada in tutta la stanza da letto e serrai gli occhi con il vento che mi screpolava le guance e mi scuoteva la coda di cavallo.

Come faceva a sopportare quell'aria così stantia?

Ammesso che ci vivesse lì fra quelle mura. Intanto che avevo cambiato le lenzuola misi i panni sporchi nel loro contenitore, seguendo alle lettere i suoi ordini.




"Durante questo fine settimana saremo in viaggio per tre giorni. Dovremmo essere su una barca in questo momento. Ma ci hai fatto partecipare di nuovo a quest'operazione. Bravo!" Si lamentò il mio collega - nonché amico dai tempi del tirocinio - mentre controllavo le notifiche. Poi lo riposi nella tasca sorridendogli. "Quell'uomo respirava già dal naso." Raccontò. "Gli ho dato dell'ossigeno. Così, quando si è ubriacato, si è calmato a malapena."

"Il vostro unico dovere è l'accoglienza e il cinismo."

"Grazie a te, non riusciremo né a vedere la barca o afferarne il timone." Continuò la sfilza di accuse mentre camminavamo nel corridoio. "Saresti morto se avessi spostato l'operazione alla prossima settimana, Lucas?" Mi grattai la nuca a disagio, e mi diede una piccola gomitata indicando un punto davanti a noi. "Ah, ora capisco..."

"Professor Lucas." Mi chiamò la castana che qualche istante prima mi aveva dato la sua fiducia durante la conferenza. Poi si bloccò. "Sono giorni che non riesco a fermarla un minuto per farle le congratulazioni per la presidenza dell'organizzazione. Congratulazioni."

"Grazie."

"Questo è un grande successo. Lo festeggeremo nella festa per i 25 anni di anniversario del nostro ospedale." Annunciò facendomi sollevare il viso poco prima rivolto ai miei piedi. "Il signor Jackson sta pensando di fare qualcosa per lei. Non dica che l'ha sentito da me."

"Questo fine settimana sarò impegnato con delle attività universitarie in America. Devo anche andare all'aereoporto." Spiegai vedendo il sorriso di lei affievolirsi. "Non parteciperò alla festa quest'anno."

"Davvero? Non sembra che sia per il fatto che tu sia al completo."

"Si è verificato un cambiamento all'ultimo minuto. Ho informato anche il mio assistente e gli ho chiesto di avvisare l'amministrazione. Solo per tre giorni. Tornerò fra tre giorni esatti. Non ci saranno problemi."

"La prego, professoressa. Non lasciamo questo ragazzo senza supervisore... O un ospedale estero finirà per rapirlo, dato che ci va spesso." S'intromise il mio amico catturando la nostra attenzione. "Per non spianare la strada alla fuga di cervelli soprattutto."

"Lo eviteremo a qualsiasi costo." Confidò e mi rivolse un sorriso malizioso. "Buon viaggio. Ora abbiamo una scusa per festeggiare più tardi. Buona fortuna!"

"Anche a lei." Risposi mentre mi oltrepassava per andare in direzione dell'ascensore.

"Anche a lei, signora." La salutò Dalmar e non attese neppure di vederla allontanarsi che subito sparò le sue solite idiozie a bassa voce. "È una grande direttrice sanitaria. Ti dico ch'è un buon affare. È appiccicosa e carina." Mi guardò di sottecchi facendomi l'occhiolino. "Avvicinati a lei. Sono sicuro che cadrebbe ai tuoi piedi perfino con un battito di ciglia!"

Poteva essere anche il presidente americano in persona o la donna più affascinante, ma non sarebbe mai riuscita a conquistare il mio cuore.

Scesi dalla limousine, diretto di nuovo dalla parte opposta del mondo.
Non c'era confine che non avessi varcato, da quando il mio ruolo era cambiato. Ormai mi ero fatto carico di responsabilità più importanti.

"Faccia buon viaggio, signor Lucas."

"Grazie."

Stavo per imboccare l'entrata dell'aeroporto, quando il cercapersone squillò, e realizzai che c'era un emergenza. Gettai il bagaglio sul sedile e l'autista si voltò.

"All'ospedale!" Presi il cellulare e chiusi la portiera mentre partivamo. "Elva, annulla il viaggio in America. Chiama Antony, Elva. Digli che sto tornando in ospedale per un'operazione urgente."

Ero circondato da camici blu con la bocca coperta da mascherine, cuffiette e calzari, con in sottofondo il rumore del macchinario cardiaco mentre nel vetro altri dottori monitoravano la situazione, giù in sala operatoria.

Man mano che tagliavo e perforavo i tessuti, i bisturi mi passavano fra le mani e svuotavo la mente di qualsiasi pensiero per concentrarmi sui punti particolarmente difficili.

Osservavo scrupolosamente attraverso una telecamera dove era situato il tumore, e cercavo di arrivarci.

A volte, operazioni come queste potevano durare più di dodici ore e a nessun dottore era permesso di battere la fiacca.





Il cellulare squillò mentre passavo l'aspirapolvere.

Spensi l'aggeggio raggiungendo la penisola e risposi, percependo fin troppo nervosismo in mia sorella per non sospettare qualcosa di grave.

"AB!" Mi urlò nelle orecchie, provocando dei colpi potenti alla cornetta.

"Kyla? Cosa succede? Stai bene?"

"Sono alla porta. Quel coglione ha cambiato la serratura. Non ha scherzato. È venuto fin qui da Lambay* per cambiare la serratura. Non hai parlato con quel tipo, sorellina?"

"L'ho fatto. Gli ho detto che avrei risolto la questione entro la settimana prossima. A lui andava bene."

"Ma quel coglione non ha saputo aspettare. Devo preparare il mio progetto." Replicò furiosa mentre mi portavo una mano fra i capelli e passeggiavo avanti e indietro vicino. "I miei vestiti sono sporchi. Stavo andando a metterli nella lavatrice. Devo fare la doccia. Avevo delle cose da fare."

"Vai a casa di Jane, la tua amica."

"Non è a casa. Ha detto che andava al resort della signora per cui lavora."

"Stavano per aprire e inaugurare il resort." Mi portai una mano sulla fronte confusa, tirandomi indietro i capelli. "A volte, perdo il conto delle cose."

"Non ho tempo. Allora vado a casa di Betty. Dormirò lì per questa notte, e tu cosa farai?"

"Risolverò la questione, non preoccuparti per me." Dissi sentendola sbuffare e il senso di colpa prendere possesso di ogni fibra del mio corpo. "Scusami per questo, okay? Non capiterà più."

"No, AB. Perché mi chiedi scusa? Sono io quella che dovrebbe scusarsi. A causa dei miei studi, tutti i tuoi soldi-"

Le intimai di stare in silenzio, interrompendola. "Silenzio. Impegnati e finisci il tuo progetto. Considera risolto il problema con il padrone di casa. D'accordo. Ora concentrati sui tuoi studi."

"Ti voglio tanto bene." Rispose sul punto di scoppiare in un fragoroso pianto.

"Ti voglio bene anch'io, piccola birbante." Dopo aver staccato girai gli occhi da una parte all'altra della camera e mi venne in mente un'idea.

Non poteva essere sbagliato approfittarne se era solo una notte e poi lui in viaggio. Non l'avrebbe mai scoperto.



"Giuro che non ho portato iella al tuo viaggio." Esordì la direttrice munita di valigetta, venendomi incontro con un sorriso smagliante dopo una lunga giornata fra corsie, consulti e operazioni.

"Non lo so, lo lascio alla tua coscienza."

Questa mia affermazione le provocò una risatina.

"Non posso dire di essere triste. Poi, saremo insieme alla festa di domani." Feci un cenno con la testa, come a dirle di aver capito, dondolandomi sui talloni. "Buonanotte."

"Buonanotte."

Ripresi a camminare e notai Dalmar appoggiato vicino ai cartelli indicativi dei piani, elettrizzato di conoscere i dettagli come una quindicenne.

"Insieme? Insieme? Insieme?" Ripeté seguendomi come un segugio e imitando una vocina femminile smielata.

"Piantala di prendermi in giro, e dimmi cosa abbiamo in programma per domani." Continuò a sghignazzare senza sosta. "E non inviterò mai Shannon, mettitelo in testa."

"Allora porta con te un'altra. E poi la lasci in modo elegante." Mi consigliò, seguendomi a ruota nel mio studio.

"Tipo?"

Chiuse la porta di scatto e mi guardò con espressione seria.

"Che ne pensi di Ada? È una brava ragazza."

"Verrà e non se ne andrà più." Bocciai, appendendo il camice sul gancio.

"Selina, l'avvocato."

"È pazza. Ha quarantadue gatti."

"Sul serio? Chi abbiamo oltre loro?" Sprofondò sulla sedia battendo le mani a tempo sulle gambe mormorando: "Chi c'è? Chi c'è? Chi c'è? Vediamo, chi potrebbe esserci?" Afferrò il mappamondo dalla mia scrivania e se lo rigirò fra le mani, mentre pensava a qualche candidata poi esclamò. "Erika, è una bella ragazza!"

"Vuole un bambino. Mi ha chiesto di scegliere un nome. Come sta Cara?" Domandai per sviare il discorso.

"Ah, caro mio, visto che ti ostini tanto a eliminare tutte le scelte, l'unica valida sembra Shannon." Si alzò in piedi sotto il mio sguardo attento. "Sareste proprio una bella coppia. Fonderete dei piccoli ospedali e li amplierete insieme." Andò verso la soglia e sorrise. "Non è male? Pensaci. D'accordo, scappo. Ciao."

Chiuse la porta lasciandomi solo.
Posai il cellulare e sistemai il mappamondo ruotandolo, prima di rimettermi a lavorare. Era notte inoltrata quando l'Uber accostò e l'autista mi aiutò con la valigia.

In un gesto istintivo e liberatorio allargai il nodo della cravatta e spinsi il portone, entrando nel palazzo. Trascinai le valigie all'interno, poi accesi l'interruttore e lanciai le chiavi nel posto abituale.

Nell'attraversare il corridoio diretto verso la camera per fare una bella dormita mi bloccai improvvisamente.
Accesi la lampada e sgranai gli occhi, notando una figura leggiadra appisolata beatamente sul mio divano.

Mi guardai attorno per capire da dove fosse spuntata, ma non c'era nulla sottosopra anzi l'ambiente era ordinato e tranquillo, quindi non poteva trattarsi di un malfattore.

Mi avvicinai mantenendo alta la guardia e con passo felpato m'inginocchiai.

"Sssh! Ehi!" A nulla valse il mio tentativo e la donna non si spostò di un centimetro.

Allungai la mano e un dito per sfiorarle il braccio, ma la ritrassi prontamente.

«Stai avendo un'allucinazione. È tutto nella tua testa! Calma»

D'altronde, da questa mattina non avevo fatto che avanti e indietro per i reparti, un paio d'interventi e al massimo cinque minuti di sonno... non potevano giovare alla mia salute mentale.

Scioccato tirai fuori il cellulare e scattai una foto. Poi mi diressi in camera da letto inoltrandola su WhatsApp, scrivendo a chiare lettere:

"Chi è lei?"

«Se sei stato tu Dalmar a trovarmi questa ragazza, giuro sulla mia professione che te la farò pagare. Perché non riesci a capire che non ho bisogno del tuo aiuto!»

Il sonno era andato a farsi benedire e non facevo altro che camminare avanti e indietro in attesa che la mia assistente visualizzasse; ero come un animale intrappolato in gabbia.

A un certo punto sentii la vibrazione e vidi subito il messaggio.

"La governante." Nello stesso momento, alla mezza e un minuto, arrivò un altro più dettagliato. "Amybeth McNulty. L'ho assunta quattro mesi fa. C'è qualche problema, dottore?"

Sospirai, bloccando il cellulare.

«Il fatto di essersi impadronita del mio divano e infilato uno dei miei pigiama non è ovviamente un problema!»

Il sole era sorto da un pezzo quando l'intrusa cominciò a mostrare i primi segni di risveglio.

Mi avvicinai al tavolo e feci tintinnare il cucchiaio sopra il bordo della tazza.

La ragazza sgranchí le braccia stiracchiandosi come un gatto, e voltandosi si scontrò con la mia espressione contrariata con gli occhi ridotti a due fessure attraverso gli occhiali.

Restò pietrificata con il mento premuto sul cuscino, poi si sollevò di scatto con i capelli scompigliati.

"Buongiorno."

"Dottore!"

"Caffè? Cornetto?"

"Io... P-posso spiegarle." Si rimise in piedi quasi inciampando, con il pigiama largo che le lasciava scoperta una spalla, mentre bevevo un sorso di caffè con una calma innaturale.

"Questa è la prima volta che ho soggiornato qui." Tese le braccia nella mia direzione per discolparsi, mentre abbassavo la tazza all'altezza dello stomaco. Si mise a sistemare il divano demoralizzata, con la voce tremante:
"È che... Se mi sta chiedendo, cos'è successo? Ieri quando sono venuta a lavoro... Le giuro, non sono mai stata qui prima d'ora."

"Fermati, Agatha. Prendi fiato."

"Amybeth." Mi corresse con un filo di voce.

"Lo sistemi più tardi." La coperta che stava piegando le scivolò dalle mani e mi fissò atterrita. "Ti ascolto. Parla." Ripresi a bere mentre feceva un passo avanti gesticolando con le mani.

"C'è un problema. Mia sorella mi ha chiamato ieri, perché ci hanno cambiato la serratura. Perché dobbiamo dei soldi al padrone di casa... Devo pagare le tasse universitarie e le spese per il progetto. Forse a lei non interessa... ma senza dire nulla quel bastardo ha cambiato la serratura!"

Posai la tazza sul tavolo e tolsi gli occhiali, riponendoli nel cofanetto.

"Quando non avete pagato l'affitto, il padrone di casa ha cambiato la serratura e vi ha cacciato. E hai pensato che sarebbe stato meglio rimanere qui."

"Solo per oggi. Soltanto oggi. Quando mia sorella mi ha chiamato ieri, sono rimasta qui. Non sapevo dove poter andare. Mi dispiace tanto. Sono desolata! Non sono mai stata qui durante la sua assenza. Questa è la prima volta."

Il cellulare interruppe la sua spiegazione e dovetti rispondere.

"Sì? Come sta tuo padre?" Camminai in direzione della cucina con la mano nella tasca. "Forse la dose che gli abbiamo prescritto per le crisi epilettiche non è sufficiente. Quando è stato l'ultima volta che gli avete fatto fare un esame del sangue?" Annuii dopo aver ascoltato. "Fateglielo fare e gli prescriverò la dose. Guarisci presto." Riattaccai e guardai la ragazza davanti a me che si strofinava le mani a disagio. "Quanto...?"

"Una notte. Solo una notte." Ripeté.

"Quant'è il tuo debito?"

"Tre affitti." Scossi la testa perplesso, alzando il sopracciglio. "Circa 2700. Ma ho già pensato a una soluzione. Presto servizio anche in un'altra casa oltre questa e mi arrangerò. La signora Albert. È la moglie dell'architetto. È gente simpatica. Certo, non saranno migliori quanto lei... Ma una volta mi disse, 'vieni da me se hai una problema. Potrei seguire anche il consiglio.'"

Tutte le sue chiacchiere mi giunsero alle orecchie ovattate dal tumulto dei miei pensieri, tornati magicamente al discorso precedente affrontato ieri sul fatto che non avrei mai accettato l'invito di Shannon per la festa e che avrei potuto evitare una spiacevole situazione, se avessi chiesto a qualcun'altra.

Contemplai quella ragazza, che in un modo o nell'altro goffamente si stava scusando per il suo comportamento inconcepibile, mentre l'eco di quelle parole mi annebbiò il cervello.

«Allora porta qualcun'altra. Poi la lasci in maniera elegante...»

"Parlarò con lei e toglierò il disturbo." Tornai in me, come se mi fossi appena risvegliato, con gli occhi inchiodati sul suo viso mentre il cellulare squillò un'altra volta.

Lessi sullo schermo distrattamente e risposi, senza perderla di vista mentre si muoveva da un piede all'altro, in attesa della sentenza.

"Sì? Sì, signora Rachel. Portatemelo oggi per una visita." Spense la lampada mentre i miei occhi la seguivano con attenzione in ogni movimento. "Prendete un appuntamento in ospedale, ci vediamo."

Riprese a resettare, poi mi osservò con fra le braccia la coperta.

"Devo partecipare a una festa stasera. Ho bisogno di un'accompagnatrice, ma non pretendo nulla. Per molte ragioni."
Mi drizzai dopo aver dato un'occhiata al portatile e lo chiusi di scatto. "Vieni con me stasera. È sufficiente che mi accompagni per due ore. E ci metterò una pietra sopra." Mi guardò interdetta, mentre stiravo le pieghe e prendevo la ventiquattro ore per infilarci delle cartelle cliniche. "Potrai pagare l'affitto. Non sarai in debito con me. Ma se rimani di nuovo qui o trasgredisci le mie regole... il contratto verrà annullato. Abbiamo un'accordo?" Chiesi chiudendo la borsa.

"Cosa intende per 'festa'?"

"Una festa con il personale ospedaliero. Non ti preoccupare per il vestito, me ne occupo io. Finisci di lavorare alle sei?"

"Sì, però..." Rispose impacciata.

"Il mio autista ti porterà dal parrucchiere. Poi, ti accompagnerà nel luogo stabilito. Ci incontreremo alle otto. Chiama Elva. Ci vediamo."

Presi la borsa a tracolla con la valigetta e uscii di fretta, senza aspettare la sua risposta. Stavo per salire in auto quando mi sentii chiamare e la vidi correre in strada, con addosso ancora il pigiama.

"Dottore... Se ha un po' di tempo, avrei un'altra richiesta." Annuii e mi porse un dischetto. "È della mia vicina. È come una sorella per me, siamo molto legate." Prese un respiro piegando la testa, come se tentasse di non mostrare le sue emozioni o gli occhi lucidi. "L'ha mostrato anche ad altri medici. Loro hanno detto che non si può fare nulla. Ma siccome lei è un luminare in questo campo, forse c'è qualcosa che si può fare, ma loro... non l'hanno visto. Me l'ha chiesto lei."

"La tua vicina?" Domandai, infilandolo nel taschino.

"Dalila ... Bela."

"Lo analizzerò oggi. Ti darò informazioni stasera. Spero che si riprenda presto."

Annuì semplicemente e alzò il palmo, mentre mi sbrigavo a salire nell'Uber.

"Numero cinque, professore!"

La segretaria balzò dalla sedia quando passai accompagnato da una schiera di medici e infermieri. Un'altra mi salutò con garbo prima di iniziare il giro di visite.

Prima una donna, poi fu il turno di un bambino.

"Apri gli occhi." Il piccolo obbedì mentre gli puntavo la luce in un occhio e poi nell'altro. "Ora, guarda in alto."

"Professore, l'anno scorso abbiamo eseguito un intervento chirurgico su Kevin. Il paziente di cui le ho mostrato le foto ieri. Ha un nodulo nel rene. Abbiamo fatto una PET* ieri. Si tratta di un piccolo tumore." M'informò il collega al mio orecchio, suscitando la paura negli occhi della donna.

"È tornato, professore?"

"No." Mi girai fulminando l'uomo. "Non c'è niente di strano, ce lo aspettavamo già." Poi guardai la donna che mi fissava, a sua volta, speranzosa. "Questo non cambierà il nostro trattamento. Continuerò con il nostro metodo."

Uscii dalla stanza e un'infermiera mi comunicò il prossimo numero sulla lista delle visite, mentre acceleravo il passo, lasciandomi dietro tutti gli altri.

"Bravo! Hai mostrato a tutti come un medico può dare la colpa a qualcuno. Quella donna era già preoccupata per il suo bambino. Mi arrendo! Non possiamo essere classificati come portatori di disgrazia, grazie a te!"
















"Mi ha detto che devo accompagnarlo alla festa e che pagherà anche il mio debito. Riesci a crederci?"

"AB... io sto parlando seriamente e tu mi prendi in giro. Dimmi la verità." Replicò dall'altra parte della cornetta, mentre pulivo il vetro della finestra.

"Non lo so, è qualcosa che ha a che fare con l'ospedale. Deve partecipare a una festa e mi ha chiesto di andare con lui." Lanciai il panno umido sul mobile e afferrai il vaso con le violette per spostarlo.

"Come? Quale invito? Chi te l'ha chiesto? Di cosa parli? Sei forse impazzita?"

Appoggiai il telefono sul davanzale e misi in viva voce: "Te lo giuro. Vuole portarmi alla cena di stasera. Non vuole andare con nessuno, ma non può andarci da solo. Mi ha chiesto di stare lì per due ore e che non ha nessuna particolare pretesa su di me."

Lei sbuffò. "È un maniaco perverso?"

"Non credo abbia tempo per questo. È un uomo molto sfuggente. Sarà circondato da donne diverse ogni settimana. Perché dovrebbe avere quel tipo di approccio con me?"

"Perché non ci porta qualche bella infermiera alla sua cenetta d'affari. Cosa vuole da te? Spacciarti per la sua ragazza e farti sfigurare davanti ai superiori?"

Sospirai con in sottofondo il rumore dell'acqua contro i piatti.

"Andrò alla cena e tornerò senza fare nulla dopo due ore, Dali. Non mettermi pressione. Devo sdebitarmi, ho dormito sul suo divano. Gli devo un favore! È un noto dottore, non è... maniaco o perverso."

"Tesoro, stai davvero per andare a una festa per medici ricconi?" Esclamò Dalila e potevo percepire la sua malizia fin dentro le ossa, mentre sghignazzava. "Cosa indosserai? Andrai in limousine come una star del cinema?"

"Non lo so, non gliel'ho chiesto. Se ne occuperà lui. Dai, stasera ti racconto. Tornerai stasera, vero?"

"Sì, sí. Dimmi..." Fece una pausa immobilizzandomi. "Gli hai dato il... CD?"

"L'ho fatto." Risposi chiudendo la manopola e rimanendo in silenzio.

"Giuralo."

"Non ti ho risposto di sì? Lo vedrà e stasera saprò qualcosa."

"Bene. Ti aspetto per stasera. Bussa alla mia porta quando arrivi, okay?"














"Doc, ti serviremo come sacrificio per Shannon?" Scherzò Dalmar facendosi strada fino alla mia postazione mentre osservavo scrupolosamente i monitor. "Gli dei chiedono un sacrificio."

"Spiacente, prenderò la mia assistente." Risposi con gli occhi incollati alla risonanza. L'uomo bofonchiò qualcosa alle mie spalle. "La colf... è molto carina, le ordinerò un vestito. Rimarremo per due ore e poi ce ne andremo. Credo sia un buon piano e se non funziona, lo accetterò."

"Che razza di uomo sei!" Esclamò spingendo leggermente la sedia girevole da cui mi ero alzato per avvicinarmi alle lastre, poi parve soffocare una risatina. "Oh Dio, cos'è quello?" Mi affiancò e osservò. "Non credo che s'immischierà in questa storia, doc."

"Hai visto? Si è sistemato in un luogo profondo questo farabutto." Strinsi leggermente gli occhi indicandoglielo con un dito. "Fai attenzione a questo. Si è già verificata un'emorragia interna." Mi portai la mano sotto il mento massaggiandolo mentre il mio amico scorreva gli occhi sui monitor. "Hanno presentato un caso simile a Londra."

"Davvero? E sono riusciti a rimuoverlo?"

"L'hanno rimosso, ma la vita di questo paziente è rimasta appesa a un filo. È un'impresa titanica e chi si vanta di averla portata a termine è solo un idiota." Mi voltai verso di lui. "E non sono ancora così pazzo da tentarla."

"Ogni sua parola è legge, doc!"

"Si può?" Esordì la castana, bussando alla porta e mi raggiunse porgendomi il giornale. "Il suo primo articolo è appena uscito. Lo firmerà più tardi, dottore. Lo incorniceremo e appenderemo."

"Certo, subito."

"Qui." Stette al gioco Dalmar indicando la scrivania con una posa buffa.

"Dottor Dalmar, dovremmo attaccare i suoi voti della scuola elementare." Alla donna scappò una risata di fronte al nostro sketch. "Le assicuro che né è orgoglioso."

"Ah, ah... che divertente. Cosa se ne potrebbe fare di un povero esperto di giornali? Non ho forse ragione, Professoressa Shannon?"

"Tu sei l'unico esperto in questo ospedale, che può ipnotizzare l'intera Irlanda. Non possiamo rischiare di perderla." Il mio amico apparve galvanizzato dai suoi complimenti, ma la donna subito si soffermò su di me. "Allora... ci vediamo stasera."

"Arrivederci." La salutai.

"Buona fortuna." Mi indirizzò un'altra occhiata fugace, poi lasciò la stanza.

"Anche a te." Dicemmo all'unisono.



-fine primo capitolo*

Vi aspetto nei commenti per poter sclerare un po' sulle nuove vicessitudini dei personaggi. Innanzitutto che ne pensate? Vi piace il primo capitolo?

Grazie per la vostra preziosa presenta, non vedo l'ora sui vostri pareri.

Lasciate qualche stellina o un commento e vi avviso già che il secondo capitolo arriverà venerdì prossimo!

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