"Come pioggia d'estate" - Briciole infide di felicità (3 capitolo/ 1 parte)

Starring

• 𝙇𝙪𝙘𝙖𝙨 𝙅. 𝙕𝙪𝙢𝙖𝙣𝙣 •
• 𝘼𝙢𝙮𝙗𝙚𝙩𝙝 𝙈𝙘𝙉𝙪𝙡𝙩𝙮 •

L'amore eterno
tra due persone
resiste a tutto.

"Domani stesso invierò la proposta al consiglio di amministrazione. Sono sicuro che non ci sarà nessun ostacolo." Annunciò allungando la mano. "Soddisfatto?"

Gli strinsi la mano. "Né sono felice."

"Mai quanto me. Quando la nomina sarà ufficiale festeggeremo con una bella cena." Ridacchiò appoggiandosi allo schienale.

"Sarà meraviglioso..." Sussurrai bevendo un sorso.

"Ora se non ti dispiace devo tornare da mia moglie." Feci un cenno con la testa, come per dargli il permesso.

"Io resterò un altro po'. Mi farà bene l'aria fresca."

"A domani. Buonanotte." Mi salutò e agguantò il cellulare e il blocchetto degli assegni oltrepassandomi mentre ero immerso nei miei pensieri, che stavolta non avevano a che fare con il mio lavoro o i miei pazienti. "Ah... Un'altra cosa." Mi voltai. "Trovo che quella ragazza sia particolarmente adorabile e meriti di essere felice. Sta' attento. I sentimenti sono infidi." Poi sghignazzò allontanandosi dal gazebo.

Unii le mani sul tavolo e sbuffai, cercando una spiegazione alla confusione, ai piccoli momenti di libertà che avevo assaporato lontano dall'ospedale. Una visione di vita così semplice e perciò non comparabile con la mia, ma stranamente esercitava una subdola influenza.


Erano le dieci del mattino quando il jet atterrò a Dublino. La festa era finita e con essa l'accordo, lei sarebbe tornata a casa mia solo per svolgere le mansioni per cui la pagavo.

Varcammo l'uscita insieme, dove ci saremmo divisi. Avevo degli impegni improrogabili e sarei rimasto lì per le prossime dodici ore.

"L'autista ti accompagnerà dove vorrai. Io andrò in ospedale con George."

Ci fermammo l'uno di fronte all'altra e alzò piano il viso stringendosi nelle spalle. "Allora, va bene. Verrò da lei domani mattina. Se ha bisogno di qualcosa mi lasci un biglietto." Annuii e  sospirò profondamente. "Comunque... grazie per questi giorni. È stato bello."

Stava per girarsi, ma la bloccai. "No. Grazie a te per tutto." Sorrise mostrando le fossette ai lati della bocca. "Passa una buona giornata, Beth."

Si accigliò. "Beth?"

Mi portai la mano sulla nuca, preso dal panico e alzai il sopracciglio. "Non ti piace? Forse... è troppo confidenziale?"

Scosse la testa e sorrise gentile.
"No. È molto carino.... E buona giornata anche a lei, dottore." Fece qualche passo verso il marciapiede e la mia bocca si spalancò senza ragione.

"Beth!" Si girò. "Allora oggi non verrai a casa mia."

"No, domani è il suo turno. Ma ripensandoci la signora Alberta non è casa, è andata a trovare sua figlia a Cordova. Se vuole faccio un salto a casa mia, mi cambio, cucino qualcosa a mia sorella e dopo vengo da lei... Anche se non serve."

Alzai il braccio. Perché non ci avevo pensato prima? Avevo tralasciato un dettaglio palese.

"In effetti, stavo per dirti che non ce n'era bisogno." Risi per sdrammatizzare e per non farle pensare che fosse una scusa per riaverla intorno. "La mia casa è pulita. Abbiamo pensato la stessa cosa! Beh, comunque..."

"Comunque?"

"Beh, ciao."

Detto questo prendemmo direzioni opposte; lei salì nella mia auto, io nell'altra in compagnia di George e sua moglie diretti verso l'ospedale.

Il lavoro era molto, stare per due giorni lontano era servito a caricarmi di nuovi referti, pazienti in entrata e interventi nel fine settimana.

"Il suo sandwich con pollo e patatine fritte dottore." Dichiarò Elva, la mia segretaria spalancando la porta per avvicinarsi alla scrivania con il vassoio.

Staccai gli occhi dall'ennesima risonanza e mi alzai. "Lo mangio fuori, Elva. Non voglio essere disturbato, ti prego. Ti lascio anche il cellulare." Lo appoggiai lì e presi la bottiglia d'acqua con il panino avvolto nell'involucro e uscii. Prima o poi, il mio cervello si sarebbe atrofizzato tra quelle mura.


"Cos'è successo? Devi dirmi tutto! Non tralasciare nessun dettaglio." Mi pregò la mora ansiosa inseguendomi come un segugio fino a fuori al cortile. "Ma guardati, hai una faccia... Non ci credo che non è successo niente. AB, mi hai inviato un messaggio e poi sei sparita. Sono quasi impazzita dalla curiosità in questi due giorni." Non aprii bocca continuando a sistemare i fiori nel vaso. Mi prese per i polsi e mi spinse per le spalle verso il tavolo. "Lascia perdere e vatti a sedere."

"Come sei insistente..."

"Sì, che lo sono! Ti vuoi decidere a raccontarmi o chiedo alla sfera di cristallo?" Mi sedetti sotto il suo sguardo seccato poi si tramutò in un'espressione maliziosa. "Non dirmi che l'hai fatto innamorare di te, AB?"

Mi venne un'idea diabolica per vendetta e le mostrai l'anello all'anulare destro.
"Mi ha chiesto di sposarlo, in realtà."

"Cosa...? Cosa!" Urlò alzando di scatto la testa con gli occhi fuori delle orbite. "T-ti ha già dato un anello? Incredibile." Mi diede una pacca amichevole sul braccio. "Ti sono bastati solo due giorni e l'hai già conquistato."

"L'ho stregato con una pozione. Tipo la maga Circe con Ulisse."

"Pazzesco! Diventerai la moglie di un dottore! Abbassò la testa e i suoi occhi si illuminarono.

Appoggiai il mento sul palmo della mano, continuando la recita.

"Ha detto che non può vivere senza di me. E ha aggiunto, "morirò se non ti avrò al mio fianco". Sarò il tuo Aladdin e tu la mia Jasmine, che ne dici di volare sul tappeto volante, eh?"

La sua espressione sognante si smorzò e mi lasciò la mano di scatto con una smorfia, mentre ridevo a crepapelle per il suo atteggiamento di prima, osservando l'anello.

"Ti odio." Affermò seccata gesticolando con le mani. "Mi stavi prendendo in giro e ci sono cascata come una sciocca! Pensavo davvero che ti avesse fatto la proposta."

Puntellai i palmi sul tavolo e balzai in piedi. "Non essere ingenua Dali! Non mi vede nemmeno. Non le interessa una come me."

Si alzò in piedi e mi venne incontro agguerrita. "Ma che stai dicendo? Una come te? Troverebbe mai una donna migliore di te, Amybeth McNulty? Perché portarti su quell'isola se non gli interessi!?"

"Ci dovrebbe essere una ragione in particolare? Il suo capo ci ha costretti. Prima che potessimo andarcene dalla festa eravamo già sul suo aereo. Il dottore non ha potuto fare nulla per evitarlo, eravamo in trappola."

"Il suo capo ha un aereo privato?" Domandò Dalila incredula.

"Possiede un'intera isola. Un aereo non è niente in confronto a un'isola."

"Però... Scusa, ma quanti soldi ha questo tizio? E... ch'è successo dopo?" Continuò con l'allegria di una bambina che ascoltava una fiaba, accostando i bordi della sua maglietta.

"Abbiamo passato la notte lì." Mi abbassai per prendere la zappa. "Siamo arrivati la mattina presto, eravamo stanchi e abbiamo dormito. Questo è tutto."

"Nella stessa camera?" Ammiccò e mi drizzai, corrugando la fronte.

"Ma che importanza vuoi che abbia se abbiamo condiviso o meno la stanza? Tra noi non è successo nulla, te lo assicuro."

"Ma che peccato..." Mi spostai i capelli dalle guance affondandolo lo strumento nel terriccio. "Credevo che ci fosse stata un'atmosfera romantica. È evidente che tu gli interessi, altrimenti perché invitarti a quella festa?"

"Sei totalmente fuori strada." Sbuffai poggiando la mano sul fianco. "L'ha fatto solo per allontanare quelle che gli corrono dietro. Mi ha usato per quello scopo, non per altro!" Alzai gli occhi. "Ma... è stato carino." Sussurrai e improvvisamente mi resi conto di aver parlato senza riflettere, scontrandomi immediatamente con la sua espressione orribilmente soddisfatta. "Cioè, grazie a lui ho avuto l'opportunità di viaggiare su un aereo. È stato bellissimo, mi piacerebbe rifarlo."

"E il... referto?" Chiese con tono malfermo avvicinandosi.

"L'ha esaminato." Dissi flebilmente con sguardo basso. "Non ha detto niente di nuovo. Le stesse cose che già sappiamo."

"AB..." Tentò di parlare, ma fu interrotta dalle urla spropositate di mia sorella entrata in casa come un uragano, pronto a spazzare via ogni momento di inquietudine.

"Sorellina! Sorellina!"

Buttò a terra il monospalla e cadere dei libri sul pavimento, ma non ci fece caso per correre nel cortile.

"Cos'è successo?" Le chiesi preoccupata.

"Sono stata ammessa!" Urlò e si tuffò nelle mie braccia, mentre saltavamo entusiaste, come non lo eravamo da così tanto tempo.

"Non posso crederci! È meraviglioso!"

Ero commossa fino alle lacrime, tutti i miei sacrifici avevano dato i suoi frutti e il cuore stava per scoppiare da quanto batteva.

Finalmente Kyla avrebbe spiccato il volo, quell'eterna bambina perennemente in lotta con i suoi traumi passati avrebbe realizzato il suo sogno più grande... a Boston.

Mi abbracciò ancora.

"Mi hanno presa! Andrò negli Stati Uniti, ci credi?"

"Non avevo alcun dubbio!" Le dissi, accarezzandole le guance mentre un sorriso le riempiva enormemente le labbra.

Ero circondato da un profumo inebriante che mi risvegliava i sensi e intanto addentavo il panino mentre sollevavo la testa per accogliere quel tepore meraviglioso.

Le luci asettiche mi ferivano gli occhi e inoltre quell'angolino mi ricordava la testolina rossa che spuntava dal cespuglio.

"Ma guarda un po' chi ho trovato. Non avrei mai immaginato che il vampiro per eccellenza avrebbe messo il naso fuori dall'ospedale per mangiare un panino in un giardino. A cosa dobbiamo l'onore... Edward Cullen?" Mi sbeffeggiò sedendosi dall'altro lato mentre mordevo il panino.

"Mi sono preso una piccola pausa. Volevo stare un po' solo."

"E posso capirti." Si sporse facendomi un occhiolino. "Tutto l'ospedale è impaziente di conoscere i dettagli della tua fuga romantica." Per poco non mi andò di traverso l'acqua e tossii, asciugandomi la bocca con il dorso. "Complimenti sono fiero di te. Non è da tutti fuggire su un'isola con la governante." Lo fulminai e si schiarí la voce per smorzare una risatina, scivolando più lontano. "Sarà meglio che mantenga le distanze. Mi sembri nervosetto oggi." Lo guardai con un sopracciglio arcuato mordendo il panino. "Va bene, non ti arrabbiare. Il tuo segreto è al sicuro con me. Nessuno lo scoprirà, stai tranquillo. Tutti la chiamano: "la donna del mistero." Si sporse all'indietro per incrociare il mio viso girato altrove. "Che ti succede?" Chiese allarmato. "Perché te ne stai in silenzio a guardare il panorama e a sognare ad occhi aperti?"

Feci spallucce. "Non è niente."

"Ma tu credi che sono nato ieri, doc? Non mi ci vuole una TAC per capire che sei diverso. Hai qualcosa. Hai sicuramente qualcosa." Mordicchiai il panino voracemente e fischiò guardandomi di sottecchi. "Aspetta... Non dirmi che ti sei innamorato."

"Ha sbagliato la diagnosi, dottor Abuzeid. Smettila." Lo rimbeccai.

"Non la smetto finché non mi dici perché stai sorridendo come un idiota e te ne stai qui ad osservare la natura."

Mi alzai in piedi e continuò ad avere un ghigno insopportabile sulla faccia. "Volevo mangiare in pace, ma con te non è mai possibile."

"Ho toccato un tasto dolente." Ridacchiò.

"Dalmar." Lo chiamai mentre mi stavo allontanando. "Secondo te, cosa avrei fatto se non fossi diventato medico?"

Mi guardò con espressione terribilmente seria e rispose.
"Magari avresti lavorato nel circo come pagliaccio."

Roteai gli occhi e mi allontanai, lasciandolo a sbellicarsi dalle risate per la sua battuta inteliggente.

Entrai nell'atrio e notai una donna dall'aria familiare che stava ritirando delle carte all'accettazione.

"Ora compriamo un bel giocattolo." Disse amorevolmente al suo bambino, prima di essere richiamata dalla segretaria, che le consegnò una cartella salutandola gentilmente.

"Bene... signor Aroon, se ne sta andando?" Strizzai l'occhio alla donna e m'inginocchiai all'altezza del piccolo.

"Sì, il dottore ci ha permesso di uscire proprio oggi... Grazie a lei." Rispose la madre riconoscente.

"Non avremmo potuto fare nulla se questo lottatore non fosse stato così forte. Ci vediamo alla visita di controllo, campione. Fino ad allora, prendi le tue medicina, fai il bravo e obbedisci sempre alla mamma. Me lo prometti?" Scosse la testa e gli arruffai i capelli. "Quando torni ci sarà una piccola sorpresa per te, Spiderman." Abbassai gli occhi sulla sua maglietta. "Oh, lo sai, che né ho visto uno così che lanciava una ragnatela? Forse nel mio ufficio ha lasciato il suo costume." Aprì le braccia sorridendo con i suoi denti da latte e mi buttò le braccia al collo. Lo strinsi leggermente e poi lo lasciai andare, rialzandomi e appoggiando la mano sulla sua testa. "A presto, campione."

Poi afferrò la manina della madre che lo condusse fuori, dove avrebbe vissuto una vita normale e spensierata come quella di altri bambini della sua età.

In tarda serata misi la chiave nella toppa e stavo per chiudere la porta, quando la voce del mio autista mi bloccò all'istante. Ero abituato ad essere scattante.

"Dottor Lucas!"

"Cos'è quello?" Domandai, additando la busta di plastica che mi stava porgendo.

"Sono le verdure della signorina Amybeth. Le ha dimenticate in macchina. Preferisce che le lasci qui o vuole che gliele riporti?"

"No. Dalle a me."

"Come desidera, dottore."

Appena entrai nel salotto gettai le chiavi con noncuranza al solito posto e notai una macchia di colore in tutto quel nero o bianco.

Fiori rosa.

Per tutto il giorno, avevo pensato a loro, alla natura, al terreno da calpestare a piedi nudi. Mi piegai sul mobile e li contemplai annusandone l'odore con un sorriso sognante.


"Dov'è Ky?" Chiese Dalila mentre tracciavo dei segni rossi su una maglietta.

"A festeggiare con gli amici." Mi spostai una ciocca caduta sulla guancia e fissai con aria critica la stoffa. "Che ne pensi? Sarà finita prima che parta? Vorrei regalarle qualcosa che le ricordi sempre casa sua e non la faccia sentire mai sola."

"È bellissimo... Massí, ce la faremo sicuramente. Non manca molto."

Osservai quella maglietta con aria malinconica e spostai lo sguardo sul disegno di Puffetta, e dei ricordi riaffiorarono dolci ma anche amari.

"Ti ricordi? Lei adorava questa maglietta. Puffetta era il suo personaggio preferito... e papà la chiamava così anche per via dei suoi capelli biondi." La sfiorai con la punta delle dita. "Da quando papà gliela comprò non ha mai voluto togliersela e aveva paura che si rovinasse persino quando mamma la lavava. Le piaceva tanto."

Dalila prese un lungo respiro e sviò il discorso. "Quando hai intenzione di dirglielo?" Tenni gli occhi bassi continuando a tagliare il tessuto. "Non ti perdonerà se lo scoprirà dopo. Lo sai com'è fatta. La conosci."

Posai le forbici.

"Deve presentare il suo progetto. Manca soltanto una settimana." La mora stava per ribattere, ma glielo impedii prontamente. "Se lo faccio adesso, sarebbe come rubarle il futuro e annientare tutte le sue possibilità." Scossi la testa e bisbigliai. "Non posso farlo. È meglio rimandare alla prossima settimana."

Il cellulare vibrò e Dalila allungò il collo mentre lo prendevo.

"Il tuo dottore! Rispondi o metterà giù!" Mi esortò con estrema frenesia, mentre gli facevo segno di stare zitta.

"Buonasera, dottore... Mi dica?"

"Beth, ehm... ciao!" Impiegò qualche secondo per rispondere. "Ho messo le tue erbe nella pentola a pressione. Quanto devono stare? Insomma... non sono uno chef stellato. E quando le hai dimenticate nell'auto?"

"Già, è vero. Certe volte, non so spiegarmi dove abbia la testa. Scusi. Ma perché le ha cotte? Avrei potuto farlo io domani mattina. Che fretta aveva?"

"Domani? Ah, che testa... Verrai domani, giusto? Beh, il frigo era vuoto e dato che non ho potuto fare la spesa, ho pensato di cuocerle e mangiarle, magari con del limone."

"Ma da quanto tempo stanno cuocendo? Ha cronometrato il tempo?"

"Circa 20 minuti." Rispose. "Ora la pentola a pressione fa un rumore strano."

"20 minuti è troppo." Decretai. "Può essere più chiaro... Che rumore sente? Quanta acqua c'ha messo?"

"Un po'. Credo due dita." Fece una pausa. "Sembra che stia per esplodere."

"Esca dalla cucina."

"Dove devo andare?"

All'improvviso ci un rumore violento e assordante dalla cornetta, e scattai in piedi coprendomi la bocca, emettendo un urlo strozzato.

"Cos'è successo? Che ha combinato?" Chiese Dalila in preda al panico.

"Lucas... Sta bene!?" Urlai. Dalila mi prese il braccio. "Non mi spaventi. Pronto! Lucas! Sta' bene?"

"Benone." Disse dopo un tempo che credevo infinito.

Mi portai la mano al petto spontaneamente per calmare i battiti accelerati. "Oh, che spavento. È successo qualcosa? Santo cielo."

"Sto bene, ma non si può dire lo stesso della cucina. Sembra che ci sia stato un bombardamento."

Guardai Dalila, che non aveva capito granché, e continuai. "Meglio che venga io. Non può farcela a pulire da solo."

"Manderò subito il mio autista a prenderti."

"Va bene. A tra poco." Staccai la chiamata e posai il cellulare sul tavolo dovendo subito abbandonare il lavoro di cucito di quella sera per soccorrere un bel cuoco imbranato. "Che disastro. Bisogna nascondere questa sorpresa prima che Kyla torni a casa. Non voglio che la veda, coraggio. Sbrighiamoci, devo andare." Dissi raccogliendo la trapunta e avvolgendola alla bell'meglio.

"E così andrai a pulirgli la cucina a quest'ora." Iniziò Dali, beccandosi un'occhiataccia da parte mia.

"La pentola a pressione è esplosa, l'hai sentito?" Mi difesi.

"Già. Che razza d'imbranato..." Fece una smorfia. Poi mi sorrise spostando le mie mani. "Dai, me ne occupo io. Ci penso io. Tu vai a farti bella per il tuo dottore imbranato." Mi strizzò un occhio prendendomi per le spalle. "Vivi come vuoi... e cogli tutte le opportunità."

Cogliere le mie opportunità?
Ma di cosa parlava?

Il campanello trillò e controllai dallo spioncino, passandomi la mano fra i ricci, prima di spalancare la porta ritrovandomi davanti il suo viso incorniciato da lunghi capelli rossi.

"Beth, accomodati."

"Salve, dottore." Ricambiò guardando l'interno del mio appartamento per poi oltrepassare la soglia.

"Mi dispiace molto averti disturbato a quest'ora."

"Non si preoccupi, fa parte del mio lavoro." La scortai verso la cucina, mostrandole il danno che avevo provocato. "Ho del mio meglio, ma sono negato in cucina." Abbozzò un sorriso e posò la borsa, andando in un'altra stanza. Mi strofinai la nuca con la mano. "Dottoressa... cosa ne pensa? La mia cucina ha qualche speranza?"

"Spero di sì." Rispose tornando armata di secchio e spazzolone.

"Ti aiuto." Dissi afferrando il manico del secchio, sfiorando di poco la sua mano.

"Posso farlo da sola."

"Non protesti mia cara signorina. Se puliamo in due, finiremo prima." Le strappai il secchio dalle mani e lo appoggiai sul ripiano, prima di sbuffare e guardare quel disastro. "Vediamo un po'. Adesso-"

"Dunque cominciamo con questa, tenga. Dobbiamo togliere queste erbe immangiabili." Spiegò mentre mi porgeva la carta da cucina.

"Immangiabili?"

Rise. "Esatto. Ormai sono bruciate, non si può fare niente."

"Comunque sono riuscito a cuocere." Dissi inclinando il viso verso le sue labbra e ridacchiò per il mio senso d'umorismo. "Nella pentola ci sono ancora. Beh, tranne quelle sul soffitto." Alzai il capo indicandole.

"Lì è ancora sporco, pulisca bene."

"Devo smetterla di giocare a fare il cuoco."

"Le consiglio di farlo se non vuole far esplodere il palazzo." Commentò facendo cadere la tazzina, che per fortuna non andò in frantumi.

Alzò la mano e sorrise con spontaneità, mentre osservavo i suoi occhi.

Non pensavo che fosse così divertente, ma con lei tutto si trasformava in qualcosa di 'naturale'.

"Sono migliorato eh?" Mi abbassai leggermente per raccoglierle e lei mi guardò a sua volta.

"Pare di sì." Rispose mentre la superavo per prendere altra carta.

"Mi scriverò al concorso per "la governante più meritevole'. Potrei addirittura vincere il primo premio."

Mi passò accanto e si sposto una ciocca dietro l'orecchio afferrando la pirofila.
"Devo lavare anche questa."

"Dammi, ci penso io." La pregai - ormai potevo dire di aver bene imparato quell'arte- . Abbandonai la carta ormai sporca e nel muoverci in sincrono sbatté contro il mio petto, con i nasi a millimetri di distanza.

Fece un passo indietro e mi fissò con le guance arrossate e la cassa toracica che andava su e giù.

Adagiai le mani sulle sue, ma si scostò subito e andò verso il lavabo per appoggiarla lì, aprendo anche il rubinetto.

Fissai le sue spalle sottili attraverso la camicia blu, poi scesi su tutta la schiena, fino alle gambe. Quando tornò compii uno sforzo immane pur di distogliere il viso e spingerlo verso il basso, sul lucido nero delle scarpe.

Ormai lo percepivo nelle vene, mi scorreva dentro come sangue e non potevo fare nulla per osteggiarlo.

Le mie sinapsi stavano andando in tilt e tutto ciò a cui pensavo era solo scoprire cosa si celasse tra quei strati di tessuto.
Stava ordinando, non facendo caso al mio sguardo attento, poi alzò piano gli occhi e li riabbassò subito.

Nessuna parola o esitazione mi impedí di afferrarle dolcemente il braccio, costringendo inevitabilmente i nostri occhi a scontrarsi.

Portai un dito sotto il suo mento per alzarglielo di più e con l'altro sfiorai il contorno delle sue labbra morbide.

Il cuore batteva così forte da superare il limite consentito e il petto si contraeva come se stessi correndo la maratona.
Vi appoggiò la mano per allontanarmi e porre distanze, ma una parte di me si rifiutava di assecondarla, di respingere quel sentimento che scoprivo più forte man mano che stavamo insieme.

La vidi trarre un sospiro dietro l'altro e presi il suo viso a coppa nelle mie mani.

Non c'era motivo di scappare.

Restammo a contemplarci senza paura, prima di sfregarle lentamente il naso e imprimere le mie labbra sulle sue. Stavo assaggiando quella felicità... che non avevo mai trovato nemmeno nell'esito positivo di un intervento.

Per la prima volta, ero completo e non avrei permesso a nessuno di rovinarlo.

Cosa avevo vissuto prima di lei?

Un'esistenza grigia, devota solo all'ospedale o ai pazienti sul filo del rasoio... e ora un'esplosione forte, quanto quella avvenuta per colpa della pentola a pressione, mi aveva travolto.

L'unica cosa che vedevo era lei. Neanche il tempo di elaborare o di respirare e fu lei a baciarmi, accarezzandomi la nuca e la mia pelle si fece rovente.

Se questo era un sogno ci sarei rimasto per l'eternità. Ma le sue dita erano reali e scivolarono fino ai miei bottoni.

Improvvisamente feci scivolare la mano sulla schiena e l'altra al di sotto delle sue gambe e si aggrappò al mio collo mentre la conducevo nella stanza.
Il bianco della luna che entrava dalla finestra rendeva i suoi occhi ancora più splendenti, mentre mi concedevo qualche istante per ammirarla.

Le sue mani minute vagavano sulla camicia che poco dopo scivolò dalle mie braccia finendo sul pavimento. Portai il viso all'altezza del suo e sollevò le braccia, affinché potessi sfilarle anche il suo di indumento. Ero così impacciato, quasi irrigidito.

Troppi pensieri mi rivoltavano il cervello, ma automaticamente svanirono quando poggiai la fronte contro la sua e ci lasciammo ricadere sul letto.

Non volevo pensare a quello che sarebbe successo da lì in avanti, ero solo felice di stringerla e amarla per il resto della notte.


Non ero tornata a casa e non c'erano le pareti blu della mia stanza. Mi voltai di schiena e guardai il soffitto realizzando quello ch'era accaduto. Avevo perso il mio cuore oltre che il cervello. Le barriere erano cadute nel vuoto, ero spoglia e debole e non avevo la forza di mettermi seduta. Guardai in basso e ruotai il collo verso la piazza opposta, ma il riccio non c'era. Mi tirai a sedere abbracciandomi il corpo con le braccia.
"Lucas..."

Aspettai senza sosta, ma in quell'appartamento ero da sola e terribilmente combattuta. Quando mi guardai allo specchio, una lacrima mi rigò la guancia e accarezzai il mio riflesso con la punta delle dita.

"Non può succedere." Sussurrai spingendo la fronte sul vetro e altre lacrime scivolarono al di sotto del collo.

"Pinze!" Ordinai con fermezza spostando gli occhi dalla telecamera, per poi inclinare il binocolo verso destra. Lanciai un'occhiataccia a uno dei tirocinanti che mi aveva appena allungato l'oggetto sbagliato con atteggiamento quasi disinteressato. "Siamo chirurgi, maledizione! Ti ho chiesto le pinze, tu guarda cosa mi hai dato? Siamo in una sala operatoria oppure dal macellaio! Questa è un'operazione al cervello!" Urlai irritato scaraventandolo sul pavimento mentre intorno a me regnava il gelo. Spostai lo sguardo sull'altro chirurgo. "E tu stai a guardare e non la correggi! Sveglia!"

Guardai ancora la telecamera, cercando di recuperare la concentrazione.

Odiavo essere circondato da incapaci.

Un minimo errore avrebbe compromesso la situazione e non ammettevo alcuna distrazione.

Persino l'angolino immerso nella natura non mi soddisfava né cancellava il malumore che mi attanagliava.

Pensavo a lei nell'appartamento, a quel mancato risveglio, alla nota che non le avevo lasciato perché non volevo fosse come tutte le volte. Osservai il suo viso attraverso l'unica foto scattata sull'isola.

"Questa ragazza è un incanto." Esordí il mio amico sedendosi e porgendomi un bicchiere di plastica. "Anch'io sono rimasto colpito quella sera alla festa." Non gli risposi, immerso nei miei pensieri e con gli occhi persi nel vuoto. "Non c'è bisogno nemmeno che te lo dica. È una brava ragazza. Non devi giocare con i suoi sentimenti."

"Abbiamo fatto l'amore ieri sera." Dissi di getto e trassi un sospiro strofinandomi la faccia, mentre Dalmar a stento aprí bocca.

Quella sera, stavo smanettando sulla tastiera, quando il trillo del campanello mi distraette dalla pagina bianca che speravo di riempire al più presto.

Andai ad aprire e rimasi fermo a guardare accigliato la persona che si era presentata senza avvisare.

"Sorpresa... Lucas!" Esultò mostrandomi una bottiglia.

"Shannon? Accomodati." Mi feci da parte ed entrò senza farselo ripetere una seconda volta.

"Mi hai detto che avresti lavorato al tuo articolo da casa e... ho pensato di farti compagnia e intanto potremmo bere del vino." Me la allungò con un sorriso.

"Preferisco tenermi sveglio con un caffè, ma grazie. Vado a prenderti un bicchiere, tu intanto siediti."

"Con piacere." Rispose passeggiando nell'open space con disinvoltura, mentre afferravo il cellulare e aprii velocemente la chat di WhatsApp.

«𝐸𝑙𝑣𝑎, 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑛𝑡𝑎 𝑢𝑛'𝑒𝑚𝑒𝑟𝑔𝑒𝑛𝑧𝑎!».

Infilai il cellulare nella tasca.

"Hai una casa molto bella."

Posai la bottiglia e presi un bicchiere dalla credenza. "Ti ringrazio. Ma l'ambiente è un po' spoglio...."

"Se non ricordo male, non abbiamo ancora festeggiato come si deve il tuo nuovo incarico." Mi ricordò con espressione maliziosa e le rivolsi un sorriso tirato avvicinandomi con il calice e porgendoglielo.

"Ecco a te."

"Brindiamo al continuo dei suoi successi, dottor Lucas Jade Zumann. Spero caldamente che la collaborazione continui per molti anni con il nostro ospedale."

"Non chiamiamola 'collaborazione'." Feci tintinnare la tazza con il suo bicchiere, mentre speravo in silenzio di terminare quei festeggiamenti. Le mie preghiere furono accolte quando il cellulare squillò. "Scusa. Dimmi Elva."

"Dottore, un paziente che soffre di emicranie è venuto al pronto soccorso ed è in pessime condizioni. Ha bisogno urgentemente di fare una risonanza."

"Tra quindici minuti sarò lì. Fa' preparare il paziente." Rispose e staccammo mentre la castana arricciò la fronte. "Il dovere mi chiama, dobbiamo sospendere i festeggiamenti. Sono spiacente." Mi alzai in fretta dal divano e chiusi il portatile afferrando anche la giacca. "Tu fa' pure con calma. Chiudi la porta quando te ne vai."

Poggiò la mano sulla gamba leggermente scoperta.

"È la vita di ogni medico e si sa che non c'è medico più dedito al lavoro di un chirurgo."

"Sei sempre gentile, come al solito."

"Per te sempre, dottor Zumann."

"Buonanotte."

"Buona fortuna!" Mi urlò alle spalle. Presi le chiavi e uscii dalla porta, finalmente libero dalle sue grinfie.
Purtroppo non mi restò che andare in ospedale, visto l'impossibilità di tornare a casa.

Mentre salivo le scale in un atrio quasi deserto, una figura femminile si stava avvicinando.

"Dottore!"

"Elva! Che cosa ci fai qui?" Chiesi.

"Mia madre non si è sentita bene e l'ho accompagnata al pronto soccorso. È stato un piccolo malore. Sta' andando nel suo ufficio?"

"È il posto migliore per lavorare indisturbato." Le sorrisi con riconoscenza. "Grazie per avermi chiamato, mi hai salvato la vita."

Sorrise, di rimando.
"Non c'è problema."

"Spero che guarisca presto tua madre." Appoggiai la mano sulla sua spalla.

"Grazie."

Poi ci separammo; lei uscì, io mi recai nell'ufficio, l'unico posto dove ero in pace e potevo rilassarmi.

La porta si aprí e mia sorella comparve alla porta, distraendomi da cupi pensieri. Probabilmente era così eccitata per il viaggio negli Stati Uniti da non riuscire a conciliare il sonno.

Mi raggiunse e balzò sul petto sistemando il suo cuscino accanto al mio.

"Piccola! Cosa c'è?" Sussurrai e si sdraiò abbracciandomi e adagiando la testa sul mio petto.

"Non riesco a dormire..."

"Perché?" Chiesi.

"Per l'eccitazione. Non capita tutti i giorni di partire per gli Stati Uniti." Le schioccai un bacio sulla testa accarezzandole delicatamente i capelli. "Vedrai, sarà stupendo. Dopo la laurea comprerò un bellissimo e gigantesco appartamento e... verrai anche tu. Mi cercherò subito un lavoretto part-time, e tu potrai finalmente rilassarti. Non dovrai spaccarti la schiena giorno e notte per un misero salario, sorellina."

"Mi piace quello che faccio." Abbassai leggermente la testa facendo scorrere la mano sulla sua schiena. "Tu non devi preoccuparti di questo."

Si rannicchiò e strinse di più le braccia attorno al mio corpo, come se potessi svanire da un momento all'altro.
"Il mio angelo. Non ti lamenti mai." Farfugliò prima di addormentarsi.
Qualsiasi cosa avrei potuto aggiungere riuscii a soffocarla nel profondo.


Aprii la porta del suo appartamento e mi trovai davanti una donna spuntata dal corridoio. Con la mano ancorata alla maniglia la squadrai dalla testa ai piedi, e dovevo ammettere ch'era molto attraente e sofisticata.

"Buongiorno."

"Buongiorno." Mi limitai a dire, anche se avrei voluto aggiungere altro, ma non lo feci.

"Lucas è in ospedale. Io stavo per andare. Puoi ripulire adesso, è per questo che lui ti paga, no?" Si avvicinò a pochi centimetri dal mio volto e sputò. "Sai ieri abbiamo fatto baldoria, era da molto che non stavamo così bene." Abbassai gli occhi e mi feci da parte per farla passare. Esibí un altro sorriso maligno mentre era sulla soglia. "Ho parlato con la signora Melanie. Lucas è sempre il solito, vero? Gli piacciono tutte. Ma davvero pensavi che-" Si fermò e rise, sarcastica fino al midollo. "Beh, ti lascio. Buona giornata."

Appena andò via, chiusi la porta e guardai in direzione del corridoio confusa. Avanzai verso il mobile e ci posai le chiavi, dirigendomi spedita verso la sua camera.

Il letto era completamente sfatto e c'era adagiato un intimo rosso. Camminai fin lì con il cuore gonfio d'angoscia e afferrai il biglietto.

Leggere quelle parole che le aveva scritto era come essere colpita senza sosta da pugnalate.

Lo gettai sul letto e corsi fuori e percorsi il corridoio tramortita.
Piansi, avevo gli occhi offuscati dalle lacrime e il cuore stava cadendo a pezzi. Stavo camminando sui carboni ardenti, le gambe stavano per vedermi al suolo e mi aggrappai al muro.

Avevo perso tutto.

Singhiozzai ininterrottamente e quasi mi mancò il fiato per qualche secondo. Mi fiondai alla porta, rifiutandomi di pulire i residui della sua notte brava.

Era andato con un'altra.
Cos'ero stata?

Un passatempo?
Un giocattolo?
Una preda facile?

Non sarei rimasta. Dovevo strapparmi dal petto quel sentimento e chiudere quel capitolo. Ormai non importava.














Ci troviamo alla prima parte del terzo capitolo e dopo quei momenti così passionali - Lucamy è reale anche qui e beh sì, hanno fatto l'amore... (spero di averli descritti con il giusto tatto, se non è così vi prego di perdonarmi, ma loro li immagini dolcissimi in queste scene sensuali).

Ancora una volta Lucas dà prova di dover stare a chilometri di distanza da una cucina... e questo ha permesso un avvicinamento molto particolare tra i due.

Ma ecco che s'intromette la cavalla a rovinare il loro rapporto, facendole credere cose non veritiere.

Cosa succederà quando Lucas verrà a scoprire che Shannon ha ingannato la nostra rossa?

Correrà a scusarsi?
Come avete potuto leggere, entrambi sono provati e confusi... dalla notte d'amore che hanno trascorso, e questo perché tutti e due stanno diventando indispensabili l'uno per l'altra.
So che lo stavate attendendo da venerdì, ma comprendetemi, scrivere così tanto e a volte avere dei giorni di scrittura "no" non semplifica il lavoro, ma spero comunque che l'attesa sia stata ripagata. Se vi piace ovviamente lasciate qualche stellina o un commento. E ci vediamo alla seconda parte di "Come pioggia d'estate", capitolo tre, e vi anticipo che ci sarà da soffrire un pochino.

Preparatevi.

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