Christmas Love: (Un desiderio sotto le stelle di Natale) - 2 capitolo
Per il ciclo:
"𝘊𝘩𝘳𝘪𝘴𝘵𝘮𝘢𝘴 𝘓𝘰𝘷𝘦"
𝙐𝙉 𝘿𝙀𝙎𝙄𝘿𝙀𝙍𝙄𝙊
𝙎𝙊𝙏𝙏𝙊 𝙇𝙀 𝙎𝙏𝙀𝙇𝙇𝙀 𝘿𝙄 𝙉𝘼𝙏𝘼𝙇𝙀.
2 capitolo.
Il buio, il vuoto, non avere il controllo... per una persona con la mia indole era un qualcosa di anormale.
Anzi mi spaventava a morte.
Pian piano i miei sensi riaffiorarono, percepivo il mio corpo disteso su qualcosa di morbido, forse un letto, e riuscivo anche a masticarmi il labbro come mia abitudine.
Amybeth, allora sei viva!
Spalancai prima un occhio e poi l'altro, scontrandomi con ogni particolare della camera. Le pareti erano di un raccapricciante grigio cenere, le due poltrone bordeaux e, sì, c'era una finestra rigorosamente sprangata.
Avevo la gola secca, cercai di tirarmi su ancora tramortita, quando tre persone in piedi ai lati mi fecero letteralmente sobbalzare. Dai loro visi si scorgeva preoccupazione, ma anche un dilagante sollievo.
"Amybeth. Tesoro!" Esordí mia madre con una vocina stridula e imbarazzante, come se fossi stata in punto di morte.
È ridicolo. Dai...
"Grazie a Dio. Ci hai spaventati a morte." Aggiunse Dalila.
"Ehi..." Sussurrò il riccio al fianco di mia sorella. "Come ti senti?" Chiese dolcemente e senza ulteriori spiegazioni si piegò per darmi un bacio.
"C-Che cosa fai? Sei impazzito?" Azzardai ponendo la mano sul suo petto per sottrarmi in tempo da quel tocco.
Mi guardò stranito e arcuò il sopracciglio.
Non guardarmi così e non fare quell'espressione da cucciolo abbandonato, mi fai solo imbestialire.
"Come? Un uomo non può baciare la propria moglie?" Mi punzecchiò la mora.
"Tsk. Moglie?" Ripetei con sarcasmo misto a incredulità. "Noi... Non siamo sposati."
A meno che non mi sia ubriacata e l'abbia trascinato a Las Vegas per un matrimonio lampo, sono perfettamente convinta che lui non è mio marito.
"Dove vive, Amybeth?" Chiese una dottoressa, spuntata all'improvviso.
"Dublino... O'Connell Street."
La dottoressa osservò la cartella confusa. "Dublino? E dove lavora?"
Cos'è un interrogatorio in piena regola?
"Sono il vicepresidente operativo della Save Now."
"Il nome completo?" Continuò.
"Beth... Cioè Amybeth McNulty." Sbattei le palpebre. "Scusi? Ma perché mi fa tutte queste domande? Sembra di stare in una centrale di polizia."
"Amybeth Zumann." Lucas la spostò con una manata e si sedette sul letto. "E viviamo a Donegal. Proprio qui."
Sgranai gli occhi quando prese la mia mano e mi mostrò quel bellissimo anello, che mi accerchiava l'anulare.
"Cosa?!" Lo fissai sbalordita e poi riportai gli occhi su di lui, che sorrideva come un ebete.
Non può essere.
Che razza di incubo è?
Devo aver sicuramente sbattuto la testa poco fa. Ecco, ora sono io che non ho capito un tubo di quello ch'è successo...
Mi alzai da sopra il cuscino lentamente sghignazzando e spostai nel frattempo anche il lenzuolo.
"Okay... Non so a che gioco state giocando, ma oggi non è il pesce d'aprile e siamo abbastanza maturi per dei giochetti stupidi."
"Tesoro, hai preso un colpo in testa. Ovviamente più forte di quanto pensassimo. Cerca di rilassarti." Mi disse premuroso il riccio.
Giuro che non dirò mai più ai bambini che Babbo Natale non esiste!
"Davvero non sa chi siano queste persone?" S'intromise la dottoressa.
"Oh, lo so benissimo chi sono. Solo che non sono sposata e non vivo a Donegal! Santo cielo!" Sbottai.
"Signora Zumann... è normale che adesso ha le idee un po' confuse, questo perché soffre di una sorte di allucinazione dovuta al trauma cranico. Deve sdraiarsi e farsi esaminare."
"Quello che devo fare è uscire di qui. Ecco quello che devo fare!" Mi rimisi in piedi, prendendo la vestaglia lí vicino infilando anche le ciabatte. "Insomma lo so che non volete il megastore, ma questo è fuori da qualsiasi logica."
"Amybeth, davvero pensi di non essere sposata? Di abitare a Dublino e lavorare per l'azienda che hai detto?" Chiese mia madre avvicinandosi e la scansai.
"Sono stufa delle vostre farneticazioni e non ho tempo da perdere, ok."
"Amybeth, torna a letto." Mi pregò Lucas mentre oltrepassavo la porta.
Mi voltai indignata, allacciando il nodo della vestaglia. "Devo fare pipì. L'Amybeth sposata non può fare la pipì?"
"Posso accompagnarti?" Si offrí ancora Lucas, cercando di seguirmi.
"Tua moglie è assolutamente in grado di abbassarsi i pantaloni da sola."
Grugnii, voltandomi per raggiungere il bagno.
Un incubo non durava così tanto, prima o poi doveva sparire.
Non ero pazza, semplicemente troppo stressata per distinguere tra fantasia e realtà.
Mi catapultai dentro e mi fiondai allo specchio, aprendo il rubinetto. L'acqua che scorreva nel tubo di scarico mi avrebbe aiutata a riflettere.
"Ok. Ok. Un brutto sogno. Orribile! Peggio di quello che accade negli stupidi filmetti natalizi." Mi schiaffeggiai le guance, ma quando aprii gli occhi mi ritrovai nuovamente dinanzi allo specchio e alla mia faccia stravolta. "No, è realtà. Ok... È uno scherzo, uno scherzo certo! Sono pazzi. Sono tutti usciti fuori di testa." Mi spinsi contro il vetro alzando l'indice contro il mio riflesso e mormorai. "Tu non sei pazza. Tu non sei pazza." Il mio rituale fu interrotto dai colpi sulla porta.
"Beth?"
"Solo un minuto." Farfugliai.
Poggiai le mani ai lati del muro traendo un sospiro e nel girarmi notai una finestra. Un particolare a cui non avevo fatto caso appena entrata.
Gettai un'occhiata alla porta chiusa; mia sorella non se ne sarebbe stata buona a lungo là fuori ad aspettarmi e colsi al volo quell'opportunità.
L'aprii e saltai giù, attutendo la caduta grazie alla neve.
Corsi fuori sulla rampa esterna, rischiando di investire molte persone, come se stessi seminando un esercito di zombi. Varcai l'uscita con addosso il pigiama e adocchiai l'auto della mamma, trovando le chiavi infilate nel quadro. Purtroppo era un suo difetto.
"Grazie, mamma."
Premetti sull'acceleratore e partii a gran velocità. Mi girai per controllare se mi stessero seguendo e un sorriso sornione mi curvò le labbra.
Non mi avrebbe mai trovata.
Non avrebbe mai potuto scoprire il mio indirizzo di casa e non sapeva neppure dove fossi diretta.
Arrivata in azienda di buona lena, salii le scale mobili senza aspettare che fossero loro a trascinarmici. Ma avevo bisogno di ritrovare la mia normalità.
Al mio passaggio molte persone smisero di parlottare, lanciandomi degli sguardi sbalorditi.
"Ti sei tagliata i capelli? Stai bene" Chiesi a una delle collaboratrici passando accanto. Proseguii fino al corridoio trovandoci finalmente il mio assistente. Un volto familiare. "Aymeric!" Urlai.
"Qualcuno è in ritardo."
Cercai di prendere fiato dopo quella corsa forsennata. "Lo so, lo so... Stavano cercando di farmi uno scherzo. Tutta la mia famiglia era d'accordo. Non so, avranno inaugurato una nuova tradizione natalizia."
"Ho una tonnellata di cose da archiviare, ma adesso mi serve al telefono." Replicò dandomi le spalle e alzando un braccio sotto il mio naso.
"Telefono?" Ripetei, sventolando la mano come a dire lascia perdere. "Senti, dov'è il direttore? Devo parlargli. C'è un problema con il voto del consiglio comunale. È molto importante. Chiamalo."
"E quelli del personale hanno mandato te?"
Mi squadrò da capo a piedi e abbassai gli occhi sul mio imbarazzante outfit.
"No, lo so. È davvero... Ma non ti preoccupare, è una storia lunga. Ho altri vestiti nel mio ufficio." Dissi sorpassandolo.
"Oh, senta, signora!" Mi richiamò sbarrandomi la strada e lo guardai in cagnesco.
"Wow... Aymeric. Signora?! Sono il tuo capo." Cercai di smarcarlo, ma lui me lo evitò prontamente tenendo le mani avanti. "Oh, ma dai. È così che vuoi fare? Oh, guarda uno scoiattolo!" Esclamai indicandogli un punto con la mano e lui si voltò permettendomi di scivolargli sotto le gambe.
"Sicurezza!" Tuonò.
Battei dei colpi sulla porta muovendo disperatamente la maniglia, ma non si aprì.
Poi vidi quella targhetta affissa con il nome e cognome del mio assistente, e mi cadde il mondo addosso.
Tutto ciò per cui avevo lavorato non esisteva più. I miei sogni erano finiti in un inceneritore. Che n'era stato del mio futuro brillante?
"Aymeric! Lo sapevo che miravi al mio posto, ma è ancora un po' prestino non credi?"
"Per favore, qualcuno può chiamare la sicurezza!" Sbraitò mentre sfogavo la frustrazione su quella maniglia continuando a strattonarla. "C'è una pazza che si aggira per il corridoio."
"Pazza lo dici a tua sorella, Montaz!"
Due uomini armati fino al collo ci stavano raggiungendo e cercai di scappare, ma prima che potessi tornare indietro, fui circondata e quel traditore li aveva anche aiutati, come se non bastasse.
"Ok, ragazzi, non possiamo... oh, cavolo." Ormai circondata e braccata, non mi restò che scappare, lanciandogli un ultimo avviso. "Chiamerò quelle delle risorse umane!"
Rifeci la strada a ritroso, inseguita come se fossi stata una criminale evasa da qualche carcere di alta sicurezza.
Mi fiondai giù per le scale mobili, ma uno dei due mi anticipò scendendo con l'altra e mi afferrarono di peso per entrambe le braccia per sbattermi fuori dall'edificio.
"Toglietemi le mani di dosso, facce da carote lesse! O giuro che vi denuncio!"
Come hanno potuto trattare così una signora? Non hanno proprio tatto.
Camminai per la città con aria sconsolata e giunsi dinanzi a un altro edificio, trovandomi di fronte a un altro ostacolo. Per entrare serviva il pass.
Frugai nelle tasche, ma non l'avevo con me, quindi approfittai di un signore e feci il mio ingresso alla chitichella.
Dal corridoio vidi giungere Louis Hynes, l'uomo con cui avevo avuto varie occasioni, e che sicuramente si ricordava dalla mia faccia.
"Oh, Louis! Grazie al cielo. Che bello! Non posso essere arrivati fino a noi. Non sanno niente di voi. Non vi conoscono proprio." Esclamai saltellando quasi sul posto e fermandomi di fronte a lui e alla biondina in sua compagnia.
Kyla?
"Mi dispiace, non credo che ci conosciamo. Ha sicuramente preso un granchio." Prese parola lui.
Mi era venuto un terribile mal di testa, a momenti stava per esplodermi.
"Sono andata a casa, a Donegal... e ho avuto un incidente. Devo aver battuto la testa sulle scale, e allora tutti hanno cominciato a fingere di non conoscermi. Insomma come se fosse un elaborato piano per non costruire un megastore nella città. Non so... Uno scherzo di Natale."
"Chi è lei?" Tagliò corto.
"Già, chi è lei Louis?" Domandò innervosita.
"Kyla, ehi! Sono io, Amybeth. La tua migliore amica." La biondina scosse la testa e mi rivolsi all'altro. "Senti, mi dispiace. Avrei dovuto accettare di fare colazione insieme. Di sicuro sarebbe stata una cosa buonissima, come una frittata, delle strane brioche...." Gli sorrisi e accarezzai il suo petto parlandogli con voce più bassa. "La prossima volta lo farò, ok?"
Si voltò e alzò le mani.
"Kyla io-" gli lanciò uno sguardo omicida assestandogli una sberla così forte da smontargli la mascella.
"Accidenti, come siamo nervosi. Kyla, sai una cosa? Potevi aspettare almeno un paio di settimane, prima di fare la tua mossa. È il codice d'onore." Le ricordai prima che uscisse dall'edificio e che lui la seguisse come un cagnolino per farsi perdonare. "Ehi, ragazzi..."
Mi trovai a vagare in pigiama con aria affranta, non riuscendo a capire il senso di quella visione e dove fosse finita la mia vita precedente. Non poteva essere stata cancellata con un colpo di spugna dalla mente di tutti.
Adocchiai una panchina e mi sedetti. Lo schienale era gelido e un brivido mi attraversò la schiena. Misi le mani a mo' di coppa e le riscaldai con il fiato. All'improvviso una canzoncina proveniente da una radio mi riscosse; era proprio a pochi passi ed effettivamente un uomo si era preso la briga di farmi compagnia. Sbuffai notando che indossava la divisa di Babbo Natale, imbottita di lana.
Lui si che non sarebbe morto assiderato.
Lo guardai con la coda dell'occhio e aveva una campanella attaccata alla cintura, una folta barba bianca e degli occhiali posati delicatamente sulla punta del naso.
Poteva trarre in inganno qualsiasi bambino con quel travestimento.
Tirò il sacco vicino a sé e si voltò.
"Cos'è successo, cara?"
Alzai gli occhi. "E a lei cosa importa?" Ringhiai e sarei voluta fuggire, ma avevo i piedi incollati all'asfalto. "Non posso mica dire i miei problemi a uno travestito da finto Babbo Natale?"
Ridacchiò, facendomi saltare i nervi mentre giocava con la campanella che tintinnava.
"Ha ragione, ma dopo tanti anni ho imparato a leggere i silenzi delle persone e ciò che stanno pensando."
Guardai in basso.
"Rivoglio la mia vecchia vita, che torni tutto come prima".
L'uomo sospirò. "Piccola Beth, dovresti capire quello che vorresti essere per riavere indietro ciò che hai perso. Devi fare ordine nella tua testolina." I nostri occhi si scontrarono, erano così limpidi che sembravano scavarti dentro. Poi posò la mano grande all'altezza del petto. "E nel tuo cuoricino... solo così conoscerai il sentiero a te destinato."
"Non capisco. Ma lei come fa?" Mi dissi coprendomi il viso con le mani, per poi rendermi conto che si era volatizzato. "A saperlo." Sussurrai guardandomi attorno frastornata.
"Beth!" Urlò Lucas correndo più veloce che poteva, mentre mi maledivo in cinese. Almeno quello non l'avevo dimenticato.
"Beth!" S'inginocchiò ai miei piedi. "Tutto bene?" Gli feci un cenno con la testa e tirò un sospiro di sollievo. "Non... Non puoi scappare via così ok? Hai battuto la testa e sei ancora convalescente" Mi rimproverò.
"C-Cosa... Dovrei forse credere che tutto quello che mi ricordo. Tutta la mia vita sia stata frutto di un'illusione provocata da un trauma cranico?"
Scosse la testa, rialzandola e guardandomi. "No, non tutta la tua vita. Solo... Solo questa parte, credo."
"Ah, grazie. Ora si che sono più tranquilla!"
"Ho parlato con il medico e mi ha detto che ti tornerà presto la memoria. Basta solo una piccola scintilla a far scattare il resto." Ribatté e si rimise in piedi prendendomi le mani. "Ti porto a casa adesso. Andiamo."
Ma evitai quel contatto.
"Ce la faccio benissimo da sola."
"Va bene." Sussurrò. Mi alzai ed eravamo l'uno di fronte all'altra. Strinsi il nodo della vestaglia e osservai intorno nella speranza di rivedere quell'uomo. "Che c'è? Hai visto qualcosa? Ti ricordi qualcosa?"
"No. Continuo a pensare di vivere in incubo. Ho in testa una tale confusione." piagnucolai e un altro brivido mi attraversò la spina dorsale, facendomi sussultare e mettere le mani nelle tasche.
"Hai freddo? Tieni..."
Mi pose sulle spalle il suo cappotto e sfregò le mani sulle braccia per scaldarmi, ma quel contatto mi creò disagio e me ne sbarazzai in fretta, scostandolo bruscamente per raggiungere il suo suv.
Imboccammo il cancello dall'aria antica e parcheggiò, iniziando a salire i primi scalini, mentre mi ero fermata ad osservare l'altra auto.
"Oh, cielo. Non dirmi che abbiamo dei figli." Chiesi con disgusto.
"Non ancora, ma un cane vale lo stesso."
Feci una smorfia. "Ha senso."
Mi condusse all'ingresso e posò le chiavi sul primo mobile che gli capitò sotto il naso mentre mi toglievo il cappotto. Poi esclamò con le mani a mo' di altoparlante.
"Prince! Bello. Siamo a casa!"
Un cane di media grandezza scattò dalla cucina, con la sua coda svolazzante e la lingua all'infuori, e mi si avventò contro buttandomi per terra.
Iniziò a leccarmi tutto il viso.
"Basta. Basta... mi fai il solletico." cercai di dire ansimando per le troppe risate portando le mani all'altezza del collo e solleticando i suoi peli setosi. "Sei contento di rivedermi?"
"Direi di sì." Rispose il riccio accovacciandosi e accarezzando la testolina, a lui piaceva molto visto che scodinzolava di più. "Sei la sua padrona e ti è molto affezionato."
"Lui com'è arrivato qui?" Chiesi di getto mentre le nostre mani accarezzavano lo stesso punto.
"È stato abbandonato ed è finito nel canile, e visto che non abbiamo ancora bambini e tu lo desideravi... te l'ho regalato per il nostro primo Natale."
"E il nome l'ho scelto io?" Domandai.
"Sì, lui è il principe, è molto vanitoso. E pensavi fosse perfetto per descriverlo."
Il telefono squillò e lui andò a rispondere, scusandosi, e lasciandomi in compagnia dell'adorabile palla di pelo che accarezzavo.
"Siamo appena arrivati. Vedrai starà bene. Credo abbia solo bisogno di tempo per schiarirsi le idee. Passiamo più tardi. Ok, ciao." Tagliò corto, poi tornò da me e mi rimisi in piedi, lasciando libero Prince di scorrazzarci intorno. "Quello è per la grande inaugurazione. Abbiamo quasi finito i lavori. Manca poco."
"Qui è dove ho battuto la testa."
"Sì, è esattamente qui che sei scivolata e caduta. Che altro ti ricordi?" M'incitò ma nonostante guardassi da cima a fondo quella maledetta scalinata, la mia testa era offuscata e niente era palpabile. "Cosa ti ricordi di noi due?"
Lo guardai in cagnesco e gettai a terra il cappotto, dirigendomi verso la cucina. E lui mi seguí a ruota.
Ogni parete era disseminata delle nostre foto, dov'eravamo felici e innamorati, come se nulla fosse cambiato.
Quel sentimento non era mai stato spento dentro di noi, eppure ero talmente sprovvista di ricordi passati che faticavo a crederlo.
"Mi ricordo tutto. Da dove vuoi che cominci? Siamo stati insieme per tutto il liceo, ci siamo fidanzati al college. Andava tutto bene, pensavo che fossi la mia anima gemella e invece... Quell'offerta di lavoro a Dublino ha cambiato i miei piani, tu non volevi seguirmi. Mi hai spronato a fare ciò che sentivo, volevi vedermi felice... e ho deciso di accettare il posto, così abbiamo rotto e ci siamo lasciati."
Afferrai quel portafoto, e quella foto ingiallita dal tempo ci ritraeva giovani e felici, abbracciati, ignorando ciò che ci avrebbe spezzato poi... in futuro.
"Ok." Mi raggiunse sul divano e me la prese dalle mani, sfiorando il mio volto con il polpastrello sorridendo. "Ma sei tornata e ci siamo sposati. Siamo diventati i proprietari di questa splendida casa, che tuo padre voleva che andasse a te e apriremo presto l'albergo."
"No. Non sono tornata. Tu mi hai odiata e io ho disprezzato te per anni." Agguantai il portafoto, abbracciandolo e spingendomelo sul petto.
"Sì, invece." Insisté scivolando più vicino. "È stato subito dopo la morte di tuo padre, e sei rimasta. Ti ricordi?"
"No, è stato proprio quello che mi ha convinta a partire. Dovevo andare all'estero per lavoro e mia madre mi disse di non preoccuparmi, che stava bene. Non abbiamo mai aggiustato le cose fra di noi, non mi hai parlato nemmeno dopo il funerale."
"Non essere ridicola. Tua madre era distrutta e non hai avuto il coraggio di girare le spalle come un'egoista. Insomma... quale figlia lascerebbe sola la madre che ha appena perso l'amore della sua vita?"
Abbassai la testa colpevole, sentendo bruciarmi addosso quegli occhi color miele.
"Una pessima figlia. Dillo pure."
****
"Chiaramente ci vorrà del tempo. Non devi sforzarti. Presto starai bene, vedrai." Continuò mentre camminavamo. Osservai quelle vie, ma non mi venne in mente nulla. "Ehi." Mi frenò afferrando le mie mani, mentre lo guardavo. "Tu sei la mia dolce, Beth. Lo sai? E questo è l'unica cosa sicura al mondo."
Sbuffai slegandole subito. "Senti, quante volte devo dirtelo? Non devi chiamarmi così."
"Ammetto che chiamarti Beth mi fece guadagnare un quaderno sulla faccia al liceo, ma tu l'hai sempre adorato." Rispose sorpassandomi per aprire la porta con modi da cavaliere.
Girasole caffè.
Decisamente originale.
"Ecco... Ora sono certa di avere le allucinazioni."
Cos'è questo obbrobrio?
Lo precedetti varcando la porta ascoltando quella musichetta snervante di quell'omino e notai l'intero perimetro ricoperto di ornamenti verdi, muschio, vischio; sfilai il cappello sbalordita e lui si offrì di prendermi il cappotto.
"Grazie."
"Non c'è di che."
Esplorai il locale come un'intrusa. Il riccio mi seguiva a debita distanza, dandomi il tempo di metabolizzare.
Sul bancone notai anche diverse foto che mi ritraevano con un grembiule e aguzzai la vista sporgendomi di più.
"Amybeth, dovresti riposarti." Mi ricordò per la millionesima volta mia madre all'orecchio, facendomi drizzare.
"Sì, mi riposo."
Poi si avvicinò a Lucas.
"Allora ha ricordato?"
"Non ho perso l'udito, mamma."
"Tesoro, prova un po' di tè al ginko biloba. Fa bene alla memoria." Mi suggerí mentre facevo il giro, passando fra i tavoli.
"Hey, Beth. Noi abbiamo finito qui." Mi richiamò una cliente con fare amichevole.
"Hey... tu." Azzardai stropicciando un panno. "Era... buona?" Annuì e indicò la tavola. "Oh... vuoi che prenda? Okay... Ti do' una mano, certo."
Mi avvicinai per pulire i residui e mi recai al bancone per appoggiarli da qualche parte.
Non ero mica una cameriera?
Oh, sì?
"Posso averne ancora un po', piccola?" Chiese un uomo dall'aria sfacciata. Una donna nel frattempo mi tolse i piatti dalle mani mentre l altro continuò. "La raccolta alimentare è già pari all'anno scorso. Patty dice che sei una santa e anche io. Grazie di aver convinto Alexander a togliere il divieto per gli alcolici."
"Figurati." Risposi, allontandomi un po' da tutta quella pressione.
"La padrona ha il giorno libero ora." Dichiarò mia madre arrivando con alle calcagna il riccio.
"Aspetta, questo locale è mio?"
Lucas si schiarí la voce.
"Si, certo. Infatti-" Prese qualcosa da sotto il bancone e me lo mostrò.
"Una catena di dolce girasole?" Chiesi iniziando a sfogliarla.
"Linea dolce girasole..." Precisò. "C'è già chi è interessato ad entrare in società. Il primo dovrebbe aprire a Dublino."
"Vieni qui, tesoro." Mia madre mi agguantò il braccio per farsi seguire e sbattei la brochure sul petto del riccio. "Ecco il tuo té, tesoro. Bevilo piano, è bollente."
"Grazie, mamma." La ringraziai prendendo distrattamente la tazza e vagando con gli occhi per la stanza.
"Allora." iniziò lei, ma il mio sguardo fu catturato da una targa.
Non ci posso credere!
"La vita ha un unico obiettivo. Farti fare tutte quelle cose particolari, che in particolare non vorresti fare..." Mi voltai verso lei. "Ma quello è sempre stato qui?"
"Sempre. Perché ti fa venire in mente qualcosa?"
Inclinai la testa e la solita sinfonia natalizia risuonò, segno che qualcuno era appena entrato.
Mia madre li accolse ma i due non erano irlandesi, ma dell'estremo Oriente dal loro idioma.
"Mi dispiace, ma io non so, non capisco." Si scusò dispiaciuta.
"Cerca la I 90?" chiesi in cinese e i due annuirono. "Vada a Nord per 5 miglia. Poi giri a destra."
"Grazie."
"Di niente." Risposi continuando a bere.
***
"Non dormirò in quel letto e con lui, è fuori questione!" Ripetei durante il tragitto, intrufolandomi nella camera da letto in punta di piedi. Feci vagare lo sguardo in ogni angolo dall'atmosfera intima, come lo potrebbero essere da sposi; ma c'era un piccolissimo dettaglio che tutti stavano trascurando.
Non ero sposata.
Spostai gli occhi sul comodino e li strabuzzai, prendendo fra le mani il calendario. C'erano dei cuoricini su alcuni giorni e notai gli stessi simboli, anche in quelli precedenti.
"Ti prego... dimmi che non è quello che penso."
"A cosa pensi?" Domandò facendo il finto tonto e mi voltai.
"Ti stai burlando di me?" Sventolai quel calendario. "Non si risponde a una domanda con un'altra. Quindi..."
"Quindi... vuoi una risposta." Rispose togliendo la vestaglia. Annuì. "Sì, tipo una tabella del..." Si schiarí la voce e aggrottò la fronte. "Concepimento?"
"Mio Dio. Come sono caduta così in basso." Credetti di averlo sussurrato, ma sfortunatamente lo sentí.
"L'hai voluta fare perché stavamo cercando... di avere un bambino."
Ma naturalmente.
Un bambino? Io e lui!
La botta mi ha fatto andare fuori uso i neuroni probabilmente. Qualcuno mi svegli. Perché sono ancora qui?
"Okay. Guido una station wagon, gestisco una caffetteria e ho fatto una tabella per... Non potrei odiarmi più di così."
"Ehi... Devo dormire sul divano o potrei?"
"Penso che sia meglio che tu-" La saliva mi andò di traverso quando mi voltai, trovandolo a torso nudo. Mi sforzai di non avventurarmi sui pettorali e girai la faccia. "Beh, ovviamente è la tua camera, perciò... Fa' come vuoi." Lanciò la maglietta sul pavimento e strinsi a disagio la mia. "Non riuscivo a trovare il mio pigiama, così ho messo una delle tue camicie."
"No, veramente quella è tua."
"Carina." Cercai di tirare giù il tessuto per coprirmi le gambe e lui dal suo canto calò i jeans. Per poco le mie guance non si abbrustolirono come il mio corpo. Tappai gli occhi. "P-Potresti gentilmente... coprirti?"
Finsi di schiarirmi la voce, accarezzandomi il mento e chinò la testa, guardando le sue gambe nude.
"Magari questo ti aiuterà a risvegliare la memoria."
"Di certo non mi aiuterai facendo la burlesque." Sottolineai.
"Davvero?" Domandò tirando su i pantaloni.
"Poi il medico ha detto che ogni piccola cosa potrebbe..." Alzò il sopracciglio per poi prendermi i fianchi, strappandomi un: "C-Che fai?" E mi catapultò sul letto.
"Ti faccio il solletico!" Le sue mani vagavano dappertutto, mi torturavano, lasciandomi quasi senza respiro.
"Smettila!" Lo pregai, afferrando poi uno dei cuscini colpendolo di rimando.
"No, non la smetto!" Esclamò, ripartendo all'attacco e alla fine si allontanò e mi misi seduta, tentando di placarmi.
"Sei proprio un matto, lo sai. Ricordi praticamente tutto"
"E amo tutto di te. So che ti piace mettere la maionese sulle patatine fritte, che adori l'odore della pioggia sull'asfalto... sei molto sincera, non faresti del male a una mosca e appunto per questo... sei vegetariana."
Lo guardai attentamente nella penombra. "E che altro?"
"So che hai vomitato sulle montagne russe quella volta al luna park... Perché ero lì con te. Ti spaventava l'altezza."
Chinai la testa. "È da tempo che non sto con qualcuno che mi conosce così bene. Per anni mi sono chiesta come sarebbe stato se non fossi partita." Sorrisi alzando lo sguardo. "Ed era esattamente così. Solo che adesso sono qui, non so se-"
Trassi un sospiro e avvicinò la mano per sfiorarmi la guancia, come a darmi prova che era reale, ma gliela afferrai adagiandola sul materasso.
Mi guardò mortificato e abbassò gli occhi. Mi sentivo in colpa, ma non potevo forzare i miei sentimenti... o qualunque cosa si stesse agitando in me. Avevo bisogno di un po' di tempo e di riflettere.
Mi vennero in mente i discorsi di quell'uomo stravagante sulla panchina, mentre ero tranquilla e distesa nel letto. Spense l'abat-jour e si sdraiò al mio fianco.
Mi girai e lui fece lo stesso.
La sua presenza mi rassicurava, mi sentivo al sicuro, come all'epoca; gli afferrai la mano e lui mi accerchiò la pancia con il braccio, poggiando il mento sulla mia spalla.
"Cosa ti ho detto la prima volta che siamo usciti?"
"Una cosa, del tipo: il burro di arachidi è schifoso?"
"Sei ancora lontano" mugugnai, stringendogli gli incavi.
Posò la testa sulla spalla e mi strinse. "Forse che stasera tra noi non succederà niente oppure ti spezzo il braccio?"
"Uhm, esatto... e la cosa è ancora valida."
"Però era più... assolutamente no. Guarda: che noi non finiremo a letto insieme. Puoi scordatelo."
Ridacchiai. "L'imitazione non è mai stato il tuo forte."
"Sei cattiva però." Mi punzecchiò prima di poggiarsi sul cuscino e cadere in un sonno profondo, mentte io avevo degli stuzzicadenti che mi tenevo spalancate le palpebre, come delle saracinesche.
***
Ecco a voi il secondo capitolo della magica storia a sfondo natalizio... E la cosa è decisamente confusa, perché improvvisamente...
Amybeth è sposata con Lucas?
Cosa pensate sia successo dopo quell'incidente? Pensate che la rossa sia vittima di incantesimi, sortilegi, o sta semplicemente avendo delle allucinazioni.
Tutto ovviamente è correlato al Natale, che lei afferma di odiare - come ogni anno - ma che accadrà in questa realtà nuova di zecca?
Giuro che sono morta dal ridere a scrivere le loro scene, non volevo risultare "pesante" sulla tabella che serve per stabilire i giorni giusti per programmare una gravidanza...
Cosa pensate accadrà nel prossimo capitolo? Amybeth riuscirà a capirci qualcosa...? Naturalmente aspetto i vostri scleri e grazie per l'affetto che mi avete sempre dimostrato.
Volevo farmi perdonare, in qualche modo, per avervi fatto piangere con la mini storia "Come pioggia d'Estate".
Felici feste a tutti voi!
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